Nicaragua, pais de Acachimba

di Maurizio Fabbri –
08 Gennaio – Partenza.
Mi sveglio presto anche se il volo è previsto per le 12.55 dopo aver passato una notte che non definirei proprio il massimo del sonno profondo; l’euforia della partenza mi gioca sempre questo scherzo…
E’ una mattina bianca…, si bianca, come tante nell’inverno del nord. Una di quelle mattine in cui il cielo sembra coperto da un enorme trapunta grigiastra, che inevitabilmente nasconde tutto l’azzurro di cui il cielo dovrebbe essere colorato… Ma non qui…, non oggi! Fa freddo e si vede…; lo percepisco dall’andatura goffa delle persone che si affrettano a compiere i tratti di strada, rannicchiati dentro i loro cappotti come se stessero abbracciando se stessi…
Fa freddo e si sente…; soprattutto quando scendo in strada ad aspettare Michele, il mio compagno di viaggio, ancora una volta, in questa nuova avventura. Soffia infatti un vento freddo, che si fa breccia nella giacca, mi entra attraverso il collo e mi scivola lungo la schiena…
E’ il classico tempo che si dice “da neve…”. Quel freddo secco, che porta con se la percezione che da un momento all’altro i fiocchi bianchi cominceranno a scendere giù. Quasi, se ne sente l’odore…
E lungo l’autostrada che ci porta a Malpensa, il nevischio lo troviamo davvero !
Quale mattina migliore per lasciare l’Italia alla volta del caldo centro america ?
Neanche il tempo di entrare nella grande sala del terminal 1, che siamo già in coda per il chek-in, veloce ed efficiente… Soprattutto efficiente, dato che l’Iberia ha un’ottima organizzazione per quanto riguarda i voli con più scali : il bagaglio infatti viene imbarcato alla partenza e ripreso alla destinazione finale di arrivo, senza più fare alcun chek-in intermedio.
Non male per un volo che prevede due scali prima di arrivare a Managua !
Il tempo scorre via veloce ed eccoci in volo verso Madrid, in perfetto orario. Qui sosta tecnica e cambio volo per la traversata oceanica.
L’aeroporto di Madrid, mi lascia alquanto deluso… Siamo nella capitale spagnola e quello che mi trovo davanti è un aeroporto che sembra improvvisato, dove le indicazioni sono assenti e/o comunque difficilmente rintracciabili e interpretabili…
Vaghiamo un attimo a logica prima di capire, dopo aver consultato un video con l’indicazione dei voli, che dobbiamo dirigerci al gate D !
Controllo passaporti, per accedere all’area voli internazionali e due orette di sosta…
Quello che non manca sono i punti internet…, ma quanto costano ! Con 1 euro, mi connetto per 6 minuti e 20 secondi, che scorrono inesorabili in bella vista, rendendo l’invio della mia e-mail inaspettatamente frenetico e nervoso !
Alle 17.30 imbarco per Managua. La fila è lunga e prima di giungere in cima passa un’altra mezz’ora.
Poi il controllo del bagaglio a mano, che io evito senza nessun ipotizzabile motivo, ma che Michele si becca in pieno !
Lo zainetto viene rovistato nei minimi particolari; persino i rullini fotografici sono aperti uno a uno !
Sono le 18.30, quando finalmente prendiamo posto sull’airbus che ci porterà dall’altra parte dell’oceano.
I posti sono un po’ sacrificati, a mio parere, per un viaggio di 9 ore e 30 minuti, ma questo è quello che offre la classe economica…
Del resto il biglietto l’abbiamo portato via per “poco” grazie ad una agenzia di Milano, la “Pindorama” (www.pindorama.org), specializzata in turismo consapevole, che ha un’ottima convenzione con l’Iberia. Costo del volo A/R : 755 euro, tasse incluse. Ben 107 euro in meno di quello che poteva proporci la “mitica” Nadia, a cui come sempre ci eravamo rivolti e che abbiamo “tradito”, non senza farci problemi, proprio all’ultimo…
Partiamo con circa 40 minuti di ritardo, che ci costeranno molto cari a Managua; quasi 1 dollaro a minuto (…e capirete in seguito il perché !).

09 Gennaio 2003 – Managua, Leon.
Il volo è tranquillo e neanche eccessivamente stancante… Alle 00.30, ora locale, del 9 Gennaio atterriamo a Miami.
Qui siamo in transito…, condizione estremamente instabile che ci costringe comunque a passare l’immigrazione statunitense, per poi essere raggruppati in un unica sala in attesa di essere smistati sui voli Iberia per le destinazioni finali.
Non “addormentarsi”, in questo frangente, é fondamentale ! Quindi uscite pimpanti dall’aereo e percorrete il più velocemente possibile il chilometro di corridoio che vi separa dal posto di polizia. Qui passaporto alla mano, si riceve un timbro di transito sulla carta di imbarco e si ripercorre a ritroso, metà dello stesso corridoio fatto in precedenza, per andare a stiparsi nella tristissima e spoglia sala di “transito”, da dove in seguito si viene smistati sui singoli voli per la propria destinazione finale.
Perché fare tutto velocemente ? Perché aspettare in coda davanti ai box dell’immigrazione, è sicuramente peggio che aspettare seduti nella sala…
Anche qui perdiamo almeno 40 minuti, che ci faranno atterrare all’aeroporto “Augusto Cesar Sandino” di Managua (finalmente) soltanto alle 01.33 con un’ora e mezzo di ritardo…
A questo punto bisogna affrontare l’immigrazione Nicaraguense… Con il nostro bel foglietto già compilato in aereo ci accodiamo e dopo un’altra mezz’ora, data l’estrema lentezza del rilascio del visto turistico di 30 giorni, mi trovo di fronte all’operatore.
Pochi dati digitati al computer, un bel timbro sul passaporto e il rilascio, in cambio di 5 dollari, del visto turistico, da conservare accuratamente nel portafoglio, visto che è necessario per lasciare il paese.
Quando entriamo nella sala dell’aeroporto, i nostri zaini girano sul tappeto soli, soletti…
Pochi istanti e siamo fuori…, pronti a sostenere l’attacco dei tassisti…
Quelli che dimorano e lavorano all’interno della recinzione dell’aeroporto sono estremamente cari…
Lo sapevamo già e nonostante questo non riusciamo a scendere sotto i 10 dollari per il prezzo del passaggio !
Un’enormità, visto che le corse dall’aeroporto alla città e viceversa con i taxi normali, costano 40/50 Cordobas al massimo : ovvero l’equivalente di poco più di 3 dollari !
Se volete evitare di sperperare gli 8 dollari di differenza, potete tranquillamente seguire verso sinistra il marciapiede, costeggiando l’aeroporto, sino a raggiungere il cancello di ingresso : qui, sulla destra, parcheggiati sul ciglio della strada che porta verso il centro di Managua, ci sono i taxi “normali”, a cui si può sicuramente strappare un prezzo migliore, dei 15 dollari proposti in partenza, all’interno.
Noi siamo chiaramente stanchi e anche se sappiamo tutto questo, scegliamo di accettare il passaggio per 10 dollari.
Chiediamo di essere portati all’hotel “Jardin de Italia” nel barrio Martha Quezada e la cosa è più laboriosa del previsto : questi tassisti infatti prendono la provvigione da vari altri hotel molto più costosi e fanno di tutto per convincervi ad andare in quello che consigliano.
Non fatevi intimidire dalle solite frasi : “è chiuso a quest’ora”, “è una zona pericolosa”, ripetute moltissime volte, ecc. ecc., ma insistete per farvi portare dove avete deciso !
Noi lo facciamo, ma poi incappiamo in un errore/ingenuità : giunti davanti all’hospedaje invece di scendere e bussare garbatamente alla porta, rimaniamo per un momento inerti. 
Il tassista approfitta subito dell’indecisione e suona ripetutamente il clacson. Questo non fa altro che creare confusione, far abbaiare i cani in zona e accorrere due bambini, che si offrono subito volontari, al solo scopo di rimediare qualche pesos (nome in gergo, della moneta da 1 cordobas), per destare a suon di pugni sulla porta la signora che gestisce “El giardin de Italia”.
Quest’ultima, comprensibilmente, risponde senza mezzi termini al “tienes habitaziones ?”, proferito dall’interno del taxi, un “Nada !”, al quanto scocciato, che ci toglie ogni speranza e 35 dollari dalle tasche…; ovvero il prezzo “incredibilmente” alto che pagheremo all’Hotel Morgut, consigliato dal tassista !
Roberto, invece, conosciuto in viaggio, ci ha detto che lui ha dormito al Giardin de Italia, pur arrivando alla stessa nostra ora, ma giunto sul posto è sceso dal taxi, ha bussato alla porta e parlato con la signora, senza incontrare i nostri problemi, che di fatto sono stati a noi creati dal tassista…, non so quanto involontariamente…
Lo scotto della prima notte…, quello che cerchiamo sempre di superare. E dire che per farlo ci eravamo documentati e informati bene…: sapevamo esattamente come fare, ma non ci siamo riusciti !
Al “Morgut” la camera è accettabile e con aria condizionata, che non useremo e che non giustifica l’esborso…
Doccia veloce e calda, quindi qualche ora di sonno, per smaltire stanchezza e fuso.
Le cinque ore di sonno per cui abbiamo pagato 35 dollari filano via velocemente e alle 8.30 lasciamo, molto volentieri, l’Hotel Morgut. Inavvertitamente, chiudo nella stanza l’unica chiave disponibile, cosa che fa innervosire il gerente : ma quanto mi dispiace !!!
A Managua il servizio pubblico è garantito, più che dagli autobus, dai taxi, che per 15 C$, portano in qualsiasi luogo della città; unica eccezione l’aeroporto, per cui la tariffa è 40/50 C$.
Giunti in strada, fermiamo il primo che passa e gli chiediamo di portarci al Terminal del mercato israelita, da dove partono i collegamenti per Leon. Ci chiede, come ci aspettavamo, 15 C$.
Gli chiediamo inoltre di farci fare un rapido giro della città, per vedere le poche cose interessanti che la capitale offre : la vecchia cattedrale, il mirador sul lago, il monumento al rivoluzionario e la statua di Sandino.
La risposta è affermativa, così per prima cosa andiamo alla cattedrale, uno dei due edifici rimasti in piedi dopo il terremoto del 1972, che rase al suolo la città.
A dire il vero, sembra che il terremoto sia avvenuto ieri… Managua è infatti bruttissima; un agglomerato confuso di baracche e case basse e fatiscenti, ricostruito sulle macerie senza una minima logica urbanistica, che fanno della capitale del Nicaragua, il più brutto biglietto da visita del paese.
La cattedrale è in piedi, ma pericolante… Impossibile accedervi, tutto è transennato e ci si deve accontentare di vederla da lontano. Deturpata dal sisma e cadente, è comunque imponente e fiera…
Subito dopo sosta volante davanti al monumento del rivoluzionario, giusto per una foto.
Quindi fermata di pochi minuti di fronte al Lago di Managua, un’immensa pozza marrone, dove confluiscono gli scarichi della città. Inquinato all’inverosimile e di fatto morto a livello biologico. Mi appare, tutto sommato, squallido : piuttosto che “mirador”, mi sembra di essere al “cagador” !
Una città che non rende merito ad un paese bellissimo, che è completamente diverso dall’impressione che la sua capitale ne può dare.
Mentre ci dirigiamo ad una banca per cambiare i primi dollari in cordobas, vista da lontano del monumento a Sandino, famoso falso storico, dato che l’eroe della rivoluzione nicaraguense impugna un kalashnikov, arma posteriore per nascita all’epoca di Sandino…

