Erasolosole – Brasile

di Giorgio Lucchini –
“Si Comunica ai signori viaggiatori, che il treno rimarra’ fermo a tempo indeterminato causa incidente sulla linea. “Dopo dieci minuti i primi gesti di nervosismo tra i passeggeri: gente che ricorre al cellulare, gente che si fa’ spiegare come funziona, gente che importuna il controllore per avere notizie, controllori che si nascondono nei bagni per sfuggire ai passeggeri. E’ sabato, il treno doveva arrivare a Milano; siamo in agosto e la maggior parte dei viaggiatori deve prendere un’aereo, o un’altro treno o… ha semplicemente degli impegni. Da parte mia, sto’ correndo il rischio di bruciare un viaggio programmato da tre mesi; dall’altra parte del globo, il primo!
Mi presento, sono Giorgio: situazione attuale single (da poco) alla ricerca di novita’ e di un taglio netto col solito modo di vivere, almeno temporaneamente. Sono in viaggio con un’amico, alla scoperta del Brasile; lui c’e’ gia’ stato, e ha promesso di farmi conoscere un po’ di questo mitico paese. Per il momento siamo bloccati alla stazione di Desenzano e rischiamo di perdere l’aereo: mica male come inizio. Ci salva il buon cuore di Lella; sua moglie, che viene a recuperarci e ci porta fino a Linate. Piccola parentesi: multa per divieto di sosta davanti all’aeroporto; mica male come inizio. Quando i motori di un 737 cominciano a pompare, e’ il momento piu’ bello di un viaggio… o scoppiano, o e’ take off. Questa volta ci era andata bene; il viaggio Milano Bruxelles e’ abbastanza corto, e anche se ti rilassi riesci solo a pensare agli scampoli.
Facendo un resoconto; devo sapere chi infila gli spilloni nella mia bambolina: Pasqua, la mia”storica” mi molla, sul lavoro la situazione non e’ il massimo, decido di fare questo viaggio e… con i soldi contati, un incidente che mi costa un tot rischia di mandare tutto all’aria, con conseguenti crisi depressive. Comunque siamo qui’, stiamo sorvolando le Alpi e mangiando un’orribile tramezzino da Economy Class. Aeroporto di Bruxelles ore 17.00: scale mobili a non finire, saliscendi da un piano all’altro per trovare quello che ti serve, acciaio e vetro nella migliore tradizione “europea”. Check in 2 ore prima, per sicurezza e poi le solite cose: qualche giro al Duty free per le immancabili stecche di sigarette, birra e panino, screeneng della fauna femminile circolante, ricerca di una toilette ecc. ecc.. : “Boa Noite!”. Il saluto dell’hostess sul portello del volo Vasp Bruxelles-Rio, mi fa tornare bruscamente alla realta’: ormai ci siamo, tra undici ore verificheremo le fole e le verita’ di questo paese tanto raccontato.
Prima delusione: le hostess sono riservate alla prima classe, per noi “Economy” ci sono gli steward; e io che pensavo gia’ di sorseggiare una Caipirinha imparando i primi rudimenti della lingua brasiliana da una gentile fanciulla… vabbe’. Naturalmente posto fumatori: gli ultimi, vicino alla toilette. Gianni, cerca di spiegarmi alcune cose sul comportamento nei voli intercontinentali; per me e’ il primo, ho volato molte volte, ma mai per tragitti cosi’ lunghi. parliamo del piu’ e del meno, spettegoliamo sugli altri viaggiatori; qualche fila piu’ in la’ ci sono dei viados, probabilmente stanno tornando a casa dopo le esperienze europee, noi aggiungiamo, con le pive nel sacco.
Il momento piu’ brutto di questi viaggi e’ sicuramente il risveglio: se non prendi il momento giusto per andare in bagno sono affaracci tuoi, le file si sprecano. Atterrare a Rio alle 5 del mattino e’ un’esperienza indimenticabile: una miriade di luci di varia intensita’ e colore, e continui a scendere. A un certo punto non capisci se stai finendo in mare o se e’ tutto un sogno: quando senti il contraccolpo col cemento della pista capisci che tutto e’ andato bene, ma fino a qualche istante prima…. Brasil: ingolfamento di arrivi con lungo serpentone per le formalita’ di ingresso, grandi cartelli avvisano che la precedenza l’hanno i bambini, le donne incinte e i portatori di handicap; non sono poi cosi’ barbari. Ritiro bagagli: “Le nostre valige dove sono ?”. Quando dal buco da cui dovrebbero arrivare, fa’ capolino la testa di un inserviente, cominciamo a preoccuparci ma poi, le vediamo sole e abbandonate in un’angolo: “Fiuuuuh !”.
Uno non ha praticamente dormito tutta la notte, e’ leggermente spaesato, e’ riuscito a passare indenne tutti i controlli e… da un silenzio normale passa ad una cacofonia di suoni ed immagini: una massa di gente con cartelli, depliant, occhi puntati. Riesce a guadagnarsi uno spazio relativo, e viene subito abbordato da, nell’ordine: facchini, taxisti, pseudofunzionari di hotel, pseudofunzionari di agenzie viaggi, poliziotti. Meno male che Gianni parla brasiliano, e riusciamo a cavarcela: ci vorrebbe la famosa, e ormai agognata Caipirinha.
