Diario giornaliero di una vacanza

di Mario Pistoi –

Siamo marito e moglie di una certa età, Vittorio e Filomena. Siamo abbastanza navigati, non ci riteniamo degli sprovveduti e abbiamo una gran passione di girare il mondo a nostro modo, disegnando gli itinerari “my self”, e cominciando a programmare il viaggio almeno tre mesi prima. Quando partiamo sappiamo già per il 90 % dove andare e cosa fare, e siamo già in possesso dei vuocher per gli alberghi e biglietti elettronici per i voli.

Cambio Valute al 30 Dicembre 2010 :

INDIA : Rupie Indiane (Rs)
1 Rupia = 0,016 Euro
100 Rupie = 1,6 Euro
1 Euro = 60 Rupie

THAILANDIA : Bath (B)
1 Bath = 0,025 Euro
100 Bath = 2,5 Euro
1 Euro = 40 Thai Bath

MALAYSIA : Ringgit (MYR)
1 MYR = 0,25 Euro
100 MYR = 25 Euro
1 Euro = 4 MYR

TAIWAN : Taiwan Dollar (TWD)
1 TWD = 0,025 Euro
100 TWD = 2,5 Euro
1 Euro = 40 TWD

VIETNAM : Dong (VND)
1 Euro = 25.000 Dong
1 USD = 20.000 Dong
50.000 Dong = 2 Euro = 3 USD
500.000 Dong = 20 Euro = 30 USD
1.000.000 Dong = 40 Euro = 60 USD

FUSO ORARIO :
Roma 0,00 Delhi India +4,30 Taiwan +7,00 Malaysia +7,00 Thailand +6,00 Vietnam +6,00

8 Gennaio sabato
Alzataccia, con + 2 gradi alle 5 di mattina. Ci imbarchiamo all’aeroporto di Bolzano con Air Alps per Roma. Decollo alle 6,45 e dopo un’ora e un quarto atterraggio a Fiumicino dopo un volo molto tranquillo, con il cielo coperto da un continuo manto di nuvole.
Troviamo una piacevole temperatura di + 13 gradi e prima colazione all’interno dell’aerostazione.
Prendiamo il Bus fino al centro di Roma e bella passeggiata fra Vaticano e Fori Imperiali.
In questi ultimi anni, abbiamo criticato spesso le nostre precedenti vacanze trascorse in Brasile e in Argentina. Paesi bellissimi, ma la nostra critica era rivolta al disagio incombente per il fatto di venire spesso ammoniti sulla pericolosità del viaggiare da soli in quanto la delinquenza spicciola era molto accentuata ed il pericolo di rapine ed aggressioni poteva essere alquanto reale
Bene. Io e Filomena abbiamo deciso che le nostre critiche non saranno più rivolte a Paesi Terzi come fatto precedentemente, ma ci occuperemo e faremo attenzione solo al nostro Bel Paese Italiano.

Perché di questo voltafaccia ? Perché nonostante io mi fossi considerato quasi sempre immune, perché più scaltro, da episodi di delinquenza corrente, questa volta ho abbassato la guardia e, da cretino, perché ho dato troppa fiducia al prossimo, in una metropolitana affollata fra il Colosseo e la Stazione Termini, mi sono fatto sfilare il portafoglio, accorgendomi dell’accaduto solo pochi secondi dopo, quando non c’era più il tempo di individuare e fermare il colpevole. Mi sono anche chiesto : Caro Vittorio, quand’anche tu fossi riuscito a conoscere quel testa di ca..ciucco che ti aveva sottratto il borsello, cosa avresti fatto per impedirgli di allontanarsi ? Una mossa alla Mazinga ? Beh, forse è stato meglio non avere visto nulla ed avere forse evitato una reazione inconsulta. Del resto al giorno d’oggi è più facile farla franca aggredendo qualcuno, che non esimersi dal pagare una multa per divieto di sosta.
Il risultato è che sono con qualche centinaio di Euri e Dollari in meno, senza Carta d’Identità, Patente, Tessera Sanitaria e privo anche di tre Carte di Credito.
Immediatamente iniziamo le procedure per bloccare la validità dei titoli di credito e denunziamo il fattaccio alla Polizia Ferroviaria.
A parziale consolazione, anzi con somma esultanza, o meglio, essendo ancora a Roma, con sommo gaudio, prendiamo atto che il mio passaporto, e la maggioranza del denaro contante li avevo depositati in un altro luogo. Ci troviamo, quindi, nonostante l’inconveniente, a poter continuare il viaggio programmato.
Siamo nella sala VIP dell’aeroporto di Fiumicino in attesa di imbarco che sarà ritardato di un’ora rispetto al programmato orario delle 22,40, causa nebbia allo scalo precedente di New Delhi.
Facciamo uno spuntino con tramezzini e un bicchiere di prosecchino. Poi ceneremo in volo, come al solito, a meno che l’abbiocco, che già ora ci assale, non sfoci poi in un immediato coricamento per una, si spera, buona notte.
Mentre prendo l’aperitivo do un’occhiata distratta ad alcuni giornali internazionali tra cui il “Bangkok Post”.
In seconda pagina è evidenziato un titolo : “Scoppiata una scatola di piselli in un supermercato. Risultato: 6 donne incinte.
Accanto a noi c’è una signora anzianotta di Pontassieve che è in attesa di partire per l’Argentina a trovare la cognata ed i nipoti. Soggiorno che si protrarrà per 3 mesi.
Saliamo per primi sull’aeromobile e Samanta, che poi ci verrà a salutare, ci ha riservato i primi due posti davanti.
Assieme al suo collega Andrea, tutti e due funzionari della Compagnia aerea China Airlines, ci raccomanda alle Hostess in servizio in questo settore ed una ci prende le ordinazioni per la cena, che serviranno tra poco, e per la colazione che porteranno prima dello scalo a Delhi.
Qui, in businnes, siamo in 4 persone con 26 poltrone vuote. In classe economy tutto completo. Noblesse oblige !!
Si decolla a mezzanotte precisa con un ritardo di 1 ora e 20 minuti.
Dopo 20 minuti viene servita la cena che inizia con prosciutto e melone.
Lo champagnino è per Filomena. Per Vittorio water, per ora.

9 Gennaio domenica
Sono le 5,30 ora di Roma e sono anche le ore di volo sin’ora.
Ci siamo svegliati con l’accensione di tutte le lampade dell’aereo.
Sono le 10,00 ora di Delhi, stiamo sorvolando l’Afganistan e subito dopo il Pakistan.
Passiamo accanto a Kabul e Islamabad. Buona visibilità e terreno montuoso e brullo.
Siamo ad un’altitudine di 11.283 metri, con una velocità reale di 1.083 Km/ora per effetto del vento in coda che spira a 280 Km/ora.
Colazione con caffè, frutta, yogurt, panini, burro, marmellata, frittatina con spiedini di carne.
Ora sono le 5,55 di Roma e fra circa un’ora atterreremo a Delhi.
Alle 6,20 cominciamo il sentiero di discesa. Sotto, un mare di nubi accecanti.
Il fuso orario dell’India, rispetto all’ora italiana, è di 4,30 ore avanti.
Landing a Delhi alle 7,00 ora italiana corrispondente alle 11,30 ora indiana.
In una poltrona nelle nostre vicinanze conosciamo una signora originaria di Taiwan.
Parla benissimo l’italiano e, sposata ad un italiano, fa la giornalista di moda.
Scendiamo a Delhi ove l’aeromobile effettua uno scalo tecnico e dopo una inutile gita guidata per il bellissimo aeroporto, ripassiamo la security e ci reimbarchiamo nuovamente con destinazione Taipei, Capitale della Repubblica di Cina sull’isola di Taiwan. Il suo precedente nome era isola di Formosa ed è situata nell’Oceano Pacifico, 120 Km. al largo della costa della Cina Popolare.
Mentre passiamo l’ennesimo controllo della security, due poliziotti indiani, di guardia al controllo passeggeri, stanno discorrendo sulla qualità del loro armamento.
Il più giovane chiede all’altro: “Saranno precisi questi fucili ?”
“Si, risponde quello più anziano, se tu premi il grilletto alle 8, quello alle 8 spara.”
Decollo da Delhi alle 9,05 ora di Roma, 13,35 ora di Delhi, 16,05 ora di Taiwan, bucando un leggero strato di nebbia. Ore di volo previste cinque e la rotta attraverserà il Nepal con verticale su Katmandu.
Varie turbolenze ci accompagnano mentre si sorseggia il caffè dopo un ottimo pranzo.
Una cinquantina di minuti prima dell’arrivo a Taipei, sorvoliamo Macao e Hong Kong.
Atterriamo alle 21,15 ora di Taiwan, dopo aver bucato nuvole basse.
Temperatura al suolo 12 gradi, con leggera pioggerellina.
Judy, la signora taiwanese di Roma ci precede alle formalità di sbarco e di dogana. Cambiamo Euro in dollari di Taiwan e ci accompagna fino al chiosco dei Taxi, ove spiega di accompagnarci in centro all’Hotel First (72,00 Euro a stanza, per notte).
Ci salutiamo con la promessa di ritrovarci in Italia.
In 40 minuti arriviamo in albergo e paghiamo, per la corsa, 1.200 Dollari di Taiwan pari a circa 30 Euro.
L’Hotel è centrale, di media categoria, con una camera molto spaziosa e due letti grandissimi.
A mezzanotte ci ritiriamo nel mondo dei sogni.

10 Gennaio lunedì
Ci svegliamo alle 7,30 ben riposati. Colazione discreta.
Continua a tratti una leggera pioggerellina con una temperatura di 10 gradi. Molta umidità. A piedi in 10 minuti arriviamo alla stazione della Metropolitana e dopo poche fermate siamo all’Expo dei Fiori, la “Flora Expo”.
Per la strada notiamo alcuni operai intenti alla ristrutturazione di un vecchio palazzo.
Stanno coibentando una nuova parete dell’edificio, posando pannelli di lana di vetro.
Saranno le pecore di Murano a produrla ??
Questo evento mondiale ha trasformato Taipei in una città piena di parchi e giardini in fiore. I 14 padiglioni, distribuiti in un’area di più di 90 ettari, ospitano mostre ed esposizioni floreali sulle scienze ambientali, eco-tecnologie e orticoltura. Sono raccolte quasi tutte le specie, anche le più rare, della flora esistente al mondo. Da non perdere.
Nel primo pomeriggio torniamo in Hotel per un doveroso riposino, poi verso le 16 riprendiamo il Metrò per andare verso il Taipei 101.
E’ per ora il secondo grattacielo più alto al mondo con i suoi 509 metri compresa l’antenna.
Il più alto, oggi, è il Burj Khalifa a Dubai, inaugurato nel gennaio 2010 con i suoi 800 metri.
Si chiama Taipei 101 per il numero dei suoi piani. Ha una forma a bambù con 8 moduli che s’innalzano da un basamento piramidale. E’ stato costruito fra il 2004 ed il 2007 e per controbilanciare le inclinazioni suscitate dai forti venti, che a quelle altezze possono raggiungere anche i 200 km/ora, e dai terremoti, è stata creata una struttura costituita da una sfera d’acciaio del diametro di m. 5,50 sostenuta da 8 pompe idrauliche. Già durante la sua costruzione, l’edificio ha resistito ad un terremoto di magnitudo 6.8 della scala Richter.
Terze per altezza sono le Petronas Twin Towers (Torri Gemelle) di Kuala Lumpur con 452 metri e che andremo a visitare fra qualche giorno.
Sulla classifica dei grattacieli c’è ancora oggi una diatriba che considererebbe più alto del Taipei 101 le Sears Tower di Chicago, ora chiamate Willis Tower (527 metri includendo le antenne televisive istallate successivamente). Ma in origine la sua altezza era di 443 metri.
Ci fermiamo a curiosare fra i tanti negozi. Bella merce ma cara forse più che in Italia.
Intanto il Taipei 101 è già illuminato e si vedono le nuvole danzare intorno alla sua cima.
C’è vicino un grande ristorante con tante vasche in vetrina, piene di pesci e crostacei e ce n’è una con dei pesciolini tropicali di dimensioni minime e di tutti i colori.
Tanti bambini sono incollati con il visino alla vasca a guardare quel quadro policromo.
Due pesciolini stanno discutendo ; “Ma secondo te, Dio esiste ?”
“Sicuramente” risponde l’altro, “altrimenti chi cambierebbe la nostra acqua tutti i giorni e farebbe cadere il mangime dal cielo ?”
Le prime impressioni sulla città di Taipei sono molto positive. E’ pulitissima e le zone della Metropolitana non hanno per terra neppure una cartina grande quanto un francobollo. I muri sono esenti da scritte o sconcezze varie, nonostante i pochi cestini rifiuti presenti. Tanta gente che gira ed al contrario dell’Italia, le stazioni del Metrò non sono un luogo di degrado sociale. E’ tutto molto lindo e festoso e gioioso. Di tetro qui ci sono solo io, Vittorio, al pensiero della Metropolitana di Roma, dove mi hanno sottratto tutti i documenti.
Filomena fa finta di niente, ma sicuramente anche a lei girano quelle che non ha.

11 Gennaio martedì
Notte quasi insonne.
Dormiamo dalle 22,00 alle 2,00, poi al pensiero del collegamento Skype, non riuscito qualche ora prima, vogliamo riprovare a sintonizzarci e stranamente con il nostro piccolo e maltrattato computerino riusciamo a collegarci con Bolzano, ove l’orario segna le 19,00. Parliamo per mezz’ora e dopo tentiamo di riaddormentarci.
Niente e alle 6,30 doccia per due e ci prepariamo per la colazione.
Un po’ più tardi arriva la guida, precedentemente prenotata ieri da Filomena, per un tour collettivo, in inglese, in città, ma ci anticipa che siamo solo noi due.
Visitiamo il molto discusso Mausoleo di Chang Chai Shek, riaperto da poco e ove assistiamo al suggestivo cambio della guardia, ed alcuni templi cinesi. Molti turisti ma nessun occidentale. La guida ci dice che Taiwan è piena di visitatori cinesi della Cina Popolare.
Verso mezzogiorno, terminiamo il tour guidato e giriamo per conto nostro senza precise indicazioni, scoprendo per caso un grande tempio, bellissimo, chiamato Longshan e dove assistiamo ad una cerimonia molto toccante, con tantissimi fedeli a cantare e pregare.
La nostra presenza non li disturba minimamente ed anzi tutti ci accolgono con simpatia.
Il tempio di Longshan è il più celebre di tutta la Capitale e vi convivono buddismo e taoismo.
Qui si recano in massa gli abitanti di Taiwan per pregare e bruciare l’incenso.
E’ situato all’interno dell’antico quartiere di Wanhua, nella zona più vecchia di Taipei, dove si snoda Huaxi, la via dei serpenti, ove un tempo, ma anche adesso, lo stiamo appurando, i ristoranti servono prelibatezze a base di carne di serpente.
Il tempio è sempre rinato dalle sue ceneri, dopo le numerose volte che è stato distrutto dai terremoti. L’ultimo danneggiamento lo ha subito nel 1945 quando è stato abbattuto dai bombardamenti.
Attualmente il nome Taiwan, la ex isola Formosa, Isola Bella, nome dato dai portoghesi, viene generalmente usato come sinonimo di Repubblica di Cina, mentre il nome Cina indica solitamente la Repubblica Popolare Cinese, che controlla la Cina continentale, Hong Kong e Macao.
La nascita della Repubblica di Cina risale al 1945, quando si è staccata dall’impero centrale.
Chang Kai-Shek nel 1928 era stato nominato il “Generalissimo” di tutte le forze cinesi e Presidente del Governo Nazionale.
Considerato il padre della nuova patria, auspicava la nascita di uno stato capitalista, in dissenso con il suo acerrimo nemico Mao Zetung contro il quale ha combattuto qualche decennio, tentò di sradicare i “comunisti cinesi”, ma alla fine fallì, costringendo il suo governo a ritirarsi a Taiwan dove funse da Presidente della Repubblica della Cina per il resto della sua vita che cessò nel 1975.
Nel 1949 Mao Zetung proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese ed ancora oggi i rapporti non sono proprio idilliaci fra le due Cina
Abbiamo buoni motivi per credere che qui a Taipei gli unici non del ceppo mongolide siamo noi, Vittorio e Filomena.
Non si vedono in giro altri “ariani” e spesso, per strada o in metrò, ci fermano, ci chiedono, prima, da che caspita di paese proveniamo, e dopo se possono esserci utili.
Brava gente.
Con la Metropolitana arriviamo fino a nord di Taipei, in una città chiamata Beitou, sede di un interessante Museo delle Sorgenti Termali, piena di sorgenti di acqua calda, che però non riusciamo a visitare per il tardo orario.
Facciamo diverse soste intermedie per passeggiare nei vari mercati notturni, pittoreschi e divertenti. Purtroppo non smette una noiosa pioggerellina ed allora troviamo un ristorantino modesto ma pulito e con la proprietaria premurosa, che ci consiglia dei piatti tradizionali e saporiti.
Sono le ore 20,00 e chiedo consiglio alla segretaria dell’Hotel, su come collegarci in Italia con Skype, considerate le nostre difficoltà di ieri sera.
Riusciamo a collegarci con Bolzano e per un’ora raccontiamo ai nostri ragazzi come abbiamo trascorso la giornata.
Dopo, a letto, sperando stavolta di dormire più di ieri.