Dotati di valuta locale (ad un cambio di 14,53 C$ per 1 $) e ultimato il tour cittadino, in pochi minuti ci troviamo al terminal Israel Lewites (del mercato israelita). Un “dollarito” di mancia al simpatico ragazzo che ci ha scarrozzato e cominciamo l’avventura…
Il terminal è caotico, sporco, fumoso e pieno di una moltitudine di gente : chi parte, chi vende, chi si affanna ad accalappia i passeggeri… Un brulicare di persone, che lo rendono interessante, per chi ne ha già visto qualcuno e traumatizzante per chi è alla prima esperienza…
Saliamo sul bus per Leon, fermo alla banchina e aspettiamo…
Come consuetudine, una processione di venditori di qualsiasi genere di cose, continua a salire e scendere dal bus. Tostones, caramelle, refrescos, acqua; offrono di tutto…
Di colpo ci dicono che c’è un’altro autobus in partenza per Leon : si cambia mezzo in corsa, mentre ci trascinano fuori lo zaino, caricandolo sull’altro bus in partenza e via, siamo in movimento…
Scopriremo solo più tardi, che questo bus è diretto a Chinandega e a Leon è solo “de paso” : in sostanza ci lascerà al “cruceiro” lungo la strada principale… Poco male, partendo prima, guadagneremo comunque tempo !
Il tratto di strada che collega Managua a Leon è in rifacimento e solo il primo terzo è asfaltato e veloce; i restanti due terzi invece sono sterrati e spesso a senso unico alternato. Ciò rende il viaggio un pó più lungo e macchinoso.
La strada costeggia per un lungo tratto il lago di Managua, confermandone la completa distruzione biologica : mai visto una massa d’acqua tanto grande, così sporca e inquinata !
Sullo sfondo però la natura reclama la sua sovranità, stagliando all’orizzonte il Volcan Momotombo e il più piccolo Momotombito.
Ad ogni fermata per consentire il passo alternato, una fila di persone appostate sulla carreggiata offre i suoi prodotti : acqua, venduta in confezioni di plastica azzurra a forma cilindrica, che recano impressa la dicitura, “trattata con raggi ultravioletti” e refrescos, dai colori sgargianti, vanno a ruba !
In un’ora e quaranta minuti siamo a destinazione, o meglio, veniamo scaricati all’incrocio con la strada che porta a Leon. Qui prendiamo un taxi, che per la tariffa base (15 C$) ci porta in città.
Essere scesi al “cruceiro” non è un danno così determinante, visto che il terminal di Leon è molto lontano dal centro cittadino e anche se avessimo preso un diretto, comunque ci sarebbe servito il taxi, a meno che non ci fossimo voluti sciroppare una mezz’oretta di passeggiata, zaino in spalla, per raggiungere il parco cittadino !
L’hospedaje dove abbiamo intenzione di andare, consigliatoci dall’amico Mirco, è sconosciuto al tassista, ma con le indicazioni che abbiamo e l’aiuto della cartina della guida, lo troviamo lo stesso.
L’Hostal Clinica oltre ad essere recente, sorge dove prima c’era una clinica dentale, anche se forse sarebbe più corretto dire : è una clinica dentale… Ecco spiegato il perché del nome…
La signora Mercedes Gallo, che lo gestisce, in realtà è una dentista, ma dato che la prevenzione dentale non è la prima prerogativa dei Nicas, ha pensato bene, avendo spazio e possibilità, di trasformare il suo studio/abitazione in uno hostal, dove accogliere i turisti.

L’aspetto è decisamente carino, soprattutto l’entrata, che si apre su un bel soggiorno arredato con le immancabili sedie a dondolo, le “abuelite”, che in Nicaragua non mancano mai…
Subito dopo c’è la cucina, che può essere utilizzata e il frigo, quindi si esce in una sorta di giardino, stretto e lungo, dove sulla sinistra sono disposte le camere : 8 su due piani.
Bagno e doccia sono in comune e ce ne sono due; il lavandino con lo specchio e il lavabo per lavare gli indumenti sono all’aperto.
Al centro del giardino, c’è un grande tavolo rettangolare con sei sedie e tre amache, ambite e difficili da conquistare.
Fortunatamente c’è una stanza libera; la numero 4 al pian terreno : l’ultima in fondo a sinistra…
In realtà è estremamente essenziale, con pareti in legno, due letti e una grande mensola anch’essa in legno… Le reti sono lievemente sfondate, ma i lenzuoli, puliti, come del resto la camera stessa…
Il costo è 50 C$ a testa : accettiamo al volo…
Mercedes, che ha iniziato da poco questa attività, sta cercando in tutti i modi di farsi pubblicità e di arrivare ad essere menzionata sulle guide normalmente utilizzate in viaggio (lonely planet, footprint, ecc.), in modo da far decollare la sua nuova fonte di reddito.
L’ambiente è molto piacevole, soprattutto grazie hai suoi sforzi di far socializzare tutti coloro che vi pernottano; cosa che rende l’ambiente molto simile ad un ostello.
Per il momento la sua fortuna è il passa-parola tra viaggiatori, che sembra cominciare a dare i suoi frutti, visto che le camere sono tutte piene !
L’aspetto maggiormente positivo dell’hostal Clinica è sicuramente la posizione; dista infatti una quadra, ovvero poche decine di metri, dal centro cittadino, dove alle spalle del parco, si erge la maestosa cattedrale di Leon.

E’ il primo luogo che visitiamo e devo dire che è un bel vedere…
La cattedrale, la più grande del centro-america, è stupenda… Grande e completamente bianca, si erge maestosa al centro della piazza e sotto il sole appare ancora più grande di quanto sia in realtà.
Il suo interno è ben curato, pulito e ricco e l’altare non ha nulla da invidiare alle maggiori chiese europee.
Sul lato destro, in fondo alla navata, sopra la grande statua di un leone dall’espressione triste, si trova la tomba del poeta Ruben Dario, che morì proprio a qui…
Anche il parco è ben curato e rappresenta il vero cuore della città; qui infatti la sera si riunisce la gente, per mangiare nei comedor familiari sul lato sinistro, per prendere un refrescos o solo per godersi un po’ di fresco, scambiando quattro chiacchere.
La fame si fa sentire, quindi seguiamo la strada alla destra della cattedrale e circa alla fine della stessa, sul lato opposto, troviamo il comedor “Buen Gusto”, che Mercedes ci ha consigliato…
Entriamo attraverso un’enorme porta di legno ad arco e passiamo tra i tavoli, dove la gente sta consumando il proprio pranzo, raggiungendo la cucina, che si trova sulla sinistra. Qui, dentro le pentole, sono in vista le pietanze del giorno tra cui scegliere e la cosa non è affatto facile, dato che questo è il nostro primo pasto nicaraguense ed anche se conosciamo i nomi di molte pietanze, ancora non sappiamo associarvi l’aspetto…
Guardo attentamente, nei tegami…, scruto quello che sceglie Michele e visto che ha un buon aspetto, lo prendo anche io, cambiando solo il pollo con le polpette di carne.
In sostanza il piatto, che viene servito unico, comprende, riso e fagioli neri (il famoso “gallo pinto”), le polpette di carne e un’insalata fredda di juca e patate.
Da bere scelgo uno dei famosi refrescos all’arancia : un grosso bicchiere di succo d’arancia, con ghiaccio e acqua. La guida sul Nicaragua di “Scozzari”, l’unica disponibile in Italiano, per altro fata molto bene a mio parere, li sconsiglia, per paura che il ghiaccio non sia “purificado”, ma mi sembra un eccesso di cautela, visto che li bevono tutti…
Sicuramente, non berrei mai quelli che vendono sugli autobus…, ma quelli presi nei vari locali, bar e comedor durante tutto il mio soggiorno, oltre che deliziosi, si sono rivelati innocui e molto dissetanti.
Una volta ultimato l’ordine, ritirato il piatto e la mia bevanda, mi giro alla mia destra, dove un bella signorotta seduta ad un tavolo di legno, mi fa il conto : 21 C$, ovvero poco più di un euro !
Questo è quello che in media si spende in tutti i comedor familiari, dove guarda caso vanno a mangiare anche i Nicas; quindi se si vuole consumare un buon pranzo abbondante, risparmiando, il primo luogo in cui entrare è un comedor…
Torniamo nella sala adiacente e prendiamo posto in uno dei tavoli, con tutti gli altri, consumando il nostro primo pasto Nica.
Riprendiamo quindi il giro della città : alla sinistra della cattedrale, sull’edificio dall’altro lato della strada, c’è un’enorme murales, che ricorda i martiri della rivoluzione sandinista, che proprio da Leon prese il via…
Questo suo connotato storico, è, a ragione, motivo di orgoglio e sembra quasi percepirsi nell’aria.
Di fronte al murales, si trova il cafè “El Sieste”, un locale dall’aspetto moderno e nuovo, dotato di vari computer per poter connettersi a internet. I prezzi sono accessibili : 15 C$, 30 minuti e la connessione è abbastanza veloce.

Sempre sulla piazza ma dalla parte opposta si trova il “Telcor”, l’ufficio della compagnia telefonica nicaraguense, da dove è possibile effettuare chiamate internazionali.
Dato che non abbiamo avuto ancora modo di dare nostre notizie, ne approfittiamo ed entriamo.
L’impiegato ci domanda dove vogliamo chiamare e ci chiede il numero che intendiamo raggiungere. Tempo minimo della chiamata : 3 minuti. Praticamente loro chiamano il numero e quando sono in linea, si viene indirizzati in una cabina; una volta alzato il ricevitore, il proprio interlocutore è già in comunicazione.
Prezzo dei tre minuti di conversazione : 115 C$, ovvero l’equivalente di quasi 8 euro ! Una vera e propria esagerazione, uno scippo, in cui non incorreremo più…
Alternativa al Telcor, sono i telefoni pubblici a scheda, molto diffusi, ma il cui costo è solo lievemente inferiore. Le targhette telefoniche si trovano il tutte le “pulperie” o farmacie, che qui vendono un po’ di tutto e se si vuole chiamare in Europa, bisogna comprare quella da 100 C$.
Visto il costo, di telefonate ne farò soltanto un’altra, prima della partenza; per il resto del viaggio, comunicherò via e-mail o SMS tramite internet, visto che è molto diffuso e ha costi più accessibili !
Alle spalle della basilica, c’è il mercato di Leon, non grandissimo, ma caotico come tutti i mercati. All’interno vendono frutta e qualsiasi altro genere alimentare e non, mentre all’esterno e lungo tutto il suo perimetro ci sono i “comedor”.
Nel pomeriggio giriamo per la città, apprezzandone lo stile coloniale e le moltissime chiese, che sono ben tenute.
Tutte le case sono dipinte con i più sgargianti colori pastello, anche se molte sono un pò lasciate andare.
E’ un’atmosfera particolare…, decadente, che ha un fascino tutto suo e rende l’ambiente molto accattivante.
La sera il parco si popola di persone e la cattedrale, illuminata si mostra in tutta la sua bellezza.
L’aria è fresca, la gente gentile, il brusio delle chiacchere echeggia tutto intorno e dall’interno della cattedrale, le cui enormi porte di legno sono aperte si odono i canti liturgici della messa.
Qui la piazza ha ancora quel valore di aggregazione, che alle nostre latitudini si è andato perdendo; ha un valore sociale forte, come quello che assolveva l’antica agorà greca.
La attraversiamo lentamente, godendoci l’atmosfera, quindi proseguiamo verso il mercato e oltre per almeno due quadre, sino a raggiungere la “seconda avenida Noreste” dove si trova il “Via Via”, locale molto famoso tra i viaggiatori, in quanto ne è un punto di ritrovo, segnalato su tutte le guide.
Vi si possono ottenere informazioni e prenotare tutti i tour che è possibile fare nei dintorni di Leon, riuscendo magari ad aggregarsi con altre persone che vogliono fare la stessa escursione, raggiungendo così un duplice scopo : formare un gruppo abbastanza numeroso, che consenta l’escursione, e, non meno importante, risparmiare qualcosa. Disponibile inoltre il servizio lavanderia e il noleggio biciclette.
Ci sono diversi tavolini, molti viaggiatori seduti e l’aspetto è più quello di un ostello, che quello di un locale ! E in effetti offre anche da dormire : 45 C$ il dormitorio, 100 C$ la singola e 130 C$ la doppia. S nonchè un servizio lavenderia
Comunque ne approfittiamo per sorseggiare una bella “Toña” !
Piccola parentesi sulle birre; in Nicaragua ce ne sono solo due tipi : la “Tona” e la “Victoria”.
Entrambe sono chiare e con poco malto, quindi molto leggere; il sapore è pressappoco simile, ma forse la “Victoria” è lievemente più forte e gradevole al palato.
Nelle vicinanze, c’è un’altro locale abbastanza noto : il “Camaleon”, gestito da italiani, dove è possibile mangiare spaghetti, per i nostalgici della cucina di casa !
La cucina Nicas, comunque, non è affatto male : anche se povera, ha piatti abbondanti e gustosi. Normalmente la portata principale, che può essere pesce o carne e in questo caso, normalmente si tratta di pollo, è accompagnato da riso e frijoles, i buonissimi fagioli neri, insalata o tostones (platano fritto, che prende il nome ti tajadas, se invece di essere a forma di piccola polpetta schiacciata, viene affettato).