Invece dobbiamo accontentarci di vari tipi di succhi; perche’ da qualche tempo non e’ piu’ permesso servirla all’aeroporto, ordine del potente Ministero della salute. Nove ore di attesa possono diventare un’eternita’ se rimani seduto con mille paranoie: i bagagli, la paura della gente, e i tanti “sentito dire”che ti porti dietro. Per me’, tutto e’ una novita’, quindi adrenalina a mille un sacco di domande al mio compagno di viaggio, progetti e sogni.. . naturalmente a occhi aperti. E’ una delle cose che mi riesce meglio; di solito non se ne realizza nemmeno uno, speriamo che questa volta sia diverso, almeno uno piccolo piccolo. L’aeroporto di Rio e bello grande, disposto su tre’ piani, che noi abbiamo girato completamente col nostro carrello e una scatola di castagne di caju’, che pero’ non ha resistito molto.
Fra la moltitudine di pacottaglia per turisti, spiccano i caschi in miniatura di Ayrton Senna; un uomo che ha amato molto il suo paese, e penso non uscira’ mai dal cuore dei brasiliani. Se passate di qui’, non perdete l’occasione di assaggiare il primo, di quella che sara’ una lunga serie, di stuzzichini brasiliani: il pao de chejo. Mitico ! Cominciamo a vacillare, ma un’occhiata all’orologio ci rincuora: e’ finalmente giunta l’ora del ceck in. Al bancone, si rivedono visi familiari, passeggeri che erano sull’altro volo: missionari riconoscibilissimi dall’immancabile barba bianca da missionario, giovani di qualche associazione di volontariato, brasiliani che ritornano a casa. Comincio a essere impaziente, fino ad ora del Brasile ho visto solo l’aeroporto e… stanno ricominciando i sogni ad occhi aperti. Sala d’imbarco, interno… credo giorno, la scena: una ventina di persone ormai distrutte dal viaggio accasciate sulle poltroncine con lo sguardo che corre sempre piu’ frequentemente all’orologio, mi si siede vicino una ragazza: “Ci siamo!” penso.
Devo sembrarle il prototipo del turista spaesato: carnagione bianca, anzi ormai cadaverica, abbigliamento casual, occhio che non riesce a stare fermo e aria da “navigato”( ma devo dire che quella non mi riesce molto bene ). Fatto sta’ che dopo un po’ si alza e cambia posto: prima delusione brasiliana !E a rincarare la dose ci pensa Gianni con un serafico: “Per caso, quella voleva abbordarti ? !”. Non lo scopriro’ mai, e pensando a dove posso aver sbagliato , mi imbarco… anche se e’ un’aereo. Dopo vani tentativi, il bagaglio a mano si rifiuta di entrare nello scomparto, piuttosto di sfasciare l’aereo me lo piazzo sotto le gambe, e prima lezione: nei voli interni in Brasile, i posti sono… quasi prenotati; della serie “chi pija pija”, naturalmente non mi smentisco, ultimo. Guardando dal finestrino, riesco a vedere i primi sprazzi di questo paese: una natura forte, terra rossa, boscaglie e, isolate ville con piscina.
Atterriamo a Vitoria, e sono il primo a scendere la scaletta, naturalmente di coda. Ci siamo, non perdo tempo a baciare il terreno come quel tizio vestito di bianco, non vedo l’ora di vedere qualcosa che non sia un aeroporto. Ci sta’ aspettando Emilio: un’amico di Gianni, carichiamo i bagagli, prime presentazioni; per fortuna parla italiano. La prima immagine che mi si fissa nel cervello, e’ quella di una concessionaria di auto, con mezza Uno incastonata nella parete, la seconda gruppetti di ragazze sul “Beiramar”, la terza il modo di guidare dei Brasiliani: non sono molto sicuro di arrivare sano al nostro appartamento. Comunque, tra svolazzare di gabbiani, palme e brusche sterzate, raggiungiamo la nostra destinazione: abbiamo solo voglia di sistemarci un poco, e dopo il congedo da Emilio, il rito del disfare la valigia; come al solito il “genietto dello spiegazzamento”ha colpito, e’ inutile cercare di accomodare bene gli indumenti alla partenza, tanto le uniche cose che non si stropicciano sono i calzini e gli slip, ma solo per il fatto che lo erano gia’ da prima.
Accusandoci l’un l’altro di furto di acqua calda aspettiamo che vengano a recuperarci. La puntualita’ dei Brasiliani e’ nota in tutto il mondo: Newton, un’altro amico, per non smentirsi arriva con tre ore di ritardo ! Agguantiamo un pacco di pasta dalla nostra scorta e andiamo a casa di Emilio; la mia prima serata in brasile. Gianni si mette subito all’opera per preparare uno spaghettino degno di tale nome, io vago per la casa cercando di riordinare le idee; dopo un paio di birre ci rinuncio. Emilio e Newton, i nostri ospiti, sono i primi Brasiliani che conosco nel loro ambiente naturale, cerchiamo di parlare, ma io non capisco un acca della loro lingua, Emilio parla bene italiano, Gianni parla bene portoghese, io e Newton comunichiamo a gesti, e alla fine anche grazie alla musica che ci siamo portati, riusciamo a familiarizzare.