12 Gennaio mercoledì
Ci svegliamo sul tardino per i nostri standard. Sono le 9,00 e dopo colazione sistemiamo le valigie.
Pioviggina ancora e velocemente ci avviamo verso la vicina stazione del Metrò. Ci sono 10 linee e raggiungiamo in pochi minuti le prossimità del Taipei 101 per qualche fotografia e cine ripresa frettolosa.
In breve tempo ritorniamo in albergo, veloce check-out e taxi fino all’aeroporto.
Il taxista è molto servizievole e simpatico. E’ amante della musica classica che ci fa ascoltare durante il viaggio. Ci accordiamo per un prezzo di 1.200 Dollari Taiwanesi, 26,00 Euro (cifra equa) e questo gli abbiamo pagato. All’arrivo nell’aerostazione ci prende anche il carrello per i bagagli e non ci chiede, né si aspetta la mancia, che infatti non gli diamo, per non metterlo in imbarazzo.
Il terminal aeroportuale è affollato, ordinato e pulitissimo. Facciamo velocemente il check-in e dopo aver mangiato due spaghettini al “sea food”, ci rechiamo all’imbarco con l’Air Asia.
C’è in tutto un ordine incredibile. Nessuno che spinga o che voglia anticipare l’entrata.
Fa impressione la calma e tranquillità sconosciuta da noi in Italia.
Saliamo in aereo e troviamo rapidamente le nostre comodissime poltrone, in classe “premium” che si aprono spiegandosi a 180 gradi. Personale di bordo cortese ed hostess molto carine.
L’Air Asia è una compagnia aerea low cost della Malaysia, con base in Kuala Lumpur.
Opera con voli di linea interni e internazionali in Asia, con gli operativi aerei pitturati di un vivace colore rosso.
Hanno il personale molto ridotto, ma efficiente e preparato. Il check-in lo predispongono le stesse 4 hostess che al termine della presentazione dei titoli, guidano le operazione di imbarco. In successione controllano e aiutano la sistemazione dei passeggeri ai loro posti predestinati, chiudono i “boccaporti”, declamano le norme da seguire nel rispetto delle varie sicurezze in volo, e dopo il decollo, alle ore 16,20 ora di Taipei, passano con il carrello dei rifornimenti che non sono gratuiti, ma i cui costi sono molto contenuti. Mi sono accorto poco dopo, che un paio di esse si sono sedute ai comandi dell’aereo e che lo stanno pilotando con perizia.
Quest’ultima cronaca mi farebbe piacere fosse reale, ma per lecito sospetto ritiro la denunzia.
La rotta passa sulla verticale di Hong Kong, attraversa il Mar Cinese, passando sopra Saigon fino a raggiungere Kuala Lumpur.
Sotto di noi un mare di nubi.
Durante il lungo volo abbiamo tempo di riflettere su alcuni aspetti comportamentali, differenti nel nostro Bel Paese.
La nostra domanda è : “Quanti dei nostri politici o amministratori, quanti dei nostri magnifici manager o dei rampanti direttori e funzionari d’azienda, hanno girato il mondo, transitando per aeroporti, o metropolitane, o stazioni ferroviarie o di autobus?”
Probabilmente parecchi, ma secondo noi non hanno imparato nulla.
Sapete perché i sotterranei dei metrò di Taipei sono così lindi e puliti ?
Primo, perché i Taipeotti hanno capito che il progresso inizia con la conservazione del proprio bene. Secondo, perché quando tre giovani leoni, reduci dalla stadio marino, dove avevano assistito ai campionati nazionali di nuoto pinnato eseguito dai calamari addomesticati, di ritorno un po’ alticci alle loro residenze, quando avevano imbrattato i muri della stazione del metrò con le frasi “abbasso il calamaro Ribot” e “Vogliamo la liberalizzazione delle anguille cornute e gay”, sono stati immediatamente intercettati.
Invece di invitarli in prima serata alla trasmissione televisiva “Anno Zero Tollerance” anche per giustificare il loro adeguato comportamento di protesta all’allontanamento forzato dallo Stadio, dopo che avevano incendiato le poltroncine in cenno di giubilo per il record conquistato nella gara dei 12 metri stile asservito, sono stati proditoriamente portati per tre giorni ad imbiancare l’acquario di Beitou ad una ventina di kilometri dalla Capitale.
Affinchè il lavoro riuscisse più accurato hanno legato loro i testicoli a corto con le mani agitanti le pennellesse, e costretti a nutrirsi di ostriche e cannolicchi imputriditi, però con tanto succo di limone.
Solo allora hanno compreso quanto di buono c’è nel comportarsi correttamente.
E sapete cosa è capitato, quando sono stati sorpresi due studenti dell’Istituto Artigianale per la produzione di Coppole di Minchia di Taiwan, che davanti alla loro Scuola, dopo aver convulsamente aspirato con continue “ghebe”, l’ultimo mozzicone delle due cicche, l’avevano con noncuranza lanciate a terra, prima di rientrare nelle loro aule, per continuare le lezioni, facendo a gara chi di loro riusciva, con lo schioccare del pollice e dell’indice, a farle cadere più lontano ?
Costoro sono stati portati per 3 ore nella sala fumatori dell’aeroporto di Thao Yuan e, dopo aver escluso il condotto dell’aspiratore, sono stati invitati con la forza a nutrirsi e respirare tutta la nebbia provocata dai tabagisti che avevano in precedenza frequentata la sala.
Ci hanno informato che non solo hanno smesso di gettare per terra quanto rimaneva dopo aver fumato quasi tutta la sigaretta, ma hanno anche immediatamente chiuso con questa pratica dannosa per tutti.
In Italia li avrebbero, forse, ma solo forse, ammoniti, con un debole sorriso, ma poi sarebbero stati sicuramente invitati alla conferenza di Pannella, contro il divieto di vietare l’insudiciamento del suolo pubblico, dove si protestava astenendosi dal bere e dal nutrirsi, ma aspirando, come pesciolini rossi boccheggianti, stecche di “Camel senza filtro”.
Atterriamo a Kuala Lumpur alle ore 20,45 ora di Taipei e della Capitale della Malaysia, quindi dopo 4 ore e 25 minuti di volo.
Taxi prepagato con 1.300 Ringitt, circa 33 Euro fino al nostro Renaissance Hotel, (82,00 Euro a stanza per notte) grande, bello, centrale, della catena del Marriott. Anche troppo lussuoso, a 200 metri dalle Torri Petronas.
Arriviamo alle 22,00 e tutte le cucine dei tre ristoranti interni sono chiuse.
Usciamo e vicino alle Petronas, illuminate ed imponenti, c’è una specie di Pub ristorante per giovani, dove vengono anche accettati saltuariamente degli anzianotti come noi.
Scelta di varie cucine e la nostra scuola di pensiero si rivolge al riso con calamari, ma non quelli atletici di Taipei.
Buoni, ci accontentiamo. Alle 23,30 siamo a nanna.

13 Gennaio giovedì
Ci svegliamo alle 9,00 e vediamo subito che fuori c’è un po’ di sole.
Colazione, con il sistema “intelligente” del buffet, poi subito alle Petronas per una visita, foto e riprese con telecamera.
Le Petronas Towers, Torri Petronas, sono state completate nel 1998 e attraggono milioni di visitatori ogni anno.
E’ consentito salire solo fino al 41° piano e precisamente fino allo Skybridge che collega le due torri.
In totale sono composte da 88 piani e si elevano per 452 metri.
Nei piani più alti si trovano gli uffici della Società Petrolifera Petronas.
In questo periodo stanno eseguendo dei lavori e le visite sono impedite.
Siamo tutti e due strasudati. 32 gradi con molta umidità, ma si stà proprio bene.
Decidiamo di raggiungere la Moschea di Masjid Jamek, la più bella della città, con la Metropolitana, ma quando, accaldati, scendiamo nei sotterranei con la scala mobile, ci accoglie una temperatura da ghiacciaia e velocemente risaliamo per prendere lo Sky Train di superficie.
Un’ora di piscina con il sole che non è ancora coperto dalle nuvole che si avvicinano.
Pranzo al solito Pub, con riso e pollo (Nasigoren), acqua in bottiglia sigillata, costo l’equivalente circa di 1,50 Euro per uno.
Mentre ci concediamo un comodo riposino in Hotel, grande acquazzone che si protrae per tutto il pomeriggio, durante il quale giriamo per Kuala Lumpur con la Monorotaia di superficie.
Riusciamo finalmente a vedere da vicino la Moschea di Masjid Jamek con le cupole e minareti rosa e beige.
Arriviamo in un centro attrezzato per Turismo, con a disposizione cartine panoramiche e stradali, nonché Internet e Wireless. Parliamo così una ventina di minuti con Bolzano, fino a ritornare a sera verso le Petronas illuminate e spettacolose.
Di nuovo al solito Pub dove con il riso bianco e pesce al curry spendiamo l’equivalente di 2 Euro a testa.
Ci ritiriamo alle 21,00 in previsione dell’alzataccia di domattina. La sveglia sarà alle 3,30 per muoverci alle 4.00 alla volta dell’aeroporto, dove è previsto il volo per Hanoi alle ore 6,30



14 Gennaio venerdì
Non si può chiamare alzataccia, perché non ci siamo neppure addormentati.
Abbiamo aspettato le 3 e mezzo, imparando a memoria i programmi televisivi della Malaysia.
Piove ancora, ma fa caldo e l’autista prenotato ci carica i bagagli, dopo che il cuoco ci ha fornito il cestino con le due colazioni da asporto.
Un’ora per arrivare al Sepang Airport, vicinissimo al circuito delle gare di Formula 1.
L’aeroporto alle 5 del mattino è già un brulicare di passeggeri. Sono in pieno fermento ma ordinati. E’ affollato più che Fiumicino a mezzogiorno.
Velocissimo check-in ed imbarco sempre con l’Air Asia. Volo con piccole diverse turbolenze ed arrivo ad Hanoi nel Viet Nam del Nord in 2 ore e 50 minuti.
Ci aspetta l’omino della Compagnia di Taxi con il cartello del nostro nome e in altri 50 minuti arriviamo nel nostro albergo nella città vecchia di Hanoi, il “Maison d’Hanoi” (70,00 Euro a stanza per notte).
Centrale, nella parte più pittoresca, fra centinaia di botteghe e mercati. Hotel d’epoca, ma pulito, efficiente e con tutti i confort. A mezzogiorno pranziamo nel suo ristorante, molto carino, con buon assortimento di piatti e con relativamente pochi Dong.
Alle 14,00 arrivano le due studentesse dell’”Hanoi Kids”che avevamo contattato e prenotato circa due mesi fa.
L’Hanoi Kids è una organizzazione, credo governativa, no profit, con lo scopo di accompagnare i turisti nei luoghi più rappresentativi della Capitale del Viet Nam, sia culturali che politicizzati. Sono gli studenti dell’Università di Hanoi che, gratuitamente, ci tengono a precisare, si mettono a disposizione del turista per meglio illustrare i posti più famosi della città. Lo scopo dichiarato è quello di non distorcere le prime impressioni ed avere la possibilità di raffinare la lingua inglese.
Con Filomena, più o meno sono pari grado, ma con me, è più facile che imparino l’italiano, o meglio le parolacce italiane, che hanno acchiappato subito.
Visitiamo il Tempio della Letteratura (la prima Università Vietnamita) e le vecchie prigioni della Francia Coloniale. Sempre molto rabbrividenti come la visita di tutti i luoghi di tortura. Chissà perché, ma questi siti, pur cambiando bandiera, sono sempre identici fra loro e ciascuno ripudia quello degli altri. Questo è ciò che abbiamo constatato vedendo le varie altre prigioni a Saigon, Phnom Phen in Cambogia o il Castello del Buon Consiglio a Trento.
Cosa scommettiamo che c’è un’equivalenza anche con quelle in Russia, Argentina, Iran o Guantanamo a Cuba o le camere di punizione naziste?
Una bella passeggiata lungo il laghetto della città vecchia ci fa ritornare il buonumore perso poc’anzi.
Seduto su una panchina fronte lago, ove coppiette discorrono sui progetti del loro avvenire e dove gruppi di anziani parlano del loro tribolato passato politico, notiamo un bimbetto sui 7 – 8 anni mal vestito e poco nutrito.
Sta giocando a scacchi con un piccolo cane Terrier e non crediamo ai nostri occhi.
Mi avvicino a guardarli mentre giocano o fanno finta di giocare, ma d’un tratto il canino fa “scacco matto”.
“Lo sai che hai davvero un cane intelligente ?” dico al bambino.
“Non tanto” mi risponde, “questa è la prima volta che mi vince”.
Salutiamo, per oggi, le due studentesse i cui nomi si pronunziano “ Niù e Tu” e troviamo il ristorante di pesce consigliato dalle due ragazze.
Alle 9,00 siamo già nel sonno.

15 Gennaio sabato
Dieci ore consecutive di sonno ci rimettono a piombo. Il tempo di finire la colazione e arrivano nuovamente le due bambine.
Carine, gentili, disponibili e preparate. Siamo come i loro nonni, ci hanno detto. Pensate che soddisfazione.
Ci portano al Mausoleo di Ho Chi Minh e dopo un po’ in giro per mercati fino a pranzare assieme in un locale caratteristico.
Nel Mausoleo di Ho Chi Minh c’è la vera essenza dell’apologia del culto della personalità.
E’ il Monumento funebre più importante di tutto il Viet Nam ed è dedicato al leader vietnamita.
Si trova al centro della piazza ove “lo Zio Ho” lesse la dichiarazione di indipendenza che diede inizio alla Repubblica Democratica del Viet Nam nel 1945.
La struttura, terminata nel 1975, dopo 6 anni dalla sua morte e nello stesso anno della vittoria del Nord contro il Viet Nam del Sud, è ispirata al Mausoleo di Lenin a Mosca.
Nel suo testamento, Ho Chi Minh scelse di essere cremato, tuttavia il suo successore non rispettò questa volontà, costruendo il Mausoleo e imbalsamando la salma.
E’ permesso fotografare solo all’esterno e vengono requisite le camere per foto e riprese. Io e Filomena, pur di controvoglia, ci mettiamo in fila e lentamente raggiungiamo la sala centrale dove il corpo si trova rinchiuso dentro una bara di vetro, ammirato e venerato come un Dio,
La salma sembra di cera color cinerino e tutto dà una sensazione surreale, con tutte le regole da seguire per la visita.
Ancor oggi impera l’ideologia comunista e l’atmosfera è solenne, rispettosa, ordinata e deferente, durante tutto il percorso obbligato.
Il luogo è frequentato soprattutto da Vietnamiti che vengono qui in un vero e proprio pellegrinaggio. Anche la Scuola, del resto, e ce lo confermano le due studentesse che ci guidano, continua a enfatizzare le gesta del “Presidente”, le sue imprese ed i suoi successi.
Secondo me hanno anche ragione. Hanno vinto loro e chi perde non “cogliona”.
Hanoi, con i suoi più di 3 milioni di abitanti, è la Capitale dello Stato del Vietnam.
Fu occupata dai francesi nel 1873 e divenne Capitale dell’Indocina francese nel 1902.
Nel 1940 venne occupata dai giapponesi e liberata dagli Alleati nel 1945 quando Ho Chi Minh, leader del Movimento Indipendentista “Viet Minh” proclamò ufficialmente l’indipendenza della Repubblica Democratica del Viet Nam.
Fu rioccupata dai colonialisti francesi nel 1946 e venne liberata definitivamente nel 1954 con la battaglia di Dien Bien Phu, ove il vietnamita Generale Giap sconfisse il corpo di spedizione francese.
In questa data divenne la Capitale del Viet Nam del Nord in antitesi con Saigon, Capitale del Viet Nam del Sud.
Il confine fra i due Stati fu concordato al 17° parallelo fino al 1975, anno della Riunificazione con la vittoria di Hanoi.
La città sorge sulla destra del Fiume Rosso ed è una miscela di oriente e occidente, con influenze cinesi e francesi, risalenti al periodo coloniale.
La Baia di Halong, una delle maggiori attrazioni turistiche del Viet Nam e Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, si trova a 200 Kilometri a nord-est di Hanoi.
Le ragazze ci riaccompagnano in Hotel dove ci salutiamo con molta commozione e lasciamo loro un piccolo ricordo in segno di gratitudine per il servizio reso.
Oggi la temperatura è quasi primaverile con un leggero soleggiamento. Il soprabito è comunque necessario a Hanoi.
Ancora in giro per la città vecchia fino all’ora di cena. E’ rimasto molto dell’impronta francese in città, sia nell’architettura degli edifici che in alcune abitudini culinarie. E infatti in tutte le strade ci sono venditrici di appetitosi panini e baghette ammucchiati dentro grosse ceste. Il fronte delle case è molto stretto e gli edifici si sviluppano sul retro. Ciò perché già nel 1700 era in vigore la norma di far pagare la tassa comunale di veduta sulla via pubblica in base alla misura del fronte strada della casa.
Ceniamo molto bene in un vicino e non carissimo ristorante francese, ove finalmente mangiamo una bella insalatona condita con olio e aceto.
Prima di dormire la solita mezz’ora di collegamento Skype con Bolzano.
Hanoi, come anche Saigon, o forse come tutto il Viet Nam, ha un traffico pauroso, nel senso di volume, non di velocità.
I motorini sono infiniti, ogni tanto qualche macchina e taxi. Poche le biciclette, ma i motorini sono davvero tanti. Si insinuano e scorrono dovunque. Al semaforo, rispettano sempre il verde, ma il rosso solo una volta su quattro. Anche le zebre non vengono rispettate per la loro funzione sociale, così come dove camminano i pedoni.
I motorini vengono parcheggiati dovunque. Quando è esaurito il posto sulla strada accanto ai marciapiedi, vengono posteggiati dove passano i viandanti, ma non in senso parallelo, ma perpendicolare alla direzione di marcia, cosicchè il transito è ostruito da decine di motorette e occorre scendere in strada per proseguire e dove il il fiume della corrente motoristica continua a defluire.
C’è da dire, però, che le velocità sono molto basse e sono i guidatori stessi che riescono a schivare lentamente i pedoni
E per attraversare la strada, dal momento che il rispetto dei semafori e dei passaggi pedonali sono un optional, bisogna farlo lentamente, senza fermarsi e senza scatti, nel mezzo del flusso continuo. Ci pensano i guidatori dei motorini, biciclette e macchine a scansarti.

16 Gennaio domenica
Stanotte ho sognato i marciapiedi.
Qui, ad Hanoi vecchia, ho capito che non sono un passaggio per i pedoni.
Sono esclusivamente e rispettivamente un parcheggio per motorini, bici e quant’altro a due o tre ruote. Se per caso avanza ancora posto, lo spazio residuo viene occupato per la colazione o il pranzo o la cena, oltre alle merende e a qualche spuntino frammezzo.
Per i pedoni, no. Non c’è posto, non c’è spazio, sono degli intrusi e sono guardati male quando si districano fra commensali e ciclomotori. I pedoni non hanno diritto di esistere, essi dovrebbero scomparire per riapparire sotto altre vesti, con casco, mascherina, imbottitura e ditino perennemente pigiato sul bottone del clacson.
Questo normalmente.
Quando invece su alcune strade si affacciano delle botteghe artigianali, tipo fabbri, falegnami, lattonieri, idraulici, il marciapiede diventa un laboratorio laborioso e cantilenante con i vari rumori rimbombanti diverse gradazioni di suoni.
E finalmente, qui, anche ai motorini è impedito il passo.
Trascorriamo la mattinata raggiungendo a piedi il piccolo lago e percorrendo l’itinerario suggerito dalla “Lonely” lungo le strette vie della Old Hanoi.
Poi troviamo un buon ristorante sedicente “italiano” e in effetti alcuni piatti assomigliano molto ai nostri. Tutto sommato scelta positiva.
Passeggiamo nel pomeriggio fino a sera. Cena con pesce all’italiana e a letto presto.

17 Gennaio lunedì
Ci svegliano alle 5,30 e i nostri bagagli sono già pronti da ieri sera.
Scendiamo alle 6 per la colazione e alle 6,30 arriva il taxi prenotato alla Noi Bai Taxi per accompagnarci all’aeroporto.
E’ della stessa Compagnia che all’andata ci ha ricevuto con un cartello con i nostri nomi per portarci in albergo.
Li abbiamo contattati l’altro ieri per telefono e come l’altra volta, anche oggi sono puntualissimi.
In 45 minuti il taxi ci scarica nell’aerostazione, ci mette i bagagli sul trolley, paghiamo 16 Dollari (compresa una generosa mancia perché gli toccavano 12) e tutti e tre contenti ci salutiamo.
Veloce check-in e altrettanto veloce transito nella sala imbarchi.
Decollo in orario con la Vietnam Airlines e dopo 1 ora e 40 minuti di volo, atterriamo a Saigon. Al chiosco dei taxi una impiegata ci accompagna alla macchina. Un prepagato di 8 USD per accompagnarci sulla riva del fiume Saigon all’imbarcadero dell’Hydrofoil per Vung Tau.
Passaggio veloce con il Ferry per 10 USD a testa lungo i canali e arriviamo al porticciolo dopo un’ora e mezzo. Qui pranziamo, fa già molto caldo e troviamo un taxi per percorrere i 70 Kilometri che ci separano dall’ Ho Tram Beach Resort (62,00 Euro a stanza per notte).
Un’ora di viaggio e 30 USD di spesa.
L’Hotel – Villaggio è molto bello, comodo, fronte mare, con due piscine di cui una con acqua di mare. C’è tutto, ma manca la libertà di scegliere e decidere di andare in giro per conto nostro. Intorno c’è poco e quel poco non viene consigliato dallo Staff alberghiero. Non ci sono strutture per occidentali e i villaggi sono abbastanza lontani. Niente noleggio di motorini o di biciclette, solo passaggi e gite organizzate e quindi intruppati. Non buono per noi, abituati a girare per conto nostro, ma ci consoleremo con riposo, passeggiate, sole e piscina.