Io sinceramente mi sono trovato molto bene sotto il profilo culinario e ho mangiato quasi sempre pesce…, non disdegnando diverse mattine il notissimo “gallo pinto”, piatto tipico della cucina nicas. Servito come “desajuno” (…a colazione) é costituito da riso saltato con i frijoles, due uovos rivoltos e tostones…
Ritornando verso la piazza, ci imbattiamo in una sorta di rosticceria, “Pollos Brosteados” in Plaza Metropolitana, dove cucinano il pollo (1/4 di pollo, 30 C$ – mezzo pollo, 55 C$). La fame c’è, quindi ci sediamo e ne ordiniamo mezzo ciascuno, accompagnato da una “rojita”, bibita molto diffusa dal colore porpora, che a me non è piaciuta per nulla ! Ha infatti un sapore dolciastro, che è una via di mezzo tra il caramello e il “broncomucil”, lo sciroppo per la tosse che mi toccava da bambino !
Anche il pollo non è la fine del mondo per sapore e porzione, ma ci riempie lo stomaco, consentendoci di andare a letto soddisfatti.
10 Gennaio 2003 – Poneloya e Las Penitas.
Primo giorno al mare ! Destinazione Poneloya e Las Penitas, località sul Pacifico a Nord di Leon.
Raggiungiamo il mercato, stando sul lato destro della cattedrale (primera calle Sur) e prendiamo un collectivos per il “mercadito di Subtiava”, da dove parte il bus per Poneloya.
A Leon i collectivos, sono costituiti da piccoli camioncini il cui pianale è destinato al trasporto di persone, alcune sedute, sulle due panche di legno ai lati e molte altre in piedi… Fungono da veri e propri bus e sono molto usati dalla popolazione locale, tanto che non è infrequente vederne pieni all’inverosimile…
Passano solo cinque minuti ed eccone arrivare uno che va nella nostra direzione; saliamo e fortunatamente troviamo anche posto a sedere; chi l’avrebbe mai detto !
Il tratto di strada sino al “mercadito” è relativamente breve : 15 minuti, tra fermate continue per caricare e scaricare gente al volo, per una spesa di 2 C$.
Scendiamo proprio di fronte al “mercadito”, una sorta di mercato rionale, che non ha nulla da invidiare per merce a quello più grande di Leon.
Sullo spiazzo sterrato di fronte, è parcheggiato il bus per Poneloya; non il classico scuola-bus americano, stile anni settanta adibito a mezzo di trasporto pubblico, ma un vero e proprio torpedone !
Saliamo e prendiamo posto, insieme a molti altri Nicas, che vanno a passare una giornata al mare.
Dopo circa mezz’ora, il bus lascia il “mercadito” : Poneloya, stiamo arrivando !
Il viaggio dura circa 45 minuti (costo 6 C$), nella quale attraversiamo una regione brulla, con grandi campi dai confini ben marcati col filo spinato, caratterizzati dalla presenza di numerose piante di mango, con molti frutti.
Il colore predominante è il giallo, quello dell’erba seccata al sole e in alcuni tratti il nero, dove l’erba di cui sopra, è stata bruciata per rendere più fertile la terra.
Il bus termina la sua corsa all’inizio della spiaggia di Poneloya, dopo aver attraversato l’intero paese. Case chiuse, pochissima gente per strada : Poneloya mi appare come la città fantasma di molti film westner, sotto il caldo sole delle 11.00. Le abitazioni sono infatti di persone che vivono a Leon e che tornano qui soltanto durante le vacanze, soprattutto nella settimana santa.
Scendiamo e andiamo verso il mare. Sulla destra c’è una piccola laguna e un enorme cartello; avvisa i bagnati che in caso di “sisma” devono uscire immediatamente dall’acqua e aspettare sulla spiaggia i soccorsi !
Prendiamo verso sinistra e dopo una cinquantina di metri siamo sulla spiaggia di Poneloya : di fronte ho il Pacifico.
La spiaggia è lunghissima e larghissima; la sabbia, scura e granulosa. Il mare ha un profondo colore blu, che lo fa apparire quasi nero e ampie onde regolari, che si susseguono lente.
La risaliamo per intero, sino a raggiungere la “Peña del Tigre” (scoglio della tigre), che separa la spiaggia di Poneloya da quella di Las Penitas; sulla sinistra, sorge l’hotel Lacayo, facilmente distinguibile dal colore verde chiaro; segnalato sulle guide, mi appare molto spartano e fatiscente.
Oltre gli scogli, sulla cui sommità è posta una grande croce bianca, inizia la spiaggia di Las Penitas, che prosegue verso sud a perdita d’occhio.
Unico carattere distintivo tra le due, è il mare : molto più agitato e pericoloso sul lato di Las Penitas, perché più frastagliato.
Subito sulla sinistra, su una piccola stradina sterrata, ci sono due locali, che si fronteggiano : un bar, il “Don Toño”, a ridosso della strada principale e un ristorante, il “Caceres”, a ridosso della spiaggia.

Per prima cosa andiamo al bar, dall’aspetto molto carino, con una sorta di terrazza, delimitata da un parapetto di bambù, sotto un gazebo, ricavato con foglie secche di palma. Qui ci dissetiamo con una fresca coca-colita (10 C$) e dopo 10 minuti di riposo all’ombra, allietati da una leggera brezza, ritorniamo sulla spiaggia.
Per la prima esposizione al sole nicaraguense… Quella che al bar era una lieve brezza, sulla spiaggia è un bel venticello, che soffia continuo, attutendo il calore del sole, che quasi non sembra scaldare la mia pellaccia bianca… La cosa è alquanto preoccupante, anche se sono dotato di abbronzante, fattore di protezione 12, cosa per me non abituale !
Per non rischiare scomode scottature, che possano pregiudicare il resto del viaggio, restiamo al sole un paio di orette, quindi un bagno nel Pacifico, che ha più il sapore di una toccata e fuga, per togliersi di dosso, sabbia e crema; entro infatti nell’acqua solo sino al ginocchio e già così la corrente si fa sentire…
Anche lo stomaco ha qualcosa da dire, così prendiamo posto nel ristorante “Caceres”.
La struttura principale è costituita da una grande tettoia di foglie di palma, dove però non si gode
la frescura del vento e la vista del mare; molto meglio i tavolini sotto i quattro gazebo esterni, proprio a due passi dalla spiaggia…
Siamo fortunati e mentre aspettiamo il pranzo uno di questi si libera. Non aspettavamo altro : ci spostiamo immediatamente !
Prima che il nostro “pargo blanco” sia pronto trascorrono venti minuti abbondanti : prova tangibile che il piatto è cucinato al momento !
Quello che mi viene servito è proprio un bel “pescado” intero, all’aglio. Unico errore non aver chiesto la salsa a parte, evitando che il pesce ne fosse cosparso…
Anche così però il sapore è ottimo e il piatto, che comprende anche riso e tostones, mette a tacere il borbottio del mio stomaco… Il prezzo irrisorio : pescado, birre e bibite, 70 C$ !
Torniamo ancora sulla spiaggia per circa un’ora, quindi verso le 17.00 ci appostiamo sul ciglio della strada principale in attesa del pullman.
Come sempre l’orario dei mezzi è all’insegna del “cerca”, avverbio molto usato che esprime un’unità di misura che varia da 0 a infinito…
Approfittiamo del vicino bar e inganniamo l’attesa sorseggiando una Toña e scambiando quattro chiacchere col ragazzo che ce la serve.
Verso le 17.30 ecco il pullman ! Saliamo subito, anche se di fatto potremmo aspettare che ritorni da Las Peñitas. Tuttavia salire subito consente una maggiore possibilità di trovare posto a sedere…
Il viaggio di ritorno mi sembra un pò più lungo, ma forse è solo la stanchezza e l’imbrunire a determinare questa percezione.
Quando arriviamo al “mercadito” è già buio ! Fortunatamente troviamo subito una “buseta” per il centro e in pochi minuti raggiungiamo l’Hostal Clinica.
Doccia rigeneratrice e via a fare un giro per Leon. La mamma di Maria ci consiglia di andare a teatro, dove dovrebbe esserci uno spettacolo musicale gratuito : la notizia è veritiera, ma la musica è quella “classica” !
Molto meglio andare nel locale di fronte e sorseggiare una fresca Toña sulle note di un gruppo spagnolo, a noi sconosciuto.
Proseguiamo il nostro giro, ritrovandoci in piazza. E’ molto ventilata e forse anche per questo affollata di persone. Il brusio della gente si confonde con il canto che proviene dalla basilica, dove si sta svolgendo la messa e con gli odori di carne alla griglia, che sale dai comedor di strada.
Approfittiamo dei computer del “El Sieste” per comunicare con casa, quindi “regressamos” all’hostal, dove conosciamo Fabrizio e Serena. Italiano lui, messicana lei, stanno compiendo un viaggio affascinante : sono partiti da Città del Messico e vogliono raggiungere Bogotà !
Forse li rincontreremo durante il nostro viaggio, visto che i nostri itinerari si assomigliano…