Tiriamo un’ora decente per andare a dormire, e tra tanti discorsi non riesco ancora a rendermi conto minimamente di essere in Brasile. Al mattino prima uscita, vorrei essere un’altro per vedermi: sfoggio dei bermuda a rigoni bianchi su campo arancione, accompagnati dal pallore delle mie carni, accompagnati dalla mia aria spaesata, accompagnati da Gianni a cui mi aggrappo come alla solita ancora. Lunedi’ e’ lunedi’ dappertutto, e non e’ che ci sia una vita eccezionale, comunque devo passare ai posteri il mio primo cocco, munito di cannuccia e seguito da un Peroa’ fritto ( trattasi di pesce di mare ); innaffia il tutto con una buona ? ! birra gelata e guarda l’atlantico, riscaldato da un bel sole, dal profondo ti nasce un: “Che i mora tutti, tanto a me’…”.
Prima di addormentarci sotto una palma, decidiamo di tornare a casa; durante il tragitto dobbiamo impegnarci seriamente per evitare orde di adolescenti, ciccioni, donne di mezza ata’ che fanno jogging: una delle manie nazionali brasiliane. Il televisore non funziona, e passiamo il resto del pomeriggio a rendere l’ alloggio piu’ consono ai nostri gusti. Decidiamo di andare a fare la spesa al supermercato, sembra facile; a parte le cose riconoscibili, se devi cercare qualcosa di cui non conosci il nome in lingua, auguri. Dopo aver scorrazzato in lungo e in largo, carichi come due somari torniamo a casa con in mente due favolose Caipirinha , che poi diventano quattro, e diventerebbero anche sei, se domani non avessimo molte cose da fare. Aspettiamo inutilmente qualche telefonata, che naturalmente non arriva e soli soletti ci ritiriamo nelle nostre camere; notte magica, canta Gianna Nannini.
Bah ! Al mattino dobbiamo andare da certi amici a Villa Velha: la citta’ vecchia. Decidiamo di servirci dei mezzi pubblici, piu’ economici, e ti permettono di stare a contatto con i brasiliani veri. Gomito a gomito, nell’autobus stracolmo, cominciano ad affievolirsi molte paure e preconcetti: fino ad ora nessuno ha tentato di rapinarmi o altro. E’ logico, ti guardano, sei un ” Gringo”; ma nessuno e’ scortese. Villa Velha e’ molto diversa da Vitoria; le strade sono meno pulite e le case fatiscenti, anche l’odore non e’ lo stesso. Dopo la priva visita, andiamo a trovare Gladys: e’ una donna che vive in una casa grande come tre’ cabine telefoniche, con due bimbi e… una grande dignita’. Il Brasile dalle mille sfaccettature comincia a farsi vedere: il quartiere non e’ decisamente ricco, lei riesce a tirare avanti facendo la manicure, con un figlio di circa 9 anni e una appena nata. Ha deciso di allevarli da sola, senza marito, e secondo me’ se la sta’ cavando benissimo.
Esco da quella casa con un sacco di pensieri in testa, il piu’ ricorrente e’: “Mah vaffanculo, Giorgio !”. Passiamo la sera a cena dal signor Antonio, ma la sensazione e’ molto meno piacevole. Da una forza vitale, ti trovi di fronte a qualcosa che ricalca ed amplifica tutti i difetti del mondo occidentale e di una cultura bigotta e ipocrita, con l’aggiunta di una notevole chiusura mentale. Notte per pensare, notte per fare autocritica, notte per farsi mille domande, notte per aspettare domani. Approfittando di un passaggio, arriviamo alla bottega di Jurandi’: falegname discendente di “Taliani”, e orgoglioso delle sue origini. Non e’ mai stato in Italia, e ne e’ innamorato; non penso sia il caso di parlargli di Craxi ecc., meglio lasciargli il miraggio di una nazione dove tutto va’ a gonfie vele.
Comunque pialliamo varie assi, scarichiamo tronchi e parliamo in una lingua brasilveneta. Serata a sorpresa: ci recuperano verso le 20 ( ora locale ) e andiamo a casa di Edwardo; un “Mineiro” benestante e pieno di vita, con una bella famiglia e un amore per la birra e la musica. Tra birra e cashasha, il mio fegato corre notevoli rischi, pero’ resisto e riesco anche a fare un mucchio di fotografie di un gruppo di amici che fino a poco tempo prima non si conoscevano; a Joanna, a quello che assomiglia a Vasco, alla bimba di Edwardo con la sua maglietta della Universita’ della Crianca. Insomma serata piena con delle sensazione che sara’ difficile dimenticare. Unica nota, se volete dolente: “Sono ancora a stecchetto !”. I giorni che vengono, sono densi di avvenimenti: visita al santuario, gli immancabili Peroa’ fritti, le occhiate alle ragazze , la visita al Centro Commerciale, e un’altra serata di balli, canti, bevute a casa di altri conoscenti; quella sera non ci siamo risparmiati, e abbiamo tenuto alto il nome dell’Italia nella resistenza alcolica.