18 Gennaio martedì
Nottata abbastanza tranquilla nonostante la forte tosse e raffreddore, presi sicuramente a Kuala Lumpur in metropolitana, per la ghiacciata con l’aria condizionata quando eravamo molto sudati.
Mattinata dedicata alla scoperta della struttura del villaggio di Ho Tram Beach, peraltro molto bella e ottimamente curata.
Per le nostre abitudini, però, è troppo isolata con l’impossibilità di raggiungere facilmente i paesi o agglomerati vicini. C’è l’opportunità di prenotare un taxi, ma ad un prezzo esagerato per farsi portare a 5 o 6 kilometri dove c’è un villaggio con vari empori e mercati, ma nessun ristorante o bar, o caffè, di tipo occidentale. La vettura, con autista, poiché un non vietnamita non può noleggiarla e guidarla, viene a costare 70 USD.
Anche le escursioni si limitano ad una sola. Portano alle Terme, ad una decina di kilometri da qui, ti fanno fare il pediluvio nell’acqua calda, un massaggino alle spalle e ti fanno assistere ad uno, già conosciuto e deprimente, spettacolino con i coccodrilli.
Durata 3 ore, secondo me perse, e persi di conseguenza anche i 25 USD del costo.
No, non è per noi.
Quello che disturba di più, ma ripeto che la struttura ed il luogo è ottimo, è l’impossibilità di poter scegliere, valutare, provare, qualche cosa di diverso che non sia la solita cucina del villaggio, il solito piccolo bazar dello shopping con solo souvenirs nel padiglione centrale, o la scoperta di posti nuovi o l’assistere alla loro curiosa e laboriosa lavorazione dei campi. Anche il più semplice dei bisogni, come l’acquisto di fazzolettini di carta usa e getta od anche solo oggetti primari di spicciola “sopravvivenza” non è possibile soddisfarlo.
Nelle vicinanze non ci sono nè strutture collaterali al turismo, né sale ricettive per la ristorazione, né negozi, né lavanderie, né noleggiatori di mezzi spiccioli tipo motorini o biciclette.
La colazione, compresa nel soggiorno, è molto buona e ben fornita, ma il pranzo e la cena hanno pietanze fisse a prezzi prefissati dai gestori, senza poter cambiare, provare qualche cosa di diverso o scegliere quello che ci pare.
E’ un chiaro segnale di approfittamento e sfruttamento del turismo. Il turista arriva, paga quello che gli chiedono, non tira sul prezzo come loro sono abituati a fare, non li sfrutta e non percepisce alcun profitto sul loro lavoro, anzi.
Ma ha diritto ad avere quei servizi essenziali per rendere il suo soggiorno piacevole e rilassante, e meglio ancora se a fronte di questo benessere il turista si trasforma in veicolo pubblicitario positivo.
E’ da pochi anni che il Viet Nam ha aperto le porte al Turismo, con la T maiuscola, ma ne hanno tanta di strada ancora da percorrere per raggiungere i livelli di paesi asiatici più evoluti. E l’impronta comunista è tangibile, non possiamo negarla o fare finta che non sia vero. Fa parte della cultura di questa componente politica, che può fare o meno piacere, che può essere approvata o no, che può forse anche essere giusta, ma che comunque deve essere pronta anche alla critica.
Chiesi un giorno a Taorgo, un mio vecchio amico ex Sindaco di un paesino della Toscana, studioso ed amante delle opere di Platone, autodidatta e comunista vecchia maniera, ora parzialmente pentito, ex perseguitato politico assieme ad alcuni miei parenti nel ventennio fascista, ecco, gli chiesi se sapeva in pochissime parole darmi una definizione sulla differenza fra Capitalismo e Comunismo. Prima ancora della sua risposta, gliela diedi io: “ Il Capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il Comunismo è il contrario”.
Sarà ancora lì a valutare quanto sono coglione.
Solitamente, alla periferia, ma nelle vicinanze di tutte le strutture turistiche dell’Universo Mondo, nascono come funghi altri piccoli insediamenti senza troppe pretese, come botteghe commerciali ove confrontarsi, fraternizzare con il popolino, trattare gli acquisti e anche mangiare alla maniera autoctona, se uno lo desiderasse.
Qui no, nulla di ciò è possibile.
Ieri pomeriggio, al nostro arrivo, dopo le dovute registrazioni, abbiamo richiesto indietro i nostri passaporti. Ce l’hanno negati accampando la scusa del controllo di polizia. Abbiamo insistito chiedendo loro come ci saremmo dovuto comportare se, passeggiando lungo la spiaggia in prossimità del villaggio dei pescatori a circa 4 kilometri di distanza, ci avesse fermato una pattuglia della gendarmeria locale.
La risposta ricevuta ci consigliava di non muoverci dal Ho Tram Beach Resort.
Ecco. Esatto !! E’ esattamente quello che vorreste.
Ma dopo quattro complimenti e la manifesta intenzione di recensire in tal modo l’Hotel, i passaporti ce li hanno dovuto consegnare.
Però in definitiva si stà bene. C’è sole, caldo, piscina, mare. Ed è quello che cerchiamo, anche polemizzando un pochino, per non perdere l’abitudine.

19 Gennaio mercoledì
La tosse ed il raffreddore non sono migliorati.
Dopo colazione, consumata nella nostra gabbia dorata, andiamo nella struttura centrale, per aprire la posta in Internet.
La “capataz” Pubbliche Relazioni, Lin, carina, dolce e molto disponibile e dispiaciuta per le nostre, anche se timide rimostranze, ci avvisa che fra un quarto d’ora un mini bus del Resort ci porterebbe al market del villaggio vicino.
Acchiappiamo subito l’occasione e aderiamo. Per inciso, sottolineo che da nessuna parte è pubblicizzato questo servizio, che oltretutto è gratuito.
Siamo in sei persone e ci lasciano in un villaggio abbastanza grandino a 4 kilometri da qui, dove c’è un grande mercato con tutto quello di cui hanno bisogno gli indigeni e riusciamo anche a trovare una specie di Farmacia dove ci prescrivono delle compresse per la tosse e dove acquistiamo anche una confezione industriale di fazzolettini per la gestione del nostro raffreddamento.
La tosse se passerà non lo so ancora, comunque le mie emorroidi stanno meglio.
Un’ora di girellamenti per il market, molto grande e ben fornito, e gli unici occidentali siamo noi. La gente ci guarda incuriosita e sorridente. Alcuni ci pigliano anche pel culo, secondo me.
Nessuno conosce una parola d’inglese o di una lingua occidentale.
Ritorniamo per il bagno nella piscina con acqua di mare e conversiamo con una coppia di Firenze che già quattro anni or sono avevano adottato due fratellini vietnamiti che ora hanno 10 e 12anni. Ora sono venuti assieme ai due ragazzi a prendere anche la loro sorellina di 7 anni. I due ragazzi ormai parlano bene il “fiorentino”, vanno a scuola in Italia, ma la bambina parla solamente il dialetto degli altopiani del nord, ove è nata e vissuta fino all’altro ieri. E’ tutta emozionata. Non ha mai visto il mare, né un albergo con piscina. Tanto meno è mai salita su un aereo. Però in acqua si diverte e già nuota come un pesce.
Riposo anche oggi e ci sembra di stare meglio con i nostri malanni fisici.
Abbiamo notato che nei mercati per residenti, su ogni prodotto c’è indicato il prezzo. Dove invece c’è il turismo itinerante, nessuna etichetta dimostra il valore commerciale di vendita, per cui è più facile mungere per benino il ricco uomo bianco. La trattativa che si instaura, per quanto male che vada per il venditore, sarà sempre superiore al vero prezzo di mercato. Se poi costui ci saprà fare, l’acquirente sarà preso per sfinimento e avrà pagata la merce anche molto più del doppio. E’ un meccanismo amorale, per me, ma noi italiani dovremmo brontolare per ultimi. Siamo anche noi pronti ad approfittare dello straniero ed anche quando i prezzi sono fissi, “il cartello” dei chioschi in centro a Roma, fa pagare una bottiglia da ½ litro di acqua minerale, 2 Euro, esattamente il doppio di quello che costa comprandola in qualsiasi bar.
A parziale consolazione delle nostre magagne di salute, notiamo che quasi tutti gli occidentali hanno la tosse, colpa dell’aria condizionata che anche qui come in tutto l’oriente è divenuta uno “status simbol”
Pomeriggio in piscina e poi camminata sulla spiaggia.
Giochiamo anche a biliardo, a boccette. Ho disintegrato Filomena.
Ceniamo prestino verso le 19,00. Non si ha nient’altro da fare.

20 Gennaio giovedì
Continua la tosse mentre il raffreddore migliora.
Mattinata di assoluto riposo in piscina ed anche nel pomeriggio relax e passeggiate sulla lunga, ampia e deserta spiaggia.
Cena con i fiorentini / vietnamiti e a letto presto come al solito.

21 Gennaio venerdì
Ultima mattinata in piscina all’ Ho Tram Beach Resort assieme ai fiorentini ed a mezzogiorno lasciamo la stanza per il check-out. E’ già pronta la macchina che ci accompagnerà a Saigon e facciamo tanti complimenti a LIN la capa PR del villaggio, che ci continua ad assistere per fornirci un trasferimento diretto in albergo a Ho Chi Minh City, la ex Saigon.
Ci salutiamo calorosamente con i fiorentini Stefano e Carlotta, assieme ai loro figli Pietro e Giulio e con la nuova figlia Kuyel (per il momento), poi forse sarà ribattezzata Teresa.
Ho sempre pensato: “Quale sarà il nome più bello per una ragazza ?”
Mi sono risposto : “ IKEA !! E’ svedese, costa poco, te la porti subito a casa e te la monti in 5 minuti.”
Tre ore e mezzo per arrivare a Saigon e non appena giunti in periferia, traffico pauroso con numerosi ingorghi. L’autista, con una piccola aggiunta di prezzo, ci lascia direttamente al bello e comodo Hotel Liberty Central (78,00 Euro a stanza per notte).
Come dice il suo nome è dislocato in zona centralissima a pochi passi dal grande e famoso mercato Ben Than. Tutta la zona è piena di banchi, banchetti e ristorantini. Città molto più vivace e dinamica di Hanoi, altra mentalità culturale.
Capitiamo anche nel ristorante “ Pho 24” specializzato in zuppe caratteristiche con tagliolini, Pho, appunto, ma si pronunzia “Fo”.
Nel pomeriggio una prima scodella, tanto per riscaldarci. Ma fuori la temperatura segna 30 gradi. Poi più tardi ci ritorniamo per il bis, con l’aggiunta di un piattone di involtini primavera. Così anche oggi “minestrina”.
Quando usciamo dal locale, vediamo che attorno alla grande costruzione che accoglie il mercato coperto, sono sorti in mezz’ora, una ventina di ristoranti all’aperto, con tavoli, sedie, cucine, insegne luminose. Prima non c’erano e sono stati istallati velocemente con apposite strutture, all’imbrunire, quando il mercato ha chiuso.
Traffico e gente dappertutto.
A letto presto a riposarsi con la TV. Anche domani ci s’alzerà prestino per volare su Bangkok e di seguito su Phuket.

22 Gennaio sabato
Ci danno la sveglia alle 6 e poco dopo lasciamo i bagagli nella hall. Dopo la colazione un taxi prenotato il giorno prima, per 10 USD ci scarica all’aeroporto di Saigon. C’è già molto traffico ma in 40 minuti arriviamo ad eseguire il check-in.
Attendiamo che arrivi il nostro aereo dell’Air Asia dipinto di rosso ed alle 10 in punto decolliamo. Dopo 1,10 ore atterriamo a Bangkok alle 11,10 e lo stesso tempo lo impieghiamo al controllo passaporti. Ci sono 10 file lunghissime e sembra che tutto il mondo sia espatriato a Bangkok. Nuove operazioni per imbarcarci per Phuket e decollo, in ritardo, alle 15,40, per arrivare nell’isola thailandese alle 16,45 dopo un’ora e cinque minuti. All’uscita dell’aerostazione c’è un omino con un cartello con il nostro nome. Filomena lo intercetta subito e quello ci consegna la vettura noleggiata, una Toyota Vios, grande e comoda.
Partiamo alla guida della nuova vettura alla volta di Phuket Town per raggiungere il nostro amico Giorgione. Ci aveva dato appuntamento in un luogo facile facile da trovare e ci abbiamo impiegato due ore ad incontrarci. Assieme a Moon e Giulia ci porta nel suo Residence che ha appena ultimato prima dell’ultimo Natale.
E’ veramente grazioso e costruito in maniera razionale con tutte le comodità necessarie per un turismo di tipo occidentale. Ora c’è il pienone ma ci ha riservato una suite proprio davanti alla piscina con acqua marina.
Il tempo di darsi una sistematina e poi a cena in un caratteristico locale fronte mare dove Moon, la moglie di Giorgio, ordina per noi tutto quello che conosce essere di nostra libidine culinaria, granchi, in primis.
Per una cena così, valeva la pena di eseguire una deviazione rispetto al programma. Prima di ritornare al Residence passiamo in una Farmacia. Qui stanno aperte tutta la notte e la dottoressa ci prescrive un prodotto granulare da sciogliere in un po’ d’acqua. Cominciamo subito la terapia. Poi crolliamo di colpo.
Stamani Saigon, ora Phuket. C’è da rincoglionirsi. Moon, la figlia Giulia e Giorgio si fanno in quattro per offrirci tutto ciò che si possa desiderare. Speriamo di poter contraccambiare il prossimo autunno quando verranno in Toscana.

23 Gennaio domenica
Ci svegliamo alle 7 dopo una bella dormita e riprendiamo subito il granulato per combattere la tosse.
La temperatura è proprio come la cerchiamo, con una leggera brezzolina e a bordo piscina è un piacere scrivere in attesa di Giorgio per la colazione.
Giorgio e Moon arrivano con una quintalata di frutta tropicale, tamarindi, licius e mangostine. Poi colazione alla tedesca in un locale vicino.
Ci congediamo e iniziamo l’attraversamento di tutta l’isola per immetterci sulla strada che verso nord ci porterà prima a Khao Lak e poi a Ranong.
All’innesto con la terra ferma, appena attraversato il ponte Sarasin, ci fermiamo in un ristorantino sulla riva del mare, piatto e azzurro. Sono le 13 ma c’è pochissima gente, nonostante la giornata festiva.
Il mare è calmo, liscio come l’olio.
Pensate come saranno contente le sardine !!
Abbiamo da fare circa 350 kilometri e a Khao Lak arriviamo dopo un’ora e ci fermiamo un attimo per acquistare alcune mappe stradali.
E’ sempre una grande impressione transitare in quel luogo ove il 26 dicembre del 2004 il maremoto ha provocato uno dei più grossi disastri della storia, con migliaia di morti fra cui il mio amico e compagno di squadra di calcio Giorgio Ferrari, che con la propria moglie si sono trovati nel posto e momento sbagliato.
Undici mesi prima anche noi eravamo in vacanza in quel luogo, oggi completamente rifatto.
Proseguiamo e finalmente arriviamo a Ranong.
Ci ricordiamo ancora la strada per arrivare al Tinidee Hotel (42 Euro a stanza per notte) e dopo poche decine di minuti siamo nella zona piscine, immersi nelle vasche di acqua calda termale.
Anche l’acqua nella doccia, in camera, è quella termale.
Intanto inizia a piovere e infiacchiti dal bagno bollente ci cambiamo e rimaniamo a cena in Hotel. Si mangia molto bene e ancora non hanno imparato a spolpare i turisti, che sono quasi tutti orientali e perciò non possono praticare dei prezzi assurdi.

24 Gennaio lunedì
La tosse va un po’ meglio, ma non ha ancora concluso il suo corso.
In seguito ricorderemo spesso Kuala Lumpur come causa dei nostri malanni, dovuti a un’imbecille e irresponsabile uso a tutta forza dell’aria condizionata.
Alle 7 siamo già pronti per cominciare la giornata, che anche stamani si presenta molto nuvolosa.
Raggiungiamo in macchina l’enorme area del mercato all’ingrosso del pesce e forse, perché è lunedì, non ci sembra fornitissimo come un anno fa. E’ comunque grandissimo con varie e tante qualità di pescato. Non siamo riusciti, però, a capire il meccanismo delle numerose aste che si susseguono accanto alle varie partite da collocare. Notiamo che quando ci avviciniamo per fotografare o cine riprendere, la gente non si infastidisce. Chiediamo sempre il loro permesso e ce lo concedono sempre con un sorriso.
Dopo averla fotografata, con il suo benestare, domando a una pesciaia con un largo grembiule tutto bagnato, davanti al suo bancone appena approntato per la vendita, se ha aragoste vive.
“Si certo” mi risponde.
“E quanto vanno all’etto ?” le chiedo.
Mi risponde : “Non lo so. Io alle 20,00 precise chiudo”.
A metà mattinata con la macchina percorriamo una quindicina di kilometri sulla montagna, oltre le sorgenti delle acque termali e troviamo delle foreste con piccoli villaggi ove raccolgono dei frutti che mettono a seccare ma che non abbiamo capito quale sia il loro nome.
Ci sono anche numerose cave di stagno ed hanno creato diversi invasi d’acqua per il lavaggio ed estrazione del minerale per cui i laghi formati assumono un colore turchese. Accanto mucchi di minerale che sembra sabbia bianca e farinosa.
Torniamo alle sorgenti che sgorgano ad 80 gradi e non è possibile immergervi gli arti se non nelle vasche dove il lungo percorso dell’acqua permette una temperatura non ustionante. Alcuni banchetti vendono delle uova avvolte in retine per la loro cottura dentro i pozzi.
Mentre ricomincia a piovere torniamo in Hotel e ci riimmergiamo nelle 4 vasche, accanto alla grande piscina con acqua fresca ambiente, con diverse gradazioni di calore, per le cure appropriate della pelle e di tante altre cose che mi sono scordato segnarle.
Mentre siamo immersi in un piacevole bagno caldo, ascolto discorrere due signore birmane di una media età, in vacanza nel nostro stesso albergo e che in questo momento, facendo le nostre stesse abluzioni, discorrono in birmano antico, ad alta voce, pensando di non essere compresa da un occidentale. Niente di più errato.
Intercetto e capisco benissimo quello che si dicono.
La più giovane dice all’altra : “ Mia cognata ieri, a Kawthaung, l’antica Victoria Point, ha avuto una bimba. Mio fratello ha voluto a tutti i costi essere presente al momento del parto, dato che si era perso quello del concepimento”.
Ci trasferiamo per pranzo al ristorante scoperto l’anno passato, dall’altra parte del canale accanto al mercato del pesce. Arrivarci in macchina è un percorso un pò lungo e laborioso, ma ne vale veramente la pena per la qualità del pesce cucinato.
Ritorniamo in albergo e siccome continua a gocciolare, andiamo nella spa a farsi massaggiare. Poi nuovamente nelle vasche termali, prima di una bella passeggiata con cielo spurito. Poi a cena.

25 Gennaio martedì
Non si è ancora rimesso il tempo e neppure la tosse.
Ci sono ampi squarci di sereno e ciò fa ben sperare. Andiamo in banca a cambiare valuta occidentale e stì coglioni ci congelano con l’Air Cond per mantenersi le loro teste di cacciucco.
Io aspetto Filomena fuori e le operazioni di cambio le conduce lei.
Sembra che non abbiano mai visto una valuta straniera. La girano e la rivoltano, insomma 15 minuti per cambiare 100 Euro.
Ottimisticamente ritorniamo in piscina e aspettiamo che arrivi il sole.
E’ ora di pranzo e arriva un po’ di solino. Andiamo al solito posto dall’altra parte del canale. Ci facciamo anche due foto con il personale e ci spappoliamo un granchio intero con gli spaghettini di soia (glass nudeln), un Tom Yam Kung (zuppa con gamberi) e un pescione intero semi fritto con condimenti thailandesi, tenero e buono, oltre a due tazze di riso bianco.
Totale di spesa 600 Bath, 15 Euro in due
Dopo un tranquillo riposino ancora in piscina ed il tempo è ancora così, così.
Nuvoloso ma la temperatura è piacevole e calda.
Verso sera prima di coricarsi riusciamo a parlare in Skype con i ragazzi a Bolzano.

