Mi cielito cubano

di Irene M. –
Madrid, 9 luglio 
Muore solo un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.
Mancano 2 ore alla partenza del volo per La Habana. Non ho molto tempo, l’aeroporto di Madrid è gigantesco e ci vogliono 25 minuti di tapis roulant solo per arrivare al mio gate di imbarco!

Lì scopro che il volo è in ritardo e mi siedo, guardandomi intorno. Per essere un “non-luogo” questo aeroporto è molto originale dal punto di vista architettonico. Intanto il mio mp3 passa “When love breaks down” dei Prefab Sprout. Al gate accanto al mio imbarcano per Nueva York, partenza ore 17, stesso orario del mio volo per Cuba.
Sì, tutti uguali gli aeroporti, gente che va, gente che torna, tutti un po’ stralunati, in sospeso in questo “non-tempo”, in attesa silenziosa o smaniosa. Di fronte a me c’è un tizio che legge un libro.capovolto!! Gira le pagine andando indietro e poi riesco a vedere che la copertina è a rovescio! Accidenti ma com’è?
Intanto chiamano l’imbarco e la traversata dell’Atlantico si fa realtà. Sull’aereo guardo Martian Child con John Cusack, con questo piccoletto che si crede marziano e ripete sempre nunca nunca nunca nunca..Di leggere invece non se ne parla nemmeno. Andando al bagno passo accanto al tizio che leggeva “al contrario” e sbircio il suo libro: è ebraico! Mistero risolto!

Ho tre sediolini a disposizione e cerco di riposare. Immagino Cuba ma non riesco. È sempre così quando parto, non mi figuro mai come sarà il posto dove sto andando. Ma lì c’è una cara amica che mi aspetta. Direi che questa può chiamarsi fortuna.
Arrivo all’aeroporto de La Habana, José Martì International, alle 21 circa. I bagagli superano i controlli alla dogana, anche lo zainone pieno zeppo di medicinali, tutto fila liscio e Denise è lì che mi aspetta con la sua testa piena di ricci biondi. Ci abbracciamo e prendiamo il taxi che ci porta a casa. Sono cotta, dal viaggio, dal fuso e dal raffreddore che mi è scoppiato in volo, fa caldo boia, menomale che il tassista mi porta i bagagli fin sopra casa, in centro Habana, Calle Neptuno 521. E’ una casa molto grande, colorata, con una terrazza coi tavolini e le sedie a dondolo in ferro battuto, la padrona è Miriam, una signora bianca e bionda che pare tedesca, che vive con la figlia Sinai e il marito di quest’ultima, Ricardo. Sinai e Ricardo hanno un bimbo di 14 mesi che si chiama Ricardito. Nella casa c’è anche Deilmiri, la ragazza che cucina e aiuta. I nomi cubani sono davvero fantasiosi! La nostra stanza è rosa e ha l’aria condizionata, ci son tutti i confort e l’incubo India è fugato! Tiriamo mezzanotte ora locale (mie 6 del mattino) a chiacchiera, do i regalini a Denise e poi crollo.

La Habana, 10 luglio 2008
…me pides que sigamos siendo amigos.
¿Amigos para qué? ¡Maldita sea!
A un amigo lo perdono, pero a ti te amo,
pueden parecer banales mis instintos naturales…

Ho dormito poco ma è normale con il jet lag. Ci aspetta la colazione: pane, miele, burro, omelette, succo di guayaba che mi fa impazzire, il mio tè (earl grey ovviamente) e la nutella portata per Mami ma che Denise mi chiede come regalo, presa da un irrefrenabile attacco di golosità e astinenza!  Ci prepariamo e si esce, per assaggiare il mio primo morso di Habana. L’appuntamento è alle 10 da un “chiropratico” dove Denise si sta curando il mal di schiena.arrivo nell’androne di un palazzo di calle Concordia e vedo un tizio di colore, più o meno della mia età, con un pancione enorme e un lunghissimo sigaro in bocca, bermuda jeans, scarpe da ginnastica con calzini, t-shirt celeste, circondato da decine di persone in attesa che lo osservavano con ammirazione e devozione.
Nel suo delirio di onnipotenza, il Doctor Lino parla senza sosta, dicendo frasi di auto-esaltazione tipo Yo soy el medico mas grande de la tierra, yo soy autosufficiente, yo soy servaje (selvaggio), yo soy caballo (dice Denise che si riferisce agli spiriti che lo “montano”) e intanto tocca con gesti rapidi e a scatti il “paziente” che gli sta davanti, in piedi, di solito di spalle a lui che ti tocca la schiena, ti torce il collo, le braccia, ti tocca la pancia, ti solleva per il bacino o per le braccia incrociate (come ha fatto con me) e poi ti dà una pacca per dirti che ha finito. Il tutto dura 2 minuti scarsi per 1 pesos cubano se sei cubano e 20 cuc (pesos convertibili) se sei straniero! Sulle pareti della stanza diverse scritte con testimonianze di guarigioni dai mali più disparati, con date e nomi. Arriva una coppia, lei con una gamba sola, vengono dalla Colombia apposta per farsi toccare da lui che già in passato li ha “curati”; altri gli portano fotografie di parenti malati e allora Doctor Lino fa sulla foto gli stessi gesti che fa dal vivo, aspira il suo sigaro e poi soffia il fumo sulla foto dicendo Tienes solucion, tienes solucion!
Denise attende il suo turno, sostiene che dopo la prima seduta si sente già meglio e che io dovrei farmi curare questo terribile raffreddore ma la mia “visita” mi piace solamente per il modo in cui Doctor Lino mi fa scrocchiare la colonna vertebrale dal collo all’osso sacro, pur nel timore che mi spezzi in due!
Insomma la prima mattina a La Habana è davvero folcloristica, osservo con stupore e curiosità tutta la gente che è lì e il Doctor Lino.che personaggio favoloso!!! Il raffreddore mi resta uguale a prima, anzi peggio ma hai visto mai che mi abbia curato qualche altra cosa di cui non sapevo???
Omaida, amica di vecchia data di Denise, ci raggiunge e ci porta a casa sua per una bibita. Lì conosco Eliane, una ragazza svizzera che sta prendendo lezione di salsa. Lasciamo nutella e alca seltzer a Ilda, la mamma di Omy e poi andiamo in taxi al Saratoga Hotel, in Parque de la India, dove Denise deve scrivere mail. Io ne approfitto e scrivo a casa, mi riposo un po’ mentre il raffreddore mi tormenta e mangio un ottimo tramezzino al tacchino. A casa dormo 3 ore e al risveglio Miriam mi prepara un decotto di aglio, limone e miele che riesco a buttar giù senza problemi.il problema ce l’avranno coloro che mi staranno vicini stasera! 
La giornata non è finita, Denise ha appuntamento per cena con 3 ragazze americane Helena, Sarah e Ann in un ristorante sul Malecòn, il lungomare de La Habana. Assaggio lì il filetto di pesce tipico e un poco di aragosta: buonissimi! E dopo cena.sì perché c’è pure un dopo cena (alla faccia del jet lag!) incontriamo Evelio e Emilio, che cantano e suonano la chitarra da dio! C’è pure Eliane, passeggiamo un po’ lungo il Malecòn, ormai è buio ma c’è tanta gente seduta sul muretto, non c’è uno spazio libero per metri e metri perché la sera tutti vanno al Malecòn e respirano il mare, parlano, ballano, bevono, lasciano passare il tempo godendosi quella brezzolina marina che ridà respiro dopo la terribile canicola del giorno. Evelio ha una bellissima voce, canta per noi canzoni d’amore ma poi un poliziotto lo ferma e gli dice che non si può suonare per strada. Siamo così costretti ad allontanarci. Niente da fare..uno dei pochi piaceri che hanno e nemmeno quello gli lasciano fare. Alla fine troviamo un posticino tranquillo e lontano dalla folla così Evelio riprende a cantare, poi arriva Wilmer (a conferma del fatto che i nomi cubani sono davvero fantasiosi e originali!) Intanto una famiglia si ferma a ballare, lui, lei una bottiglia di rum, il ragazzino, ubriachi e chiaramente povera gente, magri e scavati ma sorridenti e uniti. Ho un sonno che non ci vedo ma Evelio mi fa cantare, fa la sua parte di uomo cubano romantico ma io non capisco molto, qui parlano spagnolo senza pronunciare la esse e allora rido mentre gli chiedo disperata “hablame con la “s” por favor!” ma lui mi canta d’amore mente Denise chiacchiera con un ragazzo di colore che è babalao (cioè una specie di veggente), io gli dico che l’amore è un’illusione poi ad un certo punto parte con “La mia storia tra le dita” di Grignani in spagnolo.pure qui? Alle 2 circa ci riaccompagnano a casa ed Evelio scrive sms a Denise: “Quiero conocerte alguna vez o tu seras solo una ilusiòn”. Come prima serata niente male per iniziare a capire come funziona qui. Notte! 

La Habana, 11 luglio 2008
Ay, ay, ay, ay,
Canta y no llores,
Porque cantando se alegran,
Cielito lindo, los corazones…

Una “traversata” in una macchina vecchia vecchia di un amico di Mercedes e quando dico vecchia intendo anni ’50, come quasi tutte le macchine cubane, grandi, coloratissime, arrugginite nell’anima e che si tengono su grazie agli strati di vernice! Oddio ho visto pure qualche Panda e al Vedado e case bellissime. Siamo io, Denise, Mercedes ed Eliane. La spiaggia dove ci porta oggi Mercedes è Santa Fé (marina Hemingway) non è granché, c’è un casino di gente, tutti stanno all’ombra ed io son la sola che si mette stesa al sole. Questi lo rifuggono, cercano solo il fresco e l’ombra degli alberi perché dicono che già è troppo sopportare quel caldo tutto il giorno tutti i giorni per doverlo fare pure al mare! Invece io non vedevo l’ora, poi con questo catarro il mare non mi fa che bene e così faccio anche il bagno in mezzo alle decine di ragazzini cubani che giocano a palla e fanno un casino che mi pare di essere sulla spiaggia di Mondragone!

