Il Cairo e Alexandria

di Eno Santecchia –

Da Roma ci dirigiamo verso sud-est a bordo dell’aereo A300-600R dell’Egyptair. L’aereo è grande e affollato, il servizio è ottimo: giornale, cuffie per ascoltare la musica, bibite, plaid per chi soffre il fresco, cuscino per appoggiare la testa e un pranzo discreto.
Si fa scalo a Hurgada, adagiata sulle rive dello splendido mar Rosso: dall’alto si vede la trasparenza delle sue acque. Nell’entroterra vi sono aridi rilievi montagnosi che fanno da cornice ai grandi complessi alberghieri. Nonostante non sia tardi, a noi sembra sera profonda forse per il cambio di orario o poiché d’estate più si va a sud e più si fa buio prima. L’aeroporto di Hurgada è caratteristico per gli edifici a forma di tendone da circo.
Riprendiamo il volo verso nord-ovest e poco dopo atterriamo all’aeroporto del Cairo, ci accoglie una splendida luna rossa come non ne avevo mai viste.

Alle piramidi
Il mattino successivo ci aspetta Michel, la nostra colta guida. La sua famiglia è originaria di Cipro, lui conosce varie lingue e ha insegnato anche due anni al Vaticano.
Michel stabilisce che bisogna iniziare dalle piramidi. Già alle ore 10.25, dopo la traversata della città a bordo di un tranquillo taxi, siamo davanti alla piramide di Snefru (IV dinastia) che è l’unica ad avere un rivestimento in granito rosso. Visitiamo l’interno, dove l’aria è veramente poco ossigenata e all’uscita i miei polmoni hanno tirato un sospiro di sollievo. A due km di distanza si trova la mal riuscita piramide romboidale, di questo se ne erano già accorti i suoi progettisti. Nei pressi, oltre a un blocco informe chiamato anche falsa piramide, si notano delle caserme a protezione dei siti.
La tappa successiva è la piramide di Zoser, risalente al 2686 a. C. e costruita dal padre spirituale del costruttore di piramidi del III secolo, adoratore del dio Khnum. Essa possiede dieci corridoi che si snodano 28 metri sotto terra. Poi vediamo la piramide di Unas, padre spirituale dei disegnatori di affreschi. Segue la classica visita alle tre piramidi di Giza. Giza è un governatorato a sé che non fa parte del Cairo; i suoi abitanti ci tengono a sottolinearlo, anche perché funziona meglio della megalopoli. Il grande palco a sinistra dove si tiene la rappresentazione dell’Aida e altri concerti rovina un po’ il profilo delle piramidi, ma ovviamente non compare in nessuna composizione fotografica. Al termine della visita attendiamo qualche minuto affinché il tassista finisca le preghiere di rito, nei pressi vi sono bancarelle, dromedari e calessi in attesa di turisti. L’aria è asciutta e il clima è ottimo, lo smog della metropoli sembra lontano.