Giorni comunque di immagini, colori, suoni che sono passati in un lampo, e devo ancora riuscire a focalizzare. Arriva Raul. Faccio un risotto con i funghi, da manuale: gli altri sono andati a recuperarlo all’aeroporto. Scatta qualcosa; alle 11 mandiamo a letto Emilio, doccia ( scientificamente fredda ), e ci fiondiamo nel locale meno per bene della zona. Birra e sigarette a gogo’, ragazze che ti parlano scambiandoti per un marinaio, luci soffuse, qualche spettacolino hard, il tavolo del Ras: questi sono i ricordi che ho di quel posto, e per non concludere, non ci e’ costato neanche tanto. Solita notte tragica, questa volta con contorno di sogni erotici; e la mattina… debole sole poi pioggia. Un po’ di decompressione: Gianni va’ a fare un giro da solo, e io accompagno Raul in lavanderia e a mangiarci un Peroa’ sotto la pioggia. Serata ancora a caccia di avventure: mi ricordo che era una mulatta dal nome inpronunciabile, continuava a chiedermi soldi: per mangiare, per la birra, per il D. J.. Alla fine, per non concludere, ci e’ costato un po’ di piu’. A questo punto ho un black out temporale: non mi ricordo quando siamo andati a visitare il planetario io e Gianni; dopo tre Cajpirinha ho ancora dei dubbi sulla posizione della luna, pero’ l’Universita’ Federale di Espirito Santo e’ un luogo molto rilassante. I ricordi riprendono con una serata in un locale Mineiro, divertente, con i camerieri vestiti da contadini e musica in cui Casadei non avrebbe sfigurato. Ci siamo ubriacati come delle zappe; del resto eravamo reduci da una serata a casa di altri amici, con altra musica e altri canti e… finalmente ero riuscito a “mollarmi”, e mi ero anche divertito, raggiungendo un rispettabile grado alcolico.
Piano piano il tempo passa anche in Brasile, e Gianni risolve i suoi impegni d’affari, quindi possiamo lasciarci un po’ andare. Il tempo non e’ dalla nostra, e piove spesso. Il Brasile me lo immaginavo diverso, ma ne sto’ vedendo solo una piccolissima parte, comunque comincio ad abituarmi alla lingua, ai cibi esotici, alla frutta e a tutto quello che qui’ e’ normale, anche alle Telenovelas. Per fortuna tra qualche giorno cambiamo aria e andiano nello stato di Bahia. Ultimo giro in centro per cambiare valuta: e’ sempre una cosa stressante entrare in una banca piena di guardie, e poi uscirne con fare indifferente sperando di non essere notato. Un cambiatore abusivo, ci ha cuccato tutte le volte, scambiandoci prima per Argentini, poi per Italiani, e alla fine per Croati. Aggiungiamo il fatto che alla televisione si continuano a vedere notizie di rapine, omicidi, e quant’altro ci assomigli; uno esce dalla banca abbastanza preoccupato. Si’, perche’ certe cose che leggi sui giornali, in Europa, succedono davvero: bimbi che spariscono nel nulla, gente che muore per tentare di sopravvivere.
Provate ad entrare in un supermercato ed acquistate una confezione di passato di pomodoro: sul retro troverete due simpatici visini, se volete potete anche fare la collezione; peccato che gli originali siano ormai irrimediabilmente perduti. Questa e’ una delle cose che piu’ mi ha colpito: i bimbi che spariscono, assieme alle molte altre contraddizioni di questo bel paese, ma parlarne senza conoscere a fondo i perche’ e i percome, servirebbe ad accrescere ancora il numero dei… sentito dire. Bisogna andarci, e non solo in Hotel. Per tornare a cose piu’ terra a terra, non ho ancora cuccato, e comincio ad avere serissimi dubbi sul mio fascino. Domani si parte per Arraial da Juda, stato di Bahia, il primo posto scoperto dai Portoghesi; pieno di storia e di… magia. Ci aspettano nove ore di Omnibus e, almeno per me’, di novita’.
Avviso ai naviganti: munirsi di maglione, per un viaggio notturno con l’aria condizionata tenuta al massimo, si rischia minimo un raffreddore. Assalti permettendo; ogni tanto succede, il viaggio e’ piacevole e le soste in paesini che senno’ sarebbe difficile vedere, sono interessanti, anche se non bisogna mai abbassare la guardia. A bordo non c’e’ problema a bere un cafesinho, o dell’acqua, ed essendo un mezzo relativamente economico, si sta’ a contatto con la gente… normale, quella che nei tour organizzati sarebbe impossibile incontrare. Ad ogni buon conto, omnibusiano a Puerto Seguro alle 6 del mattino; il tempo di prendere un Taxi per il molo, e scoprire che la “Balsa” arrivera’ tra circa un’ora. Tre’ turisti invernali, muovono un po’ di curiosita’, e veniamo abbordati da vari tipi. Alcuni li definirei “sconvolti”, altri vecchi marpioni e tutti, nella migliore tradizione sudamericana hanno qualcosa da offrire.