26 Gennaio mercoledì
Avvicinamento a Khao Lak, sulla strada del ritorno a Phuket, pronti per percorrere circa 200 kilometri. Il traffico è quasi inesistente e compiamo delle piccole deviazioni verso il mare delle Andamane per verificare e scoprire posti nuovi su aree marine protette.
Bei posti selvaggi e spiagge grandissime di finissima sabbia, ma niente infrastrutture importanti. Solo Resort molto spartani.
Non c’è nessuno nelle due grandissime spiagge visitate. A mala pena, in una, c’è un baracchino che vende delle bibite e forse due uova al tegamino te le farebbero anche. Nell’altra spiaggia c’è un Resort con una decina di bungalow con stanze molto semplici con bagno e ventilatore. Abbiamo chiesto il prezzo per camera a notte. Costano dai 600 a 1.000 Bath, cioè da 15 a 25 Euro.
Verso le 13,00 siamo all’Apsaras Hotel (72,00 Euro a stanza per notte), un paio di kilometri prima di Khao Lak.
Struttura di lusso, elegante e con tutti i confort.
La tosse non migliora ed allora cerchiamo una clinica medica nel vicino centro, pieno di negozi, alberghi, ristoranti. bar e varie cliniche specialistiche. Qui è pieno di turisti occidentali.
Il dottore che ci visita sentenzia immediatamente una bronchitella da curare con antibiotici. Ce li prescrive e ci fornisce anche le compresse, oltre a delle pillole per riposare la notte. A me fa anche subito una puntura per guarire l’infiammazione alle orecchie prima di disturbarle con la variazione di pressione viaggiando in aereo.
Il tutto al costo di 4.000 Bath, cioè 100 Euro per le due visite con fornitura di medicine. Poi, siccome conosce come funziona in occidente, ci compila la ricevuta e la dichiarazione per l’assicurazione, senza chiederci se la vogliamo, domanda che viene fatta spesso in Italia.
Cominciamo subito con la prima compressa. Ne prenderemo una seconda stasera e in seguito 2 volte al giorno.
Prima di noi era entrata una turista finlandese, top model, anche lei in vacanza a Khao Lak. Il medico, che in seguito ha visitato anche noi, dopo aver auscultato anche lei, le ordina tassativamente di evitare l’alcool e privarsi di piatti elaborati, niente dolci, niente caviale, aragoste o cose simili. Allarmata, la bella turista chiede preoccupata se stà veramente tanto male.
No, risponde il dottore, ma sto per invitarla a cena.
Cerchiamo un ristorante dove ci sia la cucina all’italiana. Ne troviamo diversi ma si dev’essero montati il capo. Costa tutto il doppio che nel resto della Thailandia e così contribuiamo a tenere disoccupati questi ristoratori ingordi.
Ne troviamo un altro vicino alla clinica, un po’ decentrato e mangiamo decentemente ad un costo abbordabile.
Nel tavolo accanto c’ è un turista italiano, che sentito che siamo reduci dalla Clinica Medica, ci dice che deve decidersi anche lui a farsi visitare dal Dottore.
Gli chiedo cosa gli sia capitato e mi risponde :
“Soffro di frequenti vuoti di memoria, e anzi Le dirò di più, soffro di frequenti vuoti di memoria.”
Ritorniamo in Hotel e ricomincia subito a gocciolare. Un po’ di solino mi permette di fare una piccola passeggiata sulla spiaggia, ma poi ricomincia a piovere.
Prima di cena, mentre l’acqua non smette di cadere dal cielo, riproviamo a collegarci con Bolzano per mezzo di Skype, ma non va.
Prima di addormentarmi leggo un giornalino di Topolino.
Noto immediatamente che Topolino è contento perché si fa le Tope. Paperino è felice perché si fa le Papere. Pippo non è né contento, né felice.

27 Gennaio giovedì
Le previsioni buttano parzialmente nuvoloso con un pallido sole.
Non ce ne frega niente che ancora in Australia ci siano alluvioni e che anche alle Canarie, dove dicono persista l’eterna primavera, la pioggia dirompente combini dei disastri.
Qui, dicono, siamo nel paese del sorriso (Smile Land) e della stagione secca, ora. Per cui, che ci combinano tutte ste’ nuvole ?
Approfittiamo del breve e poco sole per riposare. Gli antibiotici cominciano a produrre benefici effetti.
Ieri a Khao Lak, mentre si cercava un ristorantino decente in tutti i sensi, abbiamo notato diversi occidentali di mezz’età dai 35 ai 50 anni, seduti stravaccati sulle sedie, accanto ai tavolini dei locali. Alcuni, forse per comodità, o per meglio riposarsi, o per meglio ribadire la superiorità della loro razza, stimabile proporzionalmente con la loro maleducazione, avevano appesi i loro piedi sui banchi. E si guardavano intorno con aria annoiata da conquistatori. Il loro sguardo era eloquente. Diceva: “ Noi paghiamo e ci comportiamo come ci pare, anzi esattamente al contrario di come a casa nostra le buone maniere ci impongono.”
“Io pago e piscio” soleva dire un grande (solo di stazza) costruttore ed ex magliaro pugliese trasferitosi in Alto Adige. Loro sono della sua stessa stoffa.
L’Absaras è un hotel di categoria medio alta. E’ stato edificato dopo il 26 dicembre 2004, data in cui lo tzunami distrusse completamente questa zona.
Si trova a pochi kilometri a nord di Khao Lak e nelle sue vicinanze vi sono altre strutture turistiche, anche queste sorte dopo il disastro.
La zona è molto bella con spiagge lunghissime e grandi: Anche ora che c’è il pienone non sono mai affollate e si può passeggiare senza dover fare a capate.
Nel gennaio del 2004, come avevo prima accennato, eravamo stati anche noi in questa precisa zona, in macchina per una ricognizione, ce lo ricordiamo bene e c’eravamo meravigliati che un posto simile non fosse stato ancora scoperto dal Turismo. Non c’era nessuno, tranne un piccolo bungalow che vendeva bibite e che ci aveva cucinato un pesce alla griglia con un po’ di riso. Nei fine settimana veniva popolato dagli abitanti dei villaggi vicini, che venivano qui a far festa con i pic-nik ,tanti dei quali a base di coca cola e una specie di brandy locale chiamato Mekong.
Ora è tutto cambiato, ma non riusciamo a toglierci quel velo di tristezza che ci assale quando pensiamo a quell’orrore naturale.
Stessa spiaggia, infinita, sabbiosa, pulita.
Corollari di piccole infrastrutture, tutt’intorno agli Hotel. Ristoranti, baretti, magazzini di lamiera e mattoni diventati lavanderie a poco prezzo, stanze con lettini per massaggi.
Prezzi esosi per la portata dei Thai o forse giusti per questi rompi….di turisti.
Tanti sono i francesi ospiti dell’Hotel e molti anche turisti di origine russa. Gli altri sono scandinavi che già da molti anni frequentano queste zone. Italiani non li abbiamo ancora individuati.
Giornata relax dato che è il primo giorno completamente soleggiato.
Passeggiata serale a Khao Lak con cena in un chiosco Thai, molto pulito. Una zuppa per due con 70 Bath equivalentia 1,50 Euri.

28 Gennaio venerdì
Avvicinamento all’aeroporto di Phuket.
Alle 9,30 partiamo lentamente verso sud lasciando Khao Lak ed arriviamo presto al ponte Sarasin che unisce la terra ferma all’isola di Phuket.
Di proposito cerchiamo e troviamo un locale sulla spiaggia vicino all’aeroporto, dove pranzare. E’ la spiaggia di Hat Nai Yang con poca gente e mare pulitissimo. E’ forse, a nostra valutazione, la migliore di tutta l’isola.
Tom Yam Kung (zuppa di gamberoni) abbondante, piccante il giusto, saporita, buonissima e, non male, a buon mercato.
Telefoniamo al noleggiatore per restituire la Toyota Vios e ci raggiunge nell’aerostazione per la riconsegna.
Durante il check-in per il volo su Bangkok il peso dei bagagli supera di poco più di 4 kili quello ammesso e paghiamo una sovrattassa di 260 Bath, circa 6,50 Euri.
Il decollo ritarda 45 minuti e partiamo alle 15,15.
Dopo pochi minuti dal “take off” assistiamo allo spettacolo sottostante di Phan Ngha e Krabi. Poi saliamo bucando le nuvole e rotta verso nord. Landing alle 16,15 dopo un’ora esatta.
Con un taxi meter arriviamo al Century Park Hotel (66,00 Euro a stanza per notte) dopo un viaggio di un’ora e un quarto, trovando un traffico con ingorghi verso il centro, ed al costo di 400 Bath, 10,00 Euri.
L’ Hotel è nelle vicinanze del Victory Monument, in una zona piena di mercati per residenti, poiché abbiamo notato pochissimi occidentali. Qui, a lato della grande piazza, c’è la fermata del comodo Sky Train che spesso useremo per i nostri spostamenti.
L’Hotel è di categoria alta. Servizio molto accurato e hall molto grande e fornita di bar, ristorante, negozi. Stanze comode con bagni enormi. Bella piscina circondata da diverse piante al quinto piano.
La nostra stanza ha la parete esterna tutta a vetri. Per la luce ci sono enormi e pesanti tendaggi.
Penso : “Ma le tende da sole…..soffriranno un po’ di solitudine ?”
E’ buio quando facciamo una passeggiata fino alla piazza del Victory Monument, per poi al ritorno cenare in un locale caratteristico.
In camera l’aria condizionata non raffredda e dopo l’intervento di due tecnici, non riuscendo a riparare il guasto in pochi minuti, ci cambiano stanza.
Filomena, stanca anche per effetto degli antibiotici, che fra il resto sembra che diano già dei benefici, è già addormentata e di malavoglia si deve svegliare, vestirsi e traslocare. Fortunatamente le valigie sono ancora chiuse.
Buona notte.

29 Gennaio sabato
La colazione è all’altezza della categoria dell’Hotel. Queste sono le colazioni che ci piacciono. Magari consumiamo solo, si fa per dire, due o tre tazze di caffè, due ovini all’occhio di bue o una frittatina, fette di pane con burro e marmellata, un cesto di varia frutta tropicale, ma girellare tra i banconi e vedere pentoloni di zuppe fumanti, spezzatini di carne al curry, formaggi e salumi, patate fritte, arrosto ed al curry, torte e marmellate varie con miele degli altopiani, spaghetti al pomodoro con mozzarella di bue muschiato, wurstel grigliati alla brace, piatti e sushi giapponesi, insalate con pomodori, cetrioli, cipolla e tante altre cose che in questo momento non ricordo, ecco, dicevo che se anche la colazione è frugale (uhmmmm…) la vista di tutto questo ben d’Iddio ci fa sentire satolli e potenti. Della serie “Non mangio tutto, tutto, ma potrei”.
Non è il luogo adatto per diete dimagranti, comunque.
Fra i tanti ospiti dell’Hotel, provenienti da tutto il mondo, intravedo anche alcune signore col pancione.
Non ricordo più se GESTANTE è participio presente o preservativo imperfetto.
Attacco discorso senza vergogna con due signore al tavolo accanto al nostro e conosciamo così madre e figlia in vacanza. Parlano italiano ma risiedono da 10 anni in Israele. Ci dicono che ancor oggi sono spesso fatte oggetto di discriminazione razziale perchè ebree. Ci chiedono se possono unirsi a noi per andare al week-end market e diciamo loro che noi non ci mischieremo mai con la razza che ha giustiziato il nostro Dio.
Ma dai, non è vero, ho solo voluto fare una battuta di dubbio gusto, ma solo in questo diario e volentieri ci trasferiamo assieme a loro in quell’enorme bottega ove si trova di tutto. Ormai è diventato un passaggio obbligato prima del nostro ritorno in Italia. Loro è la prima volta che vengono a Bangkok.
Al mercato ci dividiamo e ci riforniamo di oli essenziali per massaggi, profumini e candeline, e pantaloni speciali da campagna.
La temperatura calda è mitigata da una leggera brezza ed appena torniamo in albergo riposiamo in piscina. Siamo ancora sotto l’effetto dei farmaci per cui il riposo è doveroso.
Nel tardo pomeriggio ci incamminiamo verso il quartiere di Pratunam ed in mezz’ora siamo immersi nuovamente nel mezzo degli infiniti mercatini di quella zona.
Da qui ci portiamo verso Siam Square, luogo pieno di boutique ove articoli di moda originali sono venduti a buon mercato, e dopo, al vicino Siam Paragon, un complesso enorme, centro commerciale e dove una sala ristorante grandissima permette di scegliere vari piatti di tutte le cucine, orientali ed occidentali.
Noi ci cucchiamo due paiolate di zuppa (brodo di pollo e carne) con noodles (tagliatelle) e glass noodles (capellini) con carni e verdure varie.
Spendiamo quasi una fortuna, ben 1,50 Euro a testa.
Torniamo al Century Park Hotel con la Metropolitana di superficie e troviamo le Israeliane al ristorante italiano dell’albergo.
Alle 21,00 loro vanno ad assistere allo spettacolo di travestiti all’Asia Hotel e noi un’ora di massaggio ai piedi, 160 Bath a testa, 4,00 Euro.
Filomena la massaggia un ragazzino che potrebbe essere suo nipote e a me, Vittorio, tocca la sorella di Ronaldinho (per i denti anteriori a topo), però senza un decente tocco di palla.
A nanna alle 10,30

30 Gennaio domenica
Ci troviamo alle 7,30 con mamma e figliola, a colazione. Hanno intenzione di seguire il nostro consiglio per raggiungere il mercato all’ingrosso dei fiori e sono felici del nostro accompagnamento.
Arriviamo dalla solita nostra conoscente fioraia che ogni anni ci confeziona gli scatoloni con le orchidee e anche le due donne ne prendono due box.
Assieme arriviamo al Wat Pho il tempio forse più grande di Bangkok e le lasciamo per la sua visita. Se Dio vorrà ci riincontreremo da qualche altra parte. Ci ripromettiamo di tenerci in contatto.
Noi riprendiamo il battello e lungo il fiume Chao Phraia arriviamo al Krung Ton Bridge, al ristorante del nostro amico Winai.
Ordiniamo e spappoliamo un Tom Yam Kung BIG ed un pescione bollito con succo di limone e spezie delicate. Ottimo tutto davvero ed intanto arriva anche Winai.
Soliti discorsi lunghi senza capirsi, solite foto e saluti.
Stiamo rientrando in Hotel per riposino e piscina.
Per strada, entriamo in una drogheria per fornirci di shampoo e conditioneer di cocco.
Assistiamo all’istruzione di una nuova commessa da parte del Direttore dello shop, il quale le raccomanda di usare un suo sistema infallibile, affinchè il cliente che chiede una sola cosa, si convinca a comprarne anche una seconda.
A dimostrazione, arriva una signora che chiede una bomboletta di PRONTO, e il Direttore le porge quanto richiesto, oltre a una bottiglia di VETRIL.
Alla richiesta di spiegazioni, il Direttore le dice che, una volta puliti i mobili, se i vetri della casa rimanessero sporchi, non si vedrebbe il lavoro fatto.
La cliente è convinta ed acquista tutte e due le confezioni.
All’arrivo di una seconda cliente che ordina il VETRIL, il solito Direttore, sempre per dimostrare la strategia aziendale, le porge anche un flacone di PRONTO.
All’inevitabile obiezione, il furbastro ribatte che una volta puliti i vetri si vedrebbero subito le ditate sui mobili, e così anche questa cliente si convince del doppio acquisto.
Ora tocca alla nuova commessa mettere in pratica l’insegnamento e all’arrivo della terza cliente, il nuovo metodo viene applicato subito a verifica di quanto imparato.
La richiesta è una scatola di TAMPAX e la commessa, sveglia e svelta, assieme alle compresse per uso femminile, le infila, in una busta, anche il VETRIL e il PRONTO.
“Deve esserci un errore, io ho ordinato solo il TAMPAX” protesta l’avventrice.
E di rimando la commessa : “ Visto che stà settimana non si tromba, la vogliamo dare una bella pulitina alla casa, o no ?”
PROMOSSA sul campo.
Sul marciapiede a poche centinaia di metri dall’Hotel c’è un piccolo chiosco con un orologiaio, di quelli che ancora smontano pezzetto per pezzetto gli orologi, li risistemano e li rimontano, rifacendoli funzionare.
Ci facciamo in pochi minuti aggiustare il cinturino di un vecchio e falso Pascià di Cartier, per 30 Bath, 0,75 Euro.
Nel pomeriggio Filomena dalla parrucchiera e Vittorio dalla massaggiatrice.
Prima di coricarci prenotiamo per domattina un taxi grande (i bagagli cominciano ad aumentare) per il transfert in aeroporto.

31 Gennaio lunedì
Iniziamo l’avvicinamento all’India. Voleremo fino a Taipei. Lì pernotteremo vicino all’aeroporto, al Novotel e l’indomani presto decolleremo per New Delhi.
Con calma ci alziamo e con piacere constatiamo che anche se pur lentamente la bronchite ci sta facendo tribolare di meno e per festeggiare questo principio di benessere facciamo una colazione assomigliante molto a un pranzetto, con uova, patate arrostite, fagioli stufati con pomodoro, oltre a frutta tropicale, dolcetti con pane burro e marmellata oltre a tre tazze di caffè nero senza latte, perché si ingrasserebbe troppo. Ah, c’è anche un bicchiere di succo d’arancia per deglutire le pastiglie anti inappetenza.
Dopo, risaliamo in camera e prepariamo le valigie da consegnare al check-in e che sono aumentate in numero di tre.
Ma da ora in avanti il peso dei bagagli consentito in aereo per ciascuno di noi sarà di 30 Kili.
Puntuale arriva il nostro autista, prenotato ieri sera al costo di 700 Bath, 17,50 Euro,
con una vettura molto spaziosa e alle 9,50 ci avviamo verso il Suwarnabhumi Airport, dove arriviamo in 25 minuti, trovando il traffico molto scorrevole.
Con Air Asia il check-in è velocissimo. Per il controllo passaporti, in uscita stavolta, è invece di nuovo il caos. Vi sono una decina di file, ciascuna delle quali composta da una cinquantina di persone. Operazioni a rilento ma ci impieghiamo solo una mezz’ora. Per uscire dalla Thailandia le operazioni sono più velocizzate che all’ingresso e questo è il termometro per misurare quanta gente straniera transita per Bangkok.
Dentro l’aerostazione un gruppo di cinesi fa festa e danza con trombe, tamburi e costumi per l’imminente arrivo del nuovo anno cinese.
Sono bardati e mascherati da dragoni e bestie mitologiche.. Vari operatori TV e cinematografici riprendono la scena con i passeggeri, carichi di bagagli, sconcertati e curiosi.
Transitando verso il nostro “gate” uscita per l’imbarco, sono attirato da una piattata di penne all’amatriciana. Le fò meglio io, in Italia, ma in Italia le ho mangiate anche di peggio.
Decollo alle 13,45 con tempo ottimo e senza nuvole.
Rotta verso nord-est su Udon Thani.
Poi entreremo nel Laos, di seguito in Viet Nam su Hanoi, virata verso est, verticale su Macao e Hong Kong prima di attraversare per lungo da sud a nord l’isola di Taiwan ed atterrare a Taipei.
Ritorneremo al fuso orario + 7 ore rispetto all’Italia e + 1 ora rispetto alla Thailandia.
Troviamo tempo sereno fino in Viet Nam, da qui in avanti un mare di nubi.
Siamo seduti su una fila da tre posti sull’ aereo color rosso dell’Air Asia.
Abbiamo la poltroncina 2A e 2B. La fila dietro è libera e Filomena ci si sistema accanto al finestrino..
Io ordino uno spuntino con acqua, caffè caldo, tramezzini. Loacker per Filomena.
Poi compilo il modulo immigrazione per Taiwan.
Un mio gesto involontario fa volare il bicchierone di cartone, pieno di caffè, e il contenuto precipita parte sulla poltrona vicina, un po’ per terra e la rimanenza sui miei pantaloni. Un bel troiaio.
Nessuno fortunatamente si è accorto del pasticcio e così mi risparmio la vergogna, ma non l’impegno di risistemare tutto con un pacchetto di fazzolettini.
Sono passate 2 ore e mezzo e sentiamo che cominciamo a perdere quota, lasciando la costa della Cina Popolare. Dopo mezz’ora entriamo nell’isola di Taiwan e atterriamo a Taipei alle 17,50 dopo 3 ore e 5 minuti.
Fuori dell’aerostazione c’è il Bus del Novotel di Taoyuan (70,00 Euro a stanza per notte)che ogni dieci minuti porta gratuitamente i suoi clienti all’albergo.
L’Hotel è di ottima categoria con i soliti eccellenti servizi.
Stanza perfettamente insonorizzata, con parete vetrata sulle piste di volo. Solita efficienza e pulizia dappertutto.
Ma notiamo subito che in tanta perfezione, una cosa manca.
Mancano i facchini. Non li vediamo e ciascuno si porta in camera i propri bagagli.
Un ristorante cinese si trova al primo piano, accanto alla piscina coperta con accanto la palestra. Altro ristorante self service a volontà, con prezzo fisso di 850 Dollari di Taiwan, equivalenti a circa 22 Euro.
C’è di tutto anche qui, dalle insalate ai minestroni di verdure, alle carni cucinate in maniere diverse ad una grande e varia quantità di dolciumi.
Da schiantà !!
Se poi si tiene conto che se l’Hotel scelto per una notte, in attesa del decollo la mattina successiva, fosse stato in centro città, oltre ai tempi di viaggio, sarebbe costato dal 25 ai 30 Euro per tratta, è stato più conveniente fermarsi qui.
Domattina partiremo alle 8,30 per New Delhi e quindi dovremo eseguire il check-in almeno alle 7,00.
Chiediamo la sveglia per l’indomani e ci ritiriamo alle 9,30 gustandoci in camera la Domenica Sportiva in TV e godendoci la rimonta dell’Inter sul Palermo, partita finita, con due gol di Pazzini per 3 a 2.