   In giro per il Cairo
Uno degli scopi di questo viaggio è visitare e fotografare le opere dell’architetto Ernesto Verrucci bey marchigiano nato a Force (AP) che è vissuto e ha lavorato molti anni in Egitto.
Alle 15.30 ci fermiamo a Gamaa Dewal Arabeia, il quartiere degli ingegneri dove prendo un ottimo frullato di latte e banana, la limonata di mia moglie invece è aspra. Michel fuma un po’ il narghilè con il tabacco alla mela. Pur assolutamente contrario al fumo, sono costretto ad ammettere che l’aroma di mela non è sgradevole.
Facciamo poi una visita fuori dai soliti itinerari turistici, attraversiamo il quartiere cristiano di Mokattan, dove ci sono gli spazzini per visitare la chiesa copta di San Simone calzolaio, scavata nella roccia, risalente all’epoca fatimida (970 d.C.). Essa possiede un anfiteatro all’aperto con 2.000-3.000 posti.
La moschea El Rifai, situata nella piazza Salah e Din, ha preso nome da Rifai, eremita e guaritore dai morsi di serpenti. Davanti a essa un vigile cortesemente ha fermato il traffico per permetterci di attraversare la strada. Attraversare la strada con o senza strisce pedonali in Egitto non è assolutamente come in Europa; qui bisogna essere veloci e decisi altrimenti si è investiti. I passaggi pedonali sono inoltre poco evidenti, se si va in auto, bisogna fare molta attenzione poiché i pedoni attraversano un po’ dovunque.
Dopo la visita alla moschea, affrescata da italiani e con i cenotafi del Verrucci, ci rechiamo al museo del palazzo Abdin che è stato fatto costruire da Ismail.
Essendo questo un palazzo presidenziale, la sorveglianza è strettissima, è ispezionato persino il taxi con il metal detector. Il palazzo e i suoi giardini sono stupendi, il museo, aperto nel 1998, è bellissimo ma poco conosciuto; la sistemazione e illuminazione degli oggetti è ottima, ogni reparto ha la sua guida competente e cortese, me ne sono accorto dalle domande che le ho posto. Parlava solo arabo, quindi il nostro Michel traduce.
Credo che in questo museo ci siano le più belle spade del mondo arabo, sono tempestate di pietre preziose, corallo, tartaruga e avorio.
C’è anche una grandissima esposizione di pistole provenienti dalla collezione di re Faruk. Faruk deve aver speso parecchio tempo e denaro per mettere insieme questa enorme raccolta di spade, pistole e medaglie. Abbiamo potuto vedere una cassaforte molto curiosa: se si provava ad aprirla con una chiave falsa, sparava tre colpi di pistola. Un’ala, anche questa molto interessante, è riservata ai doni ricevuti dal presidente Mubarak durante i suoi anni di governo.
Visitiamo “Il villaggio faraonico”, situato in un’area privata lungo il Nilo acquistata da un miliardario che ha cercato di ricostruire la vita quotidiana dell’antico Egitto. Gli ambienti sono molto ben ricostruiti, ma potrebbero essere migliorati.
Nell’antico Egitto l’avvoltoio era il simbolo del sud, il cobra del nord cioè del delta del Nilo.
Poi navigare sul Nilo ci scarica tutta la tensione accumulata con il traffico caotico; qui sembra di essere in un altro mondo, mi pare di essere ritornato indietro nel tempo di almeno 5.000 anni. Il Nilo, al contrario di come si potrebbe pensare, non è per nulla affollato d’imbarcazioni; ogni tanto s’incontra qualche bel cespuglio galleggiante e allora mi chiedo: “Chissà se viene dal lago Vittoria o dagli altopiani etiopici?”. Nella quiete della navigazione mi viene in mente la spaventosa diga di Assuan che ha sconvolto la vita di questo fiume.

