Creta

di Lucia Giachi –

E’ dai tempi della scuola classica che mi è rimasta una vera e propria venerazione, un sacro rispetto per la civiltà greca. Non posso dimenticare i miti, i poemi e soprattutto quella lingua favolosa in cui si può trovare di tutto e di più, la radice di ogni nostra parola.

Perché è così, noi veniamo da loro, dalla democrazia di Atene, dai teoremi di Pitagora e Talete, dalla filosofia di Socrate e Platone, anche lo sport è iniziato qui….gli dei hanno pensato a tutto.

Si presenta agli occhi come una festa di colori….anche i fiori qui hanno tinte accecanti, nitide. Ho visto rossi che avvampano di viola, azzurri intensi come ghiaccio….anche le case diventano come fiori, il bianco netto delle pareti di calce, le porte blu, e rosse, le sedie impagliate gialle, verdi, turchese, gli orci arancio e ocra, i ciottoli dipinti.

La città vecchia di Hania, dietro il porto, appare così. E’ il benvenuto prima di sbucare su un golfo chiuso da un lungo molo e da un faro. Proprio a due passi dal mare una piccola moschea dalle cupole rotonde.

E’ davanti a questa, una sera, su una panchina, che si è verificato un evento particolare. Una ragazza tedesca che parlava spagnolo e una italiana (io) che parlava francese hanno fatto conversazione.

E come questa torre di Babele linguistica, così anche nella città ci sono tracce di tantissimi popoli….turchi, bizantini, veneziani e ognuno ha lasciato la sua impronta.

L’antico quartiere turco è il più tipico. Quelle casupole povere e colorate lasciano intravedere stanze buie più che modeste. Anche la vita si lascia vedere…chi cucina, chi si lava….i vecchi siedono fuori della porta e a chiunque danno il buongiorno sorridendo, anche ai turisti curiosi che entrano nella loro intimità. Non ho mai osato fotografarli per pudore, non sono attrazioni turistiche.

Ma la Grecia vera, la più autentica e nascosta l’ho conosciuta molto più tardi.

Prima ho voluto scoprire il favoloso mare greco.

Perché sull’isola c’è davvero una specie di microcosmo. Dalle montagne centrali con il Monte Ida, dove addirittura pare sia nato Giove, alle gole, le caverne……i siti archeologici famosissimi…..i terreni coltivati……olivi e viti……alberi di aranci e limoni……agavi, cactus, palme…….e tante, tante spiagge di sabbia o di roccia

Falassarna, una delle più belle, è un posto selvaggio e solitario, ci si arriva attraversando stretti passaggi di rocce rosse, come piccoli canion….si sale…sullo sfondo le “Montagne bianche” con le cime ancora coperte di neve.

Il paesaggio cambia, poi all’improvviso si spazia su una baia di un azzurro intenso, circondata da monti. Si scende verso quella meraviglia e……..finalmente sono a piedi nudi su una sabbia così fine e bianca che si affonda persino sulla battigia.

Dune con cespugli…rocce dalle forme strane che creano piccole lagune di mare, basso e quasi verde sulle lastre di pietra. Si può anche appoggiarsi a una roccia con i piedi sciacquati dalla risacca e non pensare a nulla.

Non c’è traccia di “civiltà”. Solo un ristorantino con i tavoli apparecchiati, le sedie rosse e gialle e una terrazza che si affaccia su quel ben di Dio.

Ci sono forse solo una dozzina di persone, ma prima, per un lungo tempo, me lo sono goduto completamente da sola questo piccolo paradiso.

Ma oltre ai paesaggi e alla bellezza della natura, non credo di esagerare se dico che sono i vecchi l’anima più autentica greca. Come i contadini di un tempo, sembrano querce dai volti bruni scolpiti e sanno di antico coi loro bastoni nodosi. Passano in mezzo agli uomini di oggi come monumenti del passato.

Li vedo circondati di rispetto e simpatia, seduti sui moli, nelle viuzze o più spesso al tavolo di una taverna, a volte un po’ brilli di ouzieri, il vino forte dell’isola.

Passando col pullman nella strada che costeggia il mare, affollata e moderna, alla maniera di Rimini (fatto salvo per la bellezza del mare), c’è d’un tratto un po’ di agitazione, forse un incidente….si vedono due persone correre per portare aiuto. Poi avvicinandosi il mistero è svelato: uno di questi tipici vecchi, forse brillo o troppo addormentato, è caduto a terra dalla groppa del suo asinello che camminava lento e tenace nel traffico. In tre lo issano su di nuovo, e nel pullman molti ridono di simpatia, forse lo conoscono.