11 Gennaio 2003 – Pochomil
Lasciamo l’hostal alle 07.00 del mattino, dopo essere stati calorosamente salutati da Maria e aver promesso di far pubblicità alla sua nuova attività…
Una volta in piazza bastano pochi minuti e un semplice gesto con la mano, per trovare un taxi che, per la cifra sindacale di 15 C$, ci conduce al terminal…
Qui ancora una volta siamo fortunati o tempestivi e troviamo in partenza il bus espresso per Managua (che “sale” alle 07.30…) : costo, 15 C$.
Il viaggio ricalca lo stesso percorso dell’andata, tormentato per i lavori di pavimentazione per 2/3, quindi in buono stato in prossimità della capitale. In 2 ore e 10 minuti siamo a Managua, che ancora una volta mi si paventa squallida, sporca precaria e fatiscente…
Anche qui colpo di fortuna (…o soltanto programmazione dei trasporti pubblici ?) : troviamo in partenza il bus per Pochomil. Cambio volante e alle 9.58 lasciamo il terminal, che avevamo appena raggiunto !
Prima di incanalarci sulla strada principale, il bus arranca nel traffico del terminal e nel corridoio del bus è un continuo andare e venire di persone, che vendono qualcosa.
Ti offrono di tutto, acqua, dentro sacchetti di plastica azzurri, che riportano scritto in evidenza che è trattata a raggi ultravioletti, cibo di ogni genere, cicche e caramelle, frutta oppure, ma questo è un fatto molto raro, chiedono l’elemosina.
Caratteristico é l’abbigliamento delle donne; indossano infatti, un tradizionale grembiule bianco, ricamato con delle enormi tasche sul davanti, dove ripongono i soldi.
Particolarmente duro invece da “sopportare” lo sguardo dolce dei bambini, vestiti di stracci, che ti offrono caramelle, noccioline, cicche… : “enpasse” duro da sopportare per chi, come noi non sa cosa vuol dire miseria e fame…
Questa è solo un’istantanea di un paese povero…, che paga le traversie di una dittatura senza pregiudizi e di una guerra aspra e dura, voluta dalla CIA, che sovvenzionava “la contra”, un esercito di mercenari, che costrinse i Nicas a combattere per molti anni, solo per affermare e difendere la loro identità.
Un paese tornato alla vita solo da pochi anni, grazie soprattutto all’avvento di “Violeta”. Penso che questo sia lo stesso scenario di cui furono testimoni i nostri genitori nel primo dopoguerra in Italia : voglia di rinascita !
Il pullman è pieno e per un lungo tratto, prima di lasciare Managua, continua a caricare persone…
Il viaggio dura circa 2 ore : costo 10 C$.Da Managua raggiungiamo El Crucero, quindi verso il mare, passando per San Rafael del Sur, paese fatto di baracche di lamiera e strade sterrate, che mi mostra nuovamente il Nicaragua povero…
A Masachapa, lasciamo il pullman e saliamo “al volo” su un furgone, che ci lascia direttamente sulla piazza di Pochomil : uno spiazzo circolare con qualche comedor e una “pulperia”.
Immediatamente veniamo “assaliti” dai vari proprietari dei locali, che cercano di convincerci a turno a sederci per mangiare o ci offrono le loro sistemazioni.
Noi rifiutiamo con garbo e andando verso sinistra, ci dirigiamo all’Hotel Altamar, segnalato sulla guida e consigliatoci da Claudio.
L’aspetto non è entusiasmante, come del resto la camera, ma accettiamo la sistemazione.
La camera, essenziale, si compone di due letti e un comodino, è sul retro e senza bagno !
Quest’ultimo particolare è trascurabile, visto che non c’è acqua corrente (a causa della rottura della pompa, ci viene detto…) e comunque per lavarsi, bisogna andare ad attingela al pozzo !
Costo, un pò caro per quanto offerto, 130 C$ (la camera con bagno, 150 C$).
Il bagno in comune è precario, ma neanche tanto male, la doccia quasi irreale…!
Il ristorante dell’hotel, invece è molto carino, ricavato su una terrazza che da sulla sottostante spiaggia, con tavoli tutti a vista, amache e un buon servizio.
Il cibo è buono, abbondante, ma leggermente caro per la media del paese ed inoltre sul conto viene applicata la maggiorazione del 10%.
Prendo un filete (100 C$) e una Toña (20 C$) e rimango molto soddisfatto, per quantità e qualità.
Dalla terrazza, parte la scalinata che conduce alla spiaggia. Quest’ultima è veramente particolare, lunghissima e larghissima a causa della bassa marea, costituita da sabbia beige e battuta continuamente dal vento (…fenomeno presente solo a Gennaio !). Stare sdraiati sul telo è un’impresa titanica; in pochi minuti si diventa dei sofficini…
Molto meglio prendere posto in un “ranchito”, una sorta di capanna con amache e tavolino, che costano 30 C$, se non si consuma nulla, oppure il prezzo del pranzo e di tutto ciò che si ordina nella giornata…
I prezzi sono migliori di quelli del ristornate (bibite 7,5 C$, birra 10 C$) e l’impatto scenico strepitoso… Di fronte all’oceano, dondolandosi sull’amaca, si gusta la vita…, oltre ad una fresca Toña, ammirando un bellissimo tramonto sul Pacifico.
Calato il sole, il buio arriva velocemente, quindi partiamo per un’altra avventura : la doccia !
Andiamo al pozzo e girando con una manovella, una ruota di bicicletta, che fa ruotare una corda, che consente di attingere l’acqua, riempiamo un secchio ciascuno; quindi prendiamo una piccola bacinella e andiamo nella doccia comune.
Questa non ha porta…, o meglio c’è ma è fuori dai cardini, ed è presidiata nella parte in cui non ci si lava da due guardiani d’eccezione : due rospi !
A sinistra c’è la doccia (non funzionante…) e qui si comincia con la bacinella a bagnarsi con l’acqua del secchio, quindi insaponarsi e infine sciacquarsi…
Sembra strano per chi come noi è abituato a stare in doccia 15/20 minuti, senza mai interrompere il flusso d’acqua, ma questo è un ottimo modo per garantire un risparmio idrico !!!
Concludiamo la sera, facendo un giro a Pochomil, che inizia e finisce nella piazza in cui siamo arrivati nella mattinata…
Appena giriamo l’angolo, di nuovo veniamo chiamati a turno da tutti i proprietari dei ristornati, che ci offrono i loro servigi…
Ne scegliamo uno a caso e ceniamo spendendo 50 C$ e parlando con il proprietario, del Nicaragua, della sua storia recente e della situazione attuale…
I “Nicas” sono persone gentilissime, cordiali e alla mano : parlare con loro è un piacere e una delle cose che più mi ha colpito e mi è piaciuta di questo splendido paese.



12 Gennaio 2003 – Pochomil
Giornata di completo relax al sole sulla spiaggia di Pochomil.
Anche se è domenica e ci sono molte più persone di ieri, visto che nel giorno di festa anche i Nicas si recano al mare, ci accaparriamo senza fatica il miglior “ranchito” sulla parte di spiaggia di fronte all’Hotel Altamar.
Sono circa le 10.00 quando ci sediamo al tavolino del “ranchito” e pochi minuti dopo ecco comparire “Doña Adelia”, con le amache.
Ci chiede cosa vogliamo per colazione : “gallo pinto” e caffè negro ! Passano solo 15 minuti e sto gustando il mio “desajuno” nica all’ombra del “ranchito”.
Trascorriamo l’intera giornata, dondolandoci sull’amaca e godendoci questa spiaggia lambita dal placido Oceano Pacifico.
Il vento soffia ad intermittenza e ogni tanto, quando è più intenso, qualche folata di sabbia mi scuote la schiena.
Molte sono le persone che approfittano per fare i giri a cavallo lungo la spiaggia e diverse volte anche a noi ci chiedono se vogliamo farlo…; rispondo sempre con un sintetico “no, gracias” e un sorriso e altrettanto ottengo dal mio interlocutore.
La bassa marea, rende la spiaggia larghissima e sullo specchio d’acqua che precede il mare, si riflettono il cielo e le nuvole, creando un’immagine speculare davvero affascinante.
Verso le 17.00 la fame ci impone un buon pasto, così ordiniamo del pesce : scelgo un filete, Michele un pargo, ma chiediamo che ci venga servito nei ranchiti più interni, per evitare di mangiare con uno scomodo contorno di sabbia.
“Doña” Adelia prende l’ordinazione e svanisce per quasi un’ora ! Sicuramente sarà andata prima a comprare quello che le abbiamo chiesto, quindi l’avrà cucinato e finalmente, quando tutto è pronto ci chiama…
La fame intanto è aumentata, e vedere l’abbondante filetto di pesce che riempie il mio piatto accompagnato da tostones, riso e fagioli neri è gioia per lo stomaco e immediatamente dopo per il palato !
Tutto è gustoso e ben cucinato, il costo irrisorio : 80 C$ !!!
Mi colpisce, visto che me la trovo di fronte a poche decine di metri, la capanna in cui vive Adelia; praticamente sulla sabbia, è una costruzione di legno, lamiera e plastica, con solo una piccola luce al centro… Essenziale non definisce in modo esatto questa abitazione, ne lo stato d’animo che mi crea il vederla… Difficile da spiegare a parole e tanto meno da accettare per chi, come me non ha mai avuto sotto gli occhi una simile realtà.
Il pasto, accompagnato da un paio di Toña, mi riempie per benino, così soddisfatto mi ri-adagio sull’amaca del “ranchito” e mi godo il tramonto che mi si propone.
I colori sono forti e intensi, il cielo diventa di un rosso vivace, per poi lentamente affievolirsi e ammorbidirsi, trasformarsi in un tenue viola, mentre il sole sparisce nel mare. Poi velocemente la luce perde intensità e in pochi minuti arriva il buio.
Risaliamo la scalinata che porta all’Altamar, un ultimo sguardo alla spiaggia di Pochomil, quindi via al pozzo per prendere l’acqua con cui fare la doccia.
Anche se siamo sazi del pranzo di metà pomeriggio, raggiungiamo comunque la piccola piazza del paese, per bere una birra e passare la serata.
Ci sediamo in uno dei bar e mentre sorseggiamo una Toña, scambiamo quattro chiacchere con i proprietari, mentre dal loro stereo si diffondono nell’aria canzoni a me note e un pò datate : si passa infatti, da “Gloria” di Tozzi a “Self Control” di Raf !
Poi un episodio che mi fa credere di trovarmi in un altro tempo : un uomo arriva a cavallo, scende, lega le redini ad un corrimano, quindi si dirige verso la “pulperia” dall’altra parte della piazza…
Al momento e in quel luogo, tutto sembra normale, ma a ripensarci mi appare incredibile : qui il cavallo è ancora un mezzo di trasporto ! Affascinante e particolare al tempo stesso !
Prima di fare ritorno alla nostra camera, passiamo dalla “pulperia” e sorseggiando un’altra Toña, discutiamo con il gerente, un simpatico e cordiale ragazzo.
Parliamo soprattutto del turismo, di come Pochomil debba migliorare e in che cosa, per potersi sviluppare e apprendiamo che sono molti gli italiani che, soprattutto in estate, capitano da queste parti : chi l’avrebbe mai detto !
Chiedo il costo del ron “Flor de Caña Centenario” invecchiato 12 anni, che dovrebbe essere il migliore : 140 C$.
Sono tentato di prenderlo, ma poi rinuncio, visto che il viaggio è ancora lungo e dovrei portarmelo in giro nello zaino per troppi giorni, prima di “regressar”…; lo comprerò più avanti, sperando di trovarlo a questo prezzo, che mi sembrava ottimo.