Glissando tutte le offerte, ci concediamo un caffe’ caldo e saliamo sulla famosa balsa, che non e’ altro che un barcone tipo traghetto. Comincio ad avere delle visioni; non allucinazioni, del Brasile che vedi nelle fotografie; uomini carichi di merci acquistate in citta’, camion sgangherati, vecchi Maggiolini strombazzanti, donne con la cesta di verdure sulla testa, che riforniscono gli isolani ( qualcuno favoleggia che sotto la verdura ci sia… ) . Sull’altra sponda non esiste l’asfalto, per ora, evitando un abusivo ci ficchiamo in una “Combi” e ballonzolando sulla terra battuta raggiungiamo la casa di Neo. Ragazzi che roba: piante, ruscelletto artificiale provvisto di pesci rossi, piscina, cani e gatti a volonta’.
Quando mi fanno entrare nello chalet non sono molto sicuro di farcela con i soldi, ma anche se la giornata e’ grigia mi sento molto bene. Raul decide invece per la posada… probabilmente vuole piu’ liberta’. Dopo esserci sistemati, Cafe’ da Manhana, doccia finalmente calda e prima escursione. Una chiesetta gialla e verde sul finire del paese, noi che spicchiamo nel nostro biancore, nativi che raccolgono noci di cocco, il sole che comincia ad arrivare e… l’oceano tutto intorno; e’ ancora presto, i bar sono chiusi, ma dentro sento esplodere un: “Cazzo, finalmente ci siamo !”. Dandoci appuntamento per un’ora piu’ decente, ci avviamo ai rispettivi alloggi: non vorrei buttare via nemmeno un minuto. Il sole ci e’ amico e resiste, dopo una buona spalmata di crema protettiva, alla spiaggia: capanni e musica, e l’assalto dei gestori che ti magnificano il loro locale, e’ la prima barriera che ti trovi davanti. Sfoderando il nostro miglior sorriso, riusciamo a superarla e lo sguardo puo’ spaziare; devo corrergli dietro per un bel po’ prima di riacchiapparlo: distesa di sabbia bianca, mare spumeggiante con tonalita’ dal turchese all’azzurro al verde smeraldo.
Mi accorgo per caso di un cavallo che viene nella mia direzione, e riesco a spostarmi: non sono ancora sicuro di essere realmente sveglio e facciol la famosa prova pizzicotto. Dopo qualche Kilometro torniamo indietro, e decidiamo di fermarci nell’unico capanno deserto, la musica che si sente ci ispira. Da una vecchia ricetta di un alchimista: “Un bel sole che ti scalda, una birra gelata, cinque o sei ostriche a un prezzo stracciato, gamberoni caldi e… l’oceano che ti guarda”. Non avrai trovato la pietra filosofale, ma ci sei molto vicino; e se ci aggiungiamo una sigaretta di tabacco locale… auguri ! Al tramonto affrontiamo la salita verso casa con una carica del tipo 101. Vicino allo chalet faccio finalmente conoscenza con Rebecca: autentica bahiana di colore; due occhi nocciola in cui ti si rispecchia l’anima, un carattere affettuoso ma pieno di grinta.
Se non fosse alta circa trenta centimetri e appartenesse al mondo animale, nella categoria cani, sarebbe la donna ideale. Ha addirittura fatto una “cagnara” una notte, con gli altri cani della casa per conquistarsi il diritto di dormire sul nostro zerbino; se questo non e’ amore? ! La fortuna ci abbandona, e il giorno dopo piove, Raul demoralizzato va’ a Puerto Seguro per prenotare il volo che lo portere’ a Fortaleza: sole, donne e mare ( almeno cosi’ mi hanno detto ). Io preferisco rincorrere Loro: un pappagallo brasiliano d. o. c . che ha il vizio di fare un casino pazzesco durante i temporali ; ma le sortite con la videocamera non sono molto fruttuose. Gianni si ricorda che li’ ad Arraial, c’e’ la casa di Vinicius de Moraes. Dopo aver preso informazioni, la rintracciamo. suoniamo il campanello e ci apre una gentile signora: Mariangela, che ci spiega che quella e’ la casa del figlio di Vinicius; Pedro, lei e’ italiana, ed e’ la moglie.
Ci invita ad entrare e cosi’ facciamo la loro conoscenza; e’ stata una bella esperienza conoscerli, Pedro prima di congedarci ci regala un libro di sue fotografie, molto belle, che mostrano un Brasile di molti anni fa’: si’ perche’ lui e’ fotografo dall’eta’ di 12 anni. Ce ne andiamo dopo esserci scambiati indirizzi e reciproci inviti, senza mai aver parlato del padre.