Sempre a proposito di anziani, in un paesino dell’interno, Tilarissi, che si raggiunge dopo un percorso fra i monti, ho fatto un incontro particolare.

Il paese era povero, tipicamente contadino, si sentiva l’odore delle stalle, i belati delle caprette. Davanti a una piccola casa bianca sta seduta una vecchia vestita come d’obbligo tutta di nero. La saluto col mio solito Kalimera, lei risponde, sorride e mi fa cenno di prendere un’altra sedia dentro la sua casa. Entro e vedo una sola stanza, nera di fuliggine, poverissima. Prendo una sedia e mi siedo fuori di fronte a lei. Io col mio vocabolario e lei con la sua lingua sconosciuta comunichiamo come si può. Riesco a sapere che è vedova, che i suoi figli sono lontani, che d’inverno lì è freddo….l’acqua corrente è fuori casa, come pure un piccolo forno a legna per cuocere il pane.

E’ molto piacevole stare “in conversazione” e lei, Angelica, questo è il suo nome, a un certo punto si alza, va in casa ed esce porgendomi un piatto con dei bei dolcetti, come fossero lì pronti per gli ospiti. Poi, un’altra piccola chiacchierata, e di nuovo si alza e mi porta un’arancia. Non so che dire, si respira proprio un’aria diversa, fuori dal mondo….di un tempo antico dove l’ospitalità era sacra. Quando le chiedo quanti anni ha la sua risposta è “Polì”…(molti). Mi viene da sorridere di me, del mio bisogno di numeri precisi. In questa dimensione senza tempo la cosa essenziale è vivere….e gli anni….sono quanti sono !

Ho forse trovato un reperto archeologico senza bisogno di scavare ?

Dopo aver lasciato Angelica, continuo a camminare mangiando la sua arancia. Aveva un brutto aspetto ma è dolcissima E anche questo forse significa qualcosa.

C’è un filo conduttore fra l’incontro con Angelica e l’esperienza al monastero di Agia Triada.

Quando sono arrivata credevo che avrei trovato delle rovine molto antiche, invece si tratta di una costruzione del 1700 in una bella posizione in alto sotto alle montagne, nella penisola di Akotiri, in mezzo a campi di olivi e aranci.

L’uomo anziano alla biglietteria mi fa uno sconto. Entro nel pieno del mondo ortodosso. La chiesa è carica di ori e bellissime icone. E’ emozionante trovarsi a contatto con la fede che ha fatto dell’icona la sua forma di arte più elevata.

Ripensandoci questa è l’impressione tipica che ho provato in tutti i viaggi ogni volta che avevo davanti “in carne ed ossa” tutto quello che avevo fantasticato leggendo racconti, guardando film, fotografie. Insomma una cosa e guardare come sono fatti i fiordi norvegesi, e un’altra esserci.

Lo stesso mi è successo quando da un corridoio del monastero ho visto comparire un vecchio monaco, di quelli appunto visti in foto o nei film come ognuno si immagina.



Tonaca nera. Tipico copricapo nero. Capelli e lunga barba bianca.

Sento che non posso andare via da lì senza avvicinarlo in qualche modo. Quando arrivo al negozietto delle icone e vedo la mia preferita, la trinità di Rubliev, penso di poter chiedere a quel monaco di benedirle.

Un po’ timorosa mi avvicino al tavolo dove è seduto accanto al vecchio bigliettaio.

La domanda fatta con molta incertezza forse non è capita…ma quando gli mostro l’ icona approva…fa tre segni di croce e la bacia.

Ringrazio quasi inchinandomi, perché la sua figura ispira veramente reverenza e rispetto.

Già appagata di questo, mi siedo fuori in attesa del taxi per il ritorno.

Ecco che arriva il vecchio e mi fa cenno di rientrare. Il monaco mi porge una scatola con dei biscotti. Lo stesso gesto di gentilezza di Angelica. Ne prendo con riconoscenza….scambio ancora qualche parola gli dico il mio nome…lui si chiama Atanassios, poi mi siedo poco lontana a mangiare.