La sera in hotel abbiamo l’occasione di assistere ai chiassosi festeggiamenti seguiti a un matrimonio egiziano: cornamusa, bonghi e altri strumenti rimbombavano nella hall, mentre gli invitati ballavano e lanciavano agli sposi manine di Allah (minuscoli tondini metallici beneauguranti) e petali di rosa.
Il giorno dopo ci rechiamo a Zamalek, un’isola sul Nilo molto elegante, attraversiamo anche l’hotel Marriott, bellissimo e storico, purtroppo non abbiamo il tempo di ammirarlo né di fotografarlo, ci aspetta il rendez-vous con la sig.ra Giulia Cicogna presidente ADIC (Associazione Donne Italiane al Cairo) ora GIE www.giegypt.com/Chi%20siamo.html
Abbiamo poi visitato il nilometro, utilizzato per il pagamento delle imposte (metawakel bellah), di epoca abbasside (971 d.C.), alto 10,5 m e circondato da un bel giardino, la cripta della Chiesa VergineVergine Maria, San Giorgio e la chiesa copta di San Michele risalente all’870 d.C. La cappella della cripta della Sacra Famiglia, dove Maria e Giuseppe si rifugiarono per sfuggire alla persecuzione di Erode, era chiusa per restauro.
Le soste successive sono la sinagoga Ben Efra, che fu costruita dopo il pagamento di ben 300 denari d’oro per riacquistare il terreno dove fu ritrovato Mosè, e il cimitero greco- ortodosso; qui trovare una tomba è come cercare il classico ago in un pagliaio. Le tombe sono molto vecchie, quasi tutte le lapidi sono incise in greco, solo pochissime recano incisioni bilingui anche a caratteri latini. Alcune tombe in stato di rovina sono via via smantellate per far posto a nuove.
Ammiriamo il giardino delle Elsebechie, divenuto molto piccolo e la statua di Ibrahim Pascià, spostata dal monumento del milite ignoto di Verrucci a una piazza vicina alla sede storica dei Vigili del Fuoco del Cairo.
Midan (piazza) Ramses è la più congestionata e caotica piazza del Cairo, essa conduce al canale di Suez, all’aeroporto e a Heliopolis, vi ha sede la stazione centrale del Cairo, che mi è sembrata veramente piccola per una metropoli come questa.
I vigili urbani s’incontrano numerosi agli incroci, la guida mi dice che possono essere anche militari di leva. Il traffico viene più che altro regolato da loro, poiché i semafori funzionano poco.
Se un maggior numero di europei soffrisse il mal d’Africa (e d’Egitto come me) le sponde del Nilo sarebbero invase da orde di turisti, esse non riuscirebbero a sopportare un’impronta ecologica così pesante. Allora può essere positivo il fatto che molti vacanzieri si fanno scoraggiare da qualche cartaccia che si vede in giro o dalla TV. Media che conduce una crociata d’infimo livello contro il terrorismo: così ormai molti confondono qualsiasi arabo con un probabile kamikaze. La domanda che si pongono è questa: “Invece di andare nella pulita e verde Svizzera, nella impeccabile Germania o in Austria, a pochi chilometri dai nostri confini, perché recarsi in luoghi pericolosi e terribilmente caldi con il rischio di contrarre una malattia, di essere rapito o di morire in un attentato?”.

Per rimanere in tema di disinteresse e indifferenza alle problematiche dei paesi in via di sviluppo, devo dire che questo concetto è illustrato in modo magistrale da tre spot pubblicitari di Peace Reporter, che ho ascoltato varie volte su radio Subasio.
Abbiamo conosciuto l’ingegnere addetto all’impiantistica dell’hotel Maadi; è una persona squisita, una sera dopo il lavoro mi ha accompagnato alla torre del Cairo e alla scuola Dante Alighieri. La torre con sessanta piani è alta 187 m, oltre 50 metri più della piramide di Cheope. Costruita con il pregiato granito di Assuan, è stata inaugurata l’11-4-1961. Dall’alto si gode di un panorama stupendo sulla città e sul Nilo; al 14° piano c’è anche un ristorante panoramico.



 In treno verso Alessandria
La stazione ferroviaria di Alessandria, progettata dall’arch. Lasciac, è piccola come quella del Cairo. Come dicevo, la stazione ferroviaria del Cairo ha pochi binari, i treni sono molto affollati, inoltre ci sono lavori in corso quindi gira parecchia polvere. I treni in Egitto sono puntualissimi, per non perderli bisogna arrivare in anticipo. Le rivendite di giornali all’interno della stazione non sono ben fornite di quotidiani e riviste europee, se interessano ci si deve ricordare di acquistarli fuori.
Sui vagoni l’aria condizionata è al massimo, è consigliata la maglia; curiosi sono i sedili che possono essere girati su se stessi secondo la direzione del convoglio.
Sul treno verso Alessandria abbiamo incontrato un egiziano che lavora come cuoco nel ristorante “Villa Comunale” di Sesto San Giovanni (MI) ed è venuto in vacanza con i due figli.