Mentre, sorseggiando un succo nella piazza del paese, parliamo con due donne che guardando il libro ci raccontano di quei periodi, lui passa con il suo Pick-up e ci saluta, penso: ” mi sto’ avvicinando al viaggio che volevo fare, riuscire ad entrare almeno un poco nello spirito di questo paese”. Domani a Trancoso ! La serata e’ veramente magica: vaghiamo per Arraial: 50 case e un mucchio di localetti, e… Rebecca ci accompagna. Ci porta in giro per tutto il paese; davanti un passo, ci aspetta , e se tardiamo ci cerca e… trova: ci ha prprio adottato. E siccome li’ sembra essere la prassi comune venire adottati da un cane, vuol dire che eravamo “legal”, e la traduzione dovete farvela fare in loco. Mi dimenticavo di Lagoa Azul: marcia forzata di circa due ore sotto il sole, la meta e’ un posto in riva al mare, tra rocce argillose, una pozza d’acqua e dei fanghi dalle proprieta’ benefiche.
Brutta notizia: praticamente non esiste piu’: qualche turista sciocco, anzi molti, hanno violentato questo posto a tal punto da farlo chiudere… boh, vederne i resti e’ comunque interessante. Foto di rito, e pensare che a altre due ore di cammino, c’e’ il posto dove un certo Cabral sbarco’ per la prima volta; passiamo la mano e rimandiamo alla prossima. Difatti oggi ci siamo. La fermata del Bus e’ appena fuori dall’abitato, di fronte al mercato, ci informiamo; manca ancora qualche ora alla partenza, Raul non si vede, andiamo a bere qualcosa. Ci sediamo nel posto piu’ vicino, e dopo un po’ arriva il ragazzo della cassettine: lo avevamo conosciuto una notte sulla balsa, al ritorno da una sortita notturna a Puerto Seguro: tragica. Non c’era feeling, eravamo “scollati”, e dopo un Rodizio in un locale… mah, dopo aver cercato un incrocio per ore, eravamo finiti in una discoteca zeppa di gente che ballava, io non ero riuscito a divertirmi, non so’ gli altri. Comunque al ritorno, sulla balsa c’era questo tipo con la sua cassetta piena di cassette, che ci proponeva musica. Questa volta ne avevamo acquistata qualcuna, poi un giro al mercato e finalmente arriva il Bus.
Con la B maiuscola, e’ stato un bel viaggio: circa un’ora di buche, con i bimbi delle elementari, che facevano quello che fanno i bambini di tutto il mondo quando tronano a casa da scuola: un gran casino. Dopo aver rischiato di rompere i semiasse, l’autista ci deposita a qualche passo dal mare, passiamo un ponticello di legno ed eccoci: un silenzio spaziale, una spiaggia meravigliosa: Trancoso. Dopo esserci sbafati il solito pesce; che questa volta ci hanno fatto scegliere, ci avviamo a piedi verso il paese. Una mezz’oretta di salita in mezzo alla jungla, stimola la diuresi e al grido di: “chi non piscia ecc. ecc.”, lasciamo le nostre tracce sul suolo brasiliano. Al termine della salita, arrivi in una luce crepuscolare a Trancoso: sei o sette case, precedute da un piccolo parco di piante secolari altissime. Poche persone che ti guardano… come se non esistessi, un silenzio irreale e al sole la Chiesa; in puro stile coloniale, qualcuno ci ha detto che nello spiazzo di fronte, i Portoghesi trucidavano i Nativi che non si sottomettevano, e non stento a crederlo: nell’aria senti un qualcosa che sa’ di storia, di urla e grida, di qualcosa che e’ successo.
Aspettiamo il Bus del ritorno facendo i turisti e pregustando la prossima ora di buche. Riusciamo a tornare a casa, e dopo la doccia, siamo pronti per andare in vita. Raul domani parte, qualcosa di me’ lo seguirebbe, ma le scarse finanze non me lo permettono, e allora preferisco rimanere. Non avevo mai conosciuto Luciano: un veronese trapiantato da qualche anno ad Arraial, passiamo una serata in compagnia, e ci porta in un ristorante di classe A, dove ho mangiato una delle migliori zuppe di fagioli in vita.
Per darci una mano, riesce a far fuggire un paio di ragazze; e pensare che le stavo puntando da una mezz’ora ! Mah, in fondo non e’ cattivo, ormai ha preso l’anda dei Brasiliani; sono gia’ molti anni che riesce a vivere qui’, quindi tanto di cappello. Mi stavo dimenticando di una cena nel nostro chalet, con Patrizia, Neo, noi tre e Tiziano: un discendente da Italiani, che e’ praticamente nato e cresciuto in Brasile, e ha trovato un modo di vivere molto rilassante, beato lui. Attualmente e’ accompagnato da una ragazza di Fortaleza, e sembra vadano d’amore e d’accordo. Il piatto forte sono gli gnocchi, che Gianni e’ stato costretto a fare, e che ci sono costati varie sortite al supermercato per trovare gli ingredienti giusti; gia’ il supermercato, ogni volta che ci vedono si mettono le mani nei capelli: ci saremo andati cinque o sei volte, e ognuna di queste era successo qualcosa , dai sacchetti che si sfasciano con conseguente rottura di succhi ecc., alle confezioni di zucchero che perdono. Probabilmente non ci avevano ancora linciato perche’ eravamo dei buoni clienti. Il Gianni viene eletto miglior chef locale, e la serata continua tra birra, pinga e una mezza bottiglia di Ballantine’s.