Pranziamo in un localino sulla spiaggia a base di tostones (platano fritto a rondelle) buonissimi e qualche pesciolino, poi bus pubblico fino alla casa di Ricardo dove cerco di fare due chiacchiere in cubano ma ancora non li capisco, che roba strana! Ritorniamo a La Habana con un’altra macchina stavolta più “nuova”. La quinta Avenida è la strada delle ambasciate, un vialone alberato bellissimo, pieno di Flamboyant, gli alberi dai fiori rossi, una esplosione di colore che si staglia nel cielo blu, case con patii e giardini, in stile coloniale. Mi diverto a guardare e fotografare le targhe delle macchine, i taxi, i cocotaxi gialli. Ho parlato molto con Eliane oggi del carpe diem e dell’amore. Mi trovo molto bene con lei, conversiamo in inglese misto allo spagnolo, è utile avere due lingue a disposizione per chiacchierare, hai più possibilità di esprimerti, nonostante nessuna delle due lingue sia la propria. Ma in un posto come Cuba comunicare sembra più facile, forse per la predisposizione d’animo, la pace che regna, il tempo che scorre lento. O forse perché se si ha la passione per uno stesso posto si ha di certo qualcosa in comune, qualcosa di essenziale.
Torniamo a casa per un riposino e poi ci prepariamo per andare a ballare al Florida, un hotel nella Habana Vieja che ha una sala con musica dal vivo e che Denise chiama “jineterolandia”! I Jineteros sono dei bravissimi ballerini e Denise dice che bisogna ricorrere a loro per poter ballare la salsa alla grande. Questi ragazzi sono tutti tirati a lucido, magari vestiti di bianco, con le scarpe dalla punta lunghissima e sempre un fazzoletto nelle mani per asciugarsi il sudore. Il Florida è un locale turistico, c’è un ambiente selezionato e l’ingresso costa 5 CUC con due cocteles inclusi. Ci sono i tavolini tondi, divanetti e una pista da ballo non molto grande ma affollatissima, specie quando c’è il gruppo che suona dal vivo, anche loro bravissimi, quattro ragazzi che ballano, cantano, suonano le maracas e i tamburi e trasmettono un ritmo di un energia pazzesca, non si riesce a star fermi!
I Jineteros si accompagnano a turiste di tutte le età, per esempio c’è Wilmer, 27 anni, con una tipa di almeno cinquant’anni, europea, che pareva su’ nonna. io, Denise ed Eliane ci siamo chieste se lui davvero si stesse divertendo come sembrava e ci siamo risposte che così facendo lui ha almeno rimediato qualche sera nei locali, i cocktail e le cene fuori, qualche regalino, notti in grand hotel e magari poi quella se lo sposa e lui realizza il suo sogno di fuggire da Cuba! Comunque c’erano anche coppie giovani che sembravano molto affiatate, almeno nel ballo, le donne straniere e gli uomini cubani, per la maggior parte. Chissà perché.
Ci sono un paio di loro che ballano da dio, mi sono incantata a guardarli per ore! Domani avrò la mia prima lezione di salsa e allora sarà bello buttarsi nella mischia con questa gente che ha il ritmo nel sangue e si muove in modo incredibilmente contagioso. E mi correggo, per le mie amiche che mi prendevano in giro: i cubani sono molto carini, alcuni bellissimi, i più neri sono quelli di origine africana e son quelli che ballano meglio di tutti! Non c’è niente da fare!

E così la serata è volata, si è fatta l’una e ci siamo incamminate a piedi verso casa. Le stradine della Habana Vieja sono abbastanza tranquille ma superato l’incrocio di Galiano si entra nel Centro Habana che è la parte più povera e fatiscente. Io ho la borsetta di filo a tracolla, cammino disinvolta quando un ragazzino viene fuori da un vicoletto, mi si para davanti e nel giro di qualche secondo mi strappa la borsa e inizia a correre via. Un altro cerca di fare la stessa cosa con Denise ma lei urla e riesce a trattenere il suo zainetto. Io resto imbambolata, in 37 anni di vita, di cui 30 a Napoli, era ora che sperimentassi il primo scippo, no? Incredibile, mi ha strappato la borsa dal collo con un colpo secco, nemmeno mi ha lasciato un graffio, e poi è corso via come un fulmine mentre il mio cuore andava a mille. Mi sono spaventata, sì, la strada era deserta, Denise ha subito chiamato un taxi che ci portasse a casa facendo il giro largo perché nella mia borsa c’erano le chiavi di casa di Miriam. Nessun danno, oltre questo. Nella borsa avevo un pacchetto di fazzolettini di carta, 20 cuc, le fotocopie del passaporto e il rossetto.so’ stata scippata ma, falluovo, sempre napoletana sono! E pensare che se me li avesse chiesti, glieli avrei dati quei soldi assieme a tutte le cose che ho portato apposta dall’Italia, penne, quaderni, palloncini e caramelle. Società del cacchio.

La Habana, 12 Luglio 2008
Si viaggia sempre in avanti nella misura in cui
si procede a ritroso dentro la propria esperienza umana.

Ore 10-12 la mia prima lezione di salsa!
A casa di Omaida ci siamo io, Denise, Eliane, Ann, Helena, Sarah, una ragazza turca e poi i nostri ballerini, Juan per me, Lachi, Sandy e Yasser per le altre.
Abbiamo ballato, riso e sudato per due ore, in mezzo ai ventilatori puntati addosso, bottigliette di acqua e bandane per fermare le gocce che ci bagnavano viso e occhi.
Io ho ballato in coppia per la prima volta in vita mia e quel poverino di Juan è riuscito a farmi muovere e sciogliere come mai mi sarei aspettata! Omaida non credeva che per me fosse la prima volta a ballar salsa e invece sì! E voglio farlo ancora!!! Non son riuscita in nessun modo a fare la vuelta ma mi è piaciuto un sacco, finora ho sempre e solo guardato, invece è stato divertentissimo stare nella mischia e farsi prendere dal vortice. Dopo 2 ore ero distrutta e bagnata fradicia ma felice. Ci siamo asciugate e siamo andate a casa di Lucia, la sorella di Omaida, a mangiare l’aragosta: buonissima! Ci siamo leccate i baffi. Riso e frijoles (fagioli neri), verdure crude, avocado, platano fritto, questa favolosa aragosta succosa e saporita e un succo di mango fresco e dolcissimo in una casa molto bella, lasciata a Lucia dalla donna alla quale lei faceva da badante.
Dopo la magnata ritorno a casa e riposino.di 5 ore! 
Al risveglio avevo le energie per affrontare la serata all’Habana Café ed il jet-lag era completamente superato. Ci è venuto a prendere Jorge, l’autista personale di Denise quando lei è qui. È il cognato di Ricardo e Sinai, quindi è salito a casa a salutarli. Denise me lo presenta ed io vengo letteralmente accecata da questi bellissimi occhi verde smeraldo. Ma i cubani non erano tutti neri??? Eh no, evidentemente! Jorge mi saluta col solito bacio sulla guancia cui ancora non mi sono abituata. Qui ci si presenta così, non ci si dà la mano dicendo piacere ma ci si bacia direttamente sulla guancia destra, un solo bacio, la prima volta che ti conosci, chiunque sia, un ragazzo, un anziano signore, un bimbo o un barbone. Ci prepariamo e Jorge ci porta con la sua Tico alla Habana Cafè, hotel Meliá Cohiba dove troviamo le americane, Omaida, altri amici cubani e la simpatica coppia statunitense Benjamin e Rue. Cenetta e spettacolo di cabaret con i giocolieri, l’equilibrista e il fenomenale quartetto che ha cantato roba tipo You are my destiny, i tre maschietti con le giacche con le spalline, lei che scoppiava nel suo vestito nero attillato e un sedere a mongolfiera come solo le cubane (è incredibile quanto sfidi la forza di gravità) e tutti e quattro con i microfoni con il filo, lungo lungo che finiva dietro le quinte! Mi sembrava di stare in un film Americano degli anni ’50, tutto era molto “antico” e fuori moda ma loro sono così fieri e così presi nella parte che non puoi che provare tenerezza. Nel locale ci sono centinaia di foto di personalità famose, strumenti musicali e oggetti vari utilizzati nei film, due macchine del ’57, una Harley Davidson del ’47 e perfino uno YAK-18 biposto, appeso al centro della sala. Comunque abbiamo avuto il pezzo forte della serata, quello per cui eravamo andati all’Habana Café, ossia il gruppo Ra ka tan, con Ramses e altri ballerini di salsa, rumba, samba, di tutto di più, bravissimi, bellissimi. Dopo di ciò è partita la discoteca col reggaeton e allora siamo fuggiti. Jorge ci aspettava fuori, alle due di notte suonate poverino, per accompagnarci a casa.

La Habana, 13 luglio 2008 domenica

Jorge ci ha portate al Parque Lenin, me, Denise ed Eliane, in questa nuvolosa e afosissima domenica mattina. Durante il percorso in macchina ho notato i cartelloni che pubblicizzano la Revoluciòn, con le frasi di Fidel o del Che. Passiamo accanto ad un cartellone in particolare che dice che la rivoluzione è libertà. Faccio un mugolio e Jorge mi chiede cosa penso ma io gli rigiro la domanda: “Cosa pensi della Rivoluzione? Credi davvero che abbia portato alla libertà?” Lui, da persona intelligente quale è mi dice che lo sa, adesso lo sa che è stata tutta una bugia. In passato ha militato nel partito e ha creduto nella Rivoluzione e negli ideali di cui essa si è nutrita ma ora è disilluso e pensa che a Cuba si è ad un punto morto, che qualcosa deve per forza cambiare.
Il Parque è enorme, ci sono grandi alberi dalla corteccia morbida, alte palme, fiori bellissimi. Jorge ci ha lasciato suo figlio, Jorgito, tutto contento di restare con noi. Abbiamo fatto un giro sul treno a vapore che percorre tutto il parco, lento e sbuffante. C’è molta gente, escono di domenica per andare al Luna Park e si vestono di tutto punto, nei loro abiti migliori, come qui per andare alla Messa. Altri fanno il pic-nic sotto gli alberi con la macchina parcheggiata accanto e la musica a palla.
Mercy è arrivata con Joel, sul vespino, con le cajitas (scatolette di cartone) di riso moro con frijoles e pollo e poi mi ha insegnato a fare la vuelta che ieri con Juan non ero riuscita a fare. Ad un certo punto è venuta giù qualche goccia di pioggia a rinfrescare quella tremenda afa ed è tornato Jorge per riportarci a casa.
Riposino e poi al 1830, un posto all’aperto, sul mare, vicino ad un castello nel quartiere di Miramar, dove c’era una festa di salsa (ovviamente) e dove si è ballato dalle 19 alle 23.30 senza sosta. Questi sono matti! Per quanto mi riguarda ho fatto il mio primo ballo con Servio che mi ha tampinato tutta sera ma almeno è stato paziente a tenermi il tempo mentre ballavo e a farmi rompere il ghiaccio con la pista da ballo. Inoltre mi ha tenuto una lezione sui cubani ovvero mi ha classificato gli abitanti in bianchi, mori e negri. Ho scoperto così che tra di loro c’è razzismo, che i bianchi e i negri hanno tutta una lista di frasi per offendersi e che ognuno è orgoglioso del proprio colore. Senza dubbio la differenza principale a Cuba è tra bianco e nero ma a questa distinzione si aggiungono altre come quelle tra mulatto, moro o meticcio. Ci sono poi tutta una serie di termini, molto coloriti ed espressivi, che rivelano un concetto matematico del colore e della etnia e che si basano sulla intenzione di chi parla. Ad esempio per mulatto si intende la combinazione perfetta di colore e si indicano persone dai lineamenti sottili e il “pelo bueno”, dunque con una connotazione di sensualità (tremendo mulato!)
Per il resto, bianco o negro, ho dovuto spezzargli il cuore visto che Servio già mi avrebbe sposata. Questi cubani si innamorano a prima vista e tutte le sere e.. i jineteros sono le puttane più capaci ed abili sulla faccia della terra! Ti chiamano come fossi un gatto, psssssss, pssssss, e poi urlano in un improbabile nonché ridicolo inglese “Hey leidy, wahs yore naim? gweir zhou frong?
Denise, dopo tanti anni, non ne può più e li anticipa facendo loro le stesse domande. Lei dice che ci trattano come dollari ambulanti e purtroppo questa è la sacrosanta verità. Colpa del regime, colpa della povertà, fatto sta che la prostituzione è il modo più semplice e comodo che questi ragazzi abbiano per tirare un po’ fuori la testa dalla merda. Ciò non vuol dire che noi si debba sopportarli e assecondarli! La pazienza ha un limite.
Alla fine della serata ero stracca e allora mi sono seduta allungando le gambe su una sedia (non proprio femminile come cosa).non l’avessi mai fatto!!! Mi è arrivato un applauso da un gruppo di ragazzi, un altro rideva, uno mi ha tirata in mezzo alla pista dopo essersi inginocchiato pregandomi di ballare con lui e alla fine mi sono davvero fatta un mare di risate tra il frastuono, la gente. il sudore e la musica del 1830, con l’odore del mare. E vai, nulla di male nel lasciarsi trasportare per qualche minuto. Poi è venuto Jorge e ci ha riportate a casa, salutandomi con una “buenas noches, italianita”. 

