Misr, bismi-llaah

di Maria Berluzzi –
Quello che era iniziato come un semplice tirocinio in un ospedale al Cairo si e’ trasformato in un’anno di vita in cui mi sono immersa sempre di piu’ nel mondo arabo e mussulmano.
Doveva essere un mese al Cairo, a frequentare un reparto di chiurgia (prima parte).
Ma un mese passava, e diventavano due (seconda parte). E due mesi diventavano un anno in cui per un motivo o l’altro non riuscivo a staccarmi dall’Egitto. “One of the most important things is compassion.
We cannot buy it in one of New York City’s shops.
We cannot produce it by machine.
But by inner development, yes.
Without inner peace, there is no world peace.”
Dalai Lama

Prima parte
La neoarrivata.

Prima di partire per un lungo viaggio
Porta con te la voglia di non tornare piu’

Viaggio in EgittoL’arrivo al Cairo.
Non e’ stata una cosa molto furba prendere un aereo che arriva al Cairo alle quattro di notte, quattro ore prima che io debba iniziare il mio tirocinio all’ospedale. Ma me ne accorgo soltanto quando sono sull’aereo da Budapest al Cairo, stanca morta dopo dodici ore trascorse a Budapest, aspettando la coincidenza per il Cairo.
Sono sempre una cosa spaventosa quanto eccitante questi voli solitari verso l’ignoto, non sapendo cosa trovi la dove arrivi.

Io come prima cosa trovo un uomo con un cappello verde stile cowboy americano sulla testa, che non so neanche se e’ egiziano o no. Allora questo e’ il Dr. Raschid, il chirurgo cardiotoracico che avevo contattato prima di venire qua, e che mi aveva aiutato col organizzare il tirocinio.
Ma sara’ davvero un chirurgo questo? Come faccio a sapere se non e’ un maniaco che mi vuole sequestrare? I miei dubbi aumentano quando vedo la sua macchina, una cosa stravecchia che non m’ispira certo tanta fiducia. Un chirurgo con una macchina così? Siamo sicuri che ci devo salire qua? Cosa ne so di questo dottore? Vedo un adesivo sul finestrino posteriore della macchina con scritto “harvard medical” e quello mi tranquillizza un po’. Forse e’ davvero un dottore. O forse e’ molto furbo e l’ha attaccato per farmi credere che lo e’. O forse sono molto stanca e paranoica. Salgo e via si va.

Parla e non lo capisco. Provo a dire qualcosa e non ci riesco. Ci mettero’ una settimana per abituarmi all’inglese che non parlavo da molto.
Prime impressioni del Cairo, calmo alle cinque del mattino. Una citta’ come tante altre citta’. Una cosa completamente irreale. Una cosa sterile. Ancora non vedo il Cairo con gli occhi attraverso i quali la vedro’ tra qualche settimana.

C’e’ da aspettare che diventino le nove per andare all’ospedale, perche’ prima non ci sara’ nessuno la’. Il Dr. Raschid e’ sveglissimo e si gode andare in giro in macchina al Cairo a quest’ora che e’ l’unica ora in cui non c’e’ traffico. Si capisce che ama la sua citta’, la quale aveva lasciato per un paio di anni, per lavorare in Inghilterra, in America, in Arabia Saudita, ma alla quale e’ sempre tornato, pur avendo la possibilita’ di lavorare altrove, in posti dove avrebbe guadagnato molto di piu’.
Mi porta al Nilo, fonte di tutta la vita in Egitto. Su un ponte largo (non riesco ad orientarmi, non so quale dei ponti sia, uno piu’ al nord o piu’ al sud) ci fermiamo e scendiamo dalla macchina.
“Would you like to have some coffee?”
Si, sarebbe una meraviglia, ma non vedo dei bar, dove lo vuole andare a prendere? “Yes… if there is some…”
Apre il portabagagli e prende fuori una valigetta con dentro tutto il necessario… caffe’ in abbondanza in un thermo-coffee-pot, zucchero e miele, latte a polvere, bicchieri (lavati o meno) e cioccolatini.
E mi fa bere del caffe’ con miele, guardando il Nilo e la citta’ che inizia a svegliarsi.
Citta’ con una abitante in piu’ da oggi.
Fara’ qualche differenza?
Cambiera’ qualche cosa?

Diventa giorno, il sole sorge, ed iniziamo a muoverci verso l’ospedale, per arrivarci prima che il traffico che aumenta da minuto a minuto ce lo rendera’ impossibile.
Sono sempre piu’ stanca, mentre il Dr. Raschid sembra sempre piu’ sveglio. La situazione politica in Austria (sono austriaca)? Le condizioni in cui i dottori lavorano in Austria? E le donne, ci sono molte donne che studiano medicina? Mi sento dire che forse sarebbe meglio per le donne se non studiassero medicina perche’ quando hanno finito sono abbastanza vecchie per fare figli.
Mah, non sono nelle condizioni per discutere questo ora.
Pero’ mi rendo conto che ci sara’ da discutere e da spiegare e da farmi spiegare un bel po’ in questo mese.

Arriviamo all’ospedale e quanto mi sembra strano ed ostile. C’e’ un piccolo bar all’ingresso, e vedo solo uomini seduti la ed in giro. Qui ci devo rimanere per quattro settimane? Non sono convinta di cio’ che sto facendo.

Andiamo all’ufficio generale per parlare con il direttore dell’ospedale e con il primario della chirurgia dove devo fare il mio tirocinio.
“What do you want to drink?” mi chiedono.
Avendo bevuto circa un litro di caffe’ e the’ dico “Niente, grazie”, ma non lo accettano.
Scopriro’ presto che non bisogna mai dire di no qui. Ed imparero’ a dire di si ed a lasciare li le cose che non riesco a finire.
“Well, you have to drink something!” mi dice il Dr. Raschid a voce bassa e sorridendo.
E allora, se proprio devo, vorrei un’acqua, grazie.
Arriva un bicchiere d’acqua da rubinetto con ghiaccio e sperando che non mi verra’ una diarrea immediatamente lo bevo. Lo so che non si dovrebbe, non sono piu’ cosi ingenua come quando ero andata in India due anni fa, ho ben presente le malattie che ti possono venire, ma cosa posso fare in questa situazione? Dire “No, questa vostra acqua non la bevo!”? Non mi sembra il caso. Lo bevo e continuero’ a berlo, perche’ – prima sorpresa – l’acqua da rubinetto in Egitto lo si puo’ bere! (Si certo, avete ragione, anche l’acqua dei navigli a Milano volendo lo si puo’ bere…)

Fatte le cose burocratiche, finalmente mi danno la chiave della mia camera, ed ho un unico desiderio, che e’ quello di dormire. “Sleep? You can sleep later, now there are patients, you are expected to be at the outpatient’s clinic at 10a.m.! Ask them everything, torture them with questions! I want you to make a good impression right from the start!” Buona impressione? Stanca come sono? Caro mio Dr. Raschid, non ce la faccio.
Vado a dormire, prime ore di sonno in questo paese (e-)strano, ed e’ un sonno inquieto.

Cairo –
“Smile and there will be a tomorrow”.

Citta’ infernale e citta’ di speranza. Un po’ Europa, un po’ terzo mondo. Mc Donalds e Carrefour da un lato, vecchiette che vendono fazzoletti per strada e ragazzi che offrono di pulirti le scarpe dall’altro lato. Una citta’ piena di contrasti, crescente, anzi, esplodente, con sempre piu’ persone che ci arrivano e si stabiliscono qua, con strade che non sono state costruite per una quantita’ tale di persone, e di conseguenza e’ una citta’ che sta scoppiando, con nessuna soluzione in vista.
Citta’ dei ponti la chiamerei: Ponti del Nilo, e ponti per tutta la citta’, strade, autostrade e tangenziali che portano il traffico da nord a sud, est a ovest ed ovunque, e passandoci sopra, bloccati nel traffico, cercando di arrivare in un centro commerciale moderno o ad un cinema uno non si accorge che sotto c’e’ un’altra realta’. Taxi, macchine ed ingorgi sopra, e sotto la poverta’ pura, con persone che vivono in condizioni come i poveri in India, per esempio quelli che vivono nella “City of the dead”, un vecchio cimitero abitato.
“You are in Egypt, smile!” mi dicono ovunque per strada.

