Una Mosca non turistica

di Fabrizio Burlando – 
Partenza
2498 Km. É la distanza tra Londra e Mosca che appare sul mio portatile quando finalmente lo accendo per registrare le mie prime memorie su questo viaggio nella nuova Russia. Da circa due ore stiamo sorvolando un compatto lago di nuvole e finora non sono riuscito a dormire e neppure a leggere molto a lungo. Come al solito sono caduto preda di quel senso di eccitazione che mi coglie quando lascio il paese dove vivo per immergermi nella cultura e nel modo di vivere di un posto nuovo. Quel bellissimo fremito che preclude a nuove scoperte e nuovi mondi.
Siamo appena entrati nell’ex territorio sovietico e dal finestrino si susseguono campi coltivati e spazi incolti colmi di alberi e vegetazione. Da parecchio tempo si vedono solo enormi macchie di diverso verde che dominano il paesaggio. Mi viene da pensare alla vastita’ di quello che e’ stato l’impero sovietico e alla sfida di governarlo con un potere cosi’ altamente centralizzato. Penso alla politica di Stalin, alle acrobazie di ingegneria sociale compiute per tenere insieme queste terre e queste persone cosi’ diverse tra di loro. Intanto sotto di me le foreste hanno quasi totalmente preso il posto di ogni piccolo spazio coltivato. Mi chiedo se in un diverso paese, un diverso gruppo di persone sarebbe riuscito a far funzionare l’utopia socialista. Poi mi rendo conto di tutte le politiche di repressione usate e capisco una cosa. Qualunque tipo di goveno che si propone soltanto di riempire le pancie delle persone senza alimentare alcun tipo di stimolo culturale e’ destinato a fallire. Tremo per il nostro capitalismo.
Sposto le lancette dell’orologio chiedendomi se il tempo che trovero’ sara’ spostato all’indietro soltanto di ore oppure di anni. Il servizio offerto dalla Aeroflot e’ stato finora impeccabile e devo ammettere che mi sento un po’ deluso. Mi aspettavo di trovare gia’ sul volo un po’ di leggendaria durezza socialista, mentre invece sembra di stare su di un aereo di una qualsiasi compagnia occidentale. Probabilmente i voli internazionali sono quelli dedicati al “business”, ai capitali esteri, che sembrano essere per ora l’unica risorsa della Russia. Per questo tanta cura é stata messa nel dare una parvenza di organizzazione e di professionalitá al viaggiatore. Il simbolo luminoso che indica di allacciare le cinture di sicurezza si attiva. Il comandante parla in una lingua misteriosa. Le piccole televisioni si ritraggono e tutti si preparano per la discesa. Ora il comandante parla in inglese. Tra poco vi verra’ mostrata la Russia con tutto il suo fascino e i suoi misteri. Tenete le cinture allaciate.

Venerdi’ 16 Giugno 2000
I russi
Visitare gli altri paesi essendo ospiti di amici invece che di un anonimo albergo, da’ la possibilita’, a volte preziosa di conoscere in presa diretta come le persone vivono. Nel nostro caso il primo contatto con la Russia e’ attraverso Denis, il nostro ospite, e Dima, un suo collega. Denis viene dalla Crimea e il suo aspetto tradisce le sue origini meridionali, capelli corvini e carnagione scura ne fanno un russo atipico. Il resto, cappellino da baseball, modo di parlare e abitudini alimentari vengono direttamente dagli Stati Uniti, testimoniando cosi’ la nuova ondata di ammirazione per l’occidente ricco cresciuta dopo la caduta del comunismo. Denis ama andare in snowboard ed e’ appena tornato dal Canada dove, dice lui, fino a dieci anni fa non avrebbe mai neppure pensato di poter andare. Ovviamente e’ un entusiasta della fine del comunismo, sistema di governo che secondo lui ha portato soltato poverta’ e repressione. Non sembra comunque interessarsi troppo di politica e ogni discorso che inizio sull’argomento, cade dopo poche battute. Dima invece e’ una vittima del cambiamento improvviso, della velocita’ con cui il modello capitalista si e’ inserito nel tessuto sociale russo. Ha enormi e spessi occhiali che gli seminascondono il volto, guarda sempre per terra quando parla e passa il tempo rinchiuso in un suo mondo fatto di alcool e musica techno. Cerca di non mangiare mai e le calorie necesssarie le prende a sufficienza dice lui, dall’alcool, nel quale va a finire anche gran parte del suo stipendio mensile. Nonostante tutto questo, traspare subito paarlando con lui una grande intelligenza e una spiccata sensibilita’, che lo hanno reso un bersaglio piu’ facile per i pericoli del rapido cambiamento sociale russo.
La macchina che ci porta in citta’ dall’aeroporto e’ guidata da Dima. Il fatto che abbia appena preso la patente, unito alla stranezza del personaggio, ci fa un po’ dubitare della sicurezza del viaggio. Quasi per confermare questi nostri dubbi Dima urta subito il paraurti della macchina di fronte, scatenando le ire del giovane proprietario russo. Tutti scendono e il problema viene risolto mediante pagamento in contante dei danni. Ci viene poi spiegato che in Russia l’assicurazione automobilistica non e’ obbligatoria e che quindi quasi nessuno ce l’ha. Quando c’e’ un problema si decide quanto pagare e si regola subito il conto. Mi sento sollevato. Non tutta la vecchia Russia e’ sparita nel nulla…