Non passa molto tempo che il vecchio monaco mi fa il gesto di avvicinarmi di nuovo. Fra le mani ha un piccolo crocifisso di fili intrecciati, lo benedice, lo bacia e me lo mette al collo. E’ un momento così intenso che quasi smetto di respirare. Ringrazio come posso, sono commossa e gli chiedo se posso fargli una foto. Ora sì è possibile perché ci conosciamo.

Mi allontano con il cuore leggero. Fuori si sentono le campane….no, non è una frase fatta….sono i campanelli al collo di una infinità di capre che riempiono all’improvviso il pendìo roccioso dietro al monastero. Le guardo passare con stupore. fra cespugli e pietre e dopo un tempo che sembra infinito…..le campane diventano sempre più deboli e lontane, poi tacciono.

Partendo, nutrivo poche speranze che avrei potuto cogliere certe cose più segrete più caratteristiche dell’anima e della cultura greca….ma non avrei mai pensato che invece mi sarebbero piovute in mano come frutti maturi.

L’incontro specialissimo col monaco Atanassios, la conoscenza della vecchia Angelica…..ed è proprio nel suo paesino insignificante da cui non mi aspettavo nessuna sorpresa, che si è realizzata la mia remota speranza….assistere alle danze popolari greche.

Sono seduta su un muretto sul retro di una minuscola, bellissima chiesa. Ancora c’è molto tempo alla partenza. Ecco che a un certo punto la piazza si anima…arrivano dei bambini con i genitori, e una di loro indossa un costume che mi incuriosisce. Chissà di cosa si tratta ?

Dopo un po’ la mia curiosità è soddisfatta….e soddisfatta lo sono anch’io…..non mi pare vero….sono dei danzatori!

Si sgrana nel tempo la lunga preparazione….arrivano altri bambini e poi adolescenti….alcuni già vestiti, per gli altri c’è la preparazione di mani sapienti che aggiungono tocco su tocco.

Mi affascina guardarli….gli abiti sono splendidi, ricchi di colori, decorazioni…i corpetti neri delle bambine con i fregi d’oro….i candidi pantaloni a sbuffo, la stoffa rossa drappeggiata intorno alla vita con sopra i ricami gialli….il fazzoletto bianco e rosso intorno ai capelli con perle e ciondoli dorati sulla fronte.

Le bambine hanno le guance rosse….e le ragazze dai visi splendidi di giovani dee, un filo di trucco…stanno vicine parlano e ridono.

Poi gli “uomini”….i piccoli con gli stivali alti di pelle bianca, la preziosa camicia di seta blu. Come la vestizione di un torero, li fanno girare per avvolgere la loro vita di una fascia alta e stretta…in questa si infila un pugnale d’argento. Poi sulle spalle un drappo a rete nero che si lega con un nodo speciale.

Gli adolescenti portano lo stesso costume, ma in più, hanno moderni occhiali neri da sole e cellulare in mano. Offrono un’immagine curiosa con l’aria nobile di chi pur vivendo il suo tempo, non tradisce il passato e la tradizione.

I musicisti in un angolo iniziano a suonare strani strumenti a corda. L’insegnante di danza è un signore massiccio che grida di continuo contro questi ragazzi. Mi viene da pensare che è un tiranno….perché li tratta così male ?

Mi ci vorrà del tempo, e qualche giorno in più in Grecia, per capire che quello è semplicemente il loro modo di parlare…come se stessero di continuo per aggredire qualcuno. Mi capiterà spesso poi per strada di sentire voci forti, alterate e sentirmi un pò spaventata, per timore che stia per scoppiare una rissa e invece quello che vedo sono solo due persone che parlano e ridono tranquillamente.

Intanto intorno alla chiesa l’atmosfera si anima sempre più. Iniziano le prove e finalmente si materializza il sogno. Sentire quella musica….. che evoca il suono di un vecchio sirtaki e vedere quei piccoli che si impegnano con passione e che si muovono con tanta sicurezza. Uno dei ragazzini, forse “il primo ballerino” compie delle sorprendenti evoluzioni e persino una capriola. Ho la consapevolezza di vivere un momento speciale. Guardando intorno vedo famiglie, anziani che si portano le sedie e ma con l’aria di una cerimonia consueta. Infatti sono io che applaudo più forte di tutti.

Poco prima di partire, approfittando di un breve intervallo mi avvicino a tre piccolini e gli chiedo se posso fargli una foto. Fieri e impettiti si offrono al mio obbiettivo.