13 Gennaio 2003 – Granada
Ci svegliamo prestissimo, in modo da poter prendere il primo bus della mattina e già alle 06.00 siamo con i nostri zaini sulla piazza di Pochomil, seduti su un muretto in attesa.
La piccola piazza è deserta, i bar sono tutti chiusi, la temperatura è piacevole.
Osservo quello che ho di fronte e mi sembra di trovarmi sul set cinematografico di un film westner…
Alle 06.15 arriva anticipato da fragorose e lunghe stronbazzate di clacson il bus per Managua, sul quale saliamo insieme a poche altre persone.
Come consuetudine l’autista continua a suonare il clacson per avvisare che sta partendo e percorre a passo d’uomo la strada che lo allontana dalla piazza di Pochomil.
Dalle case sul ciglio della strada altre persone salgono sulla “buseta” e sino a che non si lascia definitivamente il centro abitato, è un continuo fermarsi a raccogliere passeggeri.
Nostra destinazione non è ovviamente la capitale, dove è perfettamente inutile ritornare : scenderemo invece a “El Crucero”, da dove via Jinotepe, raggiungeremo Granada.
Il bus impiega circa un’ora per raggiungere la piccola cittadina di “El Crucero”, arrancando a fatica sulla collina che la precede. Costo del biglietto : 10 C$.
Scendiamo e attraversata la strada chiediamo informazioni su come e dove poter prendere un mezzo che ci porti a Jinotepe. Soffia un vento forte e l’aria è frizzante, strano ma vero, ho quasi freddo !
Neanche il tempo di ricevere la risposta alla nostra domanda, che ci indicano un piccolo monovolume, un colectivos, che giunge in senso opposto ed è diretto a Jinotepe : saliamo e in 20 minuti siamo a destinazione, per 10 C$.
Ci lasciano di fronte al parco cittadino e percorriamo a piedi due quadre prima di raggiungere il terminal dei bus. Qui saliamo sul primo in partenza per Nandaime, che ci lascerà all’incrocio con la strada che proviene da Rivas, dove prenderemo un altro bus per Granada : al momento, non ci sono infatti bus diretti per la nostra destinazione o per lo meno così ci dicono…
In circa quindici minuti e per 5 C$ si raggiunge l’incrocio; quindi appena scesi, praticamente veniamo trasbordati sul bus che, proviene da Rivas in senso opposto e aspetta sul ciglio della strada prima di proseguire verso Granada. E’ pieno, dobbiamo stare in piedi nel corridoio e gli zaini finiscono sul tetto del mezzo.
Forse per questo, il viaggio sino a Granada (6 C$) mi sembra molto più lungo della mezz’ora che impieghiamo a giungere al terminal cittadino dei bus provenienti da Rivas !
Quest’ultimo è relativamente piccolo e si trova all’inizio di “Calle del Comercio”, lungo la quale si sviluppa il mercato.
La percorriamo praticamente tutta, camminando sulla strada, visto che le bancherelle occupano il marciapiede, sul quale risalgo ogni qualvolta incrocio un’auto o un bus.
La città è viva, brulicante di gente e mi fa subito una bella impressione : colorata, affascinate e caratteristica.
Dopo 4 quadre e mezzo, sulla destra troviamo “El Parque Central” con la cattedrale : vero cuore della città. E’ molto ben curato e anche qui c’è moltissima gente.
Ci sentiamo chiamare : sono Fabrizio e Serena, conosciuti a Leon, che stanno andando Masaya e ci dicono di essere all’Hospedaje Cocibolca, proprio dove abbiamo intenzione di andare anche noi…
Ci diamo appuntamento per la sera e ci incamminiamo verso il “Cocibolca”. Raggiungerlo è agevole : attraversiamo il parco e imbocchiamo, a sinistra della cattedrale, “Calle la Calzada”, che porta al lago : poche centinaia di metri e lo troviamo sul lato destro della strada, dopo l’Hospedaje Central e la Pizzeria Don Luca.
Mi fa subito un’ottima impressione : l’entrata si apre su una sorta di salone, dove si trova la TV con di fronte le immancabili sedie a dondolo, tre postazioni intenet, e diversi tavoli, dove poter sedersi a mangiare, quello che si ordina, oppure quello che ci si cucina autonomamente, visto che l’utilizzo della cucina è gratuito e compreso nel prezzo !
Siamo fortunati e troviamo una stanza, che si sta per liberare ! Dobbiamo aspettare solo qualche minuto, perché la puliscano. Ne approfitto per comunicare con casa via internet e per fare colazione con un buon “gallo pinto”.
Le stanze sono disposte su due piani : sicuramente quelle al piano superiore sono migliori, perché più arieggiate e meglio rifinite, rispetto a quelle al piano terra. Purtroppo la nostra è a piano terra !
Non è particolarmente bella, ma pulita, essenziale, dignitosa e spaziosa e con un bagno grande. La doccia è fredda ! Costo : 12 $ a notte, ovvero 180 C$.
Incredibilmente alla mano il proprietario : Carlos, che ha molta simpatia per gli italiani, visto che è stato nel nostro paese grazie allo scomparso partito comunista italiano.
Una persona particolare, che rispecchia la positiva impressione che i “Nicas” mi hanno lasciato nel cuore : sembra che vi conosca da una vita e vi tratta come tali, con amicizia…
Appena preso possesso della stanza, doccia veloce e subito fuori alla scoperta della città.
Ritorniamo al parco centrale, ripercorrendo a ritroso “Calle la Calzada” : dalla parte opposta alla cattedrale, c’è la banca, sotto il portico, dove si trova anche l’Hotel Alambra, il più bello di Granada.
Approfittiamo per cambiare un pò di dollari in cordobas e l’operazione risulta molto più veloce di quanto mi aspettassi…
Quindi imbocchiamo “Calle Real Xalteva” e cominciamo a risalirla. Granada è veramente molto bella, curata, affascinante con tutte le sue case in stile coloniale, dai più sgargianti colori pastello : azzurro, giallo, rosa…
Sulla destra, dopo una quadra, troviamo la chiesa della Merced, in ristrutturazione : il campanile è stato rimesso a nuovo ed ha un bel colore rosa, la parte centrale della chiesa invece è ancora annerita e sembra quasi decadente, ma così è molto più affascinante, a mio modo di vedere…
Altre due quadre e dopo un piccolo parco molto carino, ecco la chiesa di Xalteva, anch’essa molto bella.
Prima di raggiungerla, mentre camminiamo sul lato sinistro del marciapiede, ci cade l’occhio all’interno di una casa : la proprietaria, che è sulla porta, vista la nostra curiosità, ci invita molto cordialmente ad entrare, mostrandoci con orgoglio il salone, che si apre subito dietro il grande portale di legno, che da sulla strada. Particolare e caratteristico con le immancabili sedie a dondolo, in questo caso di vimini e oltre, un patio interno con un bel giardino. Restiamo un momento a parlare e sono affascinato dalla cordialità e gentilezza della signora, che devo dire essere comune a tutto il popolo “nica”, al pari della fierezza e dell’amore per il loro paese.
Riprendiamo il nostro cammino, ridiscendendo verso il parco dalla parallela a “Calle Real Xaltera”, che ripropone il carattere coloniale della “Gran Sultana” : soprannome con cui è nota Granada e per nulla enfatico ! A una quadra dal parco, sulla sinistra ci imbattiamo nel museo di arte nicaraguense, dove, per 15 C$, entriamo. Non è nulla di particolare, ma è molto bella la casa nel quale è ospitato, con un bel giardino centrale, ornato da statue in pietra.
Mezz’ora per visitarlo tutto, quindi ci ritroviamo nel parco. E’ veramente molto carino e ben curato con al centro una fontana e un patio e nel verde, diversi bar, che offrono ottimi refrescos natural. Sul lato opposto alla bianca cattedrale, di fronte al portico, in fila ci sono i calessi, non solo attrazione per i turisti, ma anche e soprattutto mezzi di trasporto.
Sotto il portico, oltre alla banca e all’Hotel Alambra, c’è anche un negozio di souvenire, il “Chichitepec”, ottimo per acquistare cartoline e francobolli, nonché per inviarle senza necessariamente andare al Correos cittadino. Le cartoline arrivano : dopo un mese e mezzo, ma arrivano !
Per quel che riguarda l’oggettistica invece è più conveniente comprare l’artigianato al mercato nuovo di Masaya !
Il parco brulica di persone, ci sono moltissimi bambini, che attorniano i turisti elemosinando 1 C$…, ma non sono oppressivi e stressanti…, lo fanno col sorriso e con gentilezza…
Se si resiste a questo colpo psicologico, passare un pò di tempo all’ombra del parco, seduti ad un chiosco, sorseggiando un dissetante refrescos al mandarino, è qualcosa di particolare…
A sinistra del parco, c’è una piccola piazza con il monumento ai caduti. Su un lato di questa si trova un bel portico di legno sotto il quale c’è un piccolo ristorante, dalla parte opposta, la compagnia telefonica (i cui costi sono proibitivi come a Leon : 115 C$ per 3 minuti di conversazione).
Dopo aver bevuto una fresca toña, riprendiamo il nostro giro : seguendo “Calle la Calzada” raggiungiamo il Lago Cocibolca, il più grande lago del centro america.
Sembra un vero e proprio mare, con tanto di onde ed ha un colore scuro, quasi nero.
Per raggiungerlo bisogna fare una passeggiata di 10 minuti e prima di arrivare al piccolo porto di Granada, sulla sinistra si trova la bella chiesa di Guadalupe.
Di fianco al porto, alle spalle della piazza, c’è un piccolo “mirador”, che si affaccia sul lago : sulla destra lungo la strada che fronteggia il “malecon”, diversi ristoranti e all’orizzonte le prime, delle 360 “isletas de Granada”.
Per poterle visitare è necessario prendere una lancia : se siete interessati, parlate con Carlos, che vi saprà indirizzare e/o mettervi in contatto con qualcuno che vi porti tra questi minuscoli atolli vulcanici pieni di vegetazione.
Nuvole di moschitos, si alzano in volo e anche se sono disturbati dal vento che soffia sulla sponda del lago, qualche puntura la sento ! Meglio ritornare verso l’interno : così percorriamo di nuovo “Calle la Calzada” e ritorniamo al parco, prendendo posto ai tavolini di un chiosco, dove un bel refrescos non è per nulla male.
Di fronte a me due lucida scarpe, con la loro scatola e postazione : questa è ancora un’attività in Nicaragua e diverse persone ne approfittano !Riprendiamo il nostro cammino ritornando all’interno lungo la strada a destra del parco, sulla quale si trova l’Hotel Colonial, bello ed elegante e subito dopo, all’angolo con “Calle Atravezada”, l’ufficio postale.
Seguiamo a destra “Calle Atravezada” e dopo poco, sul lato sinistro siamo attratti da un simpatico bar : il “Flamingo”, dove ci sediamo nuovamente.
La coppia nica di fianco al nostro tavolo ordina da mangiare un piatto dall’aspetto veramente interessante. Chiediamo cosa sia : un piatto nazionale nicaraguense a base di carne, molto abbondante… A cucinarlo però, non è il bar, ma il ristorante di fronte : “El Colonial”. Non abbiamo dubbi : questa sera si cena qui !
Torniamo all’Hospedaje Cocibolca, dove ritroviamo Fabrizio e Serena e ci diamo appuntamento per la cena.
L’idea è quella di farsi una bella doccia : unico problema, manca l’acqua ! Fortunatamente è un inconveniente momentaneo e dopo mezz’oretta riusciamo nel nostro intento…
Mentre aspettiamo i nostri nuovi amici, prendiamo un aperitivo nel locale di fronte al “Cocibolca” : il jazz bar “El Matchico”, un locale molto carino, arredato con intelligente ingegnosità !
Quando scorgiamo Fabrizio e Serena sulla porta del “Cocibolca”, attraversiamo la strada e una volta che a noi si unisce anche Marcus, ragazzo inglese che hanno conosciuto durante la giornata, siamo pronti per la cena.
Raggiungiamo il ristorante “El Colonial” e ordiniamo tre piatti nazionali nicaraguensi. Purtroppo “el sabor” non si rivela all’altezza dell’entusiasmo che il colpo d’occhio ci aveva generato !
Il piatto si rivela infatti, un’accozzaglia di pezzetti di carne fritti, accompagnati da crema di fagioli e insalata…
Niente di trascendentale…, ma in compagnia e con l’aiuto di quattro bottiglie di Toña da litro, la cena passa in secondo piano e trascorriamo comunque una bella serata.

