Africa

Una fortezza di sale nel deserto

di Umberto Segnini –
Shali, la Meravigliosa Fortezza del Sogno
Il cielo viola comincia a schiarirsi nell’immobilità che precede l’alba e la sagoma nera dell’oasi prende la forma sfrangiata delle palme, a oriente tutto si inizia a tingere d’arancio preparando la scena al Sole che tremolante e infuocato sbuca già padrone e incendia tutto. All’improvviso il silenzio si interrompe nel fragore del battito d’ala di centinaia di garzette, che all’unisono s’involano verso i laghi regalando lo spettacolo magnifico delle eleganti sagome nere che si stagliano nel cielo arancione, un lungo attimo di meraviglia che svanisce nella luce del nuovo giorno. È arrivato il tempo di lasciare Siwa, nel pomeriggio al fonduk incontro un autista beduino che nei prossimi giorni va a Baharyya con il suo pick-up; tratto, troviamo l’accordo sul prezzo e si decide di partire domenica.

Mi immalinconisce l’idea di lasciare Siwa, il timore che in tempi brevi la magia che si conserva in questo scrigno di palme e sale scomparirà per sempre, è più di una sensazione. Nel cantiere della piazza le armature delle fondamenta sono già state smantellate e le tavole sono pronte per diventare gli stampi per le colonne, è arrivata anche una ruspa gigante che fa bella mostra di se all’ingresso del paese.

Come tanti occhi le mille crepe e le finestre di Shali sembrano osservare tutto e tutti, anche le nuove case in blocchetti che stanno crescendo sul lato di tramontana. Entriamo fra questi vicoli sabbiosi che si allungano fra ruderi ormai abbandonati e case ancora abitate, in un misto di kirshif, calcestruzzo, mattoni crudi e blocchetti di calcare, nella via si incrociano solo due donne che camminano avvolte nel classico Tarfoulet per celarsi ad ogni sguardo e poi si entra nella fortezza, che con le ombre lunghe del tardo pomeriggio acquista ancora più fascino. Camminare fra queste mura dalle forme indefinibili è uno stupore continuo che si rigenera all’infinito, mille figure di mostri benevoli appaiono e scompaiono disegnati da speroni di sale e ombre cangianti e anche gli elementi più banali come le finestre e le ringhiere di legno di olivo, sembrano possedere anima, movimento e personalità. La grande torre diroccata è lo scorcio a me preferito, ti guarda da ogni angolo presentandosi sempre in forma diversa, da lontano ti scruta con il ghigno minaccioso di un gigantesco demone dalla testa coronata, poi sembra voltarti le spalle ma riappare subito dopo più alta e slanciata nelle sembianze di un polifemo urlante, per poi trasfigurarsi nel volto rugoso di un anziano guerriero che stanco di orrore si guarda intorno cercando quiete e chiedendo clemenza.
Man mano che il sole si abbassa i colori di Shali si scaldano acquistando tonalità fulve e le forme surreali di kirshif si tingono di vitalità tonificandosi in un’onirica muscolatura che gli dona un’illusione di movimento e così la sezione di un palazzo diventa un gigantesco sacerdote fantasma dagli occhi di cielo, che allargando le braccia celebra afono un rito ancestrale controllato dallo sguardo serio della sua ombra di gufo. La mente vaga senza corpo fra i mille anfratti di questa illusione reale dove ogni forma può essere tutto e il contrario di tutto, come la parete del bastione principale, dove l’erosione ha scolpito il volto di uno spettro benevolo che dietro un’espressione di apparente pacatezza cela misteriose facoltà sovrannaturali, forse da bocca della verità oppure una porta spazio temporale. Shali è più di un cumulo di antiche ed uniche architetture di sale e fango, è più di un dedalo di friabili carrugi misteriosi, cangianti e spettrali, il suo fascino trascende dal razionale, va oltre; le sue forme distorte e in continuo mutare sono qualcosa di simile alla materializzazione di un groviglio di pensieri astratti, Shali è l’Oasi della Fantasia.
Passo a salutare Mohamed che nel suo studio rudere sta disegnando una complicata trama di china animata da centinaia di sguardi, l’estro gli scintilla negl’occhi mentre con fare beffardo e benevolo mi mostra la sua opera, “Occhi di Gufo” è parte di Shali e il suo talento si specchia in lei.