L’ospedale.
Sono all’Ain Shams University Hospital, vito ed alloggio gratis, grazie al “mio” Dr. Raschid. Per quanto riguarda la igiene e’ molto meglio di quanto io avessi pensato (penso addirittura che anch’io mi farei operare qui se fosse necessario, toc toc toc ferro comunque).
Pero’ lavorano tantissimo, almeno i dottori che si stanno specializzando, stanno li dalle otto del mattino fino a mezzanotte a volte, e quello mi fa venire un po’ la crisi all’inizio, perche’ il lavoro non e’ poi tutto nella vita, per quanto mi piaccia. Comunque mi ci vuole sempre un po’ per abituarmi a qualsiasi cosa (una cosa naturale, del resto, credo) e si trovano sempre delle soluzioni.
I miei amici piu’ “intimi” all’ospedale sono i due specializzandi di chirurgia (il sistema e’ paragonabile a quello in Italia). L’uno e’ Nashat, un cattolico, e come tutti i cattolici qui (circa il 10% della popolazione, da quello che ho letto) e’ molto cattolico, con una croce tattuata sul polso, parla un sacco della importanza di andare in chiesa, del fatto che bisogna amare gli altri e non solo se stessi etc. L’altro e’ Shokri, che sembra il buttafuori di una discoteca, alto, grassoccio, fuma e tossisce in continuazione, ride e lo racconta a tutti quando gli arriva un messaggio amoroso da qualche ragazza, e tutto sommato e un gran bimbone simpatico.

La lingua.
Bhe, con la lingua ho avuto un po’ di problemi. Devo dire che il mio inglese e’ misero, e questo insieme al loro inglese che non e’ molto meglio (soprattutto l’accento e’ una cosa alla quale bisogna abituarsi; ma probabilmente anche il mio) e’ stata un po’ una tragedia (“ma’asa”) all’inizio, ma ora va. L’inglese lo parlano solo i dottori (e’ anche la lingua in cui studiano), ma non certo le infermiere o la gente per strada.
Allora stando qua da sola l’unica cosa da fare e’ stata iniziare a imparare l’arabo, che mi ha comunque sempre affascinato, chissa’ perche’. Direi impossibile da imparare in poche settimane, ma riesco a leggere molto, molto lentamente, come un bambino che impara a leggere e scrivere (piu’ che altro leggo Topolini – frasi semplici!) e che bella sensazione trovare una parola (su mille…) che capisco ogni tanto!
Poi piu’ che altro apprezzano i miei sforzi… se all’inizio tutti mi guardavano con un’aria un po’ indifferente ora vengo presentata a tutti come “This is Doctor Maria, from Nimsa = Austria, look how gamil (carina) she is and she is learning arab!”
Vado sempre in giro con un libretto dove mi scrivo ogni parola che dicono e non sono certamente capace di avere una vera e propria conversazione ma qualche cosa la capisco.
L’altra volta dicevano “Mah! Mi sembra che capisci tutto!” (avevano solo detto “Nimsa” – non ci voleva molto per capire che stavano parlano di me!)

L’arabo e’ anche la lingua in cui e’ scritto il corano, e per questo i mussulmani la considerano sacra. Ogni lettera ha un significato. E ogni parola e’ composta di lettere che sono ordinate in una certa maniera, formando cosi parole “intelligenti”. Ma io non ho studiato ne’ scienze arabe (o come si chiama questo ramo di studi?) ne’ il corano, per cui non mi mettero’ a parlare di questo ora; cerco di capire il piu’ possibile nel mio piccolo ed e’ meglio di niente.
Io la trovo una lingua interessantissima, alla quale bisogna forse avvicinarsi in una maniera diversa rispetto alle lingue europee.

Le donne e l’Islam.


da “The son of a duck is a floater and other arab sayings”

Non sono per niente sottomesse come uno se l’aspetta, anzi, gli uomini hanno un gran rispetto per loro.

Mi accorgero’ molto piu’ tardi che il solo rispetto non basta pero’.
Bisogna anche che gli uomini comprendano i desideri delle donne e che le permettano di realizzare loro stesse. La famiglia e’ importantissima per loro, ed avere marito e figli spesso e’ il desiderio piu’ grande delle ragazze. Mi era capitato che nella metro parlavo con una giovane donna con un bambino nelle braccia; diceva che era il suo secondo, e poi chiedendomi se io ne avevo rispondevo di no. Mi gettava uno sguardo quasi compassionevole, dicendo “Don’t worry, you will find a man, insha Allah”. Dev’essere una catastrofe di dimensioni medio-grande per loro avere 27 anni ed essere ancora senza figli.
La loro dipendenza dal marito e’ omnipresente, con eccezioni ovviamante. Puo’ darsi che quello sia il motivo per cui nella casa ed in famiglia tendono a “comandare”, perche’ spesso e’ l’unica area dove hanno la possibilita’ di decidere qualcosa loro.
Pero’ a volte capita che una di quelle donne con tanti figli poi all’eta’ di 40 si accorge che non e’ ne’ felice ne’ contenta. E poi che cosa puo’ fare, quali possibilita’ ha?
Dipende comunque molto anche dal marito – ci sono i matrimoni d’amore, pero’ molto spesso sono “organizzati”; cioe’ non e’ che una famiglia costringe la figlia a sposare un’uomo che non le piace, ma se le propongono tre probabilmente ne scegliera’ uno appunto perche vuole sposarsi – e la cosa puo’ andare bene o male (come del resto anche i matrimoni “normali” da noi!). Potra’ “imparare” ad amarlo, ma puo’ anche rimanerne delusa.
Gia’ pochi giorni dopo il mio arrivo il Dr. Raschid diceva una frase che mi lasciava un po’ perplessa: “Mia moglie voleva andare al mare con i figli ed io le ho dato il permesso.”
Non rispondevo niente: finche’ non sono coinvolta personalmente e’ meglio tacere che iniziare discussioni che non hanno nessun senso.
Altre frasi tipiche (non all’inizio del mio soggiorno li’, ma piu’ avanti quando li conoscevo meglio) erano:
“Una moglie deve obbedire”,
“Una moglie non solo deve lavare i vestiti del marito, ma deve sentirsi onorata che lui le da il permesso di farlo perche’ e’ una cosa intima” – a me a questo punto scappava un commento sarcastico; dicevo “Ma che onore lavare le mutande sporche del marito!”, e magari qualcuno che possiede un minimo di autoironia avrebbe riso o fatto una controbattuta… invece mi sono sentita dire “And this is all you have to say?”.
Gli uomini egiziani molto spesso vanno all’estero per lavoro, e le moglie o rimangono in Egitto a casa con i figli oppure accompagnano i mariti. Perche’ il fatto che non ho sentito di nessun marito che ha seguito la moglie all’estero non mi sorprende?

Tutti gli uomini a cui lo chiedo concordano nel dire che sono le donne che comandano, e che si fa quello che vogliono loro.
Il posto migliore per sentirlo sulla propria pelle sono forse le prime due carrozze della metro al Cairo, che sono riservate per le donne: se siete maschi, provate a salirci! Raccoglierete degli sguardi malissimi, ma proprio malissimi, e vi garantisco che sarete cacciati dalla carrozza prima ancora di rendervi conto cosa sta succedendo!

Quando Nashat mi invita per un nescafe’ per la terza volta voglio pagare io, ma lui mi dice con un debole sorriso “No eh. Qui son’ gli uomini che pagano.” (E non mi ribellero’ certo contro questa vecchia tradizione a questo punto!).
Qualche giorno dopo capisco meglio perche’ ha reagito cosi… mi racconta della ragazza che devo sposare (non dico fidanzata perche’ il termine non esiste qui: “What do you mean when you say girlfriend? What is a girlfriend? Explain that to me!”, come non esiste il sesso prima del matrimonio, almeno non in teoria) e dei loro problemi. Sembra che sia semplicemente una materialista perche’ dopo qualche mese che si conoscevano gli diceva che siccome non era ricco non voleva piu’ sentire da lui. Vuole sposare un uomo che sia in grado di comprarle tutto cio’ che vuole. Invece lui e’ molto innamorato. Stessi problemi un po’ ovunque.
Devo dire che mai in vita mia ho visto donne essere trattate con piu’ cordialita’ e rispetto che qui in Egitto.
Ma la cosa che mi stupisce di piu’ e’ che tra le donne ci sembra essere una grande solidarieta’ e complicita’, anziche’ rivalita’ come la si trova spesso da noi.