1 Febbraio martedì
Ci svegliano con un cicalino alle 5,30 e dopo poco scendiamo, trovando stavolta anche i due ragazzi addetti ai bagagli.
Colazione con 2 equipaggi, piloti ed hostess, di due non precisate compagnie aeree orientali e mi ha fatto un po’ di impressione vederli mangiare appetitosamente scodelle di brodo con germogli di soia, pezzetti di carne e tagliolini. Le posate erano costituite da due bacchette ed un cucchiaio di ceramica.
Il Novotel è impiegato soprattutto dalle Compagnie Aeree, per il proprio personale, essendo sistemato nelle vicinanze dell’area aeroportuale. Proprio di fronte c’è il grande palazzone con la sede centrale della Compagnia Aerea China Airlines.
Lo Shuttle Bus ci porta al Terminal 1 in dieci minuti e facciamo un check-in velocissimo anche stavolta. Altrettanto veloce controllo passaporti in uscita e capatina al VIP Lounge della China Airlines, ove stanno tutti abbuffandosi con scodelle di cineserie varie. Sono le 7,30 ed una tazza di caffè con tortina serve per giungere alle 7,55 ora d’imbarco.
Il raffreddore è quasi sparito e la tosse continua a migliorare, ma ancora non è scomparsa del tutto.
Da Taipei a New Delhi la distanza è di 5.500 Kilometri e decolliamo alle 9,00 ora di Taiwan, alle 6,30 ora di Delhi, alle 2,00 ora di Roma.
Sistemazione nella prima fila dell’Airbus 330-300 della China Airlines, posti 1A e 1B che sicuramente avrà in precedenza fissato Samanta. Sono i due posti migliori in assoluto.
All’imbarco tanti indiani con il caratteristico abbigliamento.
Dopo un’ora e un quarto sorvoliamo Hong Kong e poi a seguire Macao sulla nostra destra, ma il cielo nuvoloso ci impedisce di vederle.
Dal mar cinese meridionale, dopo 2 ore e 20 siamo in Viet Nam sulla verticale di Da Nang. Poco dopo, con una buona visibilità, entriamo in Cambogia ove per un pochino seguiamo il Mekong ed un lago grande.
Di seguito attraversiamo il Laos ed un pezzo di Thailandia. Arriviamo in Myanmar dopo 4 ore di volo e dopo un’altra mezz’ora cominciamo l’attraversamento del golfo del Bengala. Sono le 13,30 ora di Taipei, le 11,00 ora indiana, le 6,30 ora italiana.
Il tempo passa fra uno schampagnino, una turbolenza, un succo di pomodoro, una spremuta d’arancia, un succo di mela, e un panino.
Ma non tutto per me, eh ?! Una parte è anche per Filomena.
Dopo 5 ore entriamo in India. Superiamo subito un grande fiume, il Gange
e poco dopo siamo sulla verticale di Kolkata la ex Calcutta.
Purtroppo di sotto, si alternano spazi di sereno con agglomerati nuvolosi. Il percorso lo seguiamo sullo schermo in dotazione in ogni poltrona, con tutte le info di viaggio oltre a vedere la posizione dell’aeromobile rispetto alla carta geografica.
Sono passate 5 ore e 30 minuti dal decollo da Taipei e ci troviamo sulla verticale di Varanasi, l’ex Benares, ove è tradizione, lungo il Gange che attraversa la città. cremare i cadaveri con delle pire e cataste di legname.
Iniziamo il sentiero di discesa su Delhi dopo 6 ore e 50 minuti.
Landing alle 16,15 ora di Taipei, 13,45 ora di Delhi. Ore di volo effettivo 7,15.
Veloci operazioni sia di consegna valigie, che hanno l’etichetta PRIORITY, che di controllo passaporti.
All’uscita c’è il nostro autista, Laxman, che ci attende con un cartello indicante i nostri nomi. Carichiamo i bagagli su una macchina modello antico, ma sembra ben tenuta e forse anche sufficientemente comoda. E’ una Ambassador, che in India, sembra essere ancora in produzione. L’autista dice che ha due anni di vita. A me sembra che ne abbia quaranta, tenuta abbastanza bene e con aria condizionata istallata in seguito. Ma tanto non te la farò mai accendere, che gli pigli un colpo a chi l’ha inventata !!
In 40 minuti ci deposita a quella che sarà la nostra residenza per un paio di giorni.
Si chiama Shervani Hotel (110,00 Euro a stanza per notte) ma di hotel ha davvero pochino. La sua categoria per gli standard asiatici è proprio bassina. La stanza, che è costata 110,00 Euro a notte, una fortuna per la media indiana, è molto piccola e triste. Nel bagno, la cassetta di cacciata del water non funziona ed hanno messo lì accanto una specie di rubinetto con sistola.
Il safety box, la cassetta di sicurezza è bloccata e chiamiamo i gestori per attivarla.
Quando usciamo dalla camera, la porta non riusciamo a chiuderla automaticamente e quindi si apre da sola anche senza chiave/tesserina.
Ulteriore intervento dei manutentori, ma dopo una ventina di minuti di scassinatura della serratura, si arrendono. Non riescono ad accomodarla e quindi dobbiamo cambiare stanza. Vorrebbero mandarci al piano terreno in una camera sempre piccola, sempre triste e in più anche puzzolente.
A questo punto ci ribelliamo sempre sorridenti ma molto decisi ad informare il tour operator della inefficacia della struttura e solo allora ci sistemano in un locale più grandino, ma sempre triste e sempre con l’acqua del water rappezzata.
Poi alla reception cominciano a provarci. E’ l’inizio di un sistema che si prolungherà per tutta la settimana di soggiorno in India. Ci provano sempre a prenderti per il naso, tentano di fregarti in qualche modo, anche per delle stupidaggini, ma è e sarà una costante.
Dicevo che alla reception vorrebbero che fossimo d’accordo nel riconoscere una differenza di prezzo per il cambio camera. Desistono dopo due minuti, quando riprendo le nostre valigie e manifesto l’intenzione di cambiare albergo, con tutte le conseguenze che sicuramente si sarebbero create.
Lo Shervani Hotel ha un solo pregio. Si trova in un quartiere controllato e sicuro, ma niente altro. Anche nelle sue vicinanze non vi sono strutture ricettive interessanti e per trovare una anche piccola vivacità di vita, bisogna col taxi percorrere diversi kilometri.
Delhi è una città con 13 milioni di abitanti e risulta anche come prima città al mondo per popolazione. Si trova nel nord dell’India ed è situata sulle rive del fiume Yamuna.
Nel 1857 Delhi passò sotto il controllo diretto britannico e Calcutta, ora Kolkata, divenne Capitale fino al 1911 quando il re d’Inghilterra Giorgio V annunciò che la Capitale dell’India sarebbe ritornata ad essere Delhi.
Nello stesso anno venne progettata ed edificata una nuova area, da un team di architetti britannici e chiamata New Delhi.
Dopo la prima guerra mondiale nel 1918, un riformatore sociale e religioso, Gandhi, invitò e condusse il popolo indiano a rispondere alla repressione britannica, con la resistenza passiva, puntando all’indipendenza totale.
Gandhi fu ucciso nel 1948 da un nazionalista Indù.
Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947 Delhi fu ufficialmente dichiarata Sede del Governo indiano.
Dal 1947 tra India e Pakistan, paesi appartenenti prima all’Impero Britannico, c’è in ballo la questione del principato del Kashmir, diventato indiano, dove negli anni si sono svolte diverse rivolte secessionistiche.
India e Pakistan, la prima a maggioranza Indù, la seconda a maggioranza Musulmana, continuano ancora oggi a combattersi in un conflitto iniziato nel 1971, anno in cui l’India ha appoggiato il distacco dal Pakistan orientale, del Bangladesh, riconoscendo la nuova nazione.
Storia molto controversa e complicata quella dell’India, anche negli ultimi 60 anni.
Nel 1984, tremila Sikh, del movimento indipendentista del Punjab, una regione situata nella parte nord dell’India, al confine con il Pakistan ed il Kashmir, dopo diversi incidenti terroristici, vennero massacrati dalla polizia indiana e linciati dalla folla, dopo l’uccisione del primo Ministro Indira Gandhi, assassinata da un Sikh della sua guardia del corpo.
Nel 2005 Delhi è stata colpita da un triplice attentato terroristico, successivamente rivendicato da un gruppo separatista del Kashmir.
Tre bombe sono state fatte esplodere in corrispondenza di altrettanti mercati rionali, provocando la morte di una sessantina di persone ed il ferimento di altre duecento.
Altri attentati terroristici si sono succeduti, l’ultimo dei quali nel 2008 a Mumbai, ex Bombay, con una serie di attacchi a cittadini stranieri concentrati principalmente nei quartieri turistici e nelle stazioni.
Il bilancio è stato di 80 morti e 250 feriti.
Oggi notiamo un grande spiegamento di forze di polizia in tutte le zone di Delhi.
Sembra che a Delhi gli alberghi pratichino dei prezzi vertiginosi. Il nostro autista Laxmann ci dice che sia ad Agra che a Jaipur tutto costa la metà ed è il doppio meglio. Vedremo se anche questa è una buttata per provarci.
Il primo impatto con l’India non mi è garbato parecchio ed il pomeriggio facciamo una passeggiata nei dintorni. Vi sono alcuni giardini tenuti malissimo e la prima impressione è la constatazione dell’esistenza di grande contraddizione. Tanta povertà, grandi ricchezze, grande sporcizia.
Cambiamo in albergo 50 Euro a 57 Rupie per euro.
Stasera cena qua dentro, una stanzetta squallida, ma non sapremmo dove andare a cercare qualcosa di meglio.

2 Febbraio mercoledì
Buona dormita. La tosse stà scomparendo, e colazione misera, ma sufficiente per la sopravvivenza. Forse è meglio così.
Andiamo in una Banca vicino all’albergo, dove ieri sera ci hanno detto che cambiavano gli Euri a 61 Rupie/per Euro. Vogliono il passaporto originale e quindi dobbiamo ritornare a prenderlo. Poi burocrazia infinita con una quantità industriale di firme e di timbri e finalmente con i diritti e detrazioni varie ci danno 6.000 Rupie per 100 Euri.
In aeroporto era peggio. Per 100 Euri ci avrebbero dato 5.800 Rupie.
Per la strada, sempre in questo limitato e controllato quartiere, sporcizia contenuta e contenuta povertà, ma sempre povertà manifesta o infinita ricchezza.
Alle 9,30 c’è Laxman, il nostro autista che ci aspetta con la macchina, come d’accordo, davanti all’Hotel.
Ci dice che l’Ambassador ha la marcia indietro rotta e quindi deve andare a ripararla e sarà di ritorno alle 10,30.
Boh, come farà a sostituire il cambio in un’ora dovrà raccontarcelo, se ci riuscirà. Siamo davvero curiosi.
Alle undici meno un quarto però ci chiama al telefonino con la Sim Card indiana e ci comunica che la macchina è riparata. Sarà da noi in dieci minuti.
Continuo a fare Boh !!
Arriva, ci carica e andiamo all’ “INDIA GATE” la porta dell’India un monumento ad arco, situato dalla parte opposta del Palazzo Presidenziale ad una distanza di quattro kilometri lungo un vialone in discesa, nella parte di New Delhi.
Qui in questi immensi giardini, dominati dal monumento alto 42 metri, il popolo della città viene e si riunisce per varie manifestazioni o solo per un pic-nik o anche per onorare la memoria dei soldati caduti nella prima Guerra Mondiale.
Questa zona è vietata al traffico e finalmente c’è un po’ di pace.
E’ una piazza immensa ed oggi è piena di studenti per una festa programmata.
Dalla parte opposta, in fondo al lunghissimo vialone, c’è la residenza del Presidente dell’India, il Parlamento e vari Ministeri. Anche lì, le macchine non possono sostare e quindi c’è solo un continuo passaggio.
Non finiscono mai le contraddizioni e si alterna la vista di monumenti trionfali e viali lunghissimi e alberati, con bidonville allucinanti.
Così come la folla di passanti, ben distinti e ben vestiti, che si alternano con barboni della più bassa specie.
Ci aspettiamo un assalto ininterrotto di mendicanti o di mercanti itineranti, ma non veniamo importunati di più che in altri posti tipo i paesi arabi e quindi il passeggio è abbastanza vivibile.
E’ molto triste, comunque, notare tante famiglie intere od allargate, come si usa dire oggi, con numerosi bambini di tutte le età, mal vestiti e sporchi, vivere addossati ai muri o nel mezzo di aiole mal tenute.
Quella è la loro residenza. E si nota dal loro comportamento e dalle poche cose che hanno accanto a sé e che servono per le minime e primarie necessità.
Sporcizia tutt’intorno, sembra impossibile che si riesca a crearla così tanta. Poi mi viene in mente Napoli e non mi meraviglio oltre.
I bambini, però, sono sì sporchi e trasandati, ma non sono tristi.
Fanno tristezza a chi li guarda, ma loro sono sereni e vivono la loro giornata spensieratamente, come i loro coetanei nei cortili dei Parioli a Roma o nelle palestre delle scuole a Bergamo Alta.
Loro sono nati lì e lì vivono la loro vita, che noi consideriamo di “merda”.
Forse non sanno neppure cosa c’è oltre il vialone, laggiù in fondo.
Questo è il loro mondo, e cercano di trarre il maggior beneficio possibile in mezzo a questo troiaio.
Faccio un parallelo fra la vita di questi bambini ed i polli che crescono in batteria nella Pianura Padana, od anche con i Buoi che alleva Loredi alle Fosse di Sopra.
Anche i gallinacci ed i bovi sono nati lì, vivono lì e quando vengono spostati è perché la loro ora è segnata.
Non sapranno mai le galline, che là, a poche centinaia di metri c’è un casolare dove nell’aia le loro simili razzolano tutte scodinzolanti nel concime e fra un coccodè e un altro, beccano altro mangime succolento e sconosciuto come il riso, il granturco e la soia, oltre che farsi montare dai galletti, che le altre neppure sanno della loro esistenza.
E le vacche di Loredi, che tutto il giorno ruminano aspettando, legate nella stalla, che il padrone gli fornisca due volte al giorno la miscela ed il fieno, non conosceranno mai i prati profumati di erba medica e mai i loro occhi potranno nutrirsi della visione della distesa della Val d’Orcia in fiore, né conoscere il dolce peso del toro in groppa, ma solo la fredda siringa del veterinario che artificialmente le feconda.
Ripeto, questi bambini fanno tristezza, ma non sono tristi. Questo non vuol dire che andrebbero lasciati cuocere nel loro brodo. E’ solo una constatazione.
Alcuni, quando mi vedono, si avvicinano e insistentemente chiedono l’elemosina. Ora hanno imparato e fanno il gesto di portare la mano alla bocca per dichiarare la loro fame. Ma quando gli porgo un panino o una bananina che mi avevo portato dietro per combattere l’ipoglicemia, fanno finta di niente ma poco dopo lanciano il tutto nell’immondiziaio.
Quando si convincono che rupie non ne prendono, si arrendono e se ne vanno via.
La Polizia è in ogni luogo, e ben armata. I controlli sono frequenti. Anche fuori dai negozi più importanti ci sono guardie in borghese con le doppiette imbracciate.
Di primo acchito ho avuto l’impressione che questi Indiani siano tutti incazzati. Mai un sorriso, sempre serissimi. Forse sono ancora neri per gli inglesi che li hanno mazzolati fino al 1947. Si ecco, mi sembra che siano immusoniti come lo erano i Kenioti. Come sono incazzati tutti quei popoli che hanno avuto la disavventura di incontrare gli inglesi lungo la loro strada.
Arriviamo su in cima,fino alla Moschea Jama Masjid.
Si trova nel quartiere di Old Delhi ed è la più grande di tutta l’India, decorata con marmo rosso a richiamare il Red Fort che si erge di fronte.
Tra i luoghi di culto più imponenti di tutta l’Asia, può ospitare fino a 25.000 fedeli ed è seconda per dimensioni soltanto a quella di Istanbul.
Nei dintorni una folla che rappresenta in maniera perfetta la convivenza di una moltitudine di culti, come fossero tante espressioni diverse di una stessa Fede.
Monumentale ma con una serie di bidonville tutt’intorno. E mercati d’ogni genere, ma sempre anche tanta sporcizia.
E’ tarda mattinata, ma in mezzo al grande piazzale sotto la Moschea, disordinato e pieno di bivacchi, ci sono diversi poveracci sdraiati sotto delle coperte sdrucite. Dormiranno, ma potrebbero anche essere morti. Nessuno si cura di loro. Passano accanto, giocano quasi a toccarli, il polverone alzato dal vento li ricopre., e se la patina raggiunge i due centimetri significa che o sono dei dormiglioni o hanno tirato le cuoia. La gente intorno se ne accorgerà dal puzzo.
In uno di questo giardini abbandonati all’incuria ed alla sporcizia, ci sono due bambini che finito di mendicare vicino alla Moschea soprastante, sono tornati purtroppo a mani vuote. Il più giovane dice all’altro :”Stanotte ho sognato che lavoravo e guadagnavo 100.000 Rupie al mese, come mio padre.”
“Perché”, risponde il più grande, “tuo padre guadagna 100.000 Rupie al mese ?”
“No, no” fa il primo, “ma anche lui se lo sogna:”
Nel centro di Old Delhi visitiamo altri mercati.
Tanto traffico, tanto rumore, suoni continui di clacson, tanta gente, tanta miseria, tanta incuria. Però, tutto sommato,ti danno meno fastidio di come ci saremmo aspettati di trovare.
Pensavamo di peggio.
Per pranzare il nostro Laxman ci porta in un quartiere dove alcuni ristoranti sono attrezzati per accogliere i turisti e per stavolta lo abbiamo solo ammonito, che non è il genere che noi cerchiamo.
Vedremo se lo avrà capito.
Pomeriggio dedicato allo shopping sempre nella zona di Old Dehli, fino all’ora di cena.
Nelle vicinanze del nostro albergo, troviamo un resort piccolo ma molto più pulito e carino del nostro, dove all’interno c’è un altro altrettanto piccolo ristorante che ci ospita e ci fa cenare discretamente ed al prezzo giusto.
Poi a letto pieni di stanchezza e di emozioni.