Mentre gironzolo quasi mi scontro con l’ansimare di un turista che preso dalla frenesia di fare le foto al tramonto dal punto più alto si è perso nel labirinto di kirshif, Serena gli indica la via e lui ci si fionda, passano pochi attimi e ripassa fulmineo e concitato controllando l’orologio, è andato via senza nemmeno avere atteso la Posa di Sole, probabilmente è qui con un gruppo di passaggio e deve partire, spero per lui che un po’ di magia gli sia rimasta impressa negli scatti.

Scendendo verso sud nella parte bassa della città fortezza ci sono ancora delle case abitate e dalla finestra di una di queste si affacciano due bimbi, mentre la sorella più grande domina la sua curiosità rimanendo nell’ombra. Vinta la timidezza il frugolino passo di fulmine scende in strada per vedere le foto dentro il visore della camera, poi facendosi coraggio mi chiede una penna che non ho, cerco di mitigare la sua delusione con la promessa di tornare. Usciti da Shali in uno spiazzo fra le case a ridosso della fortezza, delle ragazzine velate giocano a pallone ma quando mi vedono scappano e si nascondono nelle abitazioni gridando no foto, sono ancora bimbe ma ormai già promesse e farsi fotografare è considerato assai disdicevole. Come ogni venerdì anche stasera c’è tanta gente intorno alla moschea, però solo uomini e bambini, ci sono anche due piccoli amici vestiti a festa che stanno giocano di fianco al luogo di culto, uno dei due è albino e finalmente ora che il sole è tramontato può giocare liberamente anche lui. Sono tanti gli albini a Siwa, appartengono alle famiglie più ricche dell’oasi e si occupano di commercio, qui non ci sono discriminazioni nei loro confronti come invece purtroppo succede in altre parti dell’Africa.

Gli albini Siwani sono ricchi e rispettati ma rimangono comunque dannati, la loro pelle senza melanina li costringe a vivere nell’ombra e i loro occhi che non sopportano il sole sono sempre strinti e sofferenti, come i pipistrelli solo ora con l’arrivo del crepuscolo serale si possono muovere liberamente. Anche qui come in tutte le piccole comunità, spesso i figli nascono da unioni fra parenti, specialmente se ricchi, e questo probabilmente spiega l’alta percentuale di albini fra i benestanti dell’oasi. La natura è spietata e severa con l’avidità umana che si illude di coniugare la felicità con la ricchezza, quanta sofferenza ha generato e genera la bramosia di possesso e quante menomazioni immolate in nome di un potere vano, effimero e transitorio.
È ormai calata l’oscurità quando ritorno dentro la fortezza per onorare l’impegno e gustarmi la corsa gioiosa verso il babbo che rientra dalla campagna mostrando fiero il suo pennarello, e anche lo sguardo radioso di una bimba dalle lunghe trecce felice perché il suo babbo al rientro dalla campagna la fa salire sul carretto carico di canne, le ultime case abitate dentro Shali sono fra le più povere dell’oasi ma regalano scampoli preziosi di massima umanità.

Arriva la notte e riprende l’opera distruttiva delle pale meccaniche, nel vecchio agglomerato davanti alla piazza di nuovo rumore, polvere sospesa e odore di nafta, illuminato da fanali e riflettori il braccio meccanico dello scavatore si muove come un drago impazzito ruotando irrequieto il suo”collo” e ogni volta che la benna tira giù un vecchio muro, insieme al tonfo si ha un’esplosione di polvere che la luce dei riflettori enfatizza rendendo la scena ancora più demoniaca. C’è suggestione ma senza armonia, l’aria è pesante e non solo di polvere, si respira il disagio delle coscienze, chi lavora non vuole pensare, chi passa non vuole vedere, tutti vorrebbero dimenticare questa notte ma nessuno ha le palle di fermarla, nemmeno io che mi limito ad essere il fotografo di un’esecuzione.

Potete vedere le foto del viaggio nel sito Elba e Umberto

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Marco

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