   Alla scoperta di Alessandria
Il monumento al milite ignoto di Alessandria non reca nessuna targa in alfabeto latino, solo in arabo; infatti, di giorno, durante la nostra visita, sono di turno due marinai. Durante la giornata vi sono sempre militari di guardia, la sera solo poliziotti in normale servizio nella zona. Nei paraggi vi sono anche dei poliziotti in divisa e in abiti civili.
Il monumento, circondato da grattacieli con facciate in cristallo vetro che si specchiano nella baia, è abbastanza piccolo; in Italia minuscoli paesi ne hanno di più maestosi. Originariamente vi doveva essere una targa riguardante la donazione del monumento da parte della comunità italiana di Alessandria. E’ stata rimossa dopo la rivoluzione nel giugno 1953, quando è stata tolta anche la statua di Ismail che si trova ora in midan Ismail pascià, dietro l’anfiteatro romano, vicino alla più vecchia caserma dei Vigili del Fuoco del Cairo (nei pressi di Fuad Street).
Credo che negli anni 20 – 30 dello scorso secolo, quando in Egitto vi era una florida comunità internazionale, vi fossero più targhe su palazzi e monumenti. Durante e dopo la rivoluzione del 1952- 53, credo siano state tolte quasi tutte per dare un taglio netto con il passato.

 Il museo greco romano
Il museo Greco Romano di Alessandria si trova a circa 700 metri da piazza Saad Zagloul, dove si trova il nostro Cecil Sofitel hotel. I locali sono ampi e luminosi, gli oggetti sono equilibratamente esposti e sistemati, ma le etichette e i sostegni di legno sentono il peso degli anni. All’interno vi è un piccolo giardino ben tenuto con alcune statue di leoni. Vi erano parecchi visitatori e bambini che si dedicavano alla lavorazione dell’argilla e ad altre arti grafiche.
Nel cortile del museo abbiamo conosciuto la mamma di un’insegnante di lingua italiana della scuola Dante Alighieri, una signora molto gentile, la quale ci ha detto che i funzionari del museo erano tutti impegnati per la visita di un alto dirigente. Parlando con la figlia al cellulare si capisce il nome di Zahii Awas, sottosegretario alle antichità.
Mi balena l’idea di conoscerlo di persona, così chiediamo se ci può ricevere. Quando apprende che siamo italiani l’egittologo è ben lieto di conoscerci, ci dà una vigorosa stretta di mano e si fa fotografare con noi, attorniato dal sorriso delle sue collaboratrici. Per me è stato un grande piacere stringere la mano a uno studioso così impegnato nel campo dell’Egittologia.
In Egitto ci sono pochissimi depliant e brochure turistici, i pochi sono tutti in inglese. E’ bene tenere presente che qui il venerdì gli uffici sono chiusi, la domenica sono chiusi solo alcuni negozi. La festività del venerdì è molto sentita in Egitto, molto più che in alcuni paesi dell’Africa settentrionale. Il venerdì le strade, le piazze e giardini sono invasi da numerose persone di tutte le età.
Devo riferire che l’avvertimento, datomi al Cairo, circa la congestione delle strade alessandrine d’estate è vero: milioni di Egiziani si riversano qui dall’interno per trascorrere le ferie estive. D’inverno la città è molto meno caotica e più pulita: d’estate vi soggiorna il doppio degli abitanti. La città è inoltre più umida del Cairo.
Le tre porte di Alessandria (est, mare e deserto) si trovano a circa 10 km dal centro storico, sono controllate dalla polizia stradale e non si possono fotografare.
Molti tassisti parlano solo arabo, la Polizia Turistica controlla che i taxi applichino la giusta tariffa. Dico a un Egiziano che io amo il Nilo, lui mi risponde: «Un detto dice, se ami il Nilo, anche lui ti ama».
Ritornando a piedi in hotel, siamo passati vicino alla redazione di due giornali locali in inglese e francese, “Le Progres Egyptien” e “The Egyptian, ci hanno concesso una breve visita nei locali e sono stati molto gentili.
Il nostro hotel si trova proprio nel centro storico, di fronte al consolato italiano; la sera in alcune vie del centro si svolgono dei mercatini di ambulanti con merce anche in stile europeo.
Michel ci ha detto subito di stare attenti ai condimenti poiché gli Egiziani condiscono con l’olio di cotone e di lino (quest’ultimo usato in Italia per i mobili) che per gli europei sono parecchio indigesti. In Egitto non si usano i pomodori in scatola, ci sono quelli freschi tutto l’anno. Il mango è coltivato nella zona, quindi è economico e molto usato per succhi di frutta e gelati.
L’acqua in bottiglia più diffusa è la Baraka, un’acqua di sorgente; quella che si estrae dall’oasi di Siwa, invece, è vera acqua minerale.