3 Febbraio giovedì
A colazione, in questa specie di tugurio, tenuto non c’è male, vediamo che mancano i croissant, gli unici dolcetti che però ieri mattina c’erano.
Li chiediamo e ci rispondono che quest’oggi non ci sono. Complimenti alla risposta.
Alle 8,00 abbandoniamo questa cacca di posto, senza ostentatamente lasciare alcuna mancia, che peraltro tutti in fila bramerebbero di averla. Nessun ringraziamento e volutamente rifiutiamo qualsiasi altro servizio. I bagagli ce li spostiamo da soli.
Cinque ore e mezzo per percorrere i 250 kilometri che ci separano dalla città di Agra, in una specie di autostrada a due corsie per ogni senso di marcia, dove però un traffico incredibile rende la marcia lenta e faticosa, con carretti trainati da cammelli, vacche e tori in vacanza lungo la strada, e macchine e motorini a tre ruote con cassone retrostante e pieni di gente fino all’inverosimile.
Solito troiaio di sporcizia, che non cresce da sola, né cade dal cielo.
Piccola sosta per un caffè a metà strada e finalmente arriviamo ad Agra nel nostro Hotel , lo Howard Park Plaza (76 Euro a stanza per notte), che costa parecchio meno di quello di Delhi ed è in compenso sette volte migliore.
Si trova nelle vicinanze del Taj Mahal e del Red Fort.
Agra è meta di visita da parte di migliaia di turisti da tutto il mondo.
La nostra stanza è quasi pronta e quando vi entriamo cerchiamo di depositare i nostri documenti nel safety box, che anche questo non è funzionante.
Chiamiamo il banco del ricevimento ed aspettiamo un’ora prima che tutto sia in linea..
Ma pensarci prima, no, eh ?
Sembrerebbe che concettualmente non abbiano voglia di fare un tubo, ma che le loro fatiche si debbano solo manifestare nell’attendere le mance.
La camera, comunque, è all’altezza della sua categoria così come tutta la struttura alberghiera. Per quanto poi, alcuni dimostrino anche di avere buona volontà, sono poi in definitiva dei grossi sprovveduti.
Pranziamo tardi alle 15,00 in un locale indiano, così, così, con riso bianco e lenticchie stufate per condimento, forse troppo speziate.
Alle 16,00 entriamo a visitare il Taj Mahal e questo da solo, vale tutto il viaggio.
E’ incredibile quanta gente venga a visitare questo simbolo dell’India riprodotto in tutte le riviste nell’universo mondo.
Il Taj Mahal è un Mausoleo fatto costruire nel 1632 dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della sua moglie preferita, morta di parto alla nascita del quattordicesimo figlio.
E’ considerato, da sempre, una delle più notevoli bellezze architettoniche dell’India e del Mondo, a tal punto che il complesso è tra i Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco dal 1983.
E’ stato inserito anche nel 2007 tra le sette meraviglie del Mondo Moderno.
Per la sua costruzione, quasi tutto marmo bianco del Rajastan, sono stati adoperati per essere incastonati, il diaspro dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina, i turchesi dal Tibet, i lapislazzoli dall’Afganistan, gli zaffiri dallo Sri Lanka e la corniola (altra pietra dura) dall’Arabia.
I lavori durarono 22 anni con l’intervento dei più famosi architetti dell’epoca ed il suo costo arrivò a dei livelli allucinanti.
Al termine dei lavori, il figlio del Mecenate del Mausoleo pensò bene di deporre il padre ed imprigionarlo per “demenza senile a rimorchio di una donna”.
E poi ci si chiede ancora cosa tira di più di un carro trainato da un paio di buoi.
Successivamente il Mausoleo visse un periodo molto lungo di abbandono, fino al 1899, anno in cui il Vicerè britannico dell’India avviò il suo restauro terminato in 9 anni.
Fra tanta gente, nessuno che parli italiano. Tantissimi viaggiatori occidentali con gite organizzate. Pochissimi sono da soli, come noi poveri pellegrini.
Peccato che per entrare si debba sottostare a noiose formalità così come alle restrizioni per le riprese con la cinepresa.
E qui comincia lo slalom con i venditori di qualsiasi merce.
Mi fermo in un chiosco a prendere una bottiglietta d’acqua, vicino a due venditori di tappetini, che si stanno riposando. I venditori non i tappeti.
Uno di questi stà raccontando che un altro tappetaio, tornando a casa prima del tempo, ha trovato la moglie a letto con un suo collega. Del venditore non di sua moglie. Ha impugnato la pistola che teneva in un cassetto e se l’è puntata alla tempia.
A questo punto i due, sorpresi ed ancora a giacere nell’alcova, sono scoppiati a ridere, ma il venditore di tappeti, di rimando : “Ridete, ridete pure. Ma dopo tocca a voi.”
C’è un ragazzo che vende un libro interessante con tante fotografie del Taj Mahal, con la storia, scritta in lingua italiana. Per mezz’ora ci viene appresso, cominciando a chiedere 1.500 Rupie, 23 Euro.
Alla fine, quando ormai eravamo già saliti sul risciò per tornare all’uscita ce l’ha mollato per 300 Rupie, 4,5 Euro, ed è andato via tutto soddisfatto.
Noi anche, che ce lo siamo levato di torno.
Continua la solita rottura di zibidei con i venditori e dispensatori di servizi.
Ormai è un giochino, ma molto stancante e con perdita di tempo.
Mi spiace ripeterlo, ma sembra che questa gente sia sempre pronta a inchiappettarti, o almeno ci prova.
Decine di episodi lo dimostrano ed è inutile elencarli tutti.
Bisogna essere decisi a non mollare quando crediamo di essere nel giusto e sicuramente noi non siamo venuti qui per imbrogliarli, o perlomeno la maggioranza di noi. Io no, anzi sarei disposto e qualche volta lo faccio, a dare più di quello che chiedono, ma quando mi accorgo della presa pel culo, mi irrigidisco.
Con l’uomo del risciò concordiamo 100 Rupie (ci eravamo informati prima e la tariffa giusta per ogni bicicletta con baldacchino è questa) per farci condurre, me e Filomena, all’uscita del Mausoleo. Avremmo voluto farla a piedi, è una bella passeggiata, ma il “risciòman” non ci avrebbe più mollato con le sue insistenze
All’arrivo paghiamo il dovuto e il pedalatore, con arroganza ne vuole 200 di Rupie, cioè 100 per ogni passeggero, dice lui. Lo abbiamo mandato a fanculo.
Ritorniamo in Hotel verso le 18,00 e passeggiamo nei dintorni.
Il traffico è opprimente e attraversare la strada ogni volta è un’impresa.
Pur essendo uguale come volume di traffico, c’è una grande differenza fra quello indiano ed il suo omologo vietnamita.
In Viet Nam, come qui, del resto, il flusso è continuo, e recarsi dall’altra parte della via, necessita un sistema sperimentato positivamente. Bisogna attraversare camminando lentamente, senza sussulti, senza deviazioni, senza fermate, senza tentennamenti. Ci pensa chi arriva a schivarti, puoi andare tranquillo, perché ciascuno prende le misure per non venirti addosso.
Qui in India, invece, è esattamente al contrario. Sei tu che attraversi che devi scansare chi sta per venirti ad investire, e questo è molto difficile e pericoloso.
Non hanno riguardo, neppure per se stessi. Io credo che il codice della strada sia semplicissimo e costituito da un solo articolo, quello che dice di andare all’incirca per mano sinistra. Poi ognuno fa quello che gli pare in considerazione della grandezza, potenza e velocità del mezzo.
Sono numerosi i negozi che si affacciano sulla piazza accanto all’Hotel. Tutte botteghe che vendono solo oggetti per turisti e le Agenzie Turistiche dirottano, qui nei pressi, pulmini e Bus che vomitano orde di acquirenti inebetiti dalle estenuanti trattative per acquistare paccottaglia ad altissimo prezzo su cui fare la cresta e ricevere le provvigioni.
Quando poi ci si avvicina a piedi e si sbircia dentro le vetrine, da ogni affaccio di negozio esce qualcuno che insiste per averci dentro. E ciò fa tanto Marocco, Tunisia, Egitto e così via. E ti passa la voglia di guardare, riflettere, comprare. Fino a non sopportarli più e rispondere male. Ecco, si, così capiscono. Si meravigliano ma ti lasciano in pace. Bisogna purtroppo fare gli antipatici. Peggio per loro perché ci perdono come clienti. Forse non è una grave perdita per loro, ma il nostro milioncino di Euro ci guardiamo bene di spenderlo da voi, brutte testoline di vitello.
Non si cena perché abbiamo ancora da digerire il riso e lenticchie di oggi pomeriggio.
Filomena ha le nausee ed è stanca.
Però con la tosse stiamo parecchio meglio.

4 Febbraio venerdì
Nottata tranquilla e risveglio prestino.
Abbastanza varia e buona la colazione, ma servizi piuttosto scadenti, anche se personale volenteroso. Sono sprovveduti e si nota che manca una preparazione specifica alla base.
Nella grande sala “colazione-ristorante” non ci sono tovagliolini di carta, né sul nostro tavolo, né sugli altri. Li cerco sul banco di servizio e non li trovo. Chiedo allora al cameriere più vicino, se è possibile averli, sventolandogli davanti un fazzolettino di carta Tempo che avevo in tasca.
Si spalleggiano il problema uno con l’altro e finalmente il maitre esce dalla cucina con “un” tovagliolino e me lo porge. Gli faccio cenno che anche Filomena, seduta accanto a me, è senza e solo allora va a prenderne “un altro”.
Dopo tre minuti, forse hanno fatto un’assemblea sindacale, un altro cameriere ci concede 2 tovaglioli di stoffa, che pone sulle nostre ginocchia.
Troppa grazia, alla buon’ora.
Dopo altri 5 minuti ritorna nella sala con un pacco di tovaglioli e comincia a distribuirli sopra i tavoli.
E ora ditemi che sono io il rompiballe.
Il nostro autista mi informa che gli indiani, a tavola non usano i tovaglioli, né di stoffa, né di carta, e tanto meno nei servizi igienici, ove la carta è sconosciuta. Si usano le dita delle mani e voglio credere che ci sia perlomeno l’abitudine di lavarsele fra un servizio e l’altro.
Io posso anche capire e rispettare le loro abitudini, ma se interessa, e di ciò non c’è alcun dubbio, che il turismo abbia un maggior sviluppo, per il commercio, l’artigianato, il mantenimento dei siti archeologici, monumenti, insomma per l’occupazione lavorativa delle varie categorie e per tutto l’indotto che si viene a creare, devono anche concedere qualche cosina e sopportare di fornire i più elementari e basilari mezzi di cui l’occidentale non può farne a meno, per abitudine, per tradizione o per motivi igienici.
E’ come se, quando in Italia viene in vacanza un eskimese, noi italiani non gli fornissimo spezzatino di foca per colazione, arredamento da igloo, slitta per trasferimenti, cani Siberian Husky quali motore ecologico, pelli di renna per tovaglia, nasi finti per ricambiare i saluti ed Escort per dimostrare di essere molto ospitali. Tanto queste ci avanzano!!
I nostri alberghi sono pieni e attrezzati per il sollazzo di questi esotici turisti.
Prima non ci credevo, ma la tendenza di tutti, o quasi, è quella di grande soddisfazione nel cercare l’imbroglio. E’ sistematico, naturale, spontaneo.
Se per caso abbassi la guardia, anche per un solo istante e ti fidi, sei fritto. Nulla di tragico o di grande valenza e portata, ma il fastidio per essere stato preso in giro è enorme, sia per delle piccolezze che per ragioni molto rilevanti.
Mentre aspettiamo che arrivi il nostro autista Laxman, compriamo in una botteghina attrezzata per vendita di calzature in pelle, un paio di ciabatte. Il commerciante parte da 700 Rupie ma alla fine ne abbiamo concordate 400.
Pago con un foglio da 500 Rupie equivalenti a 7,5 Euro. Lui incarta le pantofole, le mette in un sacchettino e mi da il resto in pezzi da 10 Rupie. Distrattamente le prendo, poi, mi metto a contarle per dimostrarmi che sono il solito malfidato senza motivo.
Mancano 2 pezzi da 10 Rupie e quando glielo faccio notare mostrandogli il resto ricevuto, candidamente, ma furbescamente, mi risponde che non aveva più pezzi da 10.
Contrariato perché ciò avallava il mio concetto sugli indiani, gli dico che ripasserò nel pomeriggio per fare l’acquisto e che quindi mi restituisca le mie 500 Rupie.
Chissà perché, ma d’incanto riappare la cifra giusta come resto del pagamento.
Poi ci vorrebbe rifilare altre scarpe e borse in pelle, ma si è segato da solo, e con lo sguardo gli ho dato del gran coglione. Chissà se lo avrà tradotto.
Qui in India è ancora molto consolidata la tradizione di combinare i matrimoni, direttamente e molto tempo prima, dalle stesse famiglie degli sposi, e le promesse avvengono per lo più molto tempo prima.
Mi raccontava Laxman che quando nacque una bambina a un mercante di Jaipur, appartenente per diritto di nascita alla casta dei Vaishya, la cui intelligenza sembra essere proverbiale, dopo un anno, un suo carissimo amico gli propose di combinare il futuro matrimonio con il suo figlioletto che aveva 2 anni e cioè un anno più della figlia.
Il bottegaio volle discutere la proposta in privato con la propria moglie.
Il parere del marito era che avendo ora il maschietto, 2 anni, cioè il doppio dell’età della figlioletta, quando questa avrebbe avuto 19 anni, pronta a sposarsi, il futuro consorte ne avrebbe avuti il doppio, cioè 38 di anni ed il padre della ragazza non se la sentiva di essere così insensibile da far sposare la figlia con un uomo così vecchio.
La moglie del commerciante sorrise e lo tranquillizzò.
“Sei proprio stupido” gli disse, “come tutti gli uomini indiani”.
“Nostra figlia ora ha 1 anno. L’anno prossimo ne avrà 2 di anni e quindi avrà la sua stessa età”.
Andiamo a visitare il Forte di Agra.
L’Agra Fort o Forte di Akbar è stato costruito nel 1565 in arenaria scarlatta, caratteristica comune di molti grandi edifici moghul.
E’ protetto da una doppia cinta di mura, sulle rive del fiume Yamuna, lo stesso che passa anche per Delhi.
Dentro alle ardite fortificazioni, il tesoro degli imperatori moghul era al sicuro e la corte, l’esercito ed i cittadini, potevano resistere a lunghi assedi.
La porta principale, chiamata Porta Amar Singh, ha una finta antiporta per spiazzare e sconcertare gli assalitori ed è costruita ad angolo retto per sviare gli attacchi con gli elefanti.
All’interno, giardini monumentali, mirabili costruzioni e sfavillanti palazzi.
Ci trasferiamo in una specie di bazaar (a detta del nostro autista). Passando in macchina vediamo i loro quartieri mercato, ma non c’è abbastanza stomaco per girare là dentro. In quest’altro mercato, invece, si può transitare senza conati di vomito, ma non c’è niente, se non paccottaglia dell’ultima categoria.
Sembrerebbe di capitare nei mercati dell’est Europa negli anni 50-60 quando c’era poco o niente e quel poco ormai deprimente e sorpassato.
Mi si avvicina un ragazzo sui vent’anni con una serie di braccialetti multicolori da vendere. Ha un canino al guinzaglio e noto immediatamente che l’animale ha la coda tagliata e ancora un po’ sanguinolenta.
Gli chiedo che incidente l’abbia ridotto in questo modo, e il giovane mi risponde che siccome sua suocera fra qualche giorno verrà a fare visita alla figlia, non vuole che lei pensasse che il cane sia contento di vederla.
Filomena è stanca, non ha appetito, è ancora nauseata da quel sugo di lenticchie di ieri e che forse l’ha un po’ avvelenata. Preferisce riposare in camera, ma io, resistente, per non pranzare sempre in Hotel, esco e trovo una specie di ristorante, semidecente, vicino al nostro albergo. Entro e chiedo di vedere il menù. Mi dicono di accomodarmi. Insisto nel farmi dare prima la lista dei piatti e leggo sulla carta che hanno del pesce cucinato alla cinese con riso bollito.
Solo allora mi siedo e ordino il piatto che avevo scelto.
Torna dopo due minuti e mi dice che non hanno pesce.
Sono ormai preparato a queste cose, e mi alzo, saluto educatamente e me ne esco seguito dagli sguardi meravigliati dei presenti.
Uscito, non ho più fame, e vado da un cambiavalute qui accanto, che ieri sera avevo già contattato. Faceva il cambio a 61 Rupie per 1 Euro, ed ora mi riconosce ed alla mia richiesta sulla quotazione mi dice 57 Rupie.
Gli ricordo che ieri avevamo concordato 61 Rupie e senza fare una piega, cosa normale per lui, mi risponde OK.
Anche lui ci ha provato. E’ proprio sistematica la presa in giro volta alla fregatura.
Mentre Filomena continua a riposare in Hotel, continuo il mio girovagare per le strade e vicoli dove sono l’unico “bianco”. Devo dire che non sono mai stato importunato, tranne alcune insistenze, molto blande, per inviti all’acquisto.
Entro in un bar-pasticceria, pieno di dolciumi e paste. Il locale mi sembra abbastanza pulito ed accogliente e vedo che hanno pronti anche dei tramezzini con formaggio.
Mi viene voglia di provarli e chiedo se hanno caffè. Lo chiedo perché non è nelle loro abitudini, e il ragazzino cameriere mi mostra trionfante una macchinetta automatica con acqua calda e Nescafè accanto al bancone.
Dopo 5 minuti mi portano un piatto con i tramezzini e chiedo subito dov’è il caffè.
Mi risponde che la macchinetta non funziona.
Restituisco il piatto, mi alzo, saluto con il solito sorriso e me ne vado.
Magari saranno anche sorpresi del mio atteggiamento.
Non mi capiranno mai perché volevo il tramezzino con la bevanda calda o niente.
Continua la mia girata e continua la visione di tantissima povertà e sporcizia.
Per la verità, la mattina presto viene eseguita la pulizia delle strade e delle aiole (tenute malissimo). Ammucchiano le immondizie a lato delle strade polverose e poi vengono portate via. Già nel pomeriggio il mucchio di troiaio ricresce per la gioia di cani, vacche passeggiatrici e cammelli ingobbiti. Nuovamente lo sporco è di nuovo sparso dappertutto, ma non è quello ammucchiato la mattina.
E le immondizie non crescono da sole, né escono dai tombini nauseabondi.
Vicino ad un altro mercato, piuttosto puzzolente, ci sono vari bovini che stancamente transitano e pascolano per il vicolo e fra questi c’è un bue che stà dando cornate contro un muro in pietra. Chiedo il motivo ad un Santone barbuto e seminudo accovacciato lì vicino e mi risponde serafico che lo fa perché vuole farsi la bua.
Un bimbo malvestito con un po’ di stracci, di circa 8 -10 anni, ci segue implorando la carità, e chiedendo qualcosa da mangiare. Purtroppo per lui, non ci credo più e se anche mi verrebbe istintivamente desiderio di donargli qualche Rupia, non lo faccio dopo tutti gli ammonimenti dei Tour Operator, che raccomandano di non regalare denaro perché servirebbe solo ad ingrassare il racket dell’accattonaggio, e vado oltre.
C’è un gelataio, qui vicino, e senza ripensarci, ordino un cono da 20 Rupie, chiamo il bambino, che si era già allontanato, gli faccio scegliere i gusti delle palline, dico al bottegaio di darglielo.
Lui lo prende, non mi degna di uno sguardo, non mi pare mi abbia neppure salutato o ringraziato, ha girato il culo e se n’è andato.
Di positivo c’è che me lo sono levato di torno.
Di prima botta, questi indiani, o almeno quelli che vivono a Delhi o ad Agra, posti da noi visitati, sembrano anche gentili e simpatici.
Sono loro che spesso mi salutano per primi e si interessano sulla mia salute. Si spingono anche ad informarsi da che parte del mondo provengo.
Cordialità ? Premurosi ? Cortesi ?
Neanche un po’.
Cercano solamente di instaurare un inizio di confidenziale discorso per tirartelo in tasca o per lo meno affibbiarti qualche cosa, o offrirti dei servizi, nella maggior parte dei casi scadenti, insufficienti e stracostosi.
E questo non lo sopporto. E’ un insulto alla mia seppur breve capacità di valutare il prossimo. Mi sembra di sentire sempre la celebre domanda “ Ma….mordono stì loci ?”
Non esiste, per loro, il buon giorno di “buon vicinato”. Ci deve essere sempre un secondo fine. Sei solo un individuo da fregare, in qualsiasi modo. Quanta analogia con alcuni posti anche in Italia !!
E quando lo fai notare, che non gli frega niente come stai, come ti chiami o da dove vieni, quando alla fine “li svergogni”, non se la prendono, si limitano ad un sorriso ebete.
C’è una signora indiana, di una certa età, vestita in modo elegante e pittoresco, come tutte le donne, giovani o anziane. Chiede la carità ai passanti, ma tiene un portamento fiero e dignitoso. Quando le passo vicino, mi dice che sarebbe disposta a farsi fare una fotografia in cambio di 50 Rupie. Stavolta me la cava di bocca. Rispondo che potrebbe lei fotografare me e gratis, risparmiando le 50 Rupie. Credo che non abbia ben compreso la battuta.
Sono sempre stato molto critico con i Thai, i Viet, gli Arabi.
Ma questi qui superano tutti, in maleducazione, soprattutto. Mai vista tanta impertinenza.
Nelle strade, nei vicoli, dentro i bazaar, se si deve passare a piedi per una strettoia e c’è il rischio di collisione, piuttosto ti spingono via, ma loro non si fermano o si tirano indietro, anche se dall’altra parte c’è una persona anziana o del gentil sesso.
E’ troppo complicato per loro fare lo slalom in mezzo alla folla per evitare di acciaccare o investire qualcuno. E’ meglio proseguire diritti e i più deboli o si spostano o devono soccombere.
Deve essere una regola, la legge della jungla. Del prossimo non gliene può fregare di meno.
Nel nostro piccolo lo vediamo noi con il nostro autista Laxman. Brava persona, precisa, puntuale, seria. Di che ceto sociale sarà ? Medio ? Medio basso ? Basso ? Di qualunque categoria sociale creda di far parte, quando vede qualcuno, vecchio o più sfortunato di lui, che cerca di arrangiarsi in qualche modo per recuperare qualche Rupia, lo scaccia via in malo modo. Non lo considera più come suo concittadino o connazionale. Non conta più nulla e dovrebbe sparire, sono anche in troppi.
Anche nel traffico veicolare, non rallentano mai, se non inchiodare prima di tamponare o investire o colpire qualcuno, quando vi riescono. E’ vero che non se la prendono mai nel caos della circolazione, è difficile che si arrabbino fra loro, non li ho mai visti insultarsi, ma proseguono senza frenare. Al posto dei freni in compenso hanno il ditino sempre appoggiato sul clacson anche quando sono soli e non c’è da avvisare nessuno.
Anche sul marciapiede, spesso transitano con le loro biciclette e motorini. Sei tu pedone che devi scansarti. Se non lo fai ti arrotano.
Ho provato un paio di volte coraggiosamente a resistere nel territorio del pedone, stando fermo per vedere il loro comportamento. Sono rimasto bloccato e si sono dovuti fermare e scendere dal marciapiede.
Ma secondo me non hanno imparato nulla, anzi avranno pensato che questi europei rompono proprio le palle.
Sprovveduti, impreparati, saccenti ed incapaci. Almeno quelli delle categorie incontrate a corollario del turismo.
Per quanto bello e ospitale, sia nell’Hotel che nel ristorante, manca sempre qualcosa.
La stanza può anche essere spaziosa, confortevole, accogliente, ma ci sarà sempre una presa di corrente che sdringula, un rubinetto che gocciola, la luce sul comodino che si spegne solo svitando la lampadina.
E sono una potenza atomica.
Chissà se tutti i neutroni sono in linea o qualcuno è fuori uso ?
Oggi abbiamo conosciuto una coppia malese in vacanza. Stanno facendo il nostro stesso giro fra Delhi, Agra e Jaipur nel Rajastan. Lui è professore di inglese a Kuala Lumpur e durante la serata, trascorsa insieme, ci ha confessato che era stato da queste parti 15 anni fa, e che non è cambiato nulla. Stessa povertà, stessa sporcizia, stessa inettitudine. Mi viene il dubbio che forse non cerchino neppure di migliorare. Sarà un loro modo di concepire la vita, saranno i retaggi religiosi, sarà il fatalismo che riempie la loro esistenza.