Domenica 18 Giugno 2000
Ore 5am
A San Pietroburgo ci sono le notti bianche e a Mosca poco ci manca. Pero’ a nessun russo viene neppure in mente di mettere una qualsiasi tendina per impedire alla luce di entrare invadente dalle finestre e cosi’ eccomi ad osservare il soffitto in una torrida mattina d’estate.
Il mio sguardo si sofferma sullo stile dell’arredamento e non riesco a fare a meno di notare alcune particolari incoerenze. L’appartamento non sarebbe brutto di per se’, se non fosse stato lasciato nella piu’ totale incuria da mesi. I rubinetti gocciolano, le pareti si scrostano e la polvere invade ogni cosa. Mancano gli oggetti piu’ fondamentali per cucinare e in bagno non c’e’ carta igenica. Sul grande mobile del salotto spicca peró ogni sorta di meraviglia elettronica, negata da generazioni alla massa che ora si riversa a comprarla furiosamente. Televisore, videoregistratore, stereo, minidisc, tutto nuovo di zecca e delle marche migliori. L’improvvisa libertá negli acquisti dei russi viene utilizzata per comprare tutto quello che gli é sempre stato negato invece che migliorare ció che si aveva giá. La meraviglia di un nuovo televisore, val bene mobili rotti e rubinetti gocciolanti ai quali ormai ognuno ha fatto l’abitudine da anni. Tutte le porte di casa sono chiuse ad doppie porte e le macchine sono protette da allarmi sofisticatissimi. Peccato che le case dentro cadano a pezzi e che le macchine non riescano neppure ad accendersi.
Queste incoerenze si manifestano anche nello stile di vita. Nessuna attenzione viene data al cibo, mentre l’alcool, simbolo di liberta’ e strumento di divertimento, viene esaltato con riti quasi religiosi. Durante il nostro primo fine settimana a Mosca veniamo traspostati da un locale all’altro, peraltro eccezionali nella loro originalita’, alla ossessiva ricerca di una liberazione ricercata nell’imitazione del consumismo. Il rituale é sempre lo stesso, dopo poche ore, a volte meno, ci si stufa di un locale, si esce all’aperto, si ferma la prima macchina che passa e si chiede all’autista di portarci in un altro posto. Chiunque viene fermato acconsente. Mi viene da pensare che il traffico notturno di Mosca sia composto esclusivamente di tassisti improvvisati.
Per fortuna, quando ormai ci sentivamo trappola di un mondo gia’ noto, Sasha, un collega di Denis dall’aria romantica e poco occidentale, letteralmente ci convoca in una saletta tranquilla del club di turno e inizia a comunicare con noi. “Prima non si stava meglio – risponde alle nostre invadenti domande sulle condizioni attuali a Mosca – ma neppure adesso si sta meglio. Il cambiamento é stato veloce e si é portato dietro anche la nostra capacitá di reagire. I piú furbi si sono arricchiti, ma gli altri rimangono a guardare un mondo che non conoscono danzare veloce davanti ai loro occhi e non sanno cosa fare”.
Sacha, come Denis, é stato a Londra a lavorare per un anno ed é lí che l’ho conosciuto. “I primi tre mesi che ero lá – mi dice – sono stati eccezionali. Ero euforico, uscivo sempre, potevo fare ció che volevo e mi perdevo ad osservare le meraviglie dell’offerta che giá iniziavano ad arrivare anche in Russia. Poi peró ho iniziato a sentirmi in un mondo non mio e a stare male. Non capivo il mio ruolo. Alla fine non vedevo l’ora di tornare. Ma anche i primi tre mesi di ritorno a Mosca sono stati terribili. Faticavo a riabituarmi a ció che mi era mancato cosí tanto a Londra”.
Mentre Sacha racconta, Denis si unisce al gruppo, e il racconto si fa sempre piú scialbo, sempre meno critico e piú banale. Sospetto che la paura dei commissari di partito, dei delatori, che era cosí forte durante gli anni del regime, sia rimasta nella mente delle persone e cosí anche oggi nessun russo si fida piú a parlare e lamentarsi di fronte ad altri russi.