La Habana, 14 luglio 2008 lunedì
Per chi viaggia, l’incontro con l’altro si svolge sempre “tra”,
in una sorta di terra di nessuno che sta in mezzo
alle due culture di appartenenza.
In quella zona non delimitata, tra il “già” e il “non ancora”
dove i pensieri e i gesti trovano spazi comuni di comprensione,
dove le differenze non entrano a disturbare un dialogo
che spesso è più facile di quanto pensiamo.

Stamani con Jorge ho scoperto un’altra Habana. Mi ha portata alla Habana Vieja per prelevare dei soldi in banca e mentre Denise sbrigava le sue cose noi abbiamo fatto un bellissimo giro in cui Jorge mi spiegava ogni cosa, ogni angolo, ogni segreto di questa parte di Habana tutta colorata, ristrutturata, turistica, con bellissimi palazzi in stile coloniale, isole pedonali, localini, musica dal vivo, botteghe, insomma molto più tranquilla e rilassante del Centro Habana dove stiamo noi. Poi Jorge ci ha lasciate ed io e Denise abbiamo proseguito il nostro giro facendo foto, pranzando con la paella e chiacchierando. A Plaza de Armas ho visto la Ceiba, l’albero sacro per la santeria dove gli habaneros si mettono in coda per dar la vuelta a la Ceiba ovvero fare 3 giri intorno all’albero mentre ne toccano il tronco esprimendo tre desideri. L’albero, sotto le cui fronde sembra sia stata celebrata la prima messa cattolica a Cuba, è posto di fronte a El Templete, il tempietto neoclassico, costruito nel 1828 per celebrare la fondazione della città, che si affaccia su Plaza de Las Armas. E’ un rituale scaramantico beneaugurante a cui non si dovrebbe rinunciare. Per tradizione a chi compie questo rito l’anno successivo tutto andrà perfettamente bene. Se uno dei tre desideri si esaudisce bisogna tornare a La Habana entro l’anno successivo per ringraziare. Io ho dato la vuelta e ho espresso i miei desideri, anzi uno solo, perché è unico il desiderio che ho. Continuando il nostro giro siamo andate a plaza Vieja, alla piazza della cattedrale dove abbiamo preso un caffè con Servio. Nella piazza abbiamo visto una quinzeañera, una ragazza che compiva 15 anni ed aveva un abito largo e lungo pieno di merletti e i fiori in mano, una macchina con nastri e chauffeur che l’aspettava e il fotografo che la ritraeva nel giorno più importante della sua vita. Sì a Cuba è così, quando si compiono 15 anni è festa grande, una sorta di ingresso in società, il nostro diventare maggiorenni ma anche di più. Che strane queste usanze latine!
Tornate a casa abbiamo avuto giusto il tempo di una doccia e poi subito da Omaida per 2 ore di lezione di salsa con Juan. Stavolta ho imparato a fare tre vueltas una dopo l’altra ed è stata una grande soddisfazione sia per me che per Juan! Ma ho dolori muscolari ovunque: una fatica!!! Ritorno a casa, doccia (ennesima) e preparativi valigia: domani si parte per Holguìn! Io, Denise, Mercedes e Jorge!! 



15 luglio 2008 martedì

Mattina all’hotel Habana Libre al Vedado a scrivere mail in attesa di notizie da Jorge per la partenza ma queste tardano a giungere. Pranzo con Denise al ristorante cinese Chan Li Po in Campanario con un fantastico Chop Suey, un piatto a base di carne e verdure condito con brodo vegetale e salsa di soia. Poi giro per negozietti e di nuovo a casa dove abbiamo giocato un po’ con Ricardito, il bimbo di Sinai, che ha 14 mesi, è bellissimo e fa un sacco di facce mostrando i denti o i muscoletti! Se poi gli dici “portate bien Ricardito!” lui ti fa in gesto con l’indice a mò di rimprovero! Grandioso! Finalmente alle 19 è arrivato Jorge che aveva passato la giornata dal meccanico. Abbiamo caricato gli zainoni e via, verso la nostra prima tappa raggiunta in 4 ore: Santa Clara. Sistemazione in casa particular e subito nanna.

Santa Clara 16 luglio 2008, mercoledì
.mi sento così patriota dell’America latina,
di qualsiasi paese dell’America latina, nel modo più assoluto
e qualora fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita
per la liberazione di qualsiasi paese latinoamericano,
senza chiedere nulla a nessuno, senza esigere nulla,
senza approfittare di nessuno.

Alle 6 del mattino già si sentiva il vociare in strada eppure si trattava di una stradina davvero piccola perché Santa Clara è proprio una cittadina di campagna. Ma la vita qui comincia presto a quanto pare, con i venditori ambulanti e gli urloni per strada, i calessi, i cavalli, le vespette colorate. Jorge è andato di nuovo a cercare un pezzo per la macchina, Denise e Mercedes chiacchierano ed io decido di farmi un giro nei dintorni. Che bello, qui è tutta un’altra dimensione rispetto a La Habana: tranquilla, in mezzo al verde, i vecchietti seduti sugli scalini di casa a leggere il giornale, un donnone che fuma un sigarone (sono le 8 del mattino!!!), i calessi pieni di gente, le botteghe di frutta e verdura con le scritte del Che sulle pareti o gli striscioni per strada, le biciclette arrugginite e le moto anni ’70. Tutto scorre con un ritmo più lento e più silenzioso, il sole riscalda già forte la mattinata e la gente ha un fare molto più rilassato. Santa Clara è la città del monumento al Che che conserva i suoi resti e i suoi oggetti. Quando Jorge arriva finalmente verso le 11, andiamo a visitarlo. Si tratta di una piazza enorme, davvero grande, con questo complesso scultoreo e la statua del Comandante che domina dall’alto di un piedistallo in mattoni su cui spicca la scritta Hasta la Victoria Siempre. E di lato, su un altro cubo di mattoni, la bellissima citazione tratta dal suo diario in Bolivia: “…me siento tan patriota de Latinoamérica, de cualquier país de Latinoamérica, como el que más y, en el momento en que fuera necesario, estaría dispuesto a entregar mi vida por la liberación de cualquiera de los países de Latinoamérica, sin pedirle nada a nadie, sin exigir nada, sin explotar a nadie”.
Mi vengono i brividi ogni volta che rileggo questa frase.
C’è un sole che spacca le pietre e un afa insopportabile, mi soffio col vestito di jeans che indosso, faccio mille foto alla statua del Che poi si riparte alla volta di Holguìn nella nostra Tico dove stiamo tutti e quattro belli stipati stipati. Il viaggio è lungo e ci fermiamo spesso perché la macchina perde olio. La strada però è bellissima e lungo il percorso ammiro paesini nel verde lussureggiante, con case di legno, cavalli e calessi, donne che passeggiano cogli ombrelli bianchi (che appunto qui chiamano sombrillas e non paraguas), camioncini che caricano la gente da portare al lavoro, alberi di mille colori, i rossi Flamboyant che costeggiano tutto il percorso, le biciclette, i banchi della frutta esotica, i ragazzi che vendono il formaggio ai bordi della strada, le infermiere con le calze a rete bianche e le scarpe da ginnastica, le donne con le torte in mano su un vassoio di cartone, e tutto ciò paese dopo paese, municipio dopo municipio, da Santa Clara a Sancti Spiritu a Camaguey a Holguìn.
La seconda parte del viaggio l’ho trascorsa in una piacevolissima e lunghissima chiacchierata con Jorge che aspetta che io gli dica “Estoy muerta contigo”! Non parlo ancora il cubano però io e Jorge ci capiamo tra spagnolo, italiano e linguaggio dei gesti. Abbiamo cantato le canzoni di Eros in spagnolo e poi gliele ho fatte sentire in italiano col mio I-pod. Gli ho messo le canzoni di Buena Vista e lui ha cantato “Chan Chan” con una contentezza indicibile da cui emerge l’orgoglio di essere cubano, come spesso si vede in Jorge: “De alto Cerro voy para Marcane, llego a Cueto voy para Mayari.” Mercedes e Denise si meravigliano ma quando c’è feeling.. “è un incontro d’anime.” 
Ci siamo raccontati la nostra vita e così ho saputo che è nato a Pinar del Rio, cosa per la quale Mercedes lo prende sempre in giro. A Cuba quelli di Pinar del Rio sono bonariamente presi in giro per la loro “stupidità”, per il loro essere dei sempliciotti di campagna. Questo è il ruolo che tocca ai poveri pinareños, bersagliati da barzellette e motti da tutti i cubani, principalmente da quelli de La Habana. Jorge dice che le puttane di Pinar Del Rio furono le ultime a scoprire che dovevano farsi pagare. 
Lui è un ingegnere in telecomunicazioni che in passato è stato un anno in Brasile, cosa per la quale si ritiene ovviamente un privilegiato perché sa che altrimenti non sarebbe mai potuto uscire da Cuba, come succede per la maggior parte dei cubani. Tuttavia da un paio di anni gli tocca guadagnarsi da vivere facendo l’autista di questa macchina di proprietà di un medico con il quale divide i guadagni. Mi ha chiesto quale sia il mio sogno ed io gli ho detto che voglio vedere l’America Latina. Poi gli ho rigirato la domanda e lui ha risposto che il suo sogno sarebbe viaggiare per vedere un qualunque posto del mondo ma che questo resterà per sempre un sogno perché non avrà mai i soldi per permettersi di prendere un aereo. Intanto i km si accumulavano e quando davo segni di stanchezza lui mi diceva: “Pensa alla tua canzone!”
Perché è per via della canzone dei Negrita, Rotolando verso Sud, che ho nella testa Holguìn. Quel ritornello tante volte fisso nella mia testa, che dice “..Rio Santiago Lima Holguìn Buenos Aires Napoli.” e mi son sempre chiesta come fosse Holguìn, perché era affiancata a città come quelle più calienti di tutto il sud del mondo..
Abbiamo toccato il suolo di Holguìn alle 21circa dopo 12 ore di viaggio, stanchi e puzzolenti. Marilìn, l’amica di Denise, ci è venuta incontro e ci ha portato alla nostra casa particular dove abbiamo lasciato le valigie per andare a mangiare perché eravamo davvero affamati. Abbiamo trovato aperto solo un localino che faceva la pizza e nonostante la mia atavica fame giuro che è stata la peggiore pizza di tutta la mia vita. Poi a La casa de la Musica a ballare, giretto per la piazza con la statua di Calixto Garcia e poi a nanna, tutti insieme appassionatamente.

Holguìn, 17 luglio 2008
..la notte sembra perfetta
per consumare la vita io e te
C’è un bisogno d’amore sai che non aspetta
È un’emozione diretta se vuoi ma non sarà infinita perché
siamo fuoco nel fuoco ma bruciamo in fretta noi..