 La fortezza di Qait Bey
Il forte di Qait Bey è stato completamente restaurato, i muratori stavano finendo di portare via le impalcature, ancora c’è in giro un po’ di polvere.
L’interno è molto ventilato e fresco per merito della posizione e grazie anche ad alcuni pozzi d’aria, un sistema di ventilazione naturale molto diffuso nell’Egitto dell’epoca. Non sono altro che dei condotti a forma di pozzi che prendono l’aria dal mare e la fanno circolare per i vari locali, peraltro già freschi per merito delle spesse mura. E’ un luogo confortevole e asciutto, lontano anche dal rumore del traffico. Non vi è purtroppo alcun tipo di arredo forse a causa del restauro appena concluso.
Abbiamo incontrato un gruppetto di bambini delle scuole primarie che, contenti di aver imparato l’inglese, ci hanno dato il “Welcome in Egypt” e si sono fatti fotografare con noi. Un bimbo si chiamava Abd-el Rahman, il suo nome mi è subito sembrato appartenere a qualche re o nobile vissuto tempo fa (uno fu l’emiro di Spagna che invase la Francia e fu fermato a Poitiers da un esercito franco al comando di Carlo Martello). Dopo incontriamo anche la mamma, le zie e la nonna, tutti sono cordiali e molto felici di conversare con noi. Ci dicono che amano la storia di Roma e di Giulio Cesare. Avrebbero voluto le foto via mail, ma poiché non ricordavano il loro indirizzo, allora gli abbiamo lasciato il nostro.
Da un lato vi è un finto acquario con conchiglie e pesci imbalsamati e uno scheletro di balena, di fronte vi è un piccolo acquario vero; il biglietto per entrarvi costa pochissimo.
Più alto è il biglietto d’ingresso del forte, con esso si può fare un giro semicompleto delle mura, ammirando il mare, l’insenatura del porto orientale, anticamente chiamato porto Grande e il nuovo lungomare di Alessandria (corniche).
In generale in Egitto gli ingressi ai monumenti e ai siti archeologici non sono costosi. Sia tassisti che i musei hanno tariffe diverse: più alte per turisti e più basse per i residenti. Per le guide abbiamo speso: 100,00 euro per Michel e 300 pounds per Salem, il nostro accompagnatore ad Alessandria.
La Polizia Turistica esegue nei siti archeologici un censimento delle visite turistiche a fini statistici e per motivi di sicurezza. La guida ci dice che ciò serve anche a controllare fiscalmente l’attività delle guide turistiche.
Nel pomeriggio di domenica abbiamo visitato la colonna di Pompeo e i sotterranei della biblioteca romana, qui si trovano anche i resti di Racotis.