Martedí 20 Giugno 2000
La cittá
Strano, pensavo che camminare per le strade di Mosca mi sarebbe sembrato romantico, che avrebbe avuto un sapore ottocentesco, e mi avrebbe comunicato la grandezza di un impero, anche se ormai decaduto. Mi aspettavo colori impressionisti, musiche barocche, testimonianze di antichi splendori. Invece ció che mi accoglie subito é il grigio non-colore che domina su tutto. I palazzi, le strade piene di polvere, persino il cielo nel mezzo di un estate torrida, non lasciano ai colori una via di scampo. Le strade a sei corsie nel mezzo della cittá, colme di sferraglianti Lada contribuiscono non poco a questo senso di inferno industriale che mi disorienta. La Piazza Rossa é grande, imponente, ma la sua rigiditá geometrica e il suo spoglio rigore militare, riescono ad annullare anche la divertente fantasia della cattedrale di S.Basilio. La differenza tra i negozi del centro cittá e quelli di periferia é disarmante. Giá a due fermate di metropolitana dalla Piazza Rossa si hanno serie difficoltá a distinguerli dalle abitazioni delle persone e la parola “scelta” non ha piú un significato. Il centro cittá invece é un rigogliare di marche e nomi noti, i soliti nomi noti. La colonizzazione consumista sembra essere giá ben avviata e i turisti vengono depositati a decine a comprare oggetti che a casa loro costano la metá. Denis mi indica fiero un terribile contro commerciale al cui sviluppo ha contribuito ancxhe la nostra compagnia. Mi prende una sottile tristezza. É facilissimo, soprattutto per un turista ben equipaggiato di valuta straniera, entrare nei negozi, nei grandi magazzini, in tutti qui templi del consumismo fioriti a centinaia nella nuova era del capitalismo russo. Ció che é piú difficile é uscire. Trovare il modo per lasciare il negozio e’ un’impresa cosi’ difficile che si finisce per passare davanti a tutti i banchi, a tutta la merce e probabilmente a comprare qualcosa.