Il risveglio è molto piacevole in questa cameretta di Holguìn anche perché so che ci aspetta una giornata al mare, il mare vero, caraibico, quello delle spiagge da sogno bianche e calde. La nostra mèta è Guardalavaca, a un’oretta di macchina dalla città. Lungo la strada i nostri amici cubani ci comprano frutta a volontà: mango, guayaba, papaya, che mangeremo in spiaggia all’ombra dei Flamboyant. Quando arriviamo uno spettacolo paradisiaco ci si offre dinanzi agli occhi: una spiaggia bianca, costellata di alberi, una riva calma e tiepida, un mare smeraldo trasparente che si estende a perdita d’occhio…anche Mercedes è esterrefatta. A 40 anni è la prima volta che esce dalla Avana e che vede un luogo simile..
Ho passeggiato e chiacchierato a lungo con Jorge, mi ha raccontato dell’unica volta che si è innamorato e ha sofferto per amore, nulla a che vedere con i suoi due matrimoni. A Cuba pare che il matrimonio sia una cosa da fare velocemente, appena si prende una cotta per qualcuno. Molti ragazzi a vent’anni hanno già famiglia, figli e poco dopo sono già divorziati e in cerca di un altro “amore”. Ovvio, bruciano le tappe. Inoltre il divorzio tra cubani è una pratica relativamente semplice che dura circa 3 mesi e costa intorno ai 5 dollari. Culturalmente sia il matrimonio che il divorzio sono visti in modo completamente differente dal nostro ma la cosa certa è che l’amore che questi cubani portano per la loro famiglia e soprattutto per i loro figli è infinito ed intoccabile. Mentre eravamo stesi al sole gli ho detto “Hombre, e(s)toy muerta contigo!” e lui è scoppiato a ridere come un matto per la mia esse pronunciata alla spagnola, cioè pronunciata! 
Intanto è arrivata un’amica di Marilìn e Mercy e così si son messi tutti a ballare salsa mentre io li riprendevo e scattavo foto, a loro, al mare, ai miei piedi neri nella sabbia avorio. Verso le 20 ci siamo incamminati per tornare a casa ma una volta a Holguìn siamo andati sulla Loma de la cruz (la collina della croce), bellissimo luogo panoramico da dove si ammira tutta la provincia di Holguìn, nella speranza di trovare un ristorante che ci facesse mangiare qualcosa e invece aveva già chiuso. L’unico posto aperto era quello della pizza della prima sera..e con la fame che avevamo non ci son stati tentennamenti! Quella matta di Mercedes ci ha fatto piangere dalle risate chiedendo indicazioni per la loma de la cruz mentre ne stavamo scendendo.e poi mi chiama “lagarsa” perché non riesce a dire “ragazza” e Denise ride così tanto che le manca l’aria! Insomma, una giornata perfetta finita in modo perfetto.

Holguìn 18 luglio 2008, venerdì
Ella es blanca él tambien
Que bonitos son los dos
Son dos dos gaticos que se aman
Que bonito es el amor…el amor… !

Sveglia tranquilla, colazione tutti insieme e poi Jorge va dal meccanico mentre io, Denise, Mercedes e Marilìn facciamo un giro per Holguìn e i suoi porticati. Molto bella questa cittadina piena di vita, di musica, di botteghe di artigiani, viali pedonali lastricati e statue di argilla per strada, o gatti di argilla sui tetti, perfino persone di argilla affacciate ai balconi!
Sotto i porticati i vecchietti ai tavolini giocano a domino e su un carro alcuni ballerini provano lo spettacolo della serata.
Per pranzo ci ha raggiunte Jorge. Tempo due minuti e Mercedes improvvisa con lui una di quelle scene che resteranno nella memoria e ci faranno ridere per sempre a ripensarci! Trascina Jorge in un negozio di barbiere, lo fa sedere, gli mette la mantella addosso e inizia a fingere di tagliargli i capelli mentre il barbiere li guardava divertitissimo, i clienti interdetti e noi piegate in due dalle risate. Mercy è proprio comica, ha la capacità di far battute e improvvisare, prendere in giro, cogliere i dettagli, le manie di ognuno, creandoci degli show esilaranti!
Poi siamo andati tutti in un ristorante molto bello, il 1720, all’aperto, coi tavolini in mezzo agli alberi, un pesce buonissimo e un servizio abbastanza attento. Abbiamo ovviamente offerto io e Denise, come tutto in questo viaggio.
A Cuba circolano due monete: il pesos cubano e il pesos convertibile o CUC. Il primo è la moneta usata dai cubani, con cui sono pagati e con cui pagano, equivale ad 1/25 di dollaro, più o meno. Il CUC è invece la moneta usata dai turisti, equivale al dollaro ed è la moneta con la quale si pagano tutti i servizi, trasporti, ristoranti, alberghi, etc.
Ovviamente pagare in CUC è per la stragrande maggioranza dei cubani una cosa impossibile perché il costo di una cena equivarrebbe al loro stipendio mensile (per chi lavora). È per questo che Mercedes non era mai uscita dalla Havana e che Jorge non poteva che offrirci la frutta fresca comprata a bordo strada.e tutta la sua disponibilità.
Dopo il pranzo siamo andati al mirador sulla collina di Holguìn dal quale si ammira tutta la vallata verde che circonda la cittadina. Poi abbiamo raggiunto la piazza dove c’è la statua del Don Quixote a cavallo e le targhe in bronzo con le citazioni tratte dal libro di Cervantes:
«La libertà, Sancho, è uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano mai dato agli uomini; nè i tesori che racchiude la terra nè che copre il mare sono da paragonare ad essa; per la libertà, come per l’onore, si può e si deve mettere a repentaglio la vita; la schiavitù invece è il peggiore dei mali che agli uomini possano toccare».
Eravamo lì a leggere, io e Marilìn, Denise, Mercy e Jorge.avevamo da poco passato altri cartelloni con le frasi della rivoluzione e Jorge aveva appena chiesto a Denise 10 CUC che noi avevamo dimenticato di dargli, sostenendo che per lui quella cifra era sostanziosa e non irrisoria come per noi. Pensavo alle privazioni di questa gente, a quando Jorge mi diceva che non poteva esprimere pienamente la sua opinione e si guardava in giro primo di dirmi “è tutta una bugia”. pensavo a Mercedes che non era mai uscita da La Habana in 40 anni di vita.e rileggevo quella frase con i brividi sulla pelle nonostante il caldo. “La libertà..voi lo sapete cosa è la libertà? Riprendetevela la vostra libertà!!!” Ecco cosa avrei voluto urlare.
Poi ritorno a casa, cena con gelato e frutta, risate da matti con Marilìn e doccia rigenerante. “Hasta mañana, italianita” mi dice tutte le sere Jorge. Ed io mi addormento serena, in un mondo pieno di sorrisi.

La libertad, Sancho, es uno de los más preciosos dones que a los hombres dieron los cielos; con ella no pueden igualarse los tesoros que encierra la tierra ni el mar encubre; por la libertad, así como por la honra, se puede y debe aventurar la vida, y, por el contrario, el cautiverio es el mayor mal que puede venir a los hombres. Digo esto, Sancho, porque bien has visto el regalo, la abundancia que en este castillo que dejamos hemos tenido; pues en mitad de aquellos banquetes sazonados y de aquellas bebidas de nieve, me parecía a mí que estaba metido entre las estrechezas de la hambre, porque no lo gozaba con la libertad que lo gozara si fueran míos; que las obligaciones de las recompensas de los beneficios y mercedes recebidas son ataduras que no dejan campear al ánimo libre. ¡Venturoso aquél a quien el cielo dio un pedazo de pan, sin que le quede obligación de agradecerlo a otro que al mismo cielo.

19 luglio 2008, sabato
Hasta la victoria siempre!

Sveglia ore 6 e partenza da Holguìn. Pioviggina, ho la testa piena di acqua dal sonno e non sono per nulla contenta di lasciare questo posto dove son stata tanto bene. Ma ogni sogno è seguito dal risveglio.
Il viaggio è stato incredibilmente difficile ed è durato 17 ore! Siamo arrivati alla Havana alle 23 dopo esserci fermati almeno venti volte a tutti gli Oro Negro (stazioni di servizio) per rabboccare l’olio (Castrol!) e cambiare le candele. A Cuba infatti le stazioni di servizio vengono chiamate conejitos, ovvero coniglietti, perché sono a distanza di saltello uno dall’altro.bellissimo no? Jorge era distrutto e molto preoccupato per la macchina e tutti i pezzi di ricambio che qui sono difficilissimi da trovare e molto costosi, per quello che doveva dire alla proprietaria dell’auto e per il suo lavoro se la macchina non poteva essere riparata. I suoi occhi verdi erano annuvolati ma non mancava mai di sorriderci ogni tanto, tra un conejitos e l’altro. E’ stata davvero un’avventura ma ci siamo spaccati dalle risate anche stavolta grazie a Mercedes. Oramai era buio pesto quando, a 50 km da la Habana, la macchina si ferma definitivamente e ci accorgiamo che l’olio è finito. Sulla carretera central de Cuba le auto sfrecciano veloci e nemmeno ci vedono eppure dobbiamo riuscire a fermare qualcuno. Jorge è preoccupato perché in questi casi si verificano molte rapine e ci sono state anche persone accoltellate e derubate di tutto. Figurati noi che siamo bianche e turiste.nell’ultimo paio di anni la criminalità è aumentata a Cuba e pare non si possa stare più tanto tranquilli. Comunque ci siamo messi tutti e 4 a sbracciarci per fermare qualcuno, era già buio, nessuno ci cagava, allora Mercedes ha preso un cuscino e una copertina da viaggio, ha fatto un fagottino fingendo di avere un bambino e me lo ha messo in braccio, io ho iniziato a cullarlo e bum, si e’ fermata una macchina che ci ha aiutati e ci ha dato olio.. ma quanto abbiamo riso non si può raccontare a parole! Infine siamo arrivati a casa sotto la spinta delle preghiere e abbiamo ringraziato tutti gli Orishas, io son crollata e ho dormito circa 11 ore senza nemmeno fare una piega alle lenzuola!!!
La Habana, 20 luglio 2008, domenica

Sveglia tardi e ritorno alla realtà.piove che Dio la manda, pare che un ciclone stia sfiorando l’isola colpendo solo l’oriente da cui siamo appena tornati. Ci prepariamo e andiamo a casa di Omaida a fare due chiacchiere con Ilde. Il cielo è davvero grigio e chiuso, che cosa strana. Approfittando di questa giornata di pigrizia siamo andate in taxi dalla mamma di Rebecca a portarle i regalini da parte di Armida. Solo per scendere dal taxi mi sono inzuppata fino alle ginocchia. Mami è stata contentissima, specie della nutella! Poi Rodolfo e Denise hanno ballato un po’ di salsa e Mami rideva e cantava. Verso ora di pranzo abbiamo ripreso un taxi infradiciandoci completamente e siamo andate a mangiare in un paladar molto carino stesso lì al Vedado, il Décameron. Lì ci siamo gustate una bella pasta con le verdure e il pesto e la zuppa di zucca, da delirio! Tutto troppo buono ma soprattutto la compagnia di Denise con la quale sto benissimo. Nel frattempo Jorge mi manda un messaggio in cui mi chiama ruffiana! Che dire, mi fa sempre sorridere, anche in un giorno di diluvio come questo!
Finita la pioggia abbiamo percorso un paio di viali per andare a trovare Helena che sta in un bellissimo attico di gente molto benestante, con terrazza panoramica su tutta La Habana e vista mare. I proprietari della casa particular sono stati molto carini e si son messi a chiacchiera con noi, poi è arrivato Robert, il fidanzato cubano di Helena e con loro siamo andati al Florida dove ho ballato addirittura tre salse, tormentata da Servio che ha deciso di provarci con me fino alla morte. Quando fanno così diventano davvero stressanti questi uomini cubani. Denise mi dice che devo tirar fuor la maleducazione per liberarmene ma io ho bisogno di esercitarmi ancora un po’!