 Visita di Montazah e delle catacombe
In seguito ci rechiamo in taxi al museo dei gioielli, ma purtroppo è chiuso per restauro fino all’anno prossimo, così andiamo al parco di Montazah, una volta residenza estiva dei reali. Il biglietto d’ingresso costa quattro pounds a persona.
Montazah ora è un vasto giardino con un palmeto di datteri rossi con all’interno il palazzo Haramlek (per le donne) e Salamlek (per gli uomini) più tre lussuosi hotel: Il Palestine, il Montazah e il Faruk. Quest’ultimo è il più caratteristico: all’ingresso ci sono vari dipinti che ritraggono gli ultimi regnanti egiziani, inoltre il portiere indossa il tarbush rosso, tipico cappello degli anni ’30.
Gli Egiziani hanno l’abitudine di fare cena molto tardi (all’ora normale nei ristoranti ci sono solo europei), la mattina si mettono in moto tardi, quindi il mattino presto è l’ideale per girare e scattare foto, evitando così la confusione delle ore di punta.
Alle ore 9.35 del 9 agosto 2004 siamo già in visita alle catacombe, qui le foto si possono fare solo all’esterno. Il sito è ben tenuto. Le catacombe sono un cimitero pagano ove sono stati rinvenuti ossa di uomini e animali. Per illuminare l’interno usavano candele vegetali più sale, un tipo di lume che non fa fumo, oltre a degli ingegnosi pozzi di luce.
All’interno molti affreschi risalgono all’epoca romano-pagana (II sec. d. C.), colonne e sarcofaghi sono di arenaria, una roccia friabile mentre i coperchi dei sepolcri sono in gesso. Le tombe si addentrano circa 20 – 25 metri sotto terra, ma l’aria non manca, sono tranquillamente visitabili anche da chi soffre di claustrofobia.
Per non far sommergere il sito dalle acque sotterranee è stato creato un sistema di raccolta e pompaggio elettrico.
Nei pressi dell’anfiteatro romano vi è un laboratorio per il restauro di reperti archeologici provenienti dal fondo del mare: se ne vedono alcuni coperti con dei teli ancora da restaurare. I ritrovamenti, provenienti più che altro dal porto est della città e da Abukir, sono colonne, monete d’oro e di bronzo. All’interno del teatro romano ci sono anche i resti di un’antica chiesa bizantina.
Alessandria antica si trova a circa 20 metri sotto quella nuova, ma parte di essa è sott’acqua a causa dei numerosi e forti terremoti del IX secolo d.C. Si ritiene che si estenda circa 8 km sotto il mare. Come in tutto l’Egitto, anche ad Alessandria si scava alacremente, le ricerche proseguono man mano che sono stanziati i finanziamenti.
La guida ci dice che la tomba di Alessandro è una bufala, non si sa dove sia, le notizie della scoperta sono inattendibili.
Visitiamo l’Alexandria National Museum, che era una villa privata dove aveva sede il consolato USA, le statue egizie, come si può vedere da questo museo, sono molto idealizzate, pure e perfette.
La guida ci porta al ristorante dell’hotel Metropoli, dove pranziamo nello splendido salone di Versailles con la musica di un CD di Celine Dion.
Nella chiesa di Santa Caterina, dove si trova la tomba di Vittorio Emanuele III, vi sono anche la tomba di Santa Sabina di Romania e un grande quadro raffigurante Santa Caterina di Giovanni Ender del 1847, donato dall’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria. Abbiamo visitato poi la casa di riposo di Vittorio Emanuele III.