La maggior parte delle donne qui tiene i capelli coperti (quando escono di casa, o quando ci sono uomini non appartenenti alla propria famiglia nei paraggi), ma poi ci sono anche quelle vestite tutte di nero, con il viso completamente coperto ed i soli occhi liberi, a volte neanche quelli (come fanno a mangiare in pubblico non si sa). Loro vengono dal golfo, dall’Arabia Saudita, e non sono molto ben viste qua. Si dice che sotto i veli spesso trovi un costume o una cosa provocante, ed i veli non se le mettono certo per motivi religiosi ma per mostrare la loro provenienza (Arabia Saudita = soldi). C’e’ un po’ di non dico odio, ma ostilita’ verso l’Arabia Saudita in generale, perche’ gli egiziani che vanno li a lavorare (e sono tanti!) non vengono trattati molto bene, li considerano un po’ dei poveracci e tendono ad essere arroganti nei loro confronti.
L’altro giorno all’ospedale c’era una di queste mussulmane completamente velate, ed il dottore che la stava visitando (ovviamente quando sono dal dottore si tolgono sia i vestiti che i veli) si metteva a discutere con lei. Non capivo di cosa stessero parlando, ma quando usciva lui diceva seccamente a me:
“This is not our religion. She should at least leave her nose uncovered in order to be able to breathe well.”

Un paradosso?

Raschid qualche giorno dopo, mentre stiamo seduti su un ponte del Nilo a guardare il tramonto, la citta’ e la gente ed a parlare del piu’ e del meno, mi spiega che lui e la moglie, quando si sono sposati, non hanno fatto un contratto tra di loro, ma ciascuno di loro l’ha fatto con Allah, e se uno di loro tradisse l’altro non sarebbe un atto contro l’altro ma contro Allah. Non capisco bene cosa mi voglia comunicare, penso che intenda dire che non tradirebbe mai la moglie – ma la cosa non mi convince piu’ di tanto: il paese in cui un’uomo non guarda altre donne oltre alla sua… qualcuno me lo faccia vedere e credero’ che esista.

E infatti l’avevo capito male.
La parola “tradire”e’ una cosa non-esistente per lui. Lui puo’ avere altre donne, oltre alla prima moglie (ne sono permesse fino a quattro nell’Islam), ed essendo un mussulmano convinto e molto credente (questo lo considero comunque una cosa positiva) non si farebbe nessun problema a sposarne un’altra. Le cose importanti sono due:



1) Che sostiene comunque la prima moglie: “Mi ha dato quattro figli, mi ha dato la sua vita”. Almeno si rende conto di questo; ma non capisce perche’ la moglie negli ultimi anni ha iniziato a fare sempre piu’ discussioni con lui… “Lei e’ ingrata; io l’ho educata (ma chi gliel’ha chiesto di “educare” la moglie? Quella e’ una cosa da fare con i figli, ma se qualcuno provasse a farlo con me io esploderei, e infatti cosi e’ successo dopo un po’!) e ora si rivolge contro di me, ha pareri diversi dalle mie (e allora?) e preferisce stare da suo padre. E’ sempre una persona molto buona ed amabile ma le sue priorita’ sono cambiate – io non sono piu’ al primo posto, ma forse al decimo”.
E vabbe’, non e’ che uno puo’ pretendere che tutta la vita di una persona giri solo attorno al marito. E io direi che LEI dovrebbe essere al primo posto, non lui, e pare che anche lei la veda cosi adesso, e fa molto bene secondo me!

2) Che fa un “contratto” con l’altra donna con chi si mette insieme e che la cosa sia nota a tutti ed ufficiale. Andare al letto con una cosi e “buttarla via” il giorno dopo non esiste – se decide di prendere un’altra moglie e se vuole avere rapporti con lei, allora lui si assume tutta la responsabilita’ per lei. Forse questo e’ uno dei problemi fondamentali. Sembra una cosa buona, assumersi tutte le responsabilita’, in modo che la moglie possa stare sicura e sentirsi protetta in un certo senso. Sicura di non essere lasciata o abbandonata da un giorno all’altro. E questo fatto le rende forti, perche’ nonostante tutti i problemi sono delle donne fortissime e spesso dure di carattere.
Pero’ nel momento in cui ha la responsabilita’ per lei, puo’ anche avere delle pretese che lei deve per forza rispettare. Ed ecco dove inizia la dipendenza. “Io ti garantisco sicurezza e rispetto, e tu sei completamente mia.”
Mia. Che parola semplice, breve e bellissima nel suo significato. Eppure a sentirla negli ultimi mesi mi ha messo paura per la prima volta in vita mia.
Solo un esempio: se lei dice che ha bisogno di un vestito, lui glielo comprera’ (soldi permettendo), ma e’ anche lui a sceglierlo.

Il contratto di matrimonio va fatto prima di “consumare il matrimonio” come dicono.
Al male e all’umiliazione che fa alla prima moglie prendendone un’altra non ci pensa. (“Ma perche’, se io decido di prendere una seconda moglie e’ colpa della prima moglie che si comporta in tal modo da farmi prendere un’altra!”). Ma di certo non e’ colpa dell’uomo se il matrimonio fallisce.
In ogni caso non e’ una cosa molto comune avere piu’ di una moglie, pero’ ho anche sentito di vere e proprie tragedie che sono successe quando un uomo ne ha sposata un’altra.

Il Dr. Raschid e la moglie si sono “fidanzati” (cioe’ era stato deciso che si sarebbero sposati; sono cucino e cugina) quando lei aveva 16 anni e lui 26. Suppongo che lei era una di quelle ragazze dolci e desiderose di avere un buon marito, figli e una famiglia. Quando lei aveva 20 anni si sono sposati e subito dopo arrivavano i primi figli. Si vede che lo adorava, e fino ad oggi dice “He is a good man”, andava con lui in Inghilterra ed in Arabia Saudita. Lui era il capo, quello che “guidava la nave”. Fino al punto di farla tornare dall’Inghilterra in Egitto TRE giorni prima della nascita’ del scondo figlio, perche’ lui non voleva piu’ rimanere la’. Lo avrei mandato a quel paese! Incinta al nono mese, con pochi giorni che mancavano alla nascita’ non mi sarei mossa neanche un millimetro! (A parte il fatto che non so come hanno fatto a convincere la compagnia aerea a trasportarla in questo stato.)
Ma col passare del tempo si vede che anche lei e’ cresciuta, e che diventava sempre piu’ difficile per lei tollerare questo marito che decideva, insegnava e pensava di saper meglio tutto. Non capisco lui – avra’ mica pensato che sarebbe per sempre rimasta la ragazza 16enne che gli dice di si, qualunque cosa lui le dica, dando per scontato che lui sappia meglio di lei cosa vuole lei?

Il ritmo della vita.
La vita estiva inizia a mezzanotte, con le gente che esce dalle loro case, con tutti i negozi aperti fino a tardissimo, le strade che diventano sempre piu’ affollate col passare delle ore e con il livello di rumore che incrementa parecchio quando diventa buio.
Di giorno fa talmente caldo che non puoi comunque fare niente tranne stare in una casa con l’aria condizionata o almeno col ventilatore.
Poi sembra che sia un abitudine egiziana portarsi dietro in macchina sedie, tavolino, the’, caffe’ e cibo ovunque si vada, per piazzarsi su uno dei ponti del Nilo o sul Muqattam (la catena di colline all’est del Cairo) con bella vista sulla citta’ all’ora del tramonto e per stare li ore e ore, spesso anche fino all’alba (fatto tutto col Raschid, che non fa che portarmi in giro, al punto da diventare pesante a volte). A prima vista sembrano dei posti sporchi e desolati, ma nonostante le macchine che passano ed il rumore uno riesce a trovare una specie di oasi di tranquilla con un’aria di vento in questo forno che e’ il Cairo d’estate.



vista dal Muqattam

I vestiti.
Non esiste un abbigliamento tipico egiziano o una moda che sarebbe caratteristica per il paese.
C’e’ qualcosa di strano, che non riesco a definire, ma dopo alcuni giorni mi rendo conto che e’ una certa assenza di colori che mi ha colpito. Sia uomini che donne tendono a vestirsi di colore nero o in varie sfumature di grigio e sono predominanti i colori non vivaci.
E’ un forte contrasto con la variopinta India che mi viene in mente.
I veli delle donne le rendono decisamente misteriose, spesso belle ma a volte anche vecchie.
All’inizio non ci faccio caso, ma dopo qualche giorno mi accorgo che il velo non e’ un pezzo di stoffa qualsiasi, ma che lo scelgono con accuratezza, attente che armonizzi con i vestiti.
Da turista si puo’ andare in giro con dei vestiti qualsiasi, e al centro si vedono stranieri con magliette senza maniche: si puo’ fare, ma si puo’ anche evitarlo.
Un uomo che lavora da guida turistica a Luxor mi dice francamente che non sopporta i turisti che vengono a visitare le tombe ed altri monumenti vestiti in costume e con minigonne, dice che dovrebbero mostrare almeno un minimo di rispetto per il paese che stanno visitando, e non posso che dargli ragione.
Io mi vesto in una maniera decente: pantaloni lunghi e magliette a mezze maniche, a volte anche lunghe. All’inizio bestemmio perche’ siamo a piena estate e fa un caldo pazzesco, ma dopo un po’ mi viene naturale, visto che tutti si vestono cosi.