Sempre per caso mi è capitato un altro colpo di fortuna.

Mi sono trovata davanti alla cattedrale ortodossa una sera al tramonto. La piazza piena di gente lasciava immaginare qualcosa di speciale. Ho capito che si trattava di un matrimonio e che poteva essere l’occasione per assistere a una cerimonia molto tipica. E lo era veramente.

Prima di tutto, entrata in chiesa, sono stata sorpresa dal chiasso. In confronto ai nostri riti molto composti, pareva di essere anche lì in piazza con la gente seduta sulle sedie nelle navate laterali a chiacchierare ad alta voce del più e del meno, mentre al centro altra folla in piedi sta osservando il rito.

Il celebrante tenendo in mano due coroncine legate insieme le tiene sollevate sulle teste degli sposi che in questa scomoda posizione fanno per tre volte il giro dell’altare.

Incredibilmente parte ora il lancio del riso……però sempre dentro la chiesa !

Poi i due si mettono di lato e cominciano a baciare tutti, a quanto pare non solo i parenti e gli amici, ma proprio tutti i convenuti che mi paiono una quantità spropositata ! Al bacio segue la consegna dei confetti e subito dopo il vassoio implacabile su cui depositare la busta con l’obolo per il regalo. Mi rendo conto che la cosa potrà continuare delle ore se si va di questo passo e già soddisfatta per quello che ho visto esco fuori.

Si sta facendo scuro e la piazza sempre gremita di una miriade di altri invitati (dovranno baciare anche loro ?) è piena di un rumore strano che già mi aveva colpito.

Forse il simbolo della Grecia al di là di tutto è proprio questo…si chiama Kombollòi ed è presente nelle mani degli uomini in qualunque situazione si trovino e con gli usi più spericolati…. persino guidando.

Sì questa specie di rosario con i chicchi di tutti i materiali e dimensioni che battono fra loro a ogni movimento, potrebbe essere davvero l’antesignano di tutti i moderni anti-stress ed è così diffuso da rappresentare quasi uno sport nazionale…..perché è proprio quello il rumore della piazza….gli invitati lo fanno ruotare di continuo fra le dita……clic….clic…..clic.

Un’altra particolarità che salta subito all’occhio camminando per le strade sono le automobili.

Se uno ha presente quella del tenente Colombo le ha già viste tutte….polverose, arrugginite, asmatiche….si aggirano fiere e aggressive nel caos del traffico.

I pullman, per altro numerosi e efficienti, hanno anche loro un’aria vissuta e un po’ strappata come la tappezzeria.

La cosa più allegra sono gli autisti e i bigliettai, non solo senza divisa, ma con l’aria trasandata e poco rassicurante di probabili rapinatori. Ero molto impensierita prima che uno di loro mi chiedesse di controllare il biglietto, sempre naturalmente facendo roteare il Kombollòi.

Altrettanto dicasi dei taxisti molto, molto pittoreschi. In un taxi ho contato, appesi al cruscotto, ben sette Arbre Magique……avrà pure un significato !

L’ultimo giorno sono riuscita a realizzare il desiderio più grande. Andare alla spiaggia di Elafonissi sulla punta sud ovest di Creta, di fronte al mare libico. Mi avevano magnificato la sua bellezza, ma anche solo la strada per arrivarci che attraversa una gola spettacolare sarebbe valsa la pena di quelle tre ore di viaggio.

A Creta ci sono alcune delle più belle e profonde gole d’Europa. Questa, che i più spericolati percorrono a piedi sul fondo, camminando per ore, si può vedere anche dal pullman che percorre la strada proprio sul bordo.

Di fianco, se si guarda in basso, c’è un precipizio stretto, un orrido direi….se si guarda in alto, una parete rocciosa a picco, quasi verticale. Pochi chilometri dopo questo paesaggio perpendicolare, si arriva invece a un’altro assolutamente orizzontale che è la spiaggia di sogno di Elafonissi.

Forse chi è abituato alle Maldive, o le Seichelles, non avrebbe provato nulla, ma io che non sono andata molto più in là di Viareggio o, al massimo, Follonica, ero al settimo cielo. Non riuscivo a capacitarmi che esistesse un posto simile e soprattutto che io fossi lì.

L’impatto emotivo si può paragonare solo a quello che ho vissuto nella navigazione tra i fiordi e alla vista dell’oceano da Cabo de Roca.