5 Febbraio sabato
Ci prepariamo per lasciare Agra e portarci a Jaipur.
Tutti che ci saltellano attorno, chiedendoci se ci siamo trovati bene, se la stanza era in ordine, se le lenzuola erano pulite (ci mancherebbe solo questo).
Tutti schierati davanti al banco del check-out sbavanti per ricevere la mancia.
Do un’occhiata alla fattura, ormai mi abituo a controllare tutto.
Al conto viene aggiunto un 7 % per tasse varie ed un 12% per il servizio. Il servizio di che ? Del personale ? Bene, OK e allora cosa altro vorreste ?
Consegnamo la carta di credito per pagare quanto consumato e l’impiegato dopo un minuto ci dice che non è abilitata e chiede se abbiamo contanti o un’altra carta. Rispondiamo che abbiamo solo quella e che è molto buona, tant’è che era stata usata il giorno prima, senza inconvenienti. Altrimenti sarà necessario che ci mandi il conteggio a casa in Italia e faremo in seguito un veloce bonifico.
Riprova e d’incanto tutto funziona.
Ci provano sempre, ma per fare che ? E questi sono i meglio. Non dimenticherò più gli addetti alla topaia di Delhi.
Anche qui in India hanno inventato un nuovo mestiere. Il salutatore.
E’ un uomo, ah si, mi scordavo di dirlo. In India negli hotel non ci sono donne che fanno le pulizie o riassettano le stanze. Cameriere nei ristoranti o in cucina non ci sono. Sono tutti uomini. E sempre un uomo, dicevo, qui fa il “salutatore”.
Si apposta alla vetrata d’ingresso, quando arrivi od esci ti apre il portone e ti saluta militarmente.
Per due volte, in questi giorni mi ha voluto stringere la mano. Mi toccherà dargli una trentina di Rupie.
Sono le 9,00 e partiamo per Jaipur.
Solito casino e soliti ingorghi rumorosi nella periferia e nell’attraversamento dei villaggi. Dobbiamo percorrere 250 kilometri su una specie di autostrada a due corsie per ogni senso di marcia, ma dove transitano anche motorini, biciclette, carretti trainati da cammelli, camion, autobus, vacche, pecore e tanti indiani e indiane, bellissime nei loro sahari variopinti.
Tutto sommato il traffico, al di fuori dei crocevia è abbastanza scorrevole anche se disordinato e senza regole.
La campagna, prima brulla, diventa sempre più verde nell’avvicinamento del Rajastan e verso le 13,00 ci fermiamo lungo la strada per pranzare in un mezzo troiaio di locale. Si tratta di un chioschetto, a chiamarlo molto ottimisticamente e sperimento (solo io perché Filomena è ancora a dieta forzata dalla nausea) la loro cucina, tappandomi però gli occhi, le orecchie e il naso. La bocca no perché avrei dovuto aprire qualche altra fessura per ingollare il cibo preparato all’istante e faccio bene perché non era poi così male. Riso bollito con pietanze vegetariane.
Siamo gli unici avventori, ma pranzo solo io. Laxman, l’autista fa finta di niente, girella, ma intasca la provvigione.
Era l’unico locale lungo la strada, e debbo dire che il cuoco era una ragazzino dell’età di una dozzina d’anni e ci aveva messo tutto il suo impegno. Da ammirare.
Arriviamo nei pressi di Jaipur alle 14,00 e facciamo una piccola deviazione a pochi kilometri dall’arrivo per visitare il tempio del sole a Galta (Temple of the Sun God – Monkey Thieves) detto anche delle scimmie per questi numerosi animali che lo abitano.
Merita veramente, con le vacche e centinaia di scimmie che si arrampicano sulla montagna, a parte il solito mucchio di rifiuti, però abbastanza contenuto.
Tanti sono i siti abbandonati, ma quelli restaurati sono davvero uno spettacolo.
Questa enorme antica dimora, arroccata contro la montagna, è stata in minima parte recuperata e resa all’antico splendore, ma siccome è vastissima, alcune parti sono tenute molto bene ed altre ancora in stato di abbandono.
Arriviamo in albergo all’ Umaid Bhawan Hotel (40 Euro a stanza per notte) in una zona tranquilla e abbastanza pulita. Dico abbastanza perché in confronto alla parte vecchia della città di Jaipur è una reggia.
Jaipur, con 2 milioni e mezzo di abitanti, famosa per i suoi edifici in arenaria rosa, è il capoluogo della Regione del Rajastan.
La città è ricca di monumenti storici fra cui il Hawa Mahal, chiamato anche Palazzo dei Venti.
E’ un edificio di 8 piani costruito nel 1799 la cui facciata, di colore rosa è riprodotta su tutte le riviste pubblicizzanti la città di Jaipur,
Comprende quasi mille fra nicchie e finestre, tutte lavorate a merletto, facendola assomigliare ad un nido d’api.
Serviva da osservatorio dal quale le donne di corte, non viste, potevano assistere alla vita della città.
Il palazzo ha la profondità di una sola stanza.
La Old Jaipur ha una caratteristica che non ho mai notato nelle altre due città visitate in India. Assieme al solito degrado, sporcizia, povertà, assieme agli abitanti, numerosissimi, nelle loro dimore o meglio nei loro tuguri di abitazione, oltre alle solite vacche e cammelli che pascolano per le strade, nei cortili e anche dentro casa, qui ci sono anche un’infinità di maiali, di tutte le razze. Ne ho visti alcuni anche di cinta senese, quelli neri con la fascia chiara. Pascolano anche loro tranquillamente senza scansarsi e sono considerati più dei pedoni, per cui i motorini, macchine biciclette, camioncini, risciò e tuk tuk, questa volta li evitano.
Cercando un centro commerciale all’occidentale, che la nostra guida autista ci dice che in India non esistono, passiamo accanto ad un grande lago artificiale che è stato creato nel 1700 come riserva d’acqua per la città.
C’è una bella passeggiata lungo il lago e tanta gente che passeggia al tramonto godendosi la gradevolissima temperatura.
Il nostro autista ci porta in alcuni negozi di abbigliamento, tappeti e souvenirs e gli chiediamo se non ha ancora imparato a non prenderci per il naso. Infatti appena arrivati notiamo pulmini strapieni di turisti festanti e contenti .
Gli facciamo il solito discorso di non continuare con questi giochetti. Ogni volta sembra capire, poi ci ricasca.
Non riesce a comprendere che, se non fa il coglione, alla fine della “fiera” otterrà di più di tutte le provvigioni che sarebbe riuscito a concordare con i commercianti.
Per due volte ci porta dove vuole e per due volte dopo aver valutato il luogo, neppure scendiamo dalla macchina e diciamo di proseguire per altri lidi.
E pensare che mi sembrava abbastanza sveglio.
Non vorrei però essere frainteso.
Siamo contenti di lui. Il suo mestiere lo conosce bene, è servizievole ed anche simpatico. Puntualissimo, rispetta alla regola tutti gli accordi presi con il suo principale per il tour della durata di una settimana.
Però il vizietto di tutti gli indiani gli è rimasto.
Ci prova.
L’Hotel in cui siamo sistemati è più che sufficiente per gli standars indiani. E’ nuovo e costruito in stile antico e gradevole, il che non guasta.
Anche qui, però, manutenzione assomigliante a zero. Peccato perché si rovina una reputazione per poche sciocchezze. Ma comunque buono, tutto sommato.
Ceniamo sulla terrazza con ottima vista sulla città ed ottima temperatura.
A nanna alle 9,30.

6 Febbraio domenica
E’ domenica e in alcune parti d’Italia, verso le 8 la mattina, uno scampanio festoso ti dà la sveglia. Si ripete ogni mezz’ora chiamando i fedeli all’adunata nelle chiese.
Qui invece si comincia alle 6,00 con il Muezzin amplificato a 1.000 Watt. Prima ancora verso le 4,00 sono i clacson dei camion in lontananza che ci pensano a svegliarti.
Suonano tutti, suonano sempre. Ho provato a dire ad uno che mi ha strombazzato da due metri : “Ora che hai suonato, mettiti a cantare, bischero”.
Colazione abbastanza misera ma sufficiente per non morire anoressico.
Si deve chiedere tutto perché da soli o non se ne accorgono o non ci arrivano.
Manca il pane e lo devi chiedere. Manca il burro e devi avvisare il cameriere.
E’ difficile controllare prima, bisognerebbe impegnarsi troppo.
Andiamo all’Amber Fort.
Si trova a circa 11 kilometri da Jaipur, arroccato su un’altura.
Il palazzo fortezza Amber, la cui costruzione è iniziata nel 1592 ha una facciata solenne e austera, con gli interni fastosi, eleganti e raffinati. I turisti in visita possono salire sui ripidi bastioni anche a dorso di elefante.
Una bella gita della durata di una mezz’ora.
Stupenda è la scenografia della grande terrazza d’entrata.
Pieno di gente, da non perdere. E’ immenso e dove è stato restaurato è una cosa mirabile. Completo degrado invece dove è stato lasciato all’incuria del tempo e degli uomini. Soliti rompiballe che ci aggrediscono ancor prima di uscire completamente dalla macchina. E tutti pronti a offrirti un passaggio sugli elefanti o venderti catene, catenine, braccialetti, ventagli, cappelli o nienterie. Pronti anche a ricevere l’obolo solo perché ti hanno salutato.
All’ora di pranzo usciamo solo io con Laxman, l’autista. Filomena non si è ancora risistemata con lo stomaco e preferisce rimanere in albergo.
Si stà riprendendo lentamente da quella specie di avvelenamento da odori, sapori, stanchezza. Preferisce riposare e non mangiare se non frutta e un po’ di cioccolata.
La tosse ed il raffreddore vanno invece decisamente meglio.
Nella bettola che scegliamo, ordiniamo pollo al chili io, e pollo alla boh, lui.
Io con del riso e Laxman con quella specie di pane schiacciata che in India usano in tutti i modi e in tutti i momenti.
C’è altra gente che accanto a noi siede sui tavolini in ferro e plastica e dove anche qui i tovaglioli non esistono e ho adoperato i miei fazzolettini Tempo.
Una famiglia composta da una coppia con due bambini stà mangiando alla nostra sinistra . Il padrone dell’osteria porta a tutti, come antipasto, un piatto con delle fette di pomodoro, cetriolo, cipolle e carote. Come condimento sale e limone. Abbastanza commestibile.
Beh, a tutti è noto che sono abbastanza di bocca buona e che non mi tiro mai indietro se c’è da assaggiare o provare qualche piatto esotico.
Così faccio anche stavolta, ma mi devo proprio sforzare parecchio per non inguastirmi nel vederli mangiare. Tutto con le mani, succhiandosi spesso le dita e con strani rumori con la bocca. Come detto prima niente tovaglioli ed io mi sono guardato bene dall’offrire i miei fazzolettini di carta.
Forse sarà anche fisiologicamente corretto, ma non mi sono ancora abituato e mi da ancora un senso di schifo, ma resisto e finalmente si termina.
Chiedo il conto che arriva subito. Sono 455 Rupie, 6,80 Euro in due. Non è poco per i loro standard, ma forse c’è compresa la cresta per Laxman.
Pago con 500 Rupie e attendo il resto. Arriva con gli spiccioli e tentenna, tenendoli nella sua mano. Gli faccio cenno di posarli sul tavolo. Lo fa e aspetta.
Dopo un attimo gli tendo la mano, gliela stringo calorosamente con un largo sorriso, mi intasco il resto e saluto la guarnigione.
Non sopporto più queste impertinenze e credo doveroso e necessario contraccambiare con la stessa moneta. Ma credo anche che non impareranno mai e non sarà poi così facile far loro cambiare mentalità.
Facciamo una visita al City Palace, praticamente un museo nel centro della città vecchia e nei suoi pressi c’è un altro monumento molto importante, il Jantar Mantar, un osservatorio astronomico all’aria aperta, i cui strumenti sono costruiti in pietra.
Ma in questi giorni il sito è chiuso per urgenti lavori di ristrutturazione.
Chi ha un’occupazione nel circuito turistico prova che si guadagna facendo molto poco o niente. Nell’immaginario collettivo si giustifica che l’occidentale venga spolpato per la grande miseria in cui l’India si dibatte. L’occidentale può spendere perché ha le capacità finanziarie. Ma chi ha detto che anche loro non potrebbero ? C’è forse una volontà di riscatto ? O il riscatto è volto solo a fregare la gente ? Mi hanno assicurato che anche fra di loro c’è questa abitudine di inchiappettarsi, quando possono e se ci riescono.
Bambini adolescenti che vivono nel mezzo delle immondizie accanto a capre, vacche, maiali. Ce ne sono ad ogni angolo. Ci vorrebbero centinaia di Terese di Calcutta, ma basterebbero ?
Il turista non può salvarli tutti.
Ma loro vogliono essere salvati ?
Gli indiani del ceto medio, glissano sull’argomento e li trattano con noncuranza e schifati dalla loro presenza. Dicono che è un destino che siano in quelle condizioni e quindi coloro che sono di una casta diversa o superiore, non si preoccupano molto dei loro simili più sfortunati.
Non so chi abbia ragione.
Di una cosa sono però certo.
Manca loro la buona volontà. Si adagiano troppo nella fatalità. E aspettano.
Aspettano il giorno della reincarnazione in una forma migliore e più evoluta.
Vorrei proprio che qualcuno ritornasse su questa terra e lo raccontasse il percorso del miglioramento.
Intanto continua dappertutto l’allucinante degrado.
Io e Filomena abbiamo girato gran parte di questo mondo, anche nei bassifondi più luridi. Mai abbiano trovato l’abbruttimento come qui.
Ora dovremmo provare il Bangladesh che ci hanno assicurato essere peggiore.
INDIA, bella e interessante, da visitarsi però in maniera molto asettica o, per lo meno, con una preparazione specifica e con motivazioni di interesse preordinato. Non voglio fare della facile demagogia, ma penso che una vacanza in India debba essere prima preparata e volta ad individuare precedentemente l’obiettivo per cui si va a visitarla. Sono anche d’accordo che andare allo sbaraglio per proprio conto o vivere alla giornata “my self”, può portare a delle valutazioni affrettate e distorte, se nella nostra testa non vengono recepite e capite le motivazioni ideologiche, culturali, religiose e storiche di questo pezzo di mondo.
Forse il primo impatto con l’India andrebbe eseguito con un viaggio organizzato, nel quale sei educato e preparato a notare e parzialmente convivere con una realtà per noi quasi sconosciuta, sei imbonito di luoghi comuni, dove guardi scorrere la vita protetto in una campana di vetro, senza rumori, odori, sapori e senza avere l’incombenza di inventare come attraversare la strada senza essere arrotato.
Insomma, solo in tal modo saresti pronto per una successiva visita, non da intruppato, senza stomacarti subito.
Debbo anche riconoscere che l’India non è solo quella piccola regione da noi visitata e probabilmente avremo anche impattato con una visione distorta delle cose. In altre Regioni forse è meglio. O forse è peggio. La controprova si potrà avere solo vivendo un’altra realtà, semmai si volesse cercarla.
Noi siamo molto felici di esserci stati, ora che si sta avvicinando il termine della nostra vacanza. Se non altro per dare dei consigli ad amici e parenti che avessero l’intenzione di andarci, ma anche per decidere di non ritornarci più, considerata soprattutto la nostra veneranda età ed il nostro concetto odierno di vacanza spensierata.
Per la cronaca e per non dimenticare, nel 2008 un attentato terroristico ha fatto esplodere 7 ordigni a distanza di 12 minuti uno dall’altro, all’interno della Old Jaipur, nei mercati popolari e nell’orario di massimo affollamento.
Il bilancio è stato di un’ottantina di morti e le Autorità indiane hanno attribuito gli attacchi a gruppi estremisti islamici pachistani, legati ad Al Qaeda.
Ma ciò non vuole essere un ammonimento. Ormai tutto il mondo è una polveriera e purtroppo dobbiamo conviverci.
La consideriamo comunque molto positiva la nostra corta visita nella Capitale e nel Rajastan, ma abbiamo deciso che l’India non fa per noi.
Viva la Thailandia.
Ora siamo in Hotel a riposare un’oretta in attesa di andare a visitare un altro bellissimo tempio in marmo bianco questo pomeriggio.
Non posso sempre credere che ci marcino sempre. Ora sono più propenso a valutarli proprio dei coglioni.
Avevo già detto che negli alberghi, come nei ristoranti, non ci sono donne né a fare le pulizie, né come cameriere.
Sono tutti uomini che ti guardano, dico io, con malizia e concupiscenza, ti squadrano, ti spogliano, ti cosano con gli occhi (specialmente quando passano le donne) e ti saltellano attorno per chiederti sempre se sei contento del loro operato, se sei soddisfatto dei loro servizi, ed è palpabile la tacita richiesta di denaro.
Uno di questi ragazzi, che quando entro od esco dalla nostra stanza, è sempre li davanti, a controllare, non si capisce che cosa, ha appena rifatto e riassettato la camera. Quando arriviamo, ci segue e ci consegna gli asciugamani ed accappatoi puliti del bagno. Avrebbe potuto già porli nel loro posto adatto al momento della pulizia giornaliera. Invece no, ci ha aspettato e ce li ha consegnati personalmente.
Entrati in camera ci accorgiamo che ci ha dato solo un accappatoio ed un piccolo asciughino per i piedi. Cioè, meno della dotazione per una persona. Si sarà accorto che siamo una coppia ? Ci avrà sempre visto assieme, o pensava che io fossi un intruso che di nascosto andava a trovare la sua escort ?
Pazientemente richiedo quanto manca, ma forse è molto complicato andare a recuperarlo perché è passata un’ora e mezzo e ancora non hanno portato nulla.
Esco, mi àltero nel ripetere la richiesta e tutti di colpo diventano servizievoli.
Mi ricorda tanto il “falso storico” del napoletano “FACITE AMMUINA”, che per i curiosi lo rammento.
Sarebbe stato, un comando contenuto nel “Regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie” nel 1841, da usare in occasione di visite a bordo, delle Alte Autorità del Regno, il cui testo recita:

FACITE AMMUINA                                             FATE CONFUSIONE
All’ordine Fate Ammuina tutti chilli che                  All’ordine Fate Confusione tutti quelli che stanno stann’ a prora vann’ a poppa                                                 a prua vadano a poppa
e chilli che stann’o a poppa vann’ a prora.              e quelli a poppa vadano a prua.
Chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra                   Quelli che stanno a destra vadano a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann’a dritta.               e quelli che stanno a sinistra vadano a destra.
Tutti chilli che stanno abbascio                               Tutti quelli che sono sottocoperta
vann’ ncoppa                                                         vadano di sopra
e chilli che stann’ ncoppa vann’ bascio,                  e tutti quelli sul ponte vadano di sotto,
passann’ tutti p’o stesso pertuso.                            passando tutti per lo stesso boccaporto.
Chi nun tene nient’ a ffà,                                         Chi non ha niente da fare,
s’aremeni a’ cca e a’ lla.                                         si dia da fare qua e la.