Finesettimana alla costa mediterranea e integrazione nella famiglia.
Mercoledì ci sono operazioni tutto il giorno, e fanno fare la prima splenectomia in vita sua al Nashat, allora e’ abbastanza euforico, ed in questo stato di coscienza delimitata fa fare a me da sola le suture alla fine del prossimo intervento… il che rende euforica me – insomma, mi sa che sia io che lui ci sentiamo come i piu’ grandi chirurgi del mondo per una mezz’ora.
Il Dr. Raschid mi rimette i piedi per terra presto pero’: “It takes a surgeon six hours to learn how to do an operation, six years to know when to do it, and 60 years to know when not to do it.”
Mi viene a prendere dall’ospedale alle sei, per andare da sua moglie ed i quattro figli (di nove mesi, otto, undici e tridici anni, tutti maschi sono) alla costa mediterranea vicino ad Alexandria (chiamata “Alex” da tutti) per il finesettimana, che e’ giovedì e venerdì nei paesi arabi. Sono li da tre settimane, ed il Raschid e’ tornato al Cairo apposta per venirmi a prendere dall’aeroporto quando sono arrivata, ma chi l’avrebbe fatto? Interrompere la propria vacanza per andare a prendere una persona che non ha neanche mai vista? Ma questa e’ stata solo la prima di tante prove della loro immensa ospitalita’ e gentilezza.
La loro casa si trova a circa sessanta chilometri all’ovest di Alexandria, sulla costa, che e’ strapiena di villaggi turistici, uno attaccato all’altro – meta turistica popolare degli egiziani piu’ benestanti che trascorrono li le loro vacanze.
Dal Cairo fino a li sono 300 chilometri, ed io pensavo di arrivarci in un attimo, ma mi sono sbagliata alla grande. Partiti alle sei, arriviamo li alle quattro di notte. Un motivo sono le strade abbastanza orripilanti e la macchina vecchia di Raschid, l’altro e’ proprio lui che come al solito fa quello che ha nella mente lui e che mi porta ad Alexandria prima di andare alla casa, per fare un giro li a mezzanotte, nonostante le mie proteste che sono stanca e che non ho voglia di vedere Alexandria di notte. Ma e’ invano protestare con lui. Vuole farmi vedere tutto, e se fosse per lui non dormirei mai: “Don’t sleep too much! Don’t waste your time!”.
Il problema e’ che non capisce che sono stanca davvero, e continua a parlare e a parlare, finche’ alle tre di notte gli dico “I don’t feel like talking now.”, e non gli rispondo piu’.
Fa effetto, pero’ c’e’ da dire che per tutto il resto del mio tempo al Cairo mi sentiro’ dire che sono una terrorista perche’ mi rifiuto a discutere…
Effettivamente e’ un caratteristico dei terroristi (non che ne conosca qualcuno in persona!) insistere sulle proprie opinioni e convinzioni, anzi, chiamiamole idee fisse, senza poter spiegare in una maniera ragionevole ed obiettiva i loro motivi.
Non saranno mica tutti stanchi anche loro?

Arrivati alla casa la moglie ed i figli stanno ci stanno aspettando, e dopo una mezz’ora finalmente vado al letto. Dormo sul piano superiore della casa, con davanti alla finestra un terrazzo, anzi un tetto grande – il primo di tanti incantevoli tetti arabi che vedo. Aria fresca e il clima mediterraneo. Sono cosi vicina eppure cosi lontana dall’Italia… in fondo tutto cio’ che c’e’ tra l’Egitto e l’Italia e’ un po’ di acqua! O no?
Il giorno dopo facciamo giri in macchina, da amici loro, da parenti a cui non si stancano mai di presentarmi, ed ai supermercati a fare spese (occupazione popolare, a quanto pare!), fino alle cinque del pomeriggio.
A loro non piace il sole, e al mare ci vanno solo la mattina presto o verso la sera, per vedere il tramonto, cosa che facciamo poi. Il mare li e’ splendido, c’e’ solo sabbia, ma delle spiagge lunghissime, spesso con delle onde molto alte. Sembra piu’ l’Aatlantico che il Mediterraneo, e mi dicono di stare attenta di non nuotare troppo lontana dalla riva perche’ ci sono delle correnti forti che hanno gia’ causato la morte di sette persone quest’anno.
Anche se io personalmente preferisco i sassi e le rocche devo dire che e’ magnifico li, soprattutto se uno e’ stato allo smog del Cairo prima, e in una cameretta di ospedale dove l’acqua dal rubinetto e dalla doccia escono a gocce.

Poi cibo, cibo, cibo, e che palle, insistono, tutto il tempo: “You have to eat! You didn’t eat anything today! You are having a headache? Well, it’s because your blood glucose is low! You have to eat!”. Comunque hanno solo le migliori intenzioni, e non solo per quanto riguarda il cibo.
Di notte stiamo sul terrazzo, con amici di loro, bambini, mille persone, a mangiare (inevitabilmente), chiacchierare, ridere e guardare il cielo e la luna.
La felicita’ che cercavo… l’ho trovata in queste notti arabe, trascorse in mezzo a tanta gente dal cuore caldo. A volte mi chiedo se sono davvero io questa persona che parla in continuazione e che scherza e ride finche’ non le fanno male tutti i muscoli. La persona scontenta, di mal umore, spesso arrabbiata, nervosa e triste, dov’e’?

Una gentilezza ed ospitalita’ come da loro non l’ho mai trovata da nessuna parte. Anche il Raschid, non mi tratta certamente come una studentessa, ma come un’amica, se non come un membro della famiglia, e se sono stufa di lui a volte e’ solo perche’ sto con lui davvero troppo tempo. E’ diventato il suo hobby principale analizzare il mio carattere (Aiuto!) e a volte diventa un po’ troppo pesante. Diciamo che dopo cinque giorni con lui sto soffocando un po’, e cerco il contatto con la moglie ed i figli per staccarmi un po’ da lui.
La moglie, Aisha, e’ di una gentilezza altrettanto immensa. Non ha un secondo per se con i quattro figli sempre attorno, eppure non mi fa fare quasi niente in casa.
Facciamo il bagno nel mare mano in mano, e rimaniamo nell’acqua per quasi un’ora, saltando sopra le onde, e il fatto che io sono in costume e lei e’ velata, dalla testa ai piedi, sembra la cosa piu’ normale al mondo! Non solo e’ abituata ai suoi veli, ma le ama, ed e’ orgogliosa di non essere mai uscita di casa senza da quando ha 18 anni. I veli, per loro, non sono un peso o una cosa fastidiosa, sono una cosa che hanno scelto loro, per coprire tutto cio’ che potenzialmente potrebbe sedurre un uomo. Mi assicura che nessuno l’ha mai sforzata o spinta a velarsi, anzi, il padre era addirittura contro.
E comunque non noto la minima ostilita’ nei miei confronti, e non penso proprio che lei pensi che io sia una svergognata o qualcosa simile.