Giovedí 22 Giugno 2000
Il trionfo sovietico oggi
La Russia é passata attraverso un cambiamento incredibile, questo lo sanno tutti. Per chi ci va oggi, la curiositá piú grande é forse quella di vedere come era ieri, la sua grandezza, il suo potere, i risultati di quell’incredibile esperimento di ingegneria sociale chiamato Unione Sovietica. Appena fuori Mosca c’é un posto che potrebbe offrire tutto questo. Si chiama “L’Esposizione Universale dei Trionfi dell’Economia Sovietica”. É un parco spaventosamente grande, alla maniera sovietica, grandi statue, celebrazione di un sogno e di un potere, in equal misura. Ma ció che invece oggi vi viene celebrato é un potere diverso, che ha annichilito in pochi anni ogni retaggio di quello precedente. Il capitalismo, che ridicolizza ogni altra espressione, svendendola a basso prezzo.
Le bellezze architettoniche del parco, le decine di padiglioni dedicati un tempo ai prodotti dell’economia sovietica, dall’agricoltura alle imprese spaziali, le belle fontane e i viali alberati, sono infestati da merce in vendita e shourma gocciolanti grasso. I militari che un giorno facevano bella mostra di sé stessi tra le celebrazioni del potere, sono stati sostituiti da decine di cinesi, di coreani e di russi stessi, che vendono di tutto, da musicassette anni settanta a divani su ordinazione. Non so che cosa pensare. Il potere che impediva l’espressione della libertá individuale é appena caduto e giá gli uomini si affrettano ad essere schiavi di un altro potere piú sottile. Cadono preda dell’incantesimo di plastica che sta invadendo sempre piú ogni remoto angolo del mondo trasformandolo in un immagine sbiadita di sé stesso, a cui manca ogni tipo di contrasto. Potrei capire la corsa all’agio, alle comoditá che sono state negate per tanto tempo, al cibo, ma non riesco a capire perché tutti cerchino solo di assomigliare a tutti senza cercare la propria identitá. Il museo della conquista spaziale é indicato sulla mia guida (vecchia di qualche anno), come il piú grande ed eccezionale padiglione, con centinaia di metri quadrati di esposizione sulla storia dell’astronautica. Entro in una stanzetta poco piú grande di casa mia, decorata in uno splendido kitsch sovietico anni settanta. Rimpiango che non ne rimanga piú molto. Il tutto é peró sovrastato da una imponente struttura: un enorme missile d’argento che vola verso il cielo lasciandosi dietro una bellissima scia di metallo. Peccato che la scia sia solida e abbia trattenuto quel missile lí per tutti questi anni senza lasciarlo libero di andarsene via da questo sfacelo almeno lui, ultimo testimone dei tempi passati.

Venerdí 23 Giugno 2000
La Freccia Rossa
L’occasione di assaporare la vita dei russi continua a prevalere sul desiderio, pur pressante, di qualche agio e un pó di riposo. Quindi, appena mi si presenta l’occasione di andare a San Pietroburgo per una breve visita, la scelta del mezzo di trasporto cade subito sul treno, seconda classe (sui treni russi, fin dai tempi dell’equalizzante comunismo, sono stranamente sempre esistite ben tre classi), vagone letto. Insieme a noi, nelle altre due cuccette libere del pulito e comodo scompartimento, si accomodano due godevolissimi personaggi. Il primo é Alec, rappresentante di un’azienda internazionale di tabacco. Come ogni bravo nuovo russo, si presenta dandomi un biglietto da da visita e inizia a parlare di business. Io riesco a racimolare uno dei miei da qualche parte e glielo dó, suscitando in lui un’espressione delusa che non capisco. Dopo poche battute tutto diventa chiaro. Siccome lavoro nelle telecomunicazioni, lui ritiene che tra di noi non ci sia neppure una possilbitá di creare un’opportunitá per fare affari, quindi mi stringe brevemente la mano e fa per mettersi nel letto.
A quel punto peró entra il secondo personaggio. George, un danese dai capelli scurissimi e la faccia da italiano del sud, che lavora da dieci anni tra la Russia e vari altri paesi importando ed esportando legno, pesce e altre merci varie. Conosce dieci lingue, tutte imparate sul campo, compreso l’italiano, assorbito durante un suo rapporto lavorativo con un fornitore di mobili del basso Piemonte. George é uno di quei personaggi eccezionali che si incontrano in giro per il mondo, scaltro, astuto ma anche semplice e diretto. Senza peli sulla lingua e senza alcun desiderio di apparire quello che non é. Come molti di questi personaggi ha conoscenze in certe organizzazioni politiche e sa tutto della mafia e di come trattare con essa. Ma ne resta fuori. E resta onesto per quanto puó restarlo.
George riesce a tirare fuori Alec dal suo lettino (forse il legname c’entra con le sigarette piú di quanto possano entrarci le telecomunicazioni…) e i due iniziano un interessantisimo discorso sulla corruzione russa del dopo-putsch. Le lobby che controllano tutto, la mafia, i politici che hanno cambiato pelle ma che sono rimasti al potere, esattamente dove erano prima, e la fragilitá del sistema bancario russo. Tutte cose che si sanno, ma si sanno dai giornali, dalle sterili pagine bianche e nere di un quotidiano o dalle voci noiose dei commentatori politici. Parlando per un’ora con George ed Alec ho capito il significato piú profondo che tutto questo puó avere sul futuro della Russia. Nessuno di loro due era un analista economico, il quale comunque credo non viaggerebbe mai nella seconda classe di un treno russo.