   A Damanhour
Il 10 agosto 2004 ci mettiamo in viaggio per Damanhour, intorno le campagne sono coltivate intensamente e credo che producano più di un raccolto l’anno. Nel delta, una grande pianura molto fertile, si coltivano mais, cotone, riso e tabacco; la canna da zucchero si trova da Luxor a sud. Pochi sono gli alberi, le terre dedicate al pascolo sono pressoché inesistenti: i pochi ruminanti devono accontentarsi dei sentieri tra un campo e l’altro e dei cespugli lungo i canali irrigui. Fellah (Fellahin è il plurale) significa contadino.
La strada è pianeggiante, i cartelli stradali, anche in quest’arteria a scorrimento veloce, sono tutti in arabo: fuori dalle rotte prettamente turistiche i segnali non sono in alfabeto latino. Purtroppo anche nelle strade a due carreggiate capita di trovare qualche pedone che attraversa per non fare lunghi giri, evidentemente sono prive d’idonea recinzione come da noi.
Durante il percorso veniamo a sapere che la circonvallazione che unisce la Libia con Israele è lunga circa 1.000 km.
Il teatro di Damanhour, progettato dall’arch. Verrucci, è un complesso unico con il Municipio; in seguito fu trasformato in cinema, ora è chiuso in attesa di restauro. Il teatro ha un soffitto stupendo. La biblioteca del paese è stata appena tinteggiata e i libri sono ancora tutti ammucchiati in attesa di sistemazione, all’ingresso vi è una sola targa in arabo. L’epigrafe in arabo all’ingresso del Municipio ricorda che il complesso fu inaugurato l’8 novembre 1930 da re Fuad.
Essa possiede lampadari ricercati che sono stati costruiti dal 1928 e montati nel 1932, nella libreria vi era anche un salotto reale.
Prendiamo contatto il sig. Zaki Runi, 54enne laureato in storia antica e lettere, direttore della biblioteca municipale. Ci mostra due libri degli anni Venti – Trenta dello scorso secolo, uno è completamente in arabo, alla fine c’è una pagina pubblicitaria con la reclame di due liquori italiani: del Fernet Branca e della Ferrochina Bisleri! Quest’ultimo il liquore dal sapore di ruggine che mi somministravano da piccolo per farmi aumentare l’appetito.
L’altro volume è un raccoglitore di stampe autentiche e a colori, edito da Lehnert & Landrock del Cairo; le illustrazioni, bellissime e colorate, mostrano la città del Cairo dell’Ottocento e dei primi del Novecento.
La biblioteca con quattordici dipendenti possiede 35.000 libri (anche in lingue europee), una raccolta di leggi dal 1930 a oggi e 265.000 manoscritti. L’anno prossimo sarà riaperta.
La struttura fu inaugurata nel 1932 da Re Fuad. Questo re costruì ville, palazzi, chiuse idrauliche, scuole e biblioteche nel delta; purtroppo non sempre riusciva a far fronte alle ingerenze britanniche; una crisi internazionale durante il suo regno ha oscurato le sue grandi opere.
Gli operai che hanno costruito il complesso municipio – teatro – biblioteca hanno edificato anche il pronto soccorso, la caserma dei pompieri e un palazzo di fronte (una sua immagine è affissa in Municipio).
L’edificio del Comune, ora color salmone- aragosta, è ottimamente illuminato e areato, l’afa non si avverte minimamente: vi è un ingegnoso sistema di ventilazione naturale che porta via l’aria calda e fa entrare quella fresca.
Damanhour, una cittadina di 250.000 abitanti, è il capoluogo di una provincia a nord del delta.
Il municipio, che in totale ha circa 3.000 dipendenti, è organizzato come una piccola Prefettura italiana. Al vertice c’è il sindaco, poi il vice che si occupa della città e del territorio municipale, il segretario generale e i direttori per i vari settori (Edilizia, Urbanistica, Sicurezza). Veniamo a sapere che in Egitto la carta d’identità plastificata è già in vigore.