La Habana, 21 luglio 2008, Lunedì

Sveglia lenta e poi in banca al Vedado a cambiare i soldi. In realtà in banca c’era una fila pazzesca e non si capiva come smaltiva così abbiamo mollato e ce ne siamo andate a cambiare alla Cadeca, tanto lì il cambio è favorevole come in banca e cmq l’euro va benissimo rispetto al dollaro, infatti per 300 euro mi hanno dato 420 cuc! Benissimo!
Denise si è poi diretta al Saratoga ed io alla mia lezione di salsa con Yasser. Ho fatto due ore in cui ho sudato l’anima ma ho imparato a fare la vuelta singola, la doppia, il dile que no e perfino il vacilala che son tutte figure della salsa! Yasser è un sorridente ragazzo di circa trent’anni che mentre balla canta con passione le canzoni che ascolta e questo mi fa capire quanto questa musica per loro sia forte, sentita, importante. Lui ce l’ha dentro, si vede da come si muove, da come segue il ritmo e da come lo trasmette. In realtà è stato mezzora solo per insegnarmi a capire e sentire il tempo, cosa che per me era un mistero. Ma dopo questa lezione è cambiato tutto, ora lo sento anche io e seguo il ritmo molto più facilmente! Sono felice come una pasqua e raggiungo Denise al Saratoga per uno spuntino e le mail. Ci rifocilliamo e poi abbandoniamo l’aria condizionata per tornare a casa, dove la nostalgia di Holguìn ci ha prese e ci siamo guardate tutte le foto scattate lì. Nel frattempo Jorge ci ha scritto che la macchina è definitivamente fuori uso, che lui è senza lavoro e che non potrà portarci a Trinidad, né accompagnare me al mare. Che tristezza!
Riposino di un paio di ore e poi serata da ballo al Florida dove c’è il gruppo dal vivo che è troppo carino (cioè son carini i tipi che cantano e ballano mentre suonano!) e a seguire alla Casa de La Musica in Galiano per il concerto di Manolito non so che. Ritorno a casa alle 2 e nanna.

La Habana, 22 luglio 2008, martedì

Ho deciso che voglio andare al mare e anche se la Playa del Este è lontana e ci devo andare da sola, ho bisogno di un po’ di relax. Mentre mi preparo sento Denise che urla “Hola Jorge!” e vedo lui con la piccola Isabela sulla soglia di casa. Ci dice che gli spiace non poter essere più il nostro accompagnatore e che per lui è un momento difficile. Ho regalato ad Isabela pennarelli, penne, quaderni, palloncini e fermacapelli portati dall’Italia e lei era felicissima tanto da abbracciarsi i regalini! Che tenerezza, santo cielo.
Intanto Denise mi ha trovato un altro tassista da lei conosciuto e sperimentato, Jorge anche questo! Per comodità lo chiamiamo Jorge2, un chiacchierone simpatico che mi ha portato al Tropicoco per 25 cuc, tacci sua! Ed eccomi finalmente in spiaggia, sotto un sole a picco e il vento forte che smuove il mare, i granchi color sabbia che si avvicinano al mio telo con gli occhietti alti alti che sbucano dalla sabbia e perlustrano il territorio! Qui il mare non è certo quello di Guardalavaca però è comunque bellissimo e la spiaggia è ampia e costellata di palme. Inoltre c’è poca gente e posso godermela ma ad un certo punto passa un poliziotto e mi dice di stare attenta a non lasciare la mia roba incustodita perché ci sono molti furti, specie se sono sola e sono una turista. Mi dice addirittura di non andarmi a fare il bagno ma io non mi faccio prendere dal panico nemmeno un po’. Lo ringrazio, aspetto che si allontani e che nessuno mi guardi, metto le mie cose in un sacchettino di plastica, scavo un bel buco sotto la sabbia e ce lo ficco dentro poi ricopro. Dopo di che bagno, bar, libro di Terzani e voglio proprio vedere chi lo trova il mio sacchetto là sotto!
Alle 17.30 Jorge2 torna a prendermi. Meno male che ci siamo dati appuntamento così presto perché il caldo è talmente forte che mi sembra di impazzire, anche all’ombra delle palme. Tornata a casa faccio doccia veloce e poi cinema Yara con Denise a vedere un film cubano uscito da poco, “Efectos Personales” di Brugués.
Il protagonista è Ernesto, un ragazzo che vive nella sua macchina posteggiata all’inizio del Malecòn della Avana. Ernesto sta cercando in ogni modo di ottenere il visto per andar via da Cuba e si sottomette alle interviste del governo ma ogni volta, pur raccontando una storia strappalacrime sulla madre, non riesce ad averlo. Ernesto però non molla, passa il tempo che lo separa dalla prossima intervista a prepararsi per fare la migliore figura possibile ma un giorno incontra Ana, una giovane infermiera e tra i due basta poco per far nascere l’amore.. Ernesto però non vuole vincoli e lei ha un carattere molto forte, non si lascia intimidire né vuole costringere Ernesto che, finalmente ottiene il suo tanto atteso e desiderato visto per lasciare Cuba.. il resto ovviamente non lo racconto perché il film è bellissimo e va assolutamente guardato anche se temo di essere poco obiettiva considerato che mi sono commossa tanto da avere i brividi tutto il tempo. Aver conosciuto e vissuto questa realtà attraverso persone in carne ed ossa che mi hanno mostrato la loro vita qui a Cuba mi ha fatto sentire questo film pienamente, come una cubana, come una che si sente prigioniera e farebbe di tutto per ottenere la libertà..uscita dal cinema mi sentivo oppressa ma poi mi sono ricordata che io non sono cubana e posso andarmene da lì come e quando voglio.
Il cinema è un momento molto importante per la società cubana. Il biglietto costa pochissimo, un pesos cubano (quindi 1/25 di dollaro) e gli spettatori partecipano attivamente allo spettacolo come fosse teatro, facendo commenti, urlando, ridendo, suggerendo agli attori cosa fare, insomma c’è stato un casino tale tutto il tempo della proiezione che non ci potevo credere!
Dopo la cena al Maraka’s io e Denise ci siamo concesse un cocktail sulla terrazza del panoramico e famoso Hotel Nacional con vista sul Malecòn pieno di gente come al solito.

La Habana, 23 luglio 2008, mercoledì
Yo vengo de todas partes,
Y hacia todas partes voy:
Arte soy entre las artes,
En los montes, monte soy.

Yo sé los nombres extraños
De las yerbas y las flores,
Y de mortales engaños,
Y de sublimes dolores…

Ho chiesto a Jorge se mi faceva da guida per un city tour a piedi e lui ha detto di sì! Sono contenta, sia perché con lui mi diverto troppo sia perché sono sola a girare per la città e la cosa non è affatto stimolante. Finalmente conoscerò i monumenti della Avana e imparerò un po’ di cose sulla sua storia che Jorge conosce molto bene. È arrivato alle 11 puntuale come al solito (ma come cavolo fa?) e mi ha portato alla Avenida Simon Bolivar dove abbiamo preso un taxi collettivo cubano diretto alla Plaza de la Revolucion. Prima di salire sul taxi mi ha detto che non devo parlare mai a meno che non me lo dica lui: i taxi per i cubani sono solo per i cubani e se la polizia ne ferma uno con un turista fa un multone al tassista; quindi devo tacere così Jorge mi può offrire il passaggio pagando in pesos cubani, cosa alla quale lui tiene molto.
Arriviamo nella splendida Plaza de La Revoluciòn, l’attuale centro politico della capitale cubana, il luogo in cui sono state collocate le sedi di alcune fra le più importanti istituzioni della città e del Paese, fra cui la Biblioteca Nacional.
Al centro della piazza si erge il monumento a José Martí, l’eroe nazionale dell’indipendenza cubana dal giogo coloniale, mentre tutto intorno si trovano gli edifici governativi: la sede del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano, situata all’interno del Palacio de la Revolución, il Ministero delle Comunicazioni, sede del Museo Postal Filatélico, e il Ministero degli Interni. Sulla parete di quest’ultimo spicca una delle immagini più note e suggestive dell’Avana moderna, l’enorme ritratto di Ernesto “Che” Guevara con la scritta, famosissima in tutto il mondo: Hasta la victoria siempre.
Abbiamo fatto molte foto e poi siamo entrati nel museo dedicato a José Martì. Nel 1892 egli fondò il Partito Rivoluzionario Cubano che si poneva gli obiettivi di indipendenza dell’America Latina dall’imperialismo spagnolo e USA, organizzazione della lotta armata nella guerra di liberazione, rifiuto di ogni forma di segregazione razziale. Martì è considerato anche uno dei più grandi scrittori del mondo ispanico. Tutti gli insegnamenti di Martì contraddicono ogni sistema politico che non riesce ad occultare la sua intolleranza verso le libertà individuali e il suo amore per il suo proprio materiale potenziamento. Le suo opere condannano tutti i regimi dispotici e la privazione dei diritti umani. Per questo motivo, la pubblicazione dei pensieri di Marti, in tutta la sua forza, è oggi di grande importanza. Nel museo ci sono foto, documenti, lettere, i suoi libri di poesia originali ed è qui, oggi, che scopro che i suoi “Versi Semplici” iniziano così: “Yo soy un hombre sincero de donde crece la palma y antes de morirme quiero
echar mis versos del alma. .” che io conoscevo solo attraverso la famosa canzone Guantanamera!
Il belvedere è a 129 metri di altezza e di lì si ammira La Habana a 360°. Jorge mi spiega e mi indica i confini di alcuni dei municipi in cui è divisa la città, il Cerro, Miramar, il Vedado, la Habana Vieja, il Centro Habana. La torre è chiusa da vetrate ed è a pianta stellare; in ogni punta della stella c’è incisa sul pavimento una bussola con le distanze tra quel punto e alcune importanti città del mondo. C’è anche Roma, 8710 km da qui. Jorge mi dice: “Siamo lontanissimi!”
Dalla plaza ci dirigiamo a piedi verso il Cimitero monumentale Cristobal Colòn, sotto un sole davvero infame. Il cimitero è una vera e propria città con strade coi loro nomi e così prendiamo una guida che ci raccontasse le storie dei morti che abitano qui. Ad esempio c’è la tomba della signora Amelia Goyri de la Hoz, morta di parto nel 1903 a 23 anni e sepolta con il bambino ai suoi piedi. La leggenda narra che quando la tomba fu riaperta per riesumare il corpo, il bambino fu trovato tra le braccia della madre. Il marito José Vicente Adot, disperato, non sopportò tanto dolore e impazzì: egli si recava al cimitero ogni giorno e bussava sulla tomba gridando: “Svegliati Amelia! Svegliati!” Fece questo per 17 anni finché morì. Tutta questa storia ha reso leggendaria Amelia che è stata idolatrata come donna del miracolo. Infatti essa riceve fiori e preghiere ogni giorno e la sua tomba bianca, con la statua che la raffigura col suo bambino in braccio, è oramai meta di pellegrinaggi ed è ricoperta di targhe in marmo o bronzo che la ringraziano per esser intervenuta miracolosamente in casi disperati di partorienti e neonati in pericolo.
La guida ci racconta poi di un’altra tomba, stavolta di un ricco signore che era perdutamente innamorata della sua sposa e le fece fare un monumento funebre con le rose intarsiate nel marmo nero e i vetri colorati da dove entra un raggio di sole che cade sulla bara della donna. L’amore vince su tutto, dice la guida, anche sulla morte.
Fa caldo boia e dopo un altro breve giro lasciamo il cimitero e ci incamminiamo verso il Vedado dove ci fermiamo alla caffetteria Fresa Y Chocolate a prendere una limonata. Poi taxi verso il Malecòn alla ricerca degli attrezzi di ferramenta che Jorge ha perso dimenticandoli ad un conejito al ritorno da Holguìn. Ovviamente tutti i ferramenta hanno pochissimo materiale e nulla di ciò che servirebbe a noi. Ci sono principalmente pezzi Fiat ma Jorge dice che qui quelli che vendono roba fiat sono tutti imbroglioni.
Al Malecòn ci sono dei ragazzini che si fanno il bagno e si tuffano dagli scogli. Il sole picchia talmente forte che non lo reggo e metto su la mia bandana rossa. Anche qui come in India bisogna sempre girare con un fazzoletto, un panno di stoffa (pañuelo) o una bandana tassativamente in cotone per asciugarsi il sudore e coprirsi la testa. E’ la sola cosa che non può mancare mai! Sono quasi le 16 e devo correre alla lezione di salsa con Yasser. Jorge sale a salutarlo e poi mi lascia a lui per le mie due ore di lezione. Yasser è grandioso, mi scrive tutti i nomi delle figure su un blocco notes e me le fa vedere una per una, insegnandomi tutti i passi così quando, dopo 2 ore, Jorge torna a prendermi, io ballo senza sosta e a tempo trasportata su e giù per la sala dal sempre sorridente Yasser.
Torno a casa mezza morta e mi riposo un po’poi raggiungo Denise al Chevere di Parque Almendarez, ballo un paio di salse, mangio una pizza immangiabile, litigo con Servio e lo mando definitivamente a spigare, cubano e buono, poi torniamo a casa, crolliamo e alle due veniamo svegliata dalla nuova avventuriera: è arrivata Paola!