I figli poi sono i bambini piu’ educati che abbia mai visto. Non piangono, non si lamentano, aiutano i genitori senza fiatare, e non mi fanno portare neanche una valigia. Una volta vado in piscina con loro, e mi trattano come una regina “Do you want to stay? Do you want to leave? Is everything alright? Are you happy? Are you sad? Stay here with me!”.
Il figlio di otto anni decide che mi sposera’ (non so pero’ se mi posso fidare di lui… mi hanno informata delicatamente che cambia fidanzata ogni settimana…) e ovunque andiamo, dev’essere lui a portarmi, perche’ sono li particolarmente con lui…

L’ospitalita’ e la gentilezza di questa gente qua viene proprio dal cuore, ed e’ disarmante.
Dovevo rimanere con loro per due giorni, che sono diventati cinque alla fine (e mi sono pure arrabbiata, pensando di perdermi qualcosa all’ospedale), ed e’ stata la cosa piu’ ovvia e naturale che stessi con loro e che dormissi da loro al Cairo poi (avevo perso le chiavi della mia camera dell’ospedale sulla spiaggia). E sono sicurissima che non hanno mai detto qualcosa tipo “Oh, che palle questa qua, quand’e’ che se ne va finalmente?”, anzi, non volevano farmi andare via.

Non e’ che tutto e’ sempre fantastico e meraviglioso, ovviamente ho anche un po’ di immancabili crisi, ma in generale sto molto, molto bene. Ed ora so di aver fatto la cosa giusta venendo qui, semplicemente perche’ mi capita di guardare la luna e di pensare “Ma che bello!”

Il mare rosso, Tanta, preghiere, e sempre piu’ vita famigliare.
Continuo a trascorrere un sacco di tempo con Raschid, questo chirurgo travestito da cowboy.
Non si stanca di parlare con me, anche se io non sono certo alla sua altezza mentale (c’e’ comunque una notevole differenza di eta’), ma mi sta diventando simpatico.
Quello che mi piace di lui e’ che apprezza le cose semplici, e sa che la medicina non e’ tutto nella vita – a che cosa serve lavorare giorno e notte se uno non e’ piu’ capace di rilassarsi e di godersi un bel tramonto o di commuoversi davanti ad una melodia bella?
Sa anche che in fondo la cosa piu’ importante nella sua vita sono i suoi figli, e non risparmia sulla loro educazione – vanno a scuole internazionali, con le lezioni e gli esami in inglese, perche’ quello e’ l’unico modo di permetterli di poter andare all’estero un giorno se lo vorranno, e li’ avranno molte piu’ possibilita’ che in Egitto.

Andiamo a vedere un sacco di monumenti al Cairo, la Cittadella, la Hanging Church ed altri posto famosi. Non ci tengo molto – preferisco vedere la vita “vera” di oggi, non monumenti che stanno la’ da secoli. Non sono un’appassionata di storia, e di rado queste cose mi fanno impressione, probabilmente perche’ me ne intendo troppo poco.
Alle quattro, dopo una giornata faticosa in giro per il Cairo dico che sarebbe troppo bello vedere il mare ora, e senza dire una parola dirige la macchina in direzione Suez.
Sulla strada, come su tutte le strade che attraversano il deserto, specialmente quelle che portano dalla valle del Nilo al Mare Rosso, ci sono tante barriere con militari che fermano tutte le macchine per controllare chi viene e va. Hanno aumentato i controlli dopo gli attentati a Luxor nel 1997, bisogna evitare ad ogni costo altri attacchi terroristici. Il paese e’ dipendente dal turismo in gran parte, ed altri attentati sarebbero fatale per l’economia.
Ma poco dopo c’erano gli attentati a Taba, quello “minore” al Cairo vicino al Museo Egiziano Nazionale e recentemente quello a Sharm el Sheik.

Arriviamo ad Ain Suhkna, un paese circa 60 chilometri al sud di Suez, ci troviamo un posto con poca gente (non e’ facile trovare un posto addatto: e’ sempre un po’ un rischio andare dove non c’e’ nessuno, non sai mai se magari nei paraggi c’e’ qualcuno che ti vuole derubare o altro, e per lo piu’ dicono che ci sono ancora delle singole mine dell’ultima guerra nella sabbia.), tutte le donne nell’acqua con i veli ovviamente.
Mettiamo li la macchina, le sedie, un ombrellone e vado a fare il mio primo bagno nel Mar rosso. Essendo in compagnia di un egiziano posso fare il bagno in costume, ma se fossi stata da sola non l’avrei fatto di sicuro: mi sarei sentita decisamente a disagio.

Torniamo al Cairo tardi e andiamo a cenare ad un’amica di Raschid, Amira. Vive al Cairo, vicino al mio ospedale, con i tre figli (tutti maschi anche loro), e diventa la persona alla quale forse mi affeziono di piu’. E’ di una solarita’ incredibile, e siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Basta che ci guardiamo e ridiamo tutte e due.

Quando ho finito all’ospedale spesso vado in metro da Raschid & family, generalmente i due figli piu’ grandi mi vengono a prendere in taxi dalla metropolitana, e come al solito prima di cercare un taxi andiamo a prendere un succo fresco di zucchero di canna – la cosa piu’ helwa, piu’ buona che ci sia con questo caldo. – al loro “bar” vicino alla metro (il viaggio di metro dura quasi un’ora ed e’ esauriente e uno si merita un piccolo rinfresco dopo.)
Costa 25 piastre, io l’avevo sempre pagato un pound, ma da quando so che il prezzo vero e’ 25 piastre mi rifiuto di pagare di piu’ e mi metto a discutere (bhe, faccio quello che riesco a fare con questa lingua!):
“Wahid? La la la. Ma ‘andish fuluss. Misch aktar min khamsa we-‘ashrin!”
(„Uno? No no no. Non ho soldi. Non piu’ di venticinque!”)
E si mettono a ridere e mi danno questo succo a 25 pounds, guardandomi mentre lo bevo al palco. E sono contenta.

Trascorriamo la sera a casa chiacchierando tutti quanti, gioco con i bambini (certo che il domino non e’ che sia divertente piu’ tanto dopo una mezz’ora…), mangiamo (non c’e’ un tavolo nella loro casa, solo delle scrivanie, quindi si mangia seduti un po’ ovunque con il piatto in mano), si fa tardi e dormo li’ (vabbe, era chiaro dall’inizio!).
Ovviamente non faccio in tempo per andare all’ospedale il giorno dopo perche’ nessuno ha una vera intenzione di svegliarmi e portarmi li. “There are no operations on Sunday! So what’s the point of going there today? Come, have breakfast, there’s some magnificent fool (fagioli preparati in una maniera particolare – la primacolazione nazionale)!” – parole di Raschid.
Fortuna che il primo giorno quando ero appena arrivata e non avevo dormito da circa 30 ore ed ero distrutta dal viaggio e dal volo voleva che facessi subito bella figura, andando all’ospedale, ed ora ci vado un giorno si e un giorno no!

Rimango li’ fino all’una, poi andiamo all’ospedale che sento un certo desiderio di farmi una doccia e di cambiarmi (Mi trovo bene nella loro casa, ma mi sono sempre rifiutata di fare la doccia li, non so neanch’io perche’. Spesso non c’era dell’acqua, e non era certo il massimo dell’igiene, ma queste cose non mi avevano mai dato fastidio. Dev’essere stato qualche blocco psicologico..), e dopo raggiungo Raschid al suo vecchio ufficio che si trova a una fermata di metro dal mio ospedale, e a due passi dalla casa di Amira. Comunque e’ un casino trovare un certo indirizzo o posto al Cairo, vado a piedi, mi perdo dieci volte, ma sono troppo orgogliosa per chiamare Raschid e dirgli di venirmi a prendere dalla fermata della metro. E dopo un’eternita’ trovo da sola l’uffico (un puro caso..).
Arrivata li vengo informata che partiamo subito per Tanta (citta’ a meta strada tra il Cairo ed Alexandria) con Amira ed i figli, a trovare dei parenti suoi che abitano li ed a vedere questo magnifico countryside con gli animali bellissimi che ci sono li.
“Don’t worry, we’ll be back at nine p.m.!”
(Faccio i miei conti e suppongo che torneremo verso mezzanotte)
Partiamo, ci perdiamo, e arriviamo a Tanta alle sette.

