Marrakech, piu’ vicina che lontana

di Ilaria Carolisi –
L’aereo plana a Marrakech. Un altro mondo. Adrenalina. I colori celeste e sabbia confondono cielo e terra, distese infinite. A dare un tocco di allegria ci pensano le maioliche che adornano ogni muro, e i colori dei vestiti delle donne. Coprono tutto il corpo, eccetto il viso. Questo è un po’ meno allegro. Ma ci sono anche quelle che si ribellano a questa tradizione secolare, come la ragazzina con maglia scollata che prende il taxi da sola. E resti a bocca aperta leggendo l’insegna di un “centre de insémination médicalement assistée”. Poi sorridi leggendo sulla guida, tra i comportamenti moralmente sconsigliati, che una donna deve evitare di guardare un uomo negli occhi camminando, perché è inteso come un invito al corteggiamento.

La graduale apertura all’occidente si nota nella grandissima varietà di stili di vita che si trovano. I contrasti del Marocco. Cose buone e menoF buone. Tante sono le cose negate dalla religione. Se ti beccano a bere una birra per strada puoi anche finire in pigione. A detta di R., il proprietario dell’ostello, una donna su 500 ordina un alcolico in un bar. Il maschilismo è forte, si sa. Le donne devono arrivare vergini al matrimonio, cosa che per gli uomini non vale. Il rovescio della medaglia è che non c’è la sovraesposizione del corpo femminile come qui da noi, quello delle locandine pubblicitarie dell’intimo. Evviva.
Anche fumare è proibito dal Corano. Ma molti lo fanno. Tranne le donne. L'”Ash” (ashish) si fuma a tutte le ore, costa pochissimo ed è una delle principali fonti di sostentamento dell’economia marocchina. R. dice di non essere religioso perché fuma e beve, e non sarebbe abbastanza lucido per pregare. Alle 3, alle 5 e alle 7 il muezzin intona degli strani vocalizi. É il richiamo dei fedeli alla preghiera, e la sua voce risuona in tutte le strade, diffusa da altoparlanti.
In tutto ciò ho tralasciato che il Marocco non è un paese integralista.

Per strada è pieno di “teleboutiques”. Una specie di internet point dove vendono anche articoli elettronici. E i distributori di benzina “Afriquia” tappezzano le strade. Poi c’è l’Acima, la nostra Coop.
Un giorno fuori da una copisteria leggo: “centre de photocopies publicos”. Dove publicos è errore perché spagnolo. Lì nascono e crescono bilingui, con arabo e francese sul passaporto. Le insegne degli edifici più importanti (istituzioni, uffici, banche) sono in doppia traduzione. Sono molto predisposti all’apprendimento delle lingue, infatti quasi tutti parlano anche inglese e spagnolo. Alcuni anche italiano.
Camminando per la strada mi sentivo dire “Bonjour Madame” o “Hola”. Spesso mi scambiavano per spagnola, e mi è successo di cambiare 4 lingue in una conversazione. Quando scoprivano l’italianità non esitavano a mostrare la loro padronanza della nostra lingua e cultura. Conoscono Galileo Galilei, Berlusconi, La piovra, la Rai, le squadre di calcio. E poi -inevitabilmente-“lasciatemi cantare”, Marina Marina Marina, e persino il detto ” ridi, ridi, che se mamma sta a fa i gnocchi papà sta a fa’ a cazzotti”, così storpiato proprio come si dice dalle mie parti. Non mi sarei mai aspettata di sentirlo a Marrakech. Me lo ha detto A. l’altro ragazzo dell’ostello, appena arrivata lì. Ha 20 anni A., ma è molto saggio. Poco dopo infatti, e non so come ci sia arrivato, mi da una lezione di vita che non ti aspetti. Mi dice “life is next stop bus” ( la vita à alla prossima fermata d’autobus). L’ostello è una piccola famiglia. Un’oasi di persone di gran cuore. Fuori la vita è un po’più torbida.

Una donna straniera e sola non ha vita facile. Devi resistere e difenderti. Mi sentivo chiamare ogni 2 metri. Eppure non ero appariscente né davo nell’occhio, anzi ero molto discreta e composta. Solo una volta avevo i pantaloni a vita leggermente bassa. Sono stata prontamente richiamata con uno spagnolo “los pantalones màs arriba!”, cioè “tira su i pantaloni”. Una vergogna indicibile.

Un’ altra volta mi fermo fuori da un negozio a guardare i prezzi di alcune escursioni guidate. Esce un tipo e mi fa scivolare inconsapevolmente dentro facendomi le tipiche domande. Prende una pashmina e in un batter d’occhio mi ritrovo con un copricapo berbero sulla testa e la mia macchinetta in mano a lui che mi scatta una foto. Ride e mi dice che sono bellissima.