14 Gennaio 2003 – Volcan Masaya, Masaya, Santa Catarina, laguna d’Apoyo.
Ci alziamo prestissimo, visto che la giornata ha un programma molto ricco, che inizia con la visita del Parco Nazionale del Vulcano Masaya.
Per raggiungerlo da Granada, dobbiamo prendere il bus per Managua e scendere lungo la strada, all’entrata del parco.
Come prima cosa ci rechiamo a piedi al terminal dei bus per Managua, che si trova dalla parte opposta della città : 5 cuadre oltre il parco e tre a destra.
Per arrivarci ci impieghiamo una ventina di minuti e fortunatamente troviamo un bus in partenza.
Costo del biglietto sino all’entrata del Parco Nazionale del Vulcano Masaya”, 7 C$ e circa un’ora di viaggio.
Il bus ci lascia proprio di fronte all’entrata : attraversiamo la strada e paghiamo il biglietto di ingresso, che per i turisti è di 60 C$. Con noi entrano altri due italiani, padre e figlia, che ci accompagneranno per l’intera escursione.
La ragazza è in vacanza; è infatti venuta a trovare il padre, che si è stabilito qui da 8 mesi, aprendo una finca, “Lo Zopilote”, sull’isola di Ometepe ! La cosa ci interessa molto, visto che dovremo andare sull’isola e prendiamo tutte le informazioni necessarie per poterne usufruire se si presenterà l’occasione.
Con la loro compagnia, i 5 Km. di strada sino al cratere del Nindiri, sono meno lunghi e faticosi di quello che potrebbero sembrare…
La strada per raggiungere il cratere è completamente asfaltata e si snoda tra la colata lavica del lontano 1772, in un paesaggio lunare, scenograficamente straordinario.
L’ultimo terzo di strada è un pò più ripido dei precedenti due terzi, ma sull’onda dell’entusiasmo arriviamo al “mirador” : la strada si allarga in un piazzale, la “Plaza de Oviedo” (in onore del primo straniero che scoprì ed esplorò il complesso vulcanico), che termina con un parapetto di pietra, oltre il quale, sul fondo si vede il cratere del Nindiri, fumante, visto che è attivo !
Un cartello recita di prestare molta attenzione, ricordando che il vulcano è attivo e può esalare fumi tossici e mortali !
L’odore di zolfo è forte ed acre, il calore percettibile. Lo spettacolo che la natura ci offre irripetibile.
Sulla destra, alla fine di una lunga scalinata, una croce di legno, posta sulla sommità di un’altura, si staglia nel cielo.
Seguiamo il sentiero sulla sinistra, che porta ad un’altro mirador, posto più in alto; anche da qui la vista è spettacolare ! Proviamo a scendere lungo la strada per raggiungere il ciglio opposto del cratere, ma veniamo repentinamente fermati dalle guardie del parco : non è possibile andarci !
A malincuore risaliamo e dopo una sosta sul vicino cratere San Fernando, ormai ricoperto dalla vegetazione, visto che è inattivo da oltre 200 anni, prendiamo la strada del ritorno.
Il sole ora è forte e non aver portato l’abbronzante, mi costerà una quasi scottatura di braccia, gambe e collo : meno male che il fido cappellino è sempre con me !
La discesa sembra molto più lunga della salita, forse perché ci fermiamo al centro informativo dei visitatori, dove è allestito una sorta di museo che mostra la storia del vulcano e la flora, fauna e geologia che caratterizza il parco.
Non è nulla di particolare, anzi serve solo come pausa durante la discesa, visto che i plastici in cartapesta, mi ricordano molto i lavori che facevo alle medie !
Poche altre centinaia di metri e siamo finalmente all’uscita ! Ci sistemiamo sulla strada e aspettiamo il primo bus per Masaya.
Saliamo sul primo che passa, ma sfortunatamente, non è diretto a Masaya, ma è solo “de paso” : ciò significa che ci lascerà all’incrocio con la strada che porta a Masaya per 2 C$, dove dovremmo prendere un’altro bus !
In dieci minuti siamo all’incrocio, altrettanti per aspettare e prendere il bus per Masaya (3 C$) e qualcuno meno per raggiungere il terminal.
Alle spalle del terminal si sviluppa il nuovo mercato cittadino, diviso in zone : alimentari, artigianato, abbigliamento.
E’ una città nella città, un dedalo di vicoli tra le varie bancherelle dove perdersi e perdere l’orientamento non è affatto così difficile.
Una vera e propria attrazione, da non lasciarsi scappare ! Passiamo qualche ora al suo interno, acquistando diversi oggetti di artigianato : caratteristici sono soprattutto i piccoli oggetti di legno, pietra e i dipinti a olio.
Non meno particolare e interessante è l’occasione di parlare con la gente, sempre gentile e ben disposta, mai pressante e insistente nel tentativo di vendervi qualcosa, ma amabile, come tutto il Nicaragua appare agli occhi del viaggiatore…
Dopo aver completato gli acquisti, riemergiamo dal dedalo vi vicoli del mercato e andiamo a prendere il bus per Santa Catarina, dove dal suo mirador è possibile vedere la Laguna di Apoyo.
La buseta è ferma al suo posto e parte solo dopo un quarto d’ora, durante il quale assisto divertito al consueto alternarsi di venditori di ogni genere di cose…, dal refrescos, al cibo, alle tovaglie…
Particolarmente simpatica una coppia di bambini che vende caramelle, poste dentro una bacinella di plastica arancione. Due occhi enormi e dolci mi fissano e mi chiedono di acquistare qual cosa : il cuore non regge e anche se non prendo nulla, gli regalo due pesos…
L’autista, che dorme appoggiato al volante, si desta come se svegliato da un orologio biologico puntato sull’ora della partenza, accende il mezzo e si parte.
Una decina di minuti e 3 C$ per raggiungere Santa Catarina, posta sul colle a ridosso di Masaya.
Scendiamo all’incrocio, attraversiamo la strada, poche decine di metri e imbocchiamo la via principale del paese : impossibile sbagliare, ad aiutarvi come punto di riferimento, ci sono le moto-carrozzelle, che fungono da taxi e se questo non bastasse, seguite le indicazioni per un fantomatico “Las Vegas”, che in seguito scoprirò essere una sala giochi dotata di slot-machine !
Cominciamo a salire seguendo la strada che percorre tutta Santa Catarina; il paesino è caratteristico e ricco di negozi che offrono oggetti di artigianato. Proseguiamo sempre dritto di fronte a noi, superiamo la chiesa, quindi altre due quadre e giungiamo al “mirador”. Qui si paga un biglietto di ingresso di 1 C$ per accedere al giardino, da cui si domina l’intera Laguna di Apoyo, un vasto bacino di acqua azzurra, formatosi all’interno di un antico cratere.
La vista è mozzafiato, bella e particolare : c’è un vento fortissimo, il cielo è terso il suo azzurro pastello contrasta con quello più profondo della laguna. Sullo sfondo, sfocata, all’orizzonte, Granata, di cui si riconosce la cattedrale.
Restiamo pochi minuti, qualche foto e un lungo sguardo contemplativo, quindi ritorniamo indietro, ripercorrendo a ritroso il nostro cammino.
Ritornati sulla strada principale, ci appostiamo sul ciglio e attendiamo il bus che ci riporti a Masaya : non tarda e così in men che non si dica, siamo di nuovo al terminal, da dove eravamo partiti !
Abbiamo ancora del tempo, quindi convinco Michele ad andare a vedere il vecchio mercato dell’artisaneria, pezzo forte di Masaya, le cui foto ho visto su internet : per raggiungerlo basta fare una piccola passeggiata di dieci minuti, con la quale si scopre anche un po’ della città.
Usciti dal piazzale sterrato del terminal, costeggiamo, tenendolo sulla sinistra, il mercato nuovo, quindi superiamo il ponte che ci si trova di fronte e proseguire diritto per 3 quadre : all’improvviso, le mura del vecchio mercato dell’artisaneria, mi appaiono sulla destra.
Purtroppo questo è solo quello che resta del famoso mercato…; al suo interno infatti adesso trovano posto i negozi che vendono le stesse identiche cose che si possono trovare al mercato nuovo, ma a un prezzo molto più alto.
E’ stato trasformato in uno specchio per allodole, dove attrarre i turisti… impossibile anche tentare di tirare sul prezzo…, sono irremovibili, a differenza del nuovo mercato…
Tuttavia la sua struttura esterna, di vecchia fortezza, ha mantenuto immutato il proprio fascino, anche se all’entrata un cartellone coloratissimo, che stona come un trombone in una sinfonia di violini, ne altera un po’ il fascino. Diciamo che se si ha tempo, merita la visita, se non altro per vedere anche un po’ di Masaya…
Ritorniamo al terminal e troviamo in partenza un bus per Granata, sul quale saliamo al volo : 5 C$ e 40 minuti di viaggio ed eccoci di ritorno nella “gran sultana” !
Scendiamo prima del terminal e ripercorriamo “Calle Xalteva” per raggiungere una fabbrica di sigari, dove comprarne qualcuno per l’amico Max.
Superiamo la chiesa che da il nome alla strada e subito dopo sulla destra ritroviamo il negozio che avevamo visto il giorno prima : “Doña Elba Cigar”, una sorta di fabbrica familiare, dove oltre a produrre, vendono i sigari.
Ce ne sono di diversi tipi e se ne possono acquistare un numero a piacere : non è infatti necessario comprare la scatola, ma se ne possono chiedere anche un numero inferiore, che vengono confezionati a parte.
Il costo sembra buono : 20 sigari “robustos” costano, 200 C$, mentre una confezione di 5 sigarillos, 50 C$. Una “hacienda familiar” ed un servizio ottimo, consigliato a chi interessa.
Tornando verso il “Cocibolca”, ci fermiamo al supermercato (sulla destra, subito prima di incrociare “Calle du Commercio”, a una quadra dal parco) e facciamo un po’ di spesa per la nostra cena : ananas, ron “Flor de Caña” 5 años, coca, salumi…
Comunque si trova di tutto, compresa la pasta, anche se è un pò cara ! Per il resto invece, i prezzi sono Nica…
Il pane lo acquistiamo invece lungo la strada, ad una bancherella : un filone da un chilo, 8 C$ !
In serata, dopo aver consumato la nostra cena al Cocibolca, usciamo a fare un giro per Granata, raggiungendo il parco, quindi avendo ancora un languorino, ci fermiamo alla “Pizzeria Don Luca”, che si trova di fronte al “Cocibolca” e ci facciamo una pizza !
Il locale è gestito da un italiano, che viveva e lavorava a Bien in Svizzera e che ora si è trasferito qui. La pizza non è malvagia e viene offerta in tre dimensioni : la più grande, che basta per due, costa 57 C$.
Finalmente sazi, prendiamo un po’ di fresco sul marciapiede dondolandoci sulle “abueljte” del “Cocibolca”, quindi in branda.