La citta’ stessa mi sembra una catastrofe, molto peggio rispetto al Cairo, strade senza asfalto e tutti i tipi di animali (viventi e morti) per strada. Arrivati davanti alla casa dei parenti la prima cosa che vedo e’ un raggruppamento di animali ed un uomo che porta via una capra morta.
E i cavalli belli? E gli asini sui quali dovevo cavalcare? Mi viene da ridere ancora giorni dopo, e ridono anche gli altri.

I parenti vivono in una baracca piu’ che in una casa, ma stranamente, la gente piu’ povera e’ quella piu’ di cuore se la conosci un po’ meglio. Forse sta nella loro semplicita’. Ti guardano e dicono cio’ che pensano senza crearsi dei problemi, e quell’essere diretti nel dire le cose e’ contagioso.
Poi i miei tentativi di produrre qualche frase in arabo danno sempre luogo a delle risate.
“Chi e’ questa ragazza?” E Raschid spiega “E’ una dottoressa austriaca, fa un tirocinio in chirurgia…” ed io gli taglio la parola e dico “La la. Dr. Raschid chadafni.” – “Non e’ vero. Dr. Raschid mi ha sequestrata.”

Mi portano nella moschea principale di Tanta e arriviamo li poco prima dell’ultima preghiera dell’giorno. Raschid ad Amira se ne approfittano; pur essendo mussulmani non vanno nelle moschee regolarmente, ma gia’ che siamo qui e che e’ l’ora della preghiera pregano.
All’ingresso mi danno un velo per coprire i capelli, che serve piu’ che altro a non far distrarre le persone che pregano (A me da “occidentale” viene da pensare quasi automaticamente: Da che cosa? Dalla mia esuberante bellezza?), non perche’ loro non accettino persone di altre religioni.
A volte pero’ ho l’impressione che tutta questa tolleranza e il liberalismo sia un po’ finto.
Forse anche per fare “bella figura” davanti a me dicendo che rispettano tutto, che sara’ anche vero, pero’ sono solo parole che non so se corrispondono alle convinzioni veri.
Raschid per esempio dice che e’ estremamente contro il fatto che alcune donne si coprono tutto il viso. E poi aggiunge: “E’ successo solo una volta che ho visto una donna che era talmente bella che ho pensato: Questa si dovrebbe velare il viso.”
Quindi tutte le ragazze belle si devono nascondere? Ma perche’, mica e’ colpa loro se sono belle. Uno potrebbe anche obbligare gli uomini ad andare in giro con paraocchi a questo punto. Provo ad argomentare che forse dovrebbero essere gli uomini che si dovrebbero trattenere un po’. Va bene tutto il rispetto che hanno per le donne, ma possono essere rispettate solo quando sono velate e quando si comportano come la societa’ lo aspetta da loro, da mussulmane brave quindi?
Ma quelli sono solo i pensieri che verrebbero a tutti gli occidentali messi in un ambiente cosi diverso dal loro.

Entriamo e sto con Amira, mentre gli uomini vanno davanti, nelle prime file. La regola e’ cosi: gli uomini pregano nelle file davanti alle donne, in maniera che non le possono vedere durante le preghiere, che sono anche dei minuti di rilassamento, di riposo, un po’ come la meditazione, usata per rilassarsi e ritrovare il proprio equilibrio durante una giornata piena di fatiche.

Allah akbar – Allah e’ il piu’ grande
Laa –llah illa –llah – Non c’e’ nessun Dio tranne Allah
Wa muhammed rasul allah – E Muhammed e’ il messaggero di Allah

Nella moschea c’e’ un’atmosfera molta bella e piena di pace, come anche nelle chiese eppure non e’ paragonabile. Nelle moschee c’e’ piu’ movimento; la gente ci va non solo per pregare, ma anche per socializzare e per riposare: ci sono bambini che giocano persone che dormono per terra, donne ed uomini che chiacchierano e discutono, gente che prega. Se questo e’ l’Islam io non capisco l’ostilita’ contro questa religione.

Dopo la preghiera usciamo, levo questo velo e mi sento stranamente rinforzata.
Forse solo perche’ finalmente, in questi giorni trascorsi sempre parlando e discutendo con gli altri, ho trovato qualche attimo per me stessa, in cui potevo pensare senza dover parlare.

Quarta settimana in Egitto.
Sono passate al volo come mai altre quattro settimane.
Non ho ancora visto le piramidi (almeno non da vicino), ma a dire il vero e’ la cosa che mi interessa di meno.

“D’una citta non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che da ad una tua domanda, o la domanda che ti pone, obbligandoti a rispondere.”
(Italo Calvino, Le citta’ invisibili)


”It’s not the water that is beautiful, it’s the sea in your mind.”

Sono a pezzi.
Davvero, sono giunta ai miei limiti fisici ed anche mentali.
Troppo poco sonno, notti intere trascorse in giro, ore e ore di chiacchiere con Raschid e mille persone che mi presenta, un miliardo di opinioni diversi su argomenti dei quali non mi ero neanche occupata fino ad allora,
troppe sigarette, il polso che credo non sia mai sceso sotto i 120 battiti al minuti negli ultimi tre giorni, e la confusione totale nella testa.
E’ il mio ultimo finesettimana al Cairo.
Cosa voglio e cosa non voglio? Cosa devo fare e cosa non devo fare?
Rimanere qua anche a settembre o tornare in Europa per laurearmi al piu’ presto possibile?
Dormire o stare sveglie? Aprire ancora di piu’ il cuore a questo paese o meglio scappare ora?

Ma’asalaama Ain Shams. Saluto tutti all’ospedale mercoledì, e rimango per due ore con Nashat (la conversazione si trasforma inevitabilmente in una discussione su cattolici e mussulmani, tanto per cambiare).
Improvvisamente arrivano i genitori della ragazza che deve sposare, e ordinano the’ e nescafe’ (nescafe’ per me, the’ per loro: i cristiani stanno digiunando per 40 giorni, non mangiando niente di origine animale, e quindi neanche il nescafe’ che viene preparato col latte).
Tutto bene fino a qui, ma quando si tratta di pagare scoppia una discussione tra di loro che sembra una lite di eredita’ piuttosto che una discussione su che avrebbe pagato questi cinque pounds. Se non sapessi di cosa stanno parlando le loro facce mi metterebbero paura, sapendolo invece non posso che ridere, e alla fine metto una fine alla discussione dicendo “Edene! Mumkin ana fuluss!” (“Dammi! E’ possibile io soldi!” – questo e’ il mio arabo sgrammaticato, ma in ogni sufficiente per farli sorridere; probabilmente solo per pieta’, ma comunque dei sorrisi sono!).

Non ho mai piu’ rivisto Nashat.
Gia’ quando raccontavo al Raschid che avevo trascorso due ore del pomeriggio con lui e gli altri dell’ospedale, mi chiedeva: “Sei stata li per due ore? A fare cosa?” – “Beh, a chiacchierare, che c’e’ di male!” – “Chiacchierare? Di che? Potevamo incontrarci due ore prima, ma tu hai preferito stare la’!” E allora? E’ grave la cosa?
Non capisce il mio bisogno di amici se cosi si possono chiamare. Di parlare apertamente con altra gente a volte. Certo, posso parlare con chi voglio – ma sembra che debba essere lui a gestire ed a controllare la situazione, cioe’ deve ascoltare e poter intervenire. E non capisce come io possa preferire stare all’ospedale due ore invece di passarle con lui. Cosa c’e’ di piu’ importante di trascorrere tempo con lui?
Quando non dormo a casa sua chiama Nashat al lavoro almeno due volte durante la giornata per chiedere se ci sono e cosa sto facendo. Dal suo comportamento non avevo dubbi che fosse il “capo” di Nashat e di Shokri, ma dopo due settimane mi dicono che non l’avevano mai visto fino a allora.
Chiama anche per dire a Nashat di dirmi che mi viene a prendere dopo il lavoro, ed e’ li puntualmente. Una volta mi viene quasi da piangere quando Nashat mi comunica la involuta notizia. Non mi lascia neanche un minuto per me. Neanche un’ora per riposarmi dopo il lavoro – arriva la’ a prendermi quando finisco e andiamo subito. E’ troppo.