C’è ancora un tizio, qui fuori dalla porta, che stà aspettando. Probabilmente ritiene normale un incentivo in Rupie. “No, ciccio, prima mi dai gli accappatoi e poi vai affanculo”.
Nel pomeriggio visitiamo un altro bel Tempio di marmo bianco.
Si chiama Birla (assomiglia a Pirla, ma è Birla) Laksmi Narayan Temple ed è un grande e splendido edifico moderno tutto in marmo bianco.
Si trova nella Jaipur moderna, ai piedi dei Moti Dungri, un piccolo e romantico Forte, che domina tutta Jaipur, ed oggi di proprietà privata.
Anche qui pienone di gente e un’infinità di bambini piccoli con madri e nonne a praticare la questua.
La Jaipur nuova è molto ampia con un giardino immenso e tenuto molto bene. Viale alberati, ma accanto muraglie che li delimitano e che diventano orinatoi all’aperto. Solita sporcizia e in mezzo famiglie intere che ci vivono. I mucchi di sporcizia, chissà perché, non si trovano in luoghi semi deserti, ma solo in prossimità o meglio accanto a luoghi abitati, siano questi all’aperto o chiusi come capanne o box cadenti di lamiera.
E’ sera e siamo a casa di Karni, il boss dell’Agenzia viaggi che ci ha noleggiato la vettura con autista.
Ceniamo all’indiana, ma Filomena continua a nutrirsi alla maniera convalescenziale. Solo riso bollito senza condimento e forse anche senza sale.
Dev’esser stato di un buono…..!
Karni ci fa assaggiare del vino prodotto in India. Buona volontà ma non parliamo ancora di qualità. La strada sarà ancora parecchio lunga.
Dopo i convenevoli ed il pagamento dell’importo pattuito, la moglie di Karni ci regala una tipica coperta da letto indiana. Tutto sommato, molto carini e precisi nel rispetto degli accordi presi in precedenza, anzi è stato ammirevole nell’accettare il compenso del tour quando ormai siamo alla sua conclusione.

7 Febbraio lunedì
Non ci leviamo tardi. Dobbiamo ritornare a Delhi e sono altri 270 kilometri.
La sala della colazione apre alle 7,00 e alle 7,10 entriamo.
Sono in quattro i camerieri, tutti in piedi a guardarci e salutarci.
Ci sediamo, ma mi devo subito alzare per chiedere l’acqua calda per fare il Nescafè.
Le fette di pane da abbrustolire le mettiamo nel tosta pane, ma questo è ancora spento. Anche i tovaglioli, come al solito, mancano.
A questo punto lo faccio notare.
Sorry, è la risposta.
Ma se quando siamo arrivati erano li ad aspettare senza far niente, non avevano tempo di preparare le cose con ordine?
Allora, polemicamente, mi faccio seguire da un addetto verso il tavolo con le pentole contenenti dei troiai cucinati per la colazione. Sono tutte aperte senza coperchio e tutti quelli che passano a guardare il contenuto, parlando, ci sputacchiano dentro.
A risorry, e di 8 pentole ne copre 5.
Coperchi non ne hanno più.
Effettuiamo una veloce visita al Hawa Mahal, di cui avevo parlato prima.
Alle 8,30 siamo già in strada per Delhi.
Per strada ci fermiamo per il pranzo. Filomena ricomincia ad assaggiare qualche cosina.
La tosse è passata.
Dopo 5 ore dalla partenza arriviamo al nostro albergo l’Hotel Saptagiri (68,00 Euro a stanza per notte) nelle vicinanze dell’aeroporto internazionale Indira Gandhi di Delhi.
E’ una zona molto trafficata ad una decina di minuti di taxi dall’aerostazione.
Recuperiamo anche gli altri bagagli, lasciati in deposito sei giorni fa e ci assicuriamo dell’esistenza del safety box in camera.
C’è, ma è chiuso.
Sono io che sono sfigato ?
Arriva l’esperto chiamato da noi. Armeggia per una decina di minuti, poi esce e ritorna poco dopo con un’altra cassaforte portata sottobraccio. La deposita nell’armadio solo appoggiandola e si porta via quella guasta, solo alzandola e mettendosela sotto l’ascella.
SIC !!
Facciamo una passeggiata qui nei dintorni, con il solito caos, rumore, traffico, sporcizia.
L’Hotel è una media categoria. In una zona abbastanza degradata è un’oasi nel deserto e abbastanza accettabile. Filomena cerca una bottega di parrucchiera. La trova, apre la porta per valutare il grado di “rifinitura” all’interno, è abbastanza soddisfacente e si ferma. Concordano il prezzo e mi dirà in seguito che la lavorante, terminata la sua opera, dopo aver incassato la tariffa, le ha chiesto sfacciatamente e in maniera arrogante il tip, la mancia, decidendo lei stessa la quantità di Rupie.
Filomena non ha avuto coraggio di mandarla affanculo, ma senza degnarla di un ulteriore sguardo le ha posato sul tavolo la metà di quanto richiesto in più.
Io torno in Hotel e tanto per non smentirsi nel bagno c’è solamente un piccolo asciugamano.
Non ho più voglio di discutere, demanderò il problema a Filomena, quando tornerà.

8 Febbraio martedì
C’è la nebbiolina che non abbandona quasi mai Delhi. Anche la temperatura è piuttosto freddina.
La colazione, misera e insufficente, in questo albergo abbastanza decente, ma solo abbastanza, è su richiesta, alla carta.
Sul menù è indicato quello che comprende la “continentale” e alla mia richiesta di caffè con panino e marmellata, oltre ad un succo di pomodoro, previsto, mi rispondono che il succo di pomodoro non c’è, però mi possono portare quello di arancia.
Con un sorriso, un po’ amaro, di rimando, dico al cameriere di andarlo a comprare là fuori, e qui si incazza Filomena, ma con me.
Poi ordina lei un the non forte, tipo green the, ma anche questo non ce l’hanno.
Si sta ancora mordendo la lingua.
Stanotte è piovuto e per terra fra fango e sporcizia, camminare e districarsi tra la gente è sempre più difficile.
Come sempre, rumore e clacson che ti assordano in continuità.
Prenotiamo un “big taxi”, direttamente alla Reception dell’albergo, per farci portare dall’Hotel al Terminal 3 dell’aeroporto. Sono 10 minuti di tragitto, ma vogliamo una macchina grande perché stavolta abbiamo tanti bagagli per il ritorno. Paghiamo all’impiegato, anticipatamente, 400 Rupie, 6 Euro, prezzo abbastanza alto, per la media locale, ma almeno non dobbiamo scendere in strada e fermare i taxi.
Mentre aspettiamo, esco per controllare se c’è bisogno del soprabito.
E’ apparso un leggero solino e la nebbiolina sta scomparendo.
Vedo, qui vicino, due bambini, vestiti o meglio svestiti e ammantati da una coperta lisa, sporca e forse anche puzzolente.
Chiedono la carità, ma nessuno dà loro ascolto, avranno 7 e 9 anni, scalzi e sporchi.
Quello più grande ha sulle spalle un sacco di juta mezzo pieno, forse le sue uniche cose.
Scusatemi, ma nonostante mi avessero spesso ammonito sull’argomento, non ce l’ho proprio fatta, quando sono spariti in uno dei tanti vicoli.
Prima ci penso mezzo minuto, cerco di trattenermi. Il loro viso mi tormenta sempre davanti agli occhi.
D’impulso scendo la breve scalinata dell’Hotel, mi infilo nella vicina stradina e li cerco con lo sguardo. Sono là in fondo, mi destreggio tra fango, motorini, biciclette, tuk tuk e gente indaffarata fino ad essere a 50 metri da loro.
Si allontanano sempre di più e allora metto in atto il richiamo del pecoraio.
L’ho eseguito sempre ottimamente e anche stavolta, pollice e indice a formare un tondello. Intromissione delle due dita unite sotto la lingua e un sonoro e vibrante fischio supera il casino del traffico e dei clacson.
Tutti si fermano a guardarmi e anche i due ragazzini di fermano e si voltano.
Mi vedono, faccio loro un cenno di richiamo e corrono verso di me.
Prendo la mano del più piccolo e la riempio con una banconota sufficiente a renderlo felice per cinque minuti, se non è così coglione da portarla subito al suo sfruttatore, se mai esista. E stavolta, prima di imbarazzarmi ed emozionarmi alla sua reazione, sono io a girare le chiappe e tornare in Hotel.
Dopo una mezz’ora ci dicono che è arrivato il taxi. Guardiamo fuori e vediamo una macchina più piccola di un’utilitaria.
E qui scoppiamo. Filomena, abbastanza calmina, seppur molto decisa. Io polemico, irridente, insistente e incazzato.
Ripeto continuamente : “Ho pagato per una Big Car e voglio una macchina grande. Punto.”
Imbarazzo generale di tutti e 4 i componenti la hall. Si guardano interrogativi, si vede che non sono abituati ad una reazione del genere.
Chiamano il Direttore al quale ripetiamo che non siamo disposti più a sopportare le loro angherie.
Risultato : duemila sorry e lui stesso tira fuori dal suo garage la sua vettura “fuoristrada BIG” e ci accompagna all’aeroporto assieme ad un inserviente che ci carica e scarica le valigie e gli zaini nell’apposito trolley.
Al check-in concordano di spedire i bagagli direttamente a Bolzano senza toglierli dal volo intercontinentale a Roma.
Controlliamo che mettano la giusta etichetta di arrivo e la targhetta priority.
Ci avviamo al controllo passaporti che ha una corsia preferenziale per la businnes.
Al controllo della security si accorgono che il mio boarding pass non ha un timbro che avrebbe dovuto apporre il poliziotto addetto al controllo dei passaporti.
Per tornare indietro, con molta difficoltà e diffidenza da parte della polizia, devo eseguire altri tre controlli security e spiegare in qualche modo dove sto andando.
Poi quella testina di ca..cciucco che mi aveva precedentemente timbrato i pass, ricontrolla il tutto, si accorge della stronzata e ride divertito per la sua stupida dimenticanza.
Ma vaffanculo anche te.
Rifaccio il percorso, stavolta più velocemente.
Entriamo nella zona imbarchi e passeggiamo una mezz’ora prima di sostare nella sala VIP dove ci facciamo uno spuntino-pranzo. Sono le ore 13,00.
Dopo ulteriori altre perquisizioni ed accertamenti, alle 14,30 iniziano le operazioni di salita a bordo e ci piazziamo ai nostri posti, i numeri 1J e 1K, vicino al finestrino.
Il monitor di servizio ci comunica che la distanza da percorrere da Delhi a Roma è di 6.100 kilometri.
Stiamo rullando per raggiungere la testata pista ma il comandante del velivolo ci comunica che causa traffico intenso il decollo sarà rimandato per un tempo indeterminato.
Decolliamo alle ore 15,55 di Delhi, ore 11,25 di Roma, orario che da questo momento sarà di mio riferimento.
Alle 12,00 ci servono lo champagnino mentre sulla destra a nord-est si vede in lontananza la lunga e innevata catena montuosa del Kashmir.
La hostess dello Champagne, passa e ripassa e con modi gentili vorrebbe sempre riempire il mio bicchiere. Le domando come si chiama e mi risponde:
“Ma Ma Marta”
“Balbuziente ?” chiedo.
Mi risponde : “No, io no, mio padre era balbuziente e l’impiegato della Anagrafe è un gran bastardo.”
Visibilità perfetta, neppure una nuvola e dopo un’ora attraversiamo il Pakistan.
Nelle due poltrone centrali, accanto a noi, siede una coppia di italiani di media età, più di età che media. Si guardano spessissimo e sognanti, e lei fa larghi sorrisi. Ora ci portano il pranzo che prima ci hanno fatto scegliere sulla carta del menù.
Ho provato a riguardare bene, ma non ho trovato la biada ed il fieno per la signora accanto.
Oh, è uguale a Clarabella, di Topolino.
Il menù consiste in antipasto di pollo, agnello e pesce. Il coctail di gamberi con insalata verde, coppetta di cetrioli, peperoni e pomodori viene servito con condimento all’occidentale.
Segue un piatto di fettuccine al funghetto con filetto di pesce.
Per terminare arriva un tortino di crema e cioccolato assieme ad un’altra scodella con pezzetti di ananas, mela, kiwi, arancia.
Ci stiamo riabituando alla cucina tricolore. Filomena, finalmente ora mangia tranquillamente e senza raffreddore e tosse.
Mentre pranziamo le hostess passano e ripassano con la bottiglia dello champagne e noi facciamo festa.
Le montagne dell’Afganistan con la neve sulle vette ci fanno compagnia verso le 13,00.
Dà un certo sconcerto pensare che qui sotto, in questo momento, è in atto una guerriglia e che tanti anche dei nostri ragazzi soccombono.
Alle 13,15 passiamo poco a sud di Kabul.
Il nostro aereo, è tutto pieno nella parte economy ed alcuni fortunati hanno avuto il trattamento “up-great” in businnes perché sono incappati nell’”over booking”, fra cui una signora di Caserta che all’aeroporto di Delhi ci aveva seguito non sapendo dove andare.
E’ stata dalle parti di Goa a trovare due bambini che da qualche anno aiuta con l’adozione a distanza. Aveva fatto il giro del Rajastan come noi, ma un avvelenamento da cibo o un malefico virus l’ha costretta al ricovero per quattro giorni all’ospedale di Goa.
Dopo tre ore stiamo volando ad un’altitudine di 10.645 metri sopra il Turkmenistan, alla velocità reale di 715 km/ora con un vento contrario di 177 km/ora. La temperatura esterna è di -51 gradi.
Alle 15,10 cominciamo l’attraversamento del Mar Caspio e le nubi sottostanti ci impediscono la visione.
Alle 15,30 lasciamo il Caspio e sorvoliamo l’Azerbajan. Comincia a fare scuro ed ancora tutto nuvoloso.
Alle 15,50 siamo sulla Georgia e all’orizzonte alla nostra destra si intravedono le montagne del Caucaso.
Alle 16,05, dopo 4 ore e mezzo siamo sulla verticale di Tibilisi, nella Georgia e fra circa 20 minuti cominceremo l’attraversamento del Mar Nero.
Intanto mi dedico a guardare un film in italiano. E’ la storia di Secretariat, il grande e fenomenale puro sangue da corsa americano degli anni ’70.
Alle 17,45 sotto di noi c’è il buio, ma c’è anche Istambul, che non si vede perché coperto dalle nuvole.
La temperatura esterna raggiunge i -66 gradi.
Servono la cena, ma stavolta passiamo la mano. Digiuno.
Sulla Grecia il cielo è sereno e si vedono tante città illuminate. Si segue benissimo la costa nord.
Alle 18,25 dopo 7 ore esatte di volo siamo sulla verticale di Salonicco e alle 18,40 entriamo in Albania. Voliamo ad un’altitudine di 12.170 metri.
Alle 18,45 cominciamo ad attraversare il Mar Jonio e alle 19,00 in punto arriviamo in Italia dalle parti di Bari. Si nota bene in lontananza la penisola del Gargano.
Visibilità perfetta, neppure una nuvola.
Siamo sulla verticale di Benevento alle 19,15 e comincia il sentiero di discesa.
Roma ci accoglie spettacolosa tutta illuminata.
Landing alle 19,45, dopo 8 ore e 20 minuti di volo, un’ora e venti minuti in più dell’andata..
Bel volo con la China Airlines.
All’uscita dall’aereo ci accoglie una hostess dell’Alitalia, causa i tempi stretti, per accompagnarci all’imbarco con l’Air Alp per Bolzano.
Decollo da Roma alle 21,20 e dopo un’ora esatta, alle 22,20 atterriamo a Bolzano, dove le nostre valigie non hanno fatto in tempo a caricarle. Arriveranno l’indomani, ma intanto i nostri ragazzi ci sono venuto ad accogliere e siamo già a casa.
Ora abbiamo tutto il tempo per riflettere e fare un bilancio del mese di vacanza, che in ogni caso sarà stata estremamente positiva.

Mario
e-mail: poggi.41@libero.it

TRATTE AEREE CON DISTANZE – TEMPI PERCORRENZA – OPERATIVI – COMPAGNIA

Bolzano/Roma 560 km. 1,15 ore Dornier 328-110 Air Alps
Roma/Delhi 6.100 km. 7,00 0re Airbus 330-300 China Airlines
Delhi/Taipei 5.500 km. 5,10 ore Airbus 330-300 China Airlines
Taipei/Kuala Lumpur 3.500 km. 4,25 ore Airbus 340-300 Air Asia
Kuala Lumpur/Hanoi 2.350 km. 2,50 ore Airbus 320-200 Air Asia
Hanoi/Saigon 1.400 km. 1,40 ore Boeing 777-200 Vietnam Airlines
Saigon/Bangkok 850 km. 1,10 ore Airbus 320-200 Air Asia
Bangkok/Phuket 680 km. 1,05 ore Airbus 320.200 Air Asia
Phuket/Bangkok 680 km. 1,00 ore Airbus 320-200 Air Asia
Bangkok/Taipei 3.000 km. 3,05 ore Airbus 320-200 Air Asia
Taipei/Delhi 5.500 km. 7,15 ore Airbus 330-300 China Airlines
Delhi/Roma 6.100 km. 8,20 ore Airbus 330-300 China Airlines
Roma/Bolzano 560 km. 1,15 ore Dornier 328-110 Air Alps
_____________________

TOTALI 37.340 km. 46 ore e 30 minuti di volo effettivo

PERNOTTAMENTI E COSTI PER STANZA/NOTTE

Taipei (Taiwan) First Hotel 72,00 Euro
Kuala Lumpur (Malaysia) Renaissance Hotel 82,00 Euro
Hanoi (Vietnam) Maison d’Hanoi 70,00 Euro
Vung Tau (Vietnam) Ho Tram Beach 62,00 Euro
Saigon (Vietnam) Liberty Central Hotel 78,00 Euro
Phuket (Thailandia) Resort di Giorgio ospiti
Ranong (Thailandia) Tinidee Hotel 42,00 Euro
Khao Lak (Thailandia) Apsaras Beach Hotel 72,00 Euro
Bangkok (Thailandia) Century Park Hotel 46,00 Euro
Taipei (Taiwan) Novotel Airport Taipei 70,00 Euro
New Delhi (India) Shervani Hotel 110,00 Euro
Agra (India) Howard Park Hotel 76,00 Euro
Jaipur (India) Umaid Bhawan Hotel 40,00 Euro
Delhi Airport (India) Saptagiri Hotel 68,00 Euro

Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati in Asia
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