Sabato 24 Giugno 2000
San Pietroburgo
La nostra stanza di albergo é enorme, i letti sono separati, il che non ci dispiace dopo dieci giorni in un letto singolo senza cuscini. Ad ognuno degli otto piani dell’albergo c’é una dejurnaia che si occupa di ritirare e riconsegnare le chiavi ai clienti. Questa attitudine russa ad esagerare il numero di persone richieste per un lavoro l’ho giá notata molto andando in giro. Se c’é bisogno di piantare un’aiuola, vengono mandati sei giardineri. Uno guida il camion, uno spala e quattro guardano. Le truppe in giro per la cittá sono formate da tre, quattro soldati che camminano e parlano alle ragazze. Nessuno é da solo in Russia, e tutti danno il loro contributo, molti di loro solo guardando.
La cittá é di quanto di piú diverso da Mosca ci si possa immaginare. É sullo stile delle cittá europee nel loro splendore settecentesco, come voluta da Pietro il Grande. Grandi palazzi decorati a stucchi con colori pastello, un’imponente chiesa dalla cupola d’oro e l’Ermitage, un museo di arti visive che non ha uguali al mondo per la grandezza, la quantitá di opere in collezione e la confusione. Tutto questo vive sui bordi di un fiume, la Neva, che rende la cittá vivibile e colorata.
Passiamo solo due giorni a San Pietroburgo, abbastanza per intravedere i ristoranti di lusso con le guardie alla porta, le povere babuske con le mani tese e il proliferare di cambi clandestini e bordelli di gusto pacchiano, costruiti per i turisti e per i nuovi russi, con il rolex d’oro e la BMW dai vetri oscurati. Tutto come nella capitale.

Mercoledí 29 Giugno 2000
C’é sempre una fine
C’é sempre una fine a tutto e c’é stata anche per il nostro soggiorno in Russia. Non é stata una vacanza, é stato piú che altro un viaggio e di questo me ne compiaccio. A volte duro, ma sempre vero e sincero, non di plastica e visto da dietro un finestrino. Stanco, provato, ma enormemente felice di non essermi confuso con la massa di turisti, e di avere visto con occhi imparziali ció che é la Russia oggi.
Alla fine siamo anche riusciti a vedere il vero cadavere del comunismo, il Lenin imbalsamato che riposa dentro al mausoleo nella Piazza Rossa. Per cinque giorni di seguito avevamo provato ad andarci. Tutto era stato inutile, per i motivi piú disparati, dagli orari, al brutto tempo. Anche la mia macchina fotografica aveva contribuito: per le guardie era un “big problem” perché non poteva essere portata all’interno. Sarebbe diventata un “very small problem” se unita a qualche bigliettone verde, ma ho preferito mettermi in coda di nuovo, anche se divertito da questa ennesima dimostrazione dello spirito russo. Abbiamo quindi visto brevemente ció che rimane del comunismo, sintetizzato in quel corpo disteso, di cui anche l’originalitá é messa in dubbio, illuminato da una brutta luce arancione, e visitato ormai solo da turisti curiosi e annoiati.
L’ultimo pomeriggio l’abbiamo passato alla ricerca del museo di Lenin descritto nella nostra guida come fondamentale per capire l’ascesa del regime. Una volta individuato il palazzo, ci subito siamo resi conto che anche quello era stato “convertito”. Ospitava ora le runioni settimnali di un gruppo di vecchi nostalgici del partito e di qualche altra associazione minore. Alle nostre domande insistenti su che fine aveva fatto il museo originale, un soldato ha risposto con un inglese stentato ma un gesto inequivocabile. “Lenin? Museum? Closed”, e con un ghigno divertito ha aggiunto: “FOREVER!”.

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