Non manca naturalmente Rebecca, che mendicando gnocchi di qua’ e di la’, riesce anche a farsi pestare una zampa, rischiando di farmi cadere e lasciandomi un notevole senso di colpa. Quando gli altri decidono di andare a dormire, noi turisti andiamo in cerca di avventure…. o c’era molto buio, o dobbiamo essere diventati molto miopi, risultato qualche sigaretta di tabacco locale e… avanti con gli alcolici. Comincio a pensare che saro’ l’unico Italiano a tornare a casa a becco asciutto; non e’ che la cosa mi preoccupi troppo, se non fossi effettivamente single da poco, e i miei ormoni non urlassero, sarebbe tutto ok.
Raul parte, e non ci ha neanche svegliato per accompagnarlo all’aeroporto ? ! Al risveglio, abbiamo molte cose da fare tipo: lavarci i denti, guardare che tempo fa’, andare a trovare Gerardo. E’ un pittore, che ho conosciuto qualche giorno prima, l’ultima volta avevamo parlato dell’aura delle piante: lui e gli altri parlavano in Portoghese, io no’, pero’ ci capivamo lo stesso: magia di Arraial. Acquistiamo alcuni disegni, poi… vaghiamo in attesa della sera: ci hanno invitati a una festa. Caricati come non mai ( anche perche’ ci hanno detto che ci sono due ragazze per noi ) partiamo: formazione; Rosilauro alla guida, Rebecca io e il Gianni nel cassone del pick up, nella cabina la proprietaria di una posada, che eravamo andati a recuperare con due suoi amici, uno del posto e un turista spagnolo, che salgono nel cassone con noi.
Capelli al vento percorriamo tutta Arraial, fino alla casa di Andrea; gli altri sono gia’ arrivati. Naturalmente Rodizio: quella cosa in cui devi arrangiarti a prendere i pezzi di carne da solo, senno’ rimani senza. Io non avevo molta fame, pero’ se non mangi, pensano che non ti piaccia il cibo e si offendono. Riusciamo a capire quali sono le ragazze per noi; come in tutte le feste che si rispettino, una e’ carina, l’altra no’. Naturalmente, nessuno di noi due vuole cuccarsi quella brutta , e allora… le congediamo con un bacio sulla guancia, e torniamo ad ubriacarci: mi ricorda molto qualche festa degli anni ’60. Ci trascinamo al giorno della partenza senza colpo ferire, e con un po’ di tristezza; alla domenica troviamo Cris, una vecchia amica di Gianni, e riesco anche a mantenere la promessa fatta al nostro amico Gianni Burato: fotografare una brasiliana con la maglietta disegnata da lui per una copertina del Venerdi’ di Repubblica, una caricatura del Berlusca. Riesco anche a prepararle una Cajpirinha, che giudica buona : positivo.
Rebecca vuole passare la notte da noi, sul divano, l’accontentiamo e alle 5 del mattino siamo in piedi, saliamo sul solito pick up e via. Uscendo dal paese, vedo un lampo nero che continua a seguirci, li’ per li’ non ci faccio caso, dopo focalizzo: e’ Rebecca, ci fermiamo e la carichiamo prima che le venga un’ infarto, poi carichiamo anche un gruppo di bambini che devono andare a scuola; li’ si usa cosi’. Siamo al porto; il tempo di guardare Rebecca negli occhi e venire salutato da una sonora leccata, e guardo il sole dalla balsa, mentre si stacca dalla riva, si stacca qualcosa anche da me’, non so’ se si riattacchera’: un giorno devo tornare. Non mi vergogno a dirlo, ho pianto. Omnibus per Vitoria, The show must go on. Naturalmente non avevo mai viaggiato di giorno, lo consiglio: conosci meglio la gente, perche’ non dorme, e le soste in certi paesini, contribuiscono a farti conoscere meglio questo paese. Abbiamo sbagliato per cinque minuti l’assalto ad un furgone blindato, questo ci ha fatto rimanere bloccati per un’oretta; pero’ a questo punto riuscivo a capire abbastanza dei commenti della gente, e vi assicuro erano uguali a quelli di qualunque altro paese, nei confronti della polizia ecc. Senza altri fatti di rilievo, arriviamo a Vitoria.
Mancano pochi giorni al ritorno, e sarebbe un’agonia descriverli tutti, mi limito ai fatti piu’ significativi: il mio compagno di viaggio deve trasportare un’ombrellone ( del resto e’ qui’ per affari ), e dopo aver trovato un taxista disponibile, attraversiamo mezza Vitoria con circa un metro di palo fuori dal finestrino, e io che lo tengo fermo da dietro, i conti col suo ex referente: “Ragazzi, questi cattolici Brasiliano sono piu’ ipocriti di quelli Italiani !”, le ore passate a bere succhi di frutta sulla spiaggia guardando le ragazze passare, e naturalmente dando dei voti: c’erano molti 8 o 9, ma anche dei 2. I sabati con Emilio e Newton: in giro a bere, a vedere posti. Quello che mi pesava era la consapevolezza, che tra poco sarebbe tutto finito, sarei tornato a casa ad affrontare le normali sfighe quotidiane, senza nessuno ad aspettarmi al ritorno… e neanche dopo.