Eppure apparentemente non c’è nulla e forse è proprio questo è il suo fascino.

Un po’ di montagne in lontananza e poi una distesa immensa rimasta senza strutture, negozi, ombrelloni.

Sabbia e basta per un’estensione grandissima….ma che sabbia !…e che mare ! Ricordo molto i paradisi tropicali. Se non fosse per il vento che fa da padrone e costringe quasi a sdraiarsi per contrastarlo, sembrerebbe il regno del silenzio. Piano piano la gente arriva numerosa, ma gli spazi sono tali che ognuno è come fosso solo, niente chiasso e grida. Forse un posto così impone un rispetto reverenziale.

Ma è più probabile che sia perché è Maggio e i turisti sono ancora pochi. Comunque è indubbio che ho scelto il periodo giusto.

Il particolare che rende ancor più affascinante il luogo è una enorme laguna dove la sabbia non solo è finissima e chiara, ma addirittura rosa. Una specie di istmo, una striscia sottile raggiunge un’isola di fronte. Questo tratto è comunque immerso nell’acqua. Per arrivare di là è necessario passare a guado quel tratto di mare che è lungo un centinaio di metri o forse più.

E’ curioso come nessuno pensi di rinunciare….l’isola è un richiamo irresistibile. Però bisogna bagnarsi non poco, immergendo tutte le gambe.

Dopo un disgraziato esperimento in bermuda arrotolati, subito diventati fradici….non potevo non tentare il tutto per tutto.

L’unico baracchino esistente che vende poche cose di mare è l’ancora di salvezza. L’unica possibilità che si offre è un paio di short da uomo, taglia XL. Ma a quel punto avrei preso qualunque cosa.

E così anch’io mi sono immersa. La vista di gente di tutti i tipi ed età che attraversa a guado è curiosa e un po’ buffa….deve dare l’idea del passaggio del Mar Rosso.

Molti hanno borse e oggetti da portare di là e il problema è cercare di non bagnarle e di bagnarsi il meno possibile.

Infilati tutti i miei beni in uno zaino carico all’inverosimile, mi sono incamminata.

L’impressione era straordinaria. Si capiva dal colore della sabbia sotto l’acqua il percorso meno profondo più sicuro da fare, anche guardando l’esperienza di quelli che erano già passati. Certo quando si è a metà e l’acqua lambisce anche quello che avrebbe dovuto restare asciutto, mentre c’è tanto mare davanti e tanto mare dietro, l’unica cosa è fingere sicurezza, guardare l’isola, i compagni di guado e andare avanti. La ricompensa è infinitamente superiore alla piccola avventura.

Anche l’isola ha la sua laguna, ancora più bella, ancora più rosata….è una meraviglia camminare e camminare in trenta o quaranta centimetri d’acqua verde…con i piedi sul bianco-rosa sottile che sta sotto…..l’acqua a questo punto è quasi calda.

Proseguendo arrivano dune con cespugli di piante grasse, fiori..….più in su si trovano ancora sabbia e rocce dopo rocce, di colpo ecco in basso il blu turchese intenso del mare più profondo sull’altro lato.

E’ stato difficilissimo venire via. Avrei tanto desiderato avere il costume e sdraiarmi in quell’idromassaggio naturale, tutto è morbido, liscio, calmo, attutito…..i colori violenti della Grecia lasciano posto alle tinte pastello dei “quasi tropici” del nostro Mediterraneo. Non ha caso qui si parla di “mare degli dei”.

 

E così il viaggio è finito.

Già alla partenza però, il mio bagaglio smarrito ha suggellato la leggerezza azzurra e solare dell’esperienza greca.

Perdere la valigia appena un’ora dall’inizio è di per sé una disgrazia, certo, ma costringe inevitabilmente a buttarsi allo sbaraglio e a navigare a vista.

L’essermi trovata da subito più leggera, mi ha dato forse lo spirito giusto per sentirmi un po’ come Ulisse vagabondo del mare, assetato di nuovo, sempre proiettato al di là dei confini.

E per me è stato veramente così nei giorni passati sull’isola…..fino al tempo della partenza, a quell’ultimo bearmi, lì, sotto il sole cocente di Atene, della vista magica del Partenone e dei suoi templi.

CHE DIRE DI PIU’ …… GRECIA, SEI UN MITO !

 

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