La Habana, 24 luglio 2008. giovedì

Sveglia lenta e tarda e colazione con Denise e Paola. Io mangio il mio panino burro e miele e lascio da parte l’omelette che sinceramente mi ha nauseata! Alle 12 arriva Jorge per un altro city tour. Stavolta la prima tappa è il Museo de la Revoluciòn situato in un bellissimo palazzo dove è vissuto il dittatore Batista che proprio qui, la sera del 31 dicembre del 1958, fu avvisato della imminente caduta di Santiago nelle mani dei ribelli capeggiati da Fidel Castro Ruz. E fu sempre da qui che Castro, El Líder, fece lo storico discorso dell’8 gennaio 1959 nel quale annunciava al popolo cubano la fine dell’odiata e terribile dittatura e la vittoria della Revoluciòn. Il museo è una raccolta di fotografie, documenti, armi, immagini che costituiscono la storia della rivoluzione, ovviamente vista con gli occhi di chi l’ha fatta ed in essa ha creduto.
Trovo noioso leggere tutti quei documenti e molti di essi mi fanno venire rabbia, per esempio i discorsi demagogici di Fidel che parlano di libertà mentre è ovvio che la rivoluzione non ha portato alla libertà. Dittatura non è certo sinonimo di libertà e rivoluzione. Eppure Jorge appare orgoglioso di tutto quello che è successo, della storia di Cuba e della lotta di questi uomini diventati eroi per aver rovesciato la dittatura di Batista che aveva imposto un clima di violenza e sopraffazione.
Il processo rivoluzionario iniziò con l’assalto alla caserma Moncada a Santiago, avvenuto il 26 luglio 1953. A guidare i rivoltosi era Fidel Castro. Il piano prevedeva la conquista delle armi per poi consegnarle al popolo e dare il via immediatamente all’insurrezione armata. Centosettanta giovani ascoltarono Fidel: “Compagni” disse questi “tra qualche ora sarete vittoriosi o sconfitti. Ma in ogni caso fate bene attenzione a quello che vi dico, compagni! In ogni caso il nostro movimento finirà per trionfare. Se domani sarete vittoriosi, si potrà realizzare più in fretta quello cui aspirava Marti”. Un istante prima di dare il via all’azione, Fidel evocava dunque quelli che, per un cubano, erano i ricordi più cari. Le idee di Martì continuavano a ispirare quei giovani che anelavano alla libertà e alla piena indipendenza nazionale, il compito che Marti’ non aveva portato a compimento. Fallita l’impresa, Castro fu costretto a riparare in Messico dove, insieme al fratello Raul e all’argentino Ernesto “Che” Guevara, creò un nucleo rivoluzionario (Movimiento 26 de Julio) con l’obiettivo di riprendere la lotta armata nell’ isola. Fu solo nel 1959 che Batista rassegnò le dimissioni lasciando il paese mente le prime colonne di guerriglieri castristi entravano nella capitale.
Finito il giro al museo, dove faccio una foto sotto il poster di Che Guevara, che continua a piacermi come personaggio nonostante le contraddizioni, prendiamo un taxi verso la fortezza San Carlo de La Cabaña (1774) una delle fortezze coloniali più grandi delle Americhe e che fu anche il quartier generale del Che. Lì c’è il Cañonazo che ogni sera, alle nove in punto, spara un colpo a salve riportando i visitatori indietro nel tempo, quando a quell’ora un colpo di cannone annunciava la chiusura delle porte della città e del porto (Cañonazo de las Nueve). Dicono che si senta in tutta la Habana eppure io non ci sono mai riuscita! Mi dico sempre che devo ricordarmi, alle 9 di sera, di tendere l’orecchio ma puntualmente mi dimentico!
Il panorama dalla Cabaña è semplicemente mozzafiato: tutta La Habana si apre davanti allo spettatore incredulo, con la costa, il Malecòn, i monumenti, il Capitolio che svetta, il monumento di Plaza de la Revoluciòn, le insenature, le navi da carico nel porto, i giardini.uno spettacolo inondato da un sole cocente che crea riflessi onirici e ipnotizza lo sguardo. Abbiamo pranzato in un ristorantino all’interno delle mura della fortezza, con una bella fettona di carne, i tostones e riso con verdure. Lì Jorge mi dice ciò che pensa della rivoluzione: per lui Fidel è un grande uomo ed il sistema che lui ha imposto è un sistema teoricamente buono; è l’essere umano che è imperfetto e commette molti errori a causa della sua sete di guadagno. Dunque non è solo colpa di Fidel se le cose non hanno funzionato. Io resto allibita. Mi sembra di essere nel libro di Orwell, 1984, e vedo Castro come il Grande Fratello. Jorge aggiunge che è rimasto molto deluso, che in questo paese non è possibile essere onesti e che per la sua onestà ha perso il lavoro. Gli chiedo se si sente in prigione. Mi dice di sì. Che ha passato mesi senza dormire la notte, a camminare per casa e a chiedersi come poter mantenere la sua famiglia e cosa fare capendo infine che non poteva fare nulla, che qualunque cosa avrebbe messo in pericolo la sua famiglia e così ha deciso di arrendersi al sistema perché vuole che i suoi figli abbiano una vita tranquilla e tutto ciò che desiderano. Jorge ha un fratello che è riuscito ad andarsene a Miami con tutta la famiglia e gli spedisce magliette, vestiti, denaro e tutto quanto lui può per aiutare i suoi parenti. Tutto, tranne la libertà, aggiungo io.o forse sì, un giorno.perché ora, più di quanto avrei mai immaginato, desidero che questa situazione cambi, che l’embargo finisca e l’economia si riprenda, che Fidel muoia e che, ahimé, l’ondata di globalizzazione invada anche Cuba, facendola diventare sì un satellite americano ma paese aperto, aperto al mondo, alla vita, e non prigioniera del suo mare e del suo idealismo. Spero che quest’uomo sognatore possa vedere i suoi figli studiare, viaggiare, conoscere, tornare, lavorare, esprimere liberamente le proprie opinioni e gustare totalmente la libertà, la libertà di essere, fare, dire, pensare tutto ciò che vorranno essere, fare, dire e pensare.
Abbiamo visitato la zona dove c’era il quartier generale del Che e dove ora c’è un museo con sue foto e documenti, una statua che io cercavo di baciare mentre Jorge mi tirava via  e qualche suo oggetto personale. Lasciamo la Cabaña e torniamo a Parque Central da dove entriamo in San Rafael per un giro nell’isola pedonale piena di bancarelle che vendono cibo cubano. Infine a piedi per Neptuno e a casa a riposare. Paola e Denise sono al matrimonio della sorella di Mercedes ma io sono troppo stanca per raggiungerle, mi doccio e mi metto a leggere. Sono però costretta a restare tutta la serata in camera perché non me la sento di uscire a piedi da sola e inoltre ho finito tutti i soldi (ho dato a Jorge gli ultimi 20 pesos anche se lui non voleva essere pagato in alcun modo) ed ora ho solo gli euro da cambiare, nemmeno due monetine per chiamare un taxi. Non mi resta che riflettere sulla giornata e chiudere gli occhi per un sonno ristoratore.
La Habana, 25 luglio 2008, venerdì
.que alguien me diga
como se olvida, como se olvida esta pena de amor
como se sana una herida
que alguien me diga…
Oggi io e le mie amiche ci dedichiamo la giornata. Passiamo a salutare Ilde e poi facciamo un bel giro alla Habana Vieja, pranziamo al ristorante Hanoi con filetto di pesce e poi spilucchiamo i mercatini di Plaza de Armas dove io compro i diari del Che e i libri di poesia di José Martì. Entriamo poi nella famosa Bodeguita del Medio dove Hemingway prendeva il suo mojito (c’è anche la dedica originale dello scrittore che recita così: “Mi daiquiri en la Floridita, mi mojito en la Bodeguita.”) È oramai un locale turistico ma molto particolare, tutto in legno, pieno di bottiglie di rum, foto di personaggi famosi passati di lì, poster alle pareti e dediche varie. Lì fuori compro il cappellino verde con la stella rossa del Che e ci vado un po’ in giro finche un tassista mi dice che fa troppo turista e che un cubano non lo indosserebbe mai, dunque lo levo con un po’ di delusione.
Nel tardo pomeriggio torniamo a casa e Jorge passa a salutarci. Gli faccio vedere i libri e il cappellino, lui sorride e mi dice “I love you, italianita!” e mi fa troppo morire di allegria! Le amiche mi richiamano al “dovere” e mi trascinano al muretto del Malecòn dove, con una bibita fresca (refresco lo chiamano loro) assistiamo ad un bellissimo tramonto di un sole rosso rosso che ha lasciato il cielo più rosso ancora.. Poi al Florida, ovvero Jineterolandia! Oggi altra giornata senza tregua, qui non ci si ferma mai!  Io infatti ho un mal di testa pazzesco che mi tormenta tutta la serata finché il barista mi porta un Moment che mi dà un po’ sollievo, giusto per fittiarmi un po’ il cantante flachito flachito del gruppo che suona lì e che mi piace un sacco. Riesco a richiamare la sua attenzione e noto che mi guarda anche lui e mentre sto litigando con l’accendino per accendermi una sigaretta vedo sott’occhio che fa per avvicinarsi col suo ma il mio, puf, si accende! Buonanotte! 