Fino ad ora ero stato casto e puro, ma ormai non ce la facevo piu’ e allora… vado nel posto dove ci sono le donne. Ho perso di vista Gianni ad un certo punto, ci siamo fidati di un taxista: new life si chiamava il locale, Eliane si la ragazza che ho conosciuto. Sara’ stato il mare, sara’ stato il sole, sara’ stato che avevo le mie chiavi di casa, ma anch’io ho passato una notte Brasiliana con la B maiuscola, e il mattino dopo eravamo molto, molto rilassati. Avvenimenti degni di nota poi non ce ne sono stati, fino a che non mi hanno accompagnato all’aeroporto: Gianni ed Emilio, saluti di rito e poi… tutti cazzi miei. Mi sono appena accomodato sull’aereo che doveva portarmi a Rio, e una gentile hostess mi chiama, mi fa’ scendere tra gli applausi generali (sto’ scherzando), e mi fa’ aspettare il volo per S. Paolo: i soliti casini delle prenotazioni. Avrei anche avuto il tempo di vare una visita veloce a Rio, visto che ero li’, ma il destino non ha voluto. Lo stesso destino che mi ha fatto compiere il volo fino a S. paolo con una bimba di circa 9 anni addormentata sulla spalla, con la madre preoccupata che mi desse fastidio; e che mi ha fatto finire in mezzo ad un gruppo folcloristico laziale, fino a Bruxelles: si sono accorti che ero Italiano solo qualche minuto prima dell’atterraggio, e pensare che le hostess erano carine, e ero riuscito a sfoggiare tutto il brasiliano che avevo imparato.
Bruxelles: tre ore di attesa, pieno di orientali, tant’e’ che a Linate, il poliziotto addetto al controllo documenti, si e’ stupito vedendo il mio passaporto CEE. Recupero il mio bagaglio: l’Osso, con una maniglia rotta, passo indenne la dogana e mi trascino alla navetta per la stazione Centrale. Cambio gli ultimi soldi stranieri in valuta italiana, per poter pagare il biglietto e per l’eventuale panino, e… ritroviamo la vecchia buona Italia: ritardi paurosi dei treni. Intacco il mio esiguo capitale per l’acquisto di una carta telefonica, visto che di gettoni non se ne parla, e telefono alla Lella, per avvisarla dei ritardi e quindi di non preoccuparsi di venirmi a ritirare in stazione, visto che non so’ quando arrivero’; ho perso l’unica occasione di trovare qualcuno ad aspettarmi all’arrivo. Riesco ad impietosire dei gentilissimi facchini, che promettono di indicarmi il binario giusto, quando sara’.
Finalmente dopo un’oretta il treno arriva: un caldo bestia, l”osso” che pesa come non mai, a causa della maniglia rotta e di alcune note leggi fisiche, mi devo fermare piu’ volte, sorpassato da nugoli di persone tra cui mi sembra di vedere, zoppi, paralitici, e anche un vecchio con la barba bianca circondato da un’aura di luce. Riesco a salire e a guadagnare uno scomparto, e le mie povere braccia non ce la fanno piu’. Durante il viaggio lo scomparto si riempie, e parlando scopriamo di essere tutti reduci da un viaggio da qualche parte del mondo, ognuno con le sue storie da raccontare, ognuno con la voglia di ripartire subito. Rovato, Brescia, Desenzano, Peschiera e finalmente Verona ; sarebbe bello trovare qualcuno ad aspettarmi ma’!? Spero fino all’ultimo, inutilmente; mi viene in mente Baglioni quando cantava: “… Ritornero’ solo, e solo….. “. Mi faccio spennare da un taxi, vista l’ora, arrivo a casa e apro la porta: vorrei piangere, credevo di averla lasciata piu’ in ordine.
Mi faccio coraggio, apro le valige e comincio a disfarle, mi accorgo che la segreteria telefonica lampeggia: “Chi sara’?” , schiaccio nervosamente il tasto di ascolto e naturalmente, grane: e’ il carrozziere che vuol essere pagato. Bentornato a casa ! Mi assale una voglia fortissima di spaccare tutto, mi sento peggio di quando ero partito; agguanto un pacchetto di Hollywood e scendo dal Livio a farmi una birra. Ho voglia di parlare con qualcuno, tiro il collo alla mignon di Cashasha che avevo preso a S. Paolo, e con in bocca quel gusto che mi ricorda il Brasile telefono a Emilio, a Vitoria. Naturalmente c’e’ anche il Gianni, stanno mangiando, li rassicuro sul mio viaggio, scherziamo un po’ e prima di dissanguarmi con la telecom riattacco. Non riesco a dormire, mi passano per la testa tutte le cose che ho fatto in questo viaggio, quelle che avrei potuto fare, quelle che mi sarebbe piaciuto fare, e ascoltando Gilberto Gil mentre scorro le bollette da pagare, cerco di tornare alla realta’. Non sara’ facile ma forse, tra qualche tempo, quando mi saranno passate le malinconie e i ricordi si saranno offuscati mi verra’ da pensare: “Tanto era solo sole!”. Ma non voglio che questo accada, e allora via: Pagina 1.



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