Appuntamento con Raschid alle 6 p.m., mi dice che non portera’ a casa prima dell’alba, e detto, fatto, nonostante le mie lamentele che non mi piace stare fuori tutta la notte.
Andiamo sul solito ponte (che ormai si chiama “Maria’s bridge”) con le sedie, bevendo the’, caffe’ con miele, sciroppo di mandorla, mango e ibisco (senza farci caso non ho bevuto neanche un goccia d’alcol da quando sono qua) e mangiando cioccolatini (la dieta particolare di Raschid: cioccolatini tutto il giorno, perche’ contengono zucchero e ti danno la energia necessaria senza che tu ti senti piena. Oppure carne – non suino ovviamente – ma rigorosamente senza pane.)

Non sono contenta di questo tipo di nutrizione, ma cosa posso fare. E’ lui a comprare ed a scegliere il cibo, io ho poco da dire.
Mesi dopo, in aprile, e’ il giorno del mio compleanno. Vorrei andare a mangiare una zuppa particolare che mi piace – non chiedo niente di piu’.
“Si, ora la andiamo a mangiare!”
Partiamo nella macchina, e a una specie di “Mc Donalds” si ferma e mi chiede se voglio mangiare qualcosa da qui. Ma mi sta prendendo in giro? Ripeto che vorrei quella mia zuppa, non Mc Donalds.
Un po’ indeciso riparte. Lui voleva andare in questo posto. Va fuori dal Cairo, in un’altra cittadina piccola attorno, e si ferma davanti ad un centro commerciale: “Ho sempre voluto dare un’occhiata a questo centro commerciale! Ti devo ringraziare, perche’ grazie a te sono finalmente qui! Non ci sarei mai venuto da solo!”
Scendo dalla macchina con la faccia pietrificata.
Ho capito che la zuppa non si mangia, ma ora ho davvero fame e allora perche’ non andiamo a mangiare qualche cosa in uno dei ristoranti dentro il centro commerciale prima di entrare nel supermercato enorme, dove so che passera’ ore?
Ma si dirige direttamente verso il supermercato affollatissimo e io posso solo seguirlo rassegnata. “Oh, look at this! Look at that! This is magnificent!” Non dico niente. “I think I should buy this!” Taco. “Well, the price is too high, they are thieves, I can get that much cheaper!” Rimango muta.
Non si accorge neanche minimamente che sono frustrata ed arrabbiata.
Dove vendono il formaggio fresco ed i pesci ci sono code lunghissime e si mette in fila. “Che cosa vuoi comprare?” “Well, we’ll get some cheese and something good.”
Mi giro ed esco. Fumo. Rientro. Lo trovo ancora in coda. “Do you have a change?” – qulche pound per il venditore del formaggio, cosi gli dara’ quello piu’ buono. Gli do qualche pound, esco, fumo e entro di nuovo. Ormai sta a discutere con il venditore che gli fa assaggiare i vari formaggi. “Try this!” Gli dico che non voglio assaggiare nessun formaggio ma che voglio uscire (ormai mi e’ anche passata la fame).
“Just try it!” Butto giu’ il pezzo di formaggio e dico “Si, buono. Andiamo ora?”
Continua a parlare con il venditore. Io esco senza dire una parola e sto fuori per almeno 45 minuti.
Quando finalmente andiamo e’ un po’ arrabbiato: “Where have you been? I was looking for you but I could not find you!”
“Ero annoiata mortalmente! Volevo andare se non l’hai notato! Devo stare dietro di te tutto il tempo ad aspettare, in modo che tu mi hai sempre in vista?”
“Cosa? Volevi andare? Ma non l’hai detto! […] E poi… SI… devi stare con me tutto il tempo! E se proprio vuoi sapere perche’ ero rimasta dentro per cosi tanto tempo – era perche’ stavo cercando un regalo particolare per te!”
(Formaggio forse?)
Che persona ingrata che sono. E non ho neanche chiesto scusa per il mio comportamento.
Ci rispostiamo nella macchina davanti al McDonalds, e li distribuisce nella macchina tutti i formaggi e le salsicce che ha comprato.
La mia unica soddisfazione questa sera e’ che c’e’ un mucchio di gatti che gradiscono molto la salsiccia cara che gli do invece di mangiarla io e che mi ammiccarono contenti dopo di aver mangiato.
Ora Raschid e’ muto.
E’ arrabbiato (Ma si trattiene come sempre).

Si fanno le cinque, e siamo ancora in giro. Mi sto arrabbiando. Sono stanca, voglio dormire e nient’altro. Raschid continua a fare giri nella macchina, a circa 30 chilometri all’ora.
Evidentemente non ha nessuna intenzione di portarmi a casa. Riesco a orientarmi meglio di quanto lui pensa, e ho capito molto bene che sta facendo dei giri larghi attorno l’ospedale.
Cosa faccio, riprovo col metodo che ho gia’ usato quando andavamo alla north coast e dico che non mi va piu’ di parlare? Si, potrebbe essere un’idea. Purtroppo non funziona questa volta. Scendere dalla macchina ed andarmene potrebbe essere un’altra idea, e l’avrei fatto con ogni altra persona. Pero’ non mi va di essere cosi drastica e poi non e’ possibile che Raschid non si rende conto che voglio solo andare al letto.
Per le sei sono all’ospedale, e non so se mai piu’ avro’ voglia di rivedere questo Raschid che parla e parla e mi priva dal mio sonno.
Lo rivedo alla sera. E’ fortunato. Non sono una persona permalosa e dimentico facilmente singole cose che mi davano fastidio, se una situazione va bene in generale.
Perche’ complicarsi la vita inutilmente arrabbiandosi e discutendo alla lunga di cose che tanto sono gia acqua passata.
Ma Raschid e’ complicato. E’ pesante a volte. Non dimentica niente, e spesso fa dei commenti sarcastici su cose che per me sono molto serie, ma non per lui, e che ho detto secoli fa.
Mette sale in ferite non ancora guarite. E dice che non capisco gli scherzi se non rido. Gli dico che il suo sarcasmo non fa affatto ridere e per un attimo tace e ci pensa. Ma solo per un’attimo.

Sacchetti neri di plastica.
E’ di nuovo notte e siamo alla casa di Donya, la cugina di Raschid, e dalla sua famiglia, ci sono anche Amina, brillante come sempre, ed i figli. E’ un’altra notte lunga e favolosa. Alle tre di notte portano la cena… ovvio che bisogna mangiare anche qui, non c’e’ via d’uscita…
“Grazie mille, shoukran gezir, ma non ho fame adesso, veramente….!”
“Non e’ possibile, devi mangiare!”
“Lakin… ana lissa akul!” (“Ma ho appena mangiato!”) – “Dai, assaggia soltanto!”
Neanche il mio ultimo disperato tentativo di cavermi d’impaccio mi salva:
“Ana kheifa akul!” (“Ho paura di mangiar!”)
Risate che mi bombano nelle orecchie ed il piattone con tonno, fegato ed altre cosettine leggere mi viene piazzato davanto al naso.

Chiacchiero con le donne, e ad un certo punto confesso loro che sono sorpresa a vedere quanto sono felici qua e come stanno bene. Esagero e dico che avevo pensato che nei paesi arabi le donno che non fanno cio’ che vogliono gli uomini vengono tutte ammazzate…

No, non vengono ammazzate. Vengono solo disprezzate ed il marito ha tante possibilta’ di farglielo sentire. Ma il problema per loro comunque non si pone spesso, perche’ essendo cresciute e state educate in un paese arabo, e’ naturale per loro “comportarsi” adeguatamente.

Scoppiano in una risata che penso si sia sentita fino in Giordania, e Donya mi dice: “E’ piuttosto il contrario! Guarda che qui c’e’ una vecchia storia di una donna che non era contenta del marito. Si dice che lo uccideva, tagliava a piccoli pezzi il corpo e metteva ogni pezzo in un sacchetto nero di plastica. E questi sacchetti li distribuiva in tutto l’Egitto…
Pensaci ogni volta che ne vedi uno!”

Qualche mese dopo pensavo piuttosto di procurarmi un po’ di questi sacchetti anch’io.

Arriva il mio ragazzo.
E con lui un pezzo di Europa, un pezzo di un altro mondo. I racconti di quello che fanno gli amici a Milano sono irreali quanto erano irreali i primi giorni al Cairo. Mentre lui percepisce il Cairo diversamente da come lo percepisco io.
Il suo arrivo mi fa realizzare che il mio periodo al Cairo e’ finito, che dovro’ andare via, tornare alla vita milanese e viennese, e questo pensiero mi sconvolge. Non sono pronta per lasciare l’Egitto. Non sono pronta per partire.