La Habana, 26 luglio 2008, sabato
Oggi è festa nazionale a Cuba. È il 55° anniversario dell’assalto a Moncada e per tutti i rivoluzionari cubani è sinonimo di unità e vittoria. In casa tutte le televisioni sono accese per il discorso a reti unificate di Raul Castro e nelle strade sventolano decine di bandiere bianche e azzurre con la stella cubana, mentre gruppi di persone sparse eseguono dei riti. Oggi la città che ospita la manifestazione principale è Santiago de Cuba dove sono accorsi più di 10000 cittadini. Il presidente di Cuba, Raul Castro, ha detto che la situazione alimentare mondiale è grave e che gli Stati Uniti la acuiscono con la loro politica che promuove la produzione di combustibili derivati dagli alimenti.
“La ex caserma Moncada è un centro scolastico dove gli insegnanti preparano le nuove generazioni di cubani, con i valori che hanno legato alla Patria moltissimi giovani che hanno dato la vita per darci quel che abbiamo oggi. Come non essere orgogliosi di questa storica Rivoluzione e dell’ispirazione che deriva dall’esempio dei nostri eroi e martiri?” ha affermato Alejandra Rodríguez, pioniera di dieci anni della scuola elementare José de la Luz y Caballero. “Inviamo un messaggio di affetto e d’amore a Fidel e gli diciamo che continueremo a studiare decisi ad essere migliori ogni giorno di più, perché quegli uomini che morirono nella Moncada si sentano sempre orgogliosi di noi”.
Alesnay Pérez, lavoratore di una fabbrica di caffé, ha detto che i lavoratori cubani hanno il dovere di svolgere con maggiori disciplina i compiti rispettivi coscienti che “Se produrremo di più avremo di più”. “La nostra strategia principale è l’unità il nostro principale orgoglio essere liberi e sovrani” ha affermato durante la manifestazione.
“Agli imperialisti diciamo che non potranno mai avere questa terra, perché noi cubani non la cederemo mai” ha dichiarato nel suo intervento il giovane coincidendo con Ena Elsa Velásquez, ministra cubana d’Educazione, che ha assicurato che ogni 26 Luglio è un incontro con la storia.
Oggi i negozi sono tutti chiusi e noi andiamo al Saratoga a prendere il sole all’ultimo piano dell’hotel, a bordo piscina, su un comodissimo lettino e con un bel cocktail freddo tra le mani, con vista su tutta La Habana fino al Morro e al mare azzurro. Ora è un’emozione. Ora che ho conosciuto quasi ogni angolo della città e della sua storia, è emozione. Dall’alto del lussuoso albergo non ci accorgiamo che è il 26 di luglio e le parole di Raul sono dimenticate. Almeno per noi. Un paio di ore di relax e poi andiamo da Lucia che ci ha preparato l’aragosta. Il pranzo è ottimo: l’aragosta è divinamente tenera e succosa, il riso con i frijoles neri, le verdure, il succo di mango, il budino al latte.
Riposino e passeggiata al Vedado, al parco di John Lennon con la sua statua in bronzo che lo raffigura seduta su una panchina, senza gli occhiali, mentre accanto c’è un ometto in carne ed ossa che ha un paio di lenti e ti fa fare la foto, a pagamento, mettendole a John Lennon. Ci imbattiamo poi in una bellissima villa che è il Centro Culturale di Cuba, ovvero Istituto cubano de la musica, dove riusciamo ad entrare per vederne qualche sala e spulciare il programma degli eventi imminenti. Ancora un po’ di cammino e poi ritorno a casa per prepararci per la nostra ennesima serata di ballo. Un amico di Denise, Xavier, ci è passato a prendere per andare insieme al Florida. Menomale che oggi mi sento in forma, poi Denise mi ha prestato un top troppo carino che ho messo sul mio jeans dunque mi sento anche bene nei “miei” panni. Xavier è simpatico, tiene la conversazione e mi fa compagnia mentre Deni e Paola si scatenano nelle salse coi loro cavalieri. Mi si avvicina Servio che mi chiede di fare pace e io sorrido perché mi pare di avere a che fare con un bambino. Intanto mi inticchio il solito flachito e a fine concerto compro anche il cd del suo gruppo. Dopo un po’ di giochi di sguardi quella matta di Denise decide di mettere fine a questo stillicidio di timidezza e gli fa cenno di avvicinarsi a me, così lui arriva e mi invita a ballare..panicooo!!! gli dico che non so ballare bene ma lui mi tiene il tempo e mi fa muovere lentamente e nel frattempo facciamo conoscenza: si chiama Alain (perché alla madre piaceva Alain Delon!), vive vicino al Florida con la sorella mentre il resto della famiglia è a Miami che oramai è una colonia cubana. Anche lui li raggiungerà all’inizio dell’anno prossimo perché ha ottenuto il visto. Bene, mi dico, almeno non farà di tutto per farsi sposare!
Finiamo di ballare e ce ne andiamo sui divanetti fuori nell’atrio dove poi ci raggiungono gli altri. Alain mi dice che mi aveva notata ma che non voleva avvicinarsi per paura di essere considerato un jinetero. Ma si vede lontano un miglio che lui non lo è! Mi dice che odia il modo in cui i cubani si comportano coi turisti, il modo in cui cercano di ricavarne qualcosa. Poi ci ha accompagnate a casa e abbiamo preso appuntamento per domani. Sono curiosa di capire la mentalità di quest’altro “esemplare” cubano. 

La Habana, 27 luglio 2008, domenica
Il viaggio può diventare racconto, un racconto spesso spinge a un altro viaggio, ma un racconto non è un viaggio..

Stamattina si va al mare! Taxi fino al Club Havana, sulla Marina Hemingway. È carino, c’è una spiaggetta con ombrelloni in paglia e le palme, una piscina e il ristorante. Anche questo è decisamente un luogo per turisti, molto caro e alquanto finto ma è vicino e comodo. C’è una pace incredibile ed un bellissimo sole ma ad un certo punto si è scatenata la bufera, proprio come domenica scorsa, con una pioggia talmente fitta che non si vedeva a 5 metri. Mare e cielo erano di un solo colore, grigio sfuocato!  Fortuna però che è passata dopo un’oretta per lasciare posto di nuovo ad un sole implacabile. Ma il nostro tassista è venuto a prenderci e così siamo tornate a casa.
Lì è passato Jorge per dirci che non ci accompagnerà a Trinidad perché non è riuscito a recuperare un macchina e perché non può allontanarsi di nuovo dalla città. Ci siamo rimaste male ma io e Paola abbiamo deciso che partiremo comunque. Denise invece resterà a La Habana per non mancare alle sue serate di salsa, anche perché lei Trinidad già la conosce.
Intanto Alain mi aspettava giù alla strada, così sono scesa di corsa per raggiungere il flachito. Abbiamo passeggiato un po’ lungo il Malecòn affollato e poi ci siamo seduti sul muretto anche noi, con le gambe penzoloni verso il mare. E lui mi ha detto: “Vedi, qui nel ’96 era pieno di gente che tentava la fuga in barca verso Miami, pieno zeppo e sono morte un sacco di persone.”. Non gli dispiace affatto andarsene da Cuba, anzi lui la odia. Dice che qui il sistema non funziona, che l’ingranaggio è bloccato e che non si va né avanti né indietro; che quello che Cuba sta vivendo lo hanno vissuto tanti paesi in passato, con Mussolini, Hitler, Franco, però adesso tocca a Cuba, anche se in ritardo rispetto alla storia.
Mi ha raccontato che è ha viaggiato un po’, è stato in Turchia per un anno e mezzo e che gli piace molto cucinare. mi ha consigliato di visitare il sito di comida cubana e di cucinare il “platano in tentacion”! E’ piacevole ascoltarlo, parla tanto e ogni tanto rallenta accertandosi che io lo stia capendo ma oramai il cubano è diventata la mia seconda lingua! Parla dei film che gli piacciono, per esempio “La dolce vita” che io gli devo confessare non avere mai visto. Anche lui, come Jorge, è avido di film e di tv. Guarda “qualunque cosa” perché è il solo modo che ha per conoscere il mondo. Nonostante sia più giovane di Jorge, Alain è meno idealista, più disincantato e realista. Critica il volto che Cuba offre al mondo e ai turisti, mi parla del fermento culturale e della vita universitaria, di tutto ciò che noi non vediamo e non riusciamo a conoscere.
E’ anche molto ironico mentre mi spiega che i cubani non sanno stare senza soffrire per amore, che se la storia tra due persone non è tormentata da gelosie e corna i cubani non sono contenti! 
Mangiamo una pessima pizza al tonno da Rapido vicino al cinema Yara e poi torno a casa a preparare la valigia. Domani si parte per Trinidad.

Trinidad, 28 luglio 2008, lunedì
Io e Paola usciamo di casa alle 7 del mattino nella speranza di trovare un bus Viazul che ci porti a Trinidad il prima possibile. Alla stazione invece troviamo una coppia di Torino che ci chiede di divedere un taxi e così con 4 ore di viaggio alle 13 io e Paola siamo a Trinidad sotto un cielo carico di nuvole. In realtà saremmo venute qui per andare al mare…cerchiamo la casa di Mercedes dove pernotteremo e lasciamo le borse nella nostra stanza, carina, tipica casa coloniale con cortile e tante tante cucarachas!!  Facciamo un giro di ricognizione al mercatino, alle escaleras, in piazza, poi pranziamo in un ristorantino di fronte casa. Trinidad ha tutte le strade in acciottolato, le case colorate e le finestre tutte ingabbiate, quasi non esistono automobili e la dimensione è decisamente campagnola. Il luogo è però turistico, pieno di localini e ristorantini, punti di ritrovo e tanto passeggio. A Las Ruinas assistiamo ad uno spettacolo alquanto comico con dei balli contadini che ci hanno fatto piegare dalle risate e un tipo che strappava a morsi una noce di cocco ma a La escaleras era tutta un’altra musica: quella semplice scalinata che di giorno era vuota e silenziosa ora pullulava di gente, tavolini, mojitos e piña coladas, musica e risate. Ci siamo buttate nella mischia e abbiamo ballato tanto poi Paola ha incontrato dei ragazzi romani che erano sul suo volo e così siamo state in loro compagnia, rilassandoci finalmente senza la pesantezza dei discorsi dei cubani sulla famiglia, i figli, l’amore e tutte le frasi fatte che ti ripetono per cercare di far colpo e farsi portare via di qui. Coi romani abbiamo parlato di divertimenti, cocktails e giri di Cuba, nessuno ha nominato l’amore, il sesso e il matrimonio! Che bello!

Trinidad, 29 luglio 2008, martedì
La casa dove soggiorniamo è davvero fatiscente ma ha un patio stupendo dove abbiamo fatto colazione. Sia lodato il mio Earl Grey che mi fa iniziare bene la giornata senza quel latte caglioso e il caffè bruciato o i succhi di mango allungati con acqua non bollita! Paola ha comprato tanta frutta, qualcuna non sappiamo nemmeno riconoscerla ma sperimentiamo e ce la gustiamo dopo di che al mare!!! La playa Ancon è molto bella, anche qui spettacolo caraibico con palme e mare smeraldo anche se nulla di paragonabile a Guardalavaca. Siamo rimaste lì tutto il giorno, leggendo, riposando, ascoltando musica, proprio quello che volevamo per staccare un po’ dalla frenetica e rumorosa Habana. Al ritorno abbiamo preso il bus pubblico che ci ha messo un’ora per riportarci a casa ma ci ha permesso di vedere tutta la periferia di Trinidad e la varietà di gente che la popola. Non c’è nulla di più interessante che girare un posto coi mezzi pubblici! Rientro in stanza, cucarachas e sterminio!  poi cena al paladar Estela, buonissima, e fine giornata alla scalinata coi romani tra mojitos e salsa! Ogni tanto fare la turista rigenera…

Trinidad, 30 luglio 2008, mercoledì
Mercatino. Abbiamo deciso di passare un’altra giornata qui, posticipando la partenza. Si sta troppo bene, il clima è molto più fresco rispetto a La Habana, il ritmo più rilassante, si gira sempre a piedi e si arriva dappertutto, si mangia benissimo e si va al mare! Ci servivano un paio di giorni così! Oggi siamo restate al mare fino al tramonto e abbiamo avuto la compagnia prima di Roberto e poi di Denis che ha chiacchierato un sacco con me ed il tempo è volato. Mi ha fatto morire dal ridere quando mi ha parlato dell’inverno cubano e di quanto lui muoia di freddo e batta i denti.ma quando gli ho chiesto che temperatura c’è in inverno mi ha risposto che ci son 16 gradi! E a 16 gradi loro muoiono di freddo, ovviamente!  Ho fatto un’intervista ai maschi cubani per sapere come si depilano le donne cubane. Ebbene, è emerso che “ripuliscono” completamente la parte intima ma lasciano in pelo selvaggio in tutto il resto del corpo o almeno a pantaloncino, cioè si depilano da metà coscia in giù, giusto quel che esce dai pantaloncini che loro tanto amano. Mah!
Ritorno a casa, doccia e sterminio cucarachas, poi cena coi romani e di nuovo escaleras per la nostra ultima serata a Trinidad. Eravamo seduti tutti al tavolino quando il cameriere mi porta una piña colada dicendo che è da parte di un ragazzo.me lo indica e riconosco Denis! Allora il cameriere mi mette un foglietto di carta ripiegato tra le mani, lo apro e mi ritrovo una vera e proprio lettera d’amore! Mi sono sentita una quindicenne! Sono andata a ringraziarlo e lui era con un amico, ovvero il ragazzo che allo spettacolo de Las Ruinas mordeva la noce di cocco! E’ simpaticissimo e devo ricredermi. Lui e Denis mi portano in discoteca a “La Cueva” dove devo sopportare un orrendo reggaetton che non so ballare. Resisto un’oretta poi mi faccio accompagnare a casa, promessa di amore eterno da Denis e poi nanna. Che pazienza!