15 Gennaio 2003 – Ometepe.
Sveglia prestissimo per raggiungere Rivas e quindi spostarci sull’isola di Ometepe. Alle 07.00 siamo già in cammino verso il terminal e nel parco, ritroviamo i due italiani che ci hanno accompagnato nell’escursione sul vulcano Masaya.
Un saluto veloce, quindi percorriamo “Calle du Commercio”, mentre i vari negozi stanno aprendo i battenti e arriviamo al terminal, dove due giorni prima siamo giunti.
Il bus per Rivas, però, deve ancora arrivare e partirà solo alle 08.00 ! 
Fortunatamente è puntuale e alle 08.00 lasciamo Granata alla volta di Rivas : costo del viaggio 13 C$, durata circa un’ora e mezza, tra fermate per far salire e scendere gente, venditori e predicatori…
Giunti al terminal di Rivas, è necessario prendere un taxi, per raggiungere San Jorge, il porto da cui partono i ferry e le lance per Ometepe.
Appena scesi veniamo assaliti da un’orda di taxisti, che tentano di accaparrarsi il cliente; i prezzi chiesti sono i più disparati, sino a 20 C$ a persona ! Non farsi prendere dalla fretta è indispensabile per evitare fregature… Il prezzo giusto per la corsa infatti è di 30 C$ in totale !!!
Recuperiamo lo zaino dal tetto del bus, ci riuniamo con un altro ragazzo italiano e due tedeschi e prendiamo un solo taxi per 30 C$, ovvero 6 C$ a testa !
Dal terminal a san Jorge il tragitto è breve : circa 5 minuti e il taxi ci scarica proprio all’ingresso del molo.
Qui a sinistra dell’entrata c’è la biglietteria, dove poter fare il biglietto per il Ferry, ma non farlo non comporta alcun pericolo o svantaggio : si paga direttamente sulla barca ! Costo : 20 C$.
Dal molo si scorge tra la foschia la sagoma dell’isola di Ometepe, la più grande isola lacustre al mondo.
Impressionanti i due vulcani che la compongono : il Conception e il Maderas. Imponenti e massicci, coperti di vegetazione, con un ciuffo di nuvole a coprirgli la vetta. Il lago invece sembra un vero e proprio mare, con onde robuste e alte, alimentate dal forte vento.
La traversata dura circa un’ora e il ferry balla parecchio sotto la spinta delle onde nel primo tratto : meno male che non soffro il mal di mare (o meglio sarebbe dire di lago…!). Anzi il dondolio, mi concilia il sonno, così mi faccio una bella dormita, destandomi giusto in tempo per vedere l’attracco !
Di fronte a noi, superbo il vulcano Concepcion, ci accoglie a Moyagalpa.
Appena scesi bisogna destreggiarsi tra i taxista che cercano di accaparrarsi un cliente di giornata, quindi fatti circa una trentina di metri, sulla destra, si trova il bus per Altagracia.
Prendiamo posto, insieme a molte persone che hanno fatto la traversata con noi e rincontriamo Marcus, il ragazzo inglese conosciuto a Granata, che si unisce a noi.
Lo spostamento in termini di spazio è modesto; solo 17 chilometri separano, infatti, Moyagalpa da Altagracia. In termini di tempo invece, incredibilmente lungo : circa un’ora, a causa del pessimo stato delle strade, che oltre ad essere sterrate e strette, sono anche piene di buche… Il bus poi non è dei più recenti e arranca a fatica per tutto il percorso. Costo : 9 C$.
Altagracia è un piccolo paesino, che si sviluppa esclusivamente ai lati della strada che lo attraversa. 
Appena scesi, non fatichiamo affatto a individuare l’Hotel Castillo, che si trova nella prima traversa verso l’interno, subito dopo l’inizio dell’abitato. L’Hotel è carino, pulito e ben tenuto : a prima vista mi fa subito una bella impressione.
Chiediamo una stanza da tre posti e quella che ci propongono non è affatto male : spaziosa, letti comodi, bagno grande, con doccia e acqua corrente, anche se solo fredda. Costo : 70 C$ a testa (ovvero, la tripla per 210 C$).
Ci sistemiamo, una bella doccia, quindi usufruiamo subito della cucina dell’hotel, che si rivela buona e a buon mercato : per un bel “pescado” con riso, fagioli e tostones , spendo solo 27 C$ !
Tutto viene segnato sul numero della camera, quindi si salda il conto alla partenza. Scriversi cosa si è consumato è buona norma, anche se i Nica sono persone estremamente corrette e oneste; un errore però possono farlo tutti…
L’hotel dispone anche di internet e sono presenti due PC, dai quali ci si può connettere. Il costo però, è un tantino alto : 75 C$ l’ora, ma la connessione è veloce ed efficiente.
Dopo pranzo usciamo alla scoperta di Altagracia. Percorriamo la strada principale verso sinistra, superiamo il “Comedor Buen Gusto”, segnalato sulla nostra guida, quindi raggiungiamo la piazza.
Di fronte c’è la chiesa con un piccolo giardino antistante, nel quale sono poste diverse statue di pietra, molto particolari.
Tuttavia la cosa che mi balza più agli occhi sono i maiali, che beatamente se ne stanno al pascolo nel giardino !
Imbocchiamo la strada adiacente al giardino e ci dirigiamo verso il lago. Camminiamo per circa venti minuti, immersi nelle piantagioni di platano e banane, con il Concepcion, che ci controlla le spalle, incontrando ogni tanto la casa di qualche famiglia di contadini, che incuriositi ci osservano e ci sorridono, rispondendo garbatamente al nostro amichevole “Hola !”.
Arriviamo sino alle sponde del lago, in quella che è Playa Angul. Il Cocobolca sembra nero, da quanto è scura l’acqua, a causa del colore della sabbia del fondale, che essendo vulcanica è molto scura…
Il vento agita le acque, le onde si inseguono di continuo, le sponde sono un tripudio di verde, per la vegetazione rigogliosa.
La piccola insenatura è soprattutto rocciosa e poco distante scorgo due ragazze che fanno il bucato : la cosa più normale al mondo, sapone, olio di gomiti, qualche sbattuta sulle rocce e risciacquo…, altro che lavatrice !
Ritorniamo sui nostri passi e prendiamo un altro sentiero, che si inoltra tra i platani.
Qui ci sono più abitazioni e suscitiamo l’interesse soprattutto dei bambini : occhi grandi, profondi, sguardo furbo, sorriso contagioso e aperto. A tutti un “buenas” e da tutti una risposta !
La seconda spiaggia è molto più ampia, una mezza luna completa, di sabbia fine, quasi nera.
Sulla strada del ritorno abbiamo di fronte il Concepcion : alto, lussureggiante, maestoso e sormontato da un cappello di nuvole che ne avvolge solo la cima, quasi fosse panna montata su un’enorme gelato. Uno spettacolo !
Ritorniamo al “Castillo” e mentre attendiamo che arrivi l’ora di cena, scrivendo le impressioni di giornata, incontriamo e conosciamo, una persona che in realtà conoscevamo gia da diversi mesi via internet : la mitica Enrica di Roma, con la quale ci siamo scambiati moltissime informazioni e sensazioni su questo viaggio.
Sapevamo che c’era la possibilità di incontrarsi, ma non avendo programmato nulla, ritrovarsi sull’affascinate isola di Ometepe è una fatalità straordinaria.
Siamo contenti : la cena nicaraguese che ci eravamo ripromessi la consumeremo davvero !
Presentazioni di rito, anche se mi sembra di conoscerla da una vita… e primo contatto con i suoi compagni di viaggio : Claudia e Nello, persone simpaticissime e particolari, la cui conoscenza renderà questa esperienza straordinaria.
Prima di soddisfare lo stomaco, ci accordiamo, grazie all’intermediazione dell’hotel, con Silvio, la guida che domani ci accompagnerà nell’escursione sul vulcano Maderas. Trattiamo sul prezzo, coinvolgiamo nell’escursione Enrica, Claudia e Nello e alla fine ci accordiamo per 60 C$ ciascuno (siamo in 7), più 25 C$ per il pranzo al sacco che ci preparerà l’hotel.
– A posteriori posso candidamente dire che della guida potevamo fare tranquillamente a meno, non perché non sia preparata, ma solo per il fatto che è un’escursione che si può tranquillamente organizzarsi e fare da soli ! Basta prendere il bus per Balgüe, andare all’Hacienda Magdalena, da dove parte il sentiero, quindi seguirlo da soli, oppure aspettare che parta un gruppo con la guida e accodarsi a poca distanza e il gioco è fatto ! –
Finalmente si va a mangiare, mentre lo stomaco comincia a borbottare… Cena al “Comedor El Buen Gusto” insieme a Marcus e Roberto, altro ragazzo di Torino che ha raggiunto l’isola questa mattina con noi, Enrica, Claudia e Nello.
Il comedor, si rivela ottimo per il cibo, come la guida suggeriva, e con prezzi economici : un pescado intero con riso e tostones e una Tona, 45 C$ !!!
L’aperitivo lo offro io : una bella bottiglia di ron “Flor de Cana” invecchiato 5 anni, comprato a Granata la sera prima, che svanisce velocemente…
Soddisfatto lo stomaco, via tutti in branda, senza dimenticarsi di ritirare il pranzo al sacco dalla cucina dell’hotel !
Il contenuto mi sembra soddisfacente per i 25 C$ che ci costa : due panini dolci, tre uova sode, un pomodoro, un pezzo di formaggio di capra, aranci e una banana.