   Alla Bibliotheca Alexandrina
In biblioteca di Alessandriaseguito visitiamo la nuova biblioteca di Alessandria (www.bibalex.org), inaugurata il 16 Ottobre 2002 dal presidente Mubarak.
Estesa su una superficie di 8,5 ettari, è situata in prossimità del mare e nei vecchi Quartieri Reali. Nei pressi vi è un laghetto, dove crescono piante di papiro.
L’edificio, con la forma di un cilindro inclinato e tagliato di 160 m di diametro e 35 m di altezza, vuole rappresentare il sole della conoscenza che sorge dal mare. Non vuole essere una semplice biblioteca, ma la materializzazione dell’antico sogno di riunire in un unico luogo il sapere universale.
Posta sul lungomare, di fronte alle rovine del faro dove si ritiene abbia avuto sede l’antica biblioteca, la nuova sede possiede una spettacolare vetrata circolare progettata da un gruppo di architetti norvegesi dello studio Snøhetti, vincitore del concorso internazionale con 1400 partecipanti.
Sul muro perimetrale, in granito grigio di Assuan, sono incisi geroglifici, ideogrammi e alfabeti (quattromila caratteri) di tutto il mondo che vogliono simboleggiare l’universalità della cultura. La rinata biblioteca vuole, infatti, promuovere il dialogo tra le diverse culture e civiltà e si pone come ponte tra Oriente e Occidente, tra il mondo cristiano, mussulmano ed ebreo, e fornire anche servizi innovativi e volti al futuro.
La costruzione dispone anche di un museo della scienza, una scuola d’informatica, saloni per mostre e congressi e di un planetarium.
Il prezzo del biglietto d’ingresso è di dieci pounds (Lire Egiziane), 5 per gli studenti.
Nella biblioteca abbiamo ammirato due bellissime mostre. Una permanente del regista, pittore e costumista egiziano Shadi Abdel Salam e “Impressions of Alexandria”, dalla collezione di splendide cartoline, fotografie e stampe d’epoca dell’architetto Mohamed Awad (provvisoria per cinque anni). In quest’ultima era esposta anche una bella cartolina dello stabilimento egiziano della Fiat Oriente.
Vicinissima alla nuova biblioteca c’è la facoltà di Economia inaugurata nel febbraio 1942 da re Faruk e dal ministro dell’Istruzione Taha Husein, scrittore (non vedente) che aveva studiato alla Sorbona di Parigi. Un passaggio sopraelevato la collega direttamente alla Bibalex.

   Arrivederci Egitto!
Alle 8.00 precise del 12 agosto 2004 lasciamo Alessandria, partiamo in treno diretti al Cairo. Il giorno successivo ci imbarchiamo sull’aereo che ci riporta in Italia.
In Egitto è consigliabile essere molto parsimoniosi nel telefonare: le telefonate hanno un costo proibitivo, meglio usare gli sms o i messaggi email. Inoltre alcuni hotel addebitano delle spese di centralino, anche se si prende solamente la linea in camera per telefonare, senza però aver ricevuto risposta.
Le principali parole egiziane che abbiamo imparato sono: salam = saluto, shucran = grazie, mesci = va bene, yallabina = andiamo, midan = piazza.
Rispetto al mio primo viaggio in Egitto, precedente al fatidico 11 settembre, ho l’impressione che siano aumentate le donne con il velo, usato anche per distinguersi dall’Occidente consumista.
Credo che l’Egitto per conservare intatti la natura e i suoi splendidi tesori abbia bisogno di alcune coraggiose, energiche riforme, come quelle attuate dai suoi sovrani nell’Ottocento o nel secolo successivo da Kemal Pascià in Turchia.
Una delle più urgenti e improcrastinabili ritengo sia la riduzione delle emissioni inquinanti degli autoveicoli mediante l’adozione della marmitta catalitica. Poi delle revisioni periodiche per rottamare i veicoli troppo vecchi e pericolosi. La benzina in Egitto costa 1 pound al litro.
La macchina turistica è efficiente e ben oliata.

Copyright © 2010 Eno Santecchia
Tutti i diritti riservati.
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il contenuto di questo articolo inviate un email
enosant@alice.it

Il Viaggio Fai da Te – Vacanze Last Minute in Egitto

 

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