La Habana, 31 luglio 2008, giovedì
I’m walking on sunshine whoa oh
I’m walking on sunshine whoa oh
And don’t it feel good alright now
All right now yeah!
Sveglia alle 6.30 dopo 3 ore di sonno e Cubataxi cumulativo per La Habana dove siamo arrivate alle 11.30. Non so descrivere la sensazione che ho provato, è stato come tornare a casa. Mi Habana! Ora la amo molto più di prima! Facciamo colazione a La Francesa e poi un giro al Barrio Chino mangiando pasteles pagati con i pesos cubani! Dopo essermi allontanata da questa favolosa città mi rendo conto di quanto sia unica e quanto siano particolari il suo ritmo, la sua folla, il suo rumore, il suo inconfondibile odore, tutta la sua straripante e coinvolgente vitalità! Sono felice felice, mi guardo intorno con gli occhi di un bambino sorpreso e divertito, come in un luna park scintillante. Ho solo altri tre giorni qui e mi si stringe il cuore. Torno a casa e mi riposo, saluto Denise e telefono a Jorge che mi ha cercata in mattinata. Appena sente la mia voce mi urla: “Ruffiana” e giù un sacco di battute e risate che ancora non so come riusciamo a farcele e a capirci tanto bene parlando io uno spagnolo maccheronico e lui il suo più stretto cubano. Ci diamo appuntamento alle 19.30. Andiamo a piedi fino a parque central dove prendiamo un taxi per il Castillo del Morro. Jorge vuole farmi vedere la puerta del sol, ovvero il tramonto sulla Avana. In silenzio ci sediamo sulle mura alla destra del faro, davanti ad un sole rosso a guardare il mare, un tramonto bellissimo specie se si pensa che la parola spagnolo per tramonto è atardecer.si sta facendo tardi ma la vista della Habana da quassù è il miglior arrivederci che mai potessi immaginare. E alle nove in punto ho sentito il cañonazo sparare!!!
Si è fatto subito buio e un taxi ci ha portati di nuovo in centro dove siamo andati a mangiare cinese al solito Chan Li Po ma stavolta il chop suey era finito e ci siamo dovuti accontentare di un piatto di carne mista e del buonissimo arroz moro, ovvero il riso scuro con i frijoles neri! Mmmmmm ci sbavo!!! Jorge mi ha regalato delle banconote degli anni sessanta firmati dal Che e una medaglietta raffigurante “il secondo cubano che amo di più”! Non c’è niente da fare, basta così poco per morire di allegria!

La Habana, 1 agosto 2008 venerdì
Oye mi cuerpo pide salsa, oye oye oye.
Ore 10-12 mi tuffo nella mia clase di salsa con Juan! E va bene direi a parte che son dimagrita e mi cade la gonna mentre muovo il bacino e faccio le vueltas. Denise mi urla: “la gonnaaaa!” 
Finita la lezione vado alla Habana Vieja a prendere i soldi in banca e poi raggiungo Denise e Paola per il pranzo ad un ristorante sul Malecòn. Fa davvero caldo e dopo aver mangiato ci rifugiamo subito in casa per un riposino al fresco dell’aria condizionata. Nel tardo pomeriggio arriva Jorge che mi ha porta all’Aquario Nacional a Miramar dove ci sono tanti pesci, ovviamente , le tartarughe marine, i cavallucci, una foca monaca addormentata ma soprattutto i delfini! Sotto l’acquario c’è un ristorante che ha le pareti in vetro ed è praticamente circondato di enormi pesci che passano e spassano, come si vede anche nel film “Efectos Personales”. Jorge voleva offrirmi il biglietto di ingresso e così ha fatto finta che io fossi cubana ma ci hanno fermati e rimandati indietro. Poverino, mi è dispiaciuto tanto, per lui è anche una questione di orgoglio, vorrebbe potermi offrire qualcosa e soprattutto non vorrebbe farsi pagare da me per il suo lavoro ma ho cercato di spiegargli che la sua compagnia non ha nulla a che vedere con il lavoro e che è giusto che, se perde del tempo con me, sia compensato. Certo non è una situazione facile, se si va a mangiare al ristorante lui non può pagare, se non si va moriamo di fame e lui dice che preferisce non cenare mentre io gli dico che per me è un piacere non cenare sola e che pagargli ogni tanto una cena non è un problema, che i soldi non devono e non possono crearci questo tipo di problema. Certo non mi sarei mai immaginata di trovarmi in tale situazione e fare la parte di Paperon de’ Paperoni, io poi, che non ho una lira..ma vallo a dire a loro che davvero non ne hanno e combattono per sopravvivere. Mi sento a disagio nonostante tutto, specie quando ordina la pizza e poi non la mangia ma se la fa incartare per portarla ai figli.
Dopo tanti discorsi siamo andati a cena in un posticino molto economico e alla mano, il Karl Marx Café dove abbiamo mangiato due semplicissimi sandwich di pollo e bevuto una birra. Jorge mi ordina il dolce di queso y coco (formaggio e cocco) ma la cameriera dice che è finito. Lui non si arrende perché ritiene sia una specialità che devo assolutamente provare e allora chiama un’altra cameriera e le dice che sono incinta e ho tanta voglia del dolce coco y queso..la cameriera sorride e va a prendermene una porzione! Allora lo vedi che tutto il mondo è paese e ognuno sa come ottenere le cose a casa sua!!! Certo che in questo viaggio è diventata una costante farmi finire per far la mamma! Comunque il dolce era buonissimo!
Quando mi ha accompagnato a casa gli ho dato tutte le medicine che mi erano rimaste. E poi ci siamo salutati.

La Habana, 2 agosto 2008 sabato
La guerra è pace. la libertà è schiavitù. l’ignoranza è forza.
George Orwell, 1984.

Volevo regalare a Jorge il libro di Orwell, 1984 e così sono andata alla Habana Vieja ma mi hanno detto che qui quel libro è vietato. E certo! Come potrebbe essere altrimenti? Le librerie sono piene di testi su Castro e sulla rivoluzione, testi di scrittori cubani pro regime e di storia. Qualcosa di arte e romanzi di scrittori sud americani.
Alle 11 arriva Jorge per andare a Playa del Este per la mia ultima giornata di mare cubana. Alla fermata del bus abbiamo incontrato un tizio americano coi cui Jorge sta lavorando e siamo andati in spiaggia insieme a lui e a Maiani e le sue bimbe che lo accompagnavano. L’americano è uno spasso, avrà una sessantina d’anni o forse meno e mi chiede di dove sono e come mi chiamo. All’udire il mio cognome inizia a ridere esclamando “ahhh!! Nel Bronx ci sono i Marcarelli!!!” Penso: “devo dirlo a mio padre?” 
Stavolta, essendo sabato, la spiaggia è affollatissima e in acqua non c’è spazio per bagnarsi tanta la gente. Peccato, è andata così. Tanto verso le 16 ha iniziato a piovigginare e ce ne siamo tornati verso casa. Lì ho iniziato a sentirmi male con la pancia e seppure l’ultimo giorno, la mia infezione intestinale da viaggio è riuscita a colpire anche qui! Accidenti, ci ero quasi riuscita! Io credo che l’aver mangiato cubano per due giorni non è stato gradito dal mio intestino. Mi son dovuta riempire di medicinali per riuscire ad andare alla nostra fiesta de despedida organizzata da giorni a casa di Omaida con tutti i ballerini e gli amici frequentati in questo bellissimo mese di vacanza. Denise mi ha prestato un suo abitino perché io ne ero a corto e un po’ ammaccata sono riuscita a ballare per mezza serata con vari cavalieri tra cui Piter che finalmente mi ha invitata e mi ha fatto girare la testa per quanto mi ha sollevata da terra facendomi girare insieme a lui. È bravissimo, vederlo ballare è sempre stato uno spettacolo ma ballare con lui è da delirio!!! Omaida mi ha regalato il CD di Paulito Fg che mi piaceva tanto durante le mie lezioni con Juan. Poi sotto la pioggerellina fine fine siamo tornate a casa per la mia ultima notte habanera. Vorrei non finisse mai.

La Habana, 3 agosto 2008, domenica
La tua ombra cambia forma in viaggio, si ingobbisce su una duna, si spezzetta nel sole dietro a una grata, si frantuma sui sassi, vibra dal finestrino di un treno, danza su un telo mosso dal vento, si impenna contro una roccia, dando al suo profilo angoli bizzarri. Vedendo la tua ombra cambiare, ti accorgi che muovendoti non rimani mai uguale.

Mercedes viene a salutarmi mentre facciamo colazione.mi dà il suo indirizzo di casa e il numero di telefono, mi dice che devo credere all’amore e vivere con ottimismo. È una ragazza speciale, mi ha fatto spisciare dalle risate in questa vacanza, non me la dimenticherò mai, anzi mi mancherà moltissimo!
Di corsa alla mia ultima lezione con Juan mentre Denise mi riprende con la telecamera! Saluti, baci e scambio di indirizzi con i ballerini e con Ilde, poi con Deni e Paola in giro per la Habana Vieja dove ho comprato un libro di Osho per Jorge. Pranzo al ristorante sotto casa dove c’è sempre il vecchietto seduto sulla sedia tutto il giorno a bordo strada. Abbiamo mangiato benissimo! A saperlo prima!
Poi preparativi e chiusura valigie. Alle 19 arriva Jorge per portarmi in aeroporto. Si è fatto prestare una macchina da un amico che abita fuori della Habana, è andata a recuperarla con il pullman perché non avrebbe mai permesso che andassi via da La Habana in taxi con un estraneo, mi ha detto. Abbraccio Denise con un po’ di emozione perché non so quando la rivedrò, saluto Paola con appuntamento a Roma, baci a Miriam, Sinai, Deilmiri e Ricardo e poi giù, via sotto la pioggerellina habanera. Ho un maledetto nodo in gola ma so che non devo esser triste. Do a Jorge il libro di Osho con la mia bandana rossa e lui mi dice: “è la prima volta in vita mia che mi regalano un libro.” Anche stavolta resto senza parole e mi chiedo se potrò mai capire fino in fondo come vivono qui. Mi ha portata fino alla fila per il check-in e poi saluti e abbracci in silenzio ma con mille ricordi e un grande sorriso di arrivederci. Resto sola.
Lunga fila per imbarcare, poi pagamento della tassa di soggiorno, controllo passaporto e infine sul volo che mi porta via da La Habana a circa 9000 km di distanza da questo sole, dal calore, dalle risate spensierate, dalle amiche scatenate, dall’odore del mare, dalla musica, volando sola coi miei pensieri, con i già mille ricordi, carica di emozioni e nostalgia, cercando di tenere il cuore al riparo e il sorriso pronto per la fortuna che ho avuto anche questa volta.
Adios mi Habana. Buena vida. Mi vida.

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