All’inizio ingenuamente pensavo che fosse educazione rispondere. Ma testato che se dai spago poi ti iniziano a seguire volendoti per forza accompagnare e facendoti mille domande, poi diventi scortese. R. diceva: “here, you have to be impolite” ( qui devi essere scortese). Ma non riesco ad esserlo, dicevo io. No riuscivo a capire che rispondendo facevo intendere che “ci stavo”. Perché qui da noi non si ha bisogno di difendersi. Lì ho imparato a farlo.
Loro dicono che non vogliono niente, solo aiutarti. Poi se dici “so la strada, vado sola”, la risposta è “allora non ti piaccio?” dando per scontato che le turiste sono tutte emancipate, diciamo così. Il fatto è che loro non sono abituati a tutto ciò. A vedere tanta pelle scoperta, al contatto diretto degli occhi.
Per intenderci, non ho avuto paura nè percepito pericolo. Nessuno mi ha disturbato. Sono solo un po’ morbosi.
Guai a farsi vedere persi e disorientati, guardare una mappa: ti vengono tutti addosso per accompagnarti. Alcuni lo fanno per lavoro, poi chiedono soldi. Le informazioni non si chiedono per strada. Sempre dentro i negozi e sempre alle donne. Ma si è fortunati se i commessi non hanno amici li fuori da chiamare per farti da guida.
E si, sono tutti un po’ mashnoon (pazzi). Ma se vedono che ti scocci prontamente replicano “no, no friend, no problem” e ti stringono la mano. é davvero facile fare amicizia. D’altra parte, noi non siamo abituati a tutto questo contatto, da noi l’indifferenza regna sovrana. Lì dopo che parli con qualcuno anche solo per un minuto ti invitano a casa loro,ti dicono “puoi stare da me, mangiare, dormire, conoscere la mia famiglia”…sono davvero ospitali. Ma penso di dover sottolineare che sono una donna che ha parlato solo con uomini. Non so se un uomo marocchino lo sarebbe altrettanto con un uomo tedesco, una donna marocchina con una donna spagnola. Di certo una donna marocchina non si sognerebbe mai di invitare a casa un uomo greco.
Quindi è plausibile pensare che in realtà sia un modo per provarci. Nel souk di Marrakech, il più grande mercato del Marocco, devi avere la polizza vita. É un vero labirinto, strade minuscole senza nome, tutte uguali. Una giungla. Motorini che sfrecciano uno dopo l’altro, biciclette, pedoni. Ambulanti. Questi hanno un talento innato nel leggere le microespressioni facciali e il linguaggio de corpo. Ti scrutano dentro, alla ricerca del tuo oggetto del desiderio. Non mi sentivo libera di guardare, toccare. Se guardi interessata delle merci al mercato ti vogliono affibbiare per forza qualcosa. Ma se insistevano troppo mi appigliavo alla parolina magica “shukran, safi” (grazie, basta), accompagnata da un gesto della mano. Funzionava.



Ti vengono addosso buttando li un prezzo: “va bene?” aggiungono poi candidamente. Questo è buono sia per il turista che vuole risparmiare, sia per loro perché pur di avere qualcosa abbassano il prezzo a tuo favore. Io mi sentivo a disagio a contrattare. Ma li è impossibile sapere il prezzo vero di una merce. Ciò nonostante con questo stratagemma sono riuscita a risparmiare circa 70 dirhams (7 euro), il prezzo di due pasti. Lì ci sono vari prezzi: dall’euro e 20 del cappuccino alla stazione ai 2 euro delle sigarette e i 0,30 cent. del biglietto bus. Te lo fa l’autista appena sali. Non si scappa.

Chi scappa sono gli automobilisti. Il traffico è super caotico. Clacson a go-go e sorpassi da formula 1. Pochissimi usano il casco. Uno dei primi odori forti che ricordo è stato l’inquinamento da traffico. Ma la cosa magica è che questa apparente anarchia cela una autoregolazione dal retrogusto nordeuropeo. R. dice che il tasso di incidenti è bassissimo. Guidano molto bene. Tutti sanno fin dove possono spingersi, e cosa farà il loro vicino, perciò si prendono il rischio. Sono molto bravi a schivare ogni ostacolo. Un altro talento contraddistingue i guidatori a due ruote: hanno un radar che gli permette di riconoscere da almeno 20 metri di distanza il profilo di una donna tanto da identificarla come turista o meno. E ogni volta che mi sentivo fischiare o chiamare capivo che ci azzeccavano. Sono bravi anche a non prendere pali quando guidano rivolti all’indietro per guardarti.

C’è chi invece la macchina non se la può permettere e usa il carretto trainato dal mulo, soprattutto in centro. La periferia è riservata ai grandi alberghi a 5 stelle. Qui si fa la raccolta differenziata, mentre il centro è parecchio più sporco.
Sull’autobus che porta all’aeroporto risuonava “Ayo technology”. Mentre il centro è un continuo concerto di musiche arabe tradizionali, persino al supermercato. Lungo la strada per la città c’era un gruppetto di cammelli parcheggiati con dei tappeti sulla sella, che probabilmente aspettavano di portare a spasso qualche eccitato turista.