Ma intanto i progetti sono di fare un viaggio di due settimane in Egitto, per poi tornare in Italia insieme.
Allora si va “all’avventura”, come piace dire a mio ragazzo.
Dopo tre giorni trascorsi al Cairo insieme (Dopo un mese ho anche visto le piramidi! Il tentativo di entrarci e’ fallito miserabilmente pero’, perche’ dopo circa due metri mi veniva una certa paura di soffocare a causa dell’umidita’ del circa 470%, e siccome ci tengo piu’ alla mia vita che all’interno delle piramidi sono uscita piu’ velocemente di quanto ero entrata), Raschid ci porta alla “Ramses train station” e partiamo per Aswan. Facciamo dei giri sulle feluche sul Nilo, vediamo Abu Simbel sul Lago Nasser, vicino al confine con il Sudan, e il mio povero ragazzo ha da soffrire parecchio a causa del malumore che mi e’ venuto senza che io sappia bene perche’ (fortunatamente e’ gia’ abituato al mio stato continuo di psicolabilita’).


Abu Simbel

E’ anche il fatto di essere turista e di essere trattata come tale che non mi piace, con tutti i venditori sui mercati e davanti ai ristoranti che ci importunano in una maniera piu’ che invadente, cercando di farci comprare qualche cosa ad un prezzo esagerato (per l’Egitto).
Lo so bene che sono molto poveri qui, che non hanno un soldo e che per loro un’euro e’ tanto. E sono anche disposta a pagare il doppio o il triplo del vero valore per una cosa, ma non mi piace essere presa per una idiota.
Voglio comprare dell’uva al mercato, e sul cartello c’e’ scritto in cifre arabe “2,50”. Dico al venditore di darmene un chilo, lo pesa e mi passa il sacchetto dicendo “It’s three fifty.”
Ma come, se c’e’ scritto due cinquanta, perche’ mi fa pagare tre cinquanta? Glielo dico, indicando il cartello, e lui mi fa “No no, it’s three pounds fifty.”
“Amico mio”, ribatto “so leggere le vostre cifre, e c’e’ scritto due cinquanta!”
“No, that means three fifty.”
Punto. Niente da fare.
Allora tienitela la tua uva, io non la voglio. Cioe’ si che la voglio, ma non la compro.
(Se era piu’ furbo mi faceva pagare due cinquanta e mi dava solo un mezzo chilo ma quest’idea non gli e’ venuta.)
La compro a quattro pounds dal suo vicino. Anche li c’e’ scritto che costa due cinquanta, ma il venditore mi dice onestamente “Yes, you are right, but we charge the tourists more.”
Almeno questo non mi tratta come una imbecille.

Ci spostiamo a Luxor, vediamo Karnak, la Valle dei Rei e delle Regine e il tempio di Hatshepsut (per poco non muoio dal caldo, e c’e’ da dire che sono un’appassionata del caldo).


Tempio di Hatshepsut

Dormiamo in un piccolo albergo che e’ piu’ una grande casa che un albergo, con i proprietari, dei ragazzi giovani, essendo simpaticissimi e sempre seduti sul tetto dell’albergo di sera, a bere birra e scherzare con gli ospiti. Mi scuso con loro per averli sgridati alla stazione di Luxor al nostro arrivo: quando arrivammo fummo subito circondati da almeno venti uomini che ci volevano portare nei loro alberghi e che si attaccavano a noi come delle mignatte. E io dopo poco tempo ero scoppiata. Non e’ proprio il mio forte trattenermi e rimanere calma in questo periodo devo dire, forse non e’ un mio forte in generale.
Dopo due giorni partiamo, e quando vogliamo pagare 16 pounds anziche’ 15 come avevamo detto il proprietario quasi si offende. “We said fifteen, I will not take sixteen from you! Just give us one of your wonderful smiles and we are happy!”

Dopo tanto caldo e tanti strapazzi ci muoviamo in pullman verso il Mar rosso, per rimanere a Hurghada un paio di giorni a snorkellare.
Hurghada e’ particolare. Non e’ paragonabile alle citta’ di mare in Italia, e non e’ certo Rimini. I turisti che vengono qua con i pacchetti “all inclusive” vanno direttamente nei loro villaggi e ci escono raramente, perche’ tanto all’interno c’e’ tutto ed uno puo’ andare in giro vestito come vuole. Non so bene come mai, ma mentre tutti gli italiani tendono ad andare a Sharm el Sheik, Hurghada e’ una “colonia” tedesca, solo i russi ci sono in entrambi i posti.
Ma fuori dai villaggi e’ sempre un paese arabo, e non vado mai in giro con le spalle scoperte.
I turisti lo fanno, ma non mi sembra il caso. Solo sulle spiagge sono in costume, e anche li solo su quelle private dove si paga l’ingresso, non certo su una spiaggia pubblica (a parte il fatto che lungo tutta la costa di Hurghada si saranno forse due spiagge pubbliche non di piu’, mi ci sono accertata qualche mese dopo quando ero di nuovo li ma in macchina).
Abbiamo trovato un piccolo albergo schifoso e con dei bagni puzzolenti (fuori dalla camera ovviamente) sul lungomare, abitato solo da egiziani e con nessun turista in vista e ne sono incantata. Sono questi i posti che mi piaccono, e anche mio ragazzo e’ contento (anche lui vede sempre i lati positivi: aveva la diarrea fino a qualche giorno fa, e adesso che abbiamo una camera con il bagno al corridoio fortunatamente non ha piu’ questo problemino!).
E’ un po’ difficile trovare un posto dove fare il bagno, non e’ che si puo’ uscire dall’albergo e buttarsi nell’acqua a 10 metri dal naso… tutta la costa e’ piena di villaggi dove non si puo’ entrare, molti ancora essendo in costruzione, per cui il lungomare stesso non e’ bello, anzi, e’ un’unica area fabbricabile. Hanno rovinato questo posto che di per se sarebbe meraviglioso.
Dopo di aver cercato un po’ troviamo una spiaggia privata con una barriera corallina fantastica e si sta nell’acqua per ore e ore.
Credo che non ci sia bisogno che descrivo quant’e’ unico il mare con i suoi pesci li’, tanto la cosa e’ nota a tutti.

Tornero’ due volte a Hurghada nei mesi che seguono. Non perche’ mi piace cosi tanto, ma perche’ i voli charter che vanno a Hurghada sono molto meno costosi rispetto ai voli di linea con destinazione Cairo. Allora vado a Hurghada, per prendere da li’ un pullman per il Cairo, costa 55 pounds che corrisponde piu’ o meno a 8 Euro, e anche se il viaggio dura sette ora che pero’ sembrano sette giorni (i paessaggi sono sempre uguali: deserto, deserto, deserto) ne vale la pena.

Da Hurghada un’ultima notte in pullman per arrivare a Sharm el Sheik (ci sono traghetti da Hurghada a Sharm el Sheik, ci mettono circa un’ora e costano 30 dollari che e’ un prezzo decisamente alto per il paese, e allora noi preferiamo il pullman pieno fino all’ultimo posto e scomodissimo che ci mette una dodicina di ore ma che non costa praticamente niente, e in piu’ vediamo il paesaggio – per forza, ho talmente tanta di quella paura di morire su questo pullman che precipita sulle strade che non chiudo occhio tutta la notte).
Arrivati a Sharm el Sheik mi sembra di essere arrivata in una piccola Italia artificiale e glamorosa.
“Las Vegas dell’Egitto” la chiamano.
Ma veramente non e’ l’Egitto qui.

Ritorno al Cairo.
Il mio ragazzo se n’e’ tornato in Italia. Io ho cancellato il mio volo di ritorno e ho deciso di fermarmi qui per un altro mese, a fare un altro tirocinio in un ospedale.
Sono tornata al Cairo con la luna essendo piena, e tornare e’ stato bellissimo, la sento mia questa citta’ con i suoi rumori di macchine per strada, clacson, sirene di poliziotti e le preghiere dalle mosche: Allah akbar.
E’ questo il mio Egitto! Non le tombe dei faraoni, non Abu Simbel e non certamente i villaggi del mare rosso.
Altre quattro settimane al Cairo, almeno pensavo.
Ma questa e’ una storia per se’…

“La mente che si apre ad una nuova dimensione
non ritorna mai alla dimensione precedente”
Albert Einstein

 

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