16 Gennaio 2003 – Volcan Maderas, Playa Santo Domingo.
Sveglia prestissimo, alle 04.00 visto che dobbiamo prendere il bus per Balgüe, che parte dalla piazza alle 04.15.
Silvio ci aspetta nel giardino dell’hotel e una volta riuniti i partecipanti, raggiungiamo la piazza e saliamo sul nostro bus, che parte in orario.
E’ ancora notte, la strada dissestata e sterrata rende il tragitto lento e faticoso per il vecchio mezzo, che arranca fendendo il buio con la luce dei fari.
Impieghiamo circa 45 minuti per arrivare a Balgüe : costo 8 C$. E’ ancora buio e raggiungiamo l’Hacienda Magdalena, seguendo il sentiero di 1 chilometro che parte proprio dove l’autista ci fa scendere.
Quando arriviamo sta albeggiando e ci sediamo sui tavolini, sotto il pergolato, aspettando che venga giorno.
L’alba illumina l’Hacienda e i nostri volti, da cui traspare la fatica dell’alzataccia. 
Il brusio delle nostre parole rompe la tranquillità del luogo e cominciano a comparire anche i campesisnos, che lavorano all’Hacienda e gli ospiti che vi sono ospiti; qui infatti si può anche dormire e si hanno tre scelte : amaca, camera, dormitorio comune. 
E’ un luogo molto caratteristico e particolare, ma ha l’inconveniente di essere un pò isolato e poco collegato con Altagracia e Moyagalpa.
Altra possibilità di dormire è data dalla “Finca Zopilote”, poco distante, aperta recentemente da un italiano, che si è stabilito sull’isola. Offre, amache, dormitorio e bungalow, uso della cucina e chiaramente…, compagnia italiana !
Si fa definitivamente giorno e non può passare inosservata la tenuta da escursione che sfodera Claudia : pantalone color sabbia corto, appena sotto il ginocchio, scarpe da tennis in tinta e magliettina nera. E’ tutta intenta a cercare di ripulire dai pantaloni una minuscola macchia che una goccia di cafè ha inavvertitamente provocato… Non sa ancora cosa ci aspetta !
Finalmente si parte per l’escursione. Prima pero bisogna pagare l’eventuale colazione consumata e l’accesso al sentiero, che costa 20 C$ (cosa, quest’ultima, incomprensibile ! Comunque vi segnalo che l’italiano che gestisce la Finca Zopilote, ci aveva confidato, durante l’escursione al Volcan Masaya, che facemmo insieme, la sua intenzione di aprire un sentiero gratuito che partendo dalla sua finca, si ricollegasse al sentiero principale, evitando quindi di pagare l’Hacienda ! Ci sarà riuscito ? A voi scoprirlo e, nel caso, farmelo e farlo sapere a tutti…).
Cominciamo a salire lungo il sentiero seguendo Silvio, anche se non sarebbe affatto necessario; il cammino infatti è ben segnato e battuto e non si può sbagliare.
La prima parte è quasi pianeggiante, immersa nelle piantagioni di platani dell’Hacienda e asciutta. Si vedono facilmente le scimmie sulle cime degli alberi e l’urraca, uccello tipico dell’isola dal piumaggio azzurro intenso e con un simpatico ciuffetto sul capo.
Il sentiero si snoda per 5 chilometri totali, prima di raggiungere la cima, ma la distanza non è affatto il problema principale. Man mano che saliamo, la strada si fa più irta e pendente, la vegetazione cresce, l’umidità aumenta.
Si cammina tra le nuvole che ricoprono il vulcano per due terzi della sua altezza e il fango e l’acqua cominciano a fare capolino sotto i nostri piedi. Le scarpe da trekking sarebbero l’ideale, ma anche con quelle da tennis, se non hanno suola liscia ce la si può fare…
Schizzi di fango ci segnano scarpe, gambe e vestiti : e pensare che Claudia si preoccupava della macchietta di cafè…
Al chilometro 2,5 c’è il mirador. Ci arriviamo faticando e non vediamo praticamente nulla : solo il grigio delle nuvole che ci avvolgono !
Enrica, Claudia, Nello e Roberto decidono di tornare indietro accompagnati da Silvio, che si è guadagnato cosi i suoi soldi senza fare praticamente nulla o comunque senza portare a termine il suo lavoro… Io, Michele e Marcus invece, continuiamo da soli l’ascesa.
Se fino a qui la marcia poteva sembrare faticosa, quello che viene e ci aspetta dopo lo sarà ancora di più…
Il sentiero si riempie praticamente di fango a causa dell’acqua che scende dalla cima e ben presto mi ritrovo ad arrancare sprofondando in alcuni punti sino quasi al ginocchio…
E più saliamo, più la situazione peggiora… Arriviamo sino al chilometro 4, bagnati completamente, con scarpe e gambe del colore marroncino chiaro del fango e scivolando ripetutamente. E siamo ancora in mezzo alle nuvole…
Visto che la situazione del tempo non migliora e manca ancora un’ora alla vetta, io e Michele decidiamo che ci può bastare e torniamo indietro : il solo Marcus, continua da solo nell’impresa !
La discesa è ancora più problematica della salita… Se affondare nel fango durante l’ascesa era faticoso e laborioso, evitare di scivolare su radici, foglie e sassi durante la discesa è un’impresa titanica e impossibile, che non riusciamo a portare a termine…
Scivolo diverse volte e solo riflessi e fortuna mi evitano di ritrovarmi anche con qualcos’altro, oltre le scarpe, nel fango !
Lentamente raggiungiamo il mirador, che è ancora coperto dalle nuvole e dopo una breve sosta, riprendiamo la via del ritorno.
Da qui il sentiero migliora sempre più rapidamente e senza neanche accorgerci usciamo dalle nuvole e ci ritroviamo a camminare con i raggi del sole che filtrano dalla boscaglia.
L’ultimo tratto, prima di giungere all’Hacianda Magdalena è il più bello : moltissime “urraca” volano da pianta a pianta e con il loro colore azzurro intenso mitigano la nostra delusione per un escursione mancata, che col senno di poi, non valeva la pena fare.
All’Hacienda ritroviamo i nostri quattro compagni di giornata, in comodo relax sulle amache.
Mi ripulisco con l’acqua dal fango che mi ricopre le gambe; le calze le butto senza neanche provare a fare qualcosa per “salvarle”, le scarpe invece le ripulisco con cura : mi devono accompagnare per altri 12 giorni !
Verso le 13.00 lasciamo l’Hacienda Magdalena e ritorniamo sulla strada principale, da dove alle 13.30 parte il bus, che prendiamo al volo.
Io, Michele, Roberto e Silvio scendiamo a Playa Santo Domingo, la più bella dell’isola. Enrica, Claudia e Nello, che l’hanno vista ieri, proseguono invece per la “laguna del charco verde”.
Scendiamo di fronte l’hotel “Finca Santo Domingo”, costruito praticamente sulla sabbia della spiaggia, che è davvero particolare. Lunga, di sabbia bianca, sullo sfondo il Maderas con la cima ricoperta dalle nuvole : l’impatto visivo è veramente caratteristico e bello.
Sul lago dall’acqua scura, le onde si inseguono regolarmente e visto che è acqua dolce ne approfitto per fare un bel bagno…
Quindi prendiamo posto sulla veranda vista lago dell’hotel e sorseggiamo qualche Toña, aspettando le 16.30, ora in cui passerà il bus per Altagracia.
Verso quell’ora ci sistemiamo sulla strada, ma invece del bus, prendiamo, grazie all’aiuto di Silvio, un pick-up, che ci porta velocemente proprio davanti al nostro hotel ad Altagracia : costo del passaggio 5 C$ a testa.
Finalmente una doccia vera, che mi ripulisce definitivamente dal fango ocra del Maderas.
Mentre sto per uscire dalla camera ecco arrivare Marcus, l’unico di noi ad aver raggiunto la vetta ! Gli chiedo com’erà, mi risponde che non si vedeva niente, era in mezzo alle nuvole e la vegetazione era così fitta e alta che anche se fosse stato limpido non si sarebbe comunque vista la laguna nel cratere del vulcano ! Grande idea essersi fermati, allora !
Non del tutto, dato che al ritorno, al mirador, le nuvole si erano dissipate e la vista era fantastica…
Uso internet : veloce anche se un pò caro (75 C$ all’ora), ma tanto non c’è scelta…
Tutti insieme, decidiamo di cenare al Castillo e la cena si rivela buona come il pranzo del giorno precedente.
Concludiamo la serata sorseggiando il mitico Flor de Caña, che questa volta offre la mitica Doña Enrica : strano come mi sembra di conoscere da una vita queste persone straordinarie che ho conosciuto realmente solo ieri…
A fine serata, tristi i saluti : domani ci divideremo dai nostri nuovi amici…, così presto, ma inevitabilmente; i nostri itinerari sono diversi, ma forse ci ritroveremo a San Juan del Sur a fine mese…

17 Gennaio 2003 – Corn Island Pequeña.
Sveglia nuovamente nel cuore della notte, alle 03.50, per poter prendere il primo bus per Moyagalpa, che parte dal parco alle 04.15.
Molte sono le persone che lo affollano e lungo il tragitto salgono sul bus. Molti i bambini, con secchi di frutta più pesanti di loro, che vanno a “lavorare” al porto, cercando di vendere qualcuno dei loro frutti ai turisti in arrivo. Immagine triste e dura da vedere : un infanzia forse rubata…
In circa un’ora e un quarto e spendendo 9 C$ arriviamo al porto; albeggia e non facciamo a tempo a scendere dal bus, che subito veniamo indirizzati di gran fretta verso la prima lancia in partenza.
Costo della lancia, 15 C$ (5 C$ in meno del ferry…) e un’ora di traversata, molto meno movimentata dell’andata. Dormo per quasi tutto il tempo e mi desto solo all’attracco.
Scendiamo e ci dirigiamo verso l’uscita del porto di San Jorge. Superiamo i taxisti che offrono i loro passaggi per Rivas, Peñas Blanca e San Juan del Sur e dopo poche decine di metri troviamo ad attenderci l’espresso per Managua : tutto molto organizzato e interconnesso !!!
Alle 06.45 lasciamo San Jorge; un ultimo sguardo all’affascinante isola di Ometepe e via verso la capitale. Costo del viaggio, 30 C$; tempo per compierlo circa due ore, quasi tutte dormite !
Mi sveglio definitivamente nella periferia di Managua, prima di arrivare al terminal.
Sono quasi le dieci : e noi che pensavamo di non riuscire a prendere il volo delle 14.00 !
Appena scesi dal bus lasciamo il terminal, attraversiamo la strada principale e imbocchiamo una parallela di quest’ultima per cercare un posto dove fare colazione.
Troviamo un comedor familiare, gestito da Sandra, una simpatica e gentile signora di mezza età, che ci racconta di essere molto famosa e conosciuta in zona perchè in precedenza aveva un locale molto più grande, che è stata costretta chiudere e soltanto da poco è tornata in affari.
Ordiniamo un gallo pinto con tortillas e cafè negro che si rivela buono e abbondante, il tutto per 35 C$.
Lasciamo scorrere il tempo mangiando tranquillamente, poi verso le 12.00, ci avviamo all’aeroporto, per prendere il volo pomeridiano per Corn Island.
Usciti dal comedor, fermiamo il primo taxi e chiediamo quanto vuole per portarci all’aeroporto : 50 C$ a testa. Troppo, ci sta provando…, rifiutiamo e il prezzo scende a 20 C$ a testa… Non siamo ancora contenti, quindi è lui a chiederci quanto siamo disposti a spendere : 15 C$, la nostra offerta. Questa volta è troppo poco per lui che se ne va imprecando !
Ritorniamo sulla trafficata strada principale e fermiamo un’altro taxi : una vecchissima skoda gialla, molto mal ridotta. Nuova contrattazione : ci accordiamo per 15 C$ a testa, ovvero 45 C$ totali.
Zaini nel baule e si parte. I sedili del taxi sono sfondati, le portiere, mancano all’interno della rivestitura…, una vera e propria carretta, ma funziona e il taxista è un simpatico signore baffuto con il quale Michele parla per tutto il tragitto.
Dal quartiere la fuente all’aeroporto impieghiamo circa 20/25 minuti a causa soprattutto del traffico caotico della capitale.
Il taxi ci lascia all’entrata dell’aeroporto e ci scuce anche 5 C$ di mancia…
Appena superato il cancello, abbiamo di fronte gli uffici di due delle tre compagnie aeree nazionali che volano a corn Island : la “Costeña” e la “Atlantic Airlines”.
Subito veniamo accalappiati dai loro procacciatori di clienti, che nella migliore filosofia della concorrenza di mercato cominciano a offrirci il passaggio aereo al prezzo che pubblicizzano come il migliore…
Ascoltiamo attentamente, quindi scegliamo la “Atlantic Airlines”, per un solo motivo : il biglietto andata e ritorno costa 85 $, ben 10 $ in meno del prezzo della “Costeña” !
Facciamo il biglietto, check-in e accediamo alla sala di attesa, dopo aver pagato 23 C$ di tassa aeroportuale nazionale.
Il biglietto è emesso per andata e ritorno sul giorno desiderato, ma è di fatto aperto; se si desidera restare più tempo, si è liberi di farlo, basta avvisare la compagnia e confermare sempre il volo di ritorno almeno un giorno prima.
La partenza è fissata per le 14.00, così ne approfitto per raggiungere