Fare foto non è così semplice. Tanti scorci che avrei voluto immortalare sono rimasti lì. Trovo di pessimo gusto fare foto alla gente in generale, poi lì servono discrezione e rispetto particolari. Alle moschee è proibito fare foto. In generale mi sentivo un po’ ingessata. Ero sempre attenta a non strafare. Anche girarmi una sigaretta in pubblico mi imbarazzava.

Molte donne hanno le mani decorate di hennè. Traversando la piazza principale ci sono mille banchetti e ti senti chiamare da ogni parte chiedendo se vuoi farti decorare. 15 euro per entrambe le mani. Oltre a loro, ci sono i musicisti che suonando incantano i cobra, e i fotografi che ti immortalano, chiaramente in cambio di soldi, col serpente al collo. Si vede anche qualche scimmietta e una gran quantità di carrozze trainate da cavalli.

Sono stata anche ad Essaouira, il mare anzi l’oceano di Marrakech. Dista circa 3 ore di autobus da Marrakech, la strada si dipana lungo un terreno brullo e arido. Poi arrivi li e il panorama è mozzafiato: una fortezza enorme a picco sul mare, la costa è un pò sabbiosa e un pò rocciosa. I gabbiani hanno un’apertura alare sensazionale. é un posto rinomato per gli amanti del surf di tutta Europa, ma le onde non sono alte e l’acqua è abbastanza sporca. Ci sono tantissimi rastafariani, amanti del raggae. Perché la città ospita un festival di musica “gnoua” introdotta dagli schiavi neri, e questo ha attirato dagli anni Sessanta molte comunità Hippy, oltre a personaggi come Jimi Hendrix e Bob Marley che si dice che qui abbiano composto alcune canzoni.

Il souk di Essaouira è un gioiello. Si trovano le migliori espressioni e forme dell’artigianato Marocchino, dal legno alle pelli ai gioielli lavorati a mano. Infatti i prezzi sono più alti di Marrakech, ci sono molto più turisti.

Mi sento di consigliare 4 cose: 1) mangiare al risporante “Toukala” sito in piazza D’Jeema el Fnaa. Ho speso 3,30 euro per un piattone di cus- cus alle verdure delizioso, una zuppa marocchina al pomodoro e uno yogurt tipico della casa.
2) fare un massaggio in un Hammam. é una cosa un pò turistica, ma è una di quelle cose tipiche che come si faanno li no si fanno da nessun altra parte.
Si spende intorno ai 30 euro ma tra incensi, thè alla menta che ti offrono e musiche chillout rilassanti ne esci completamente rigenerato.
3) spostarsi in autobus e non in taxi. Dall’aeroporto si prende il numero 19 per la città, e ti lascia sulla piazza suddetta che è la principale. Costa 3, 50 euro. dentro la città una corsa costa 0,30 cent. I taxi tendono a fare prezzi a caso e ti possono truffare.
4) Arrivare all’aeroporto con almeno 120 Dirham da cambiare in euro. Io sono arrivata con 50 dirham e mi hanno detto che il minimo per il cambio è 120.

In generale ho cercato di essere il più neutrale e il meno occidentale possibile. E non era facile coprirsi con 48 gradi. Penso anche di essere attratta dai posti un po’ difficili. Mi danno adrenalina. Tornata a casa mi sono sentita stanca e piena. É tornata l’indifferenza. Mi è mancato non essere guardata in faccia, persino non essere fermata per la strada. Non so se è meglio essere una turista lì o una donna del posto. Penso che le donne marocchine non aspirino ad essere delle turiste e le turiste non invidino le prime.
In generale l’esperienza è stata molto positiva, e se all’inizio tante differenze sono scioccati e tante cose fastidiose, poi ci si abitua. E capisci che il bello è proprio ciò che li rende diversi e unici. E finisci per apprezzare il buono che c’è. Dai cibi (harira, cous cous, tajine), ai profumi di spezie e di ambra. Di succo d’arancia e dell’onnipresente e delizioso thè alla menta. Dal talento creativo nell’artigianato di decorazione (maioliche, rifiniture, tendaggi), agli esotici colori. E finisci per amare la loro dedizione, l’amore materno per i figli, l’istinto per la famiglia. Il loro senso di condivisione, unione e generosità. Mi ha commosso lo sbattersi della gente, la loro forza e determinazione per raggiungere obiettivi che per noi sono ultrascontati e trapassati.
Hanno una marcia un più. Si deve andar di fantasia, ci si deve inventare qualcosa. I lenti tempi della manualità scandiscono le loro giornate. Penso che se loro potrebbero essere più emancipati, anche noi potremmo prendere qualche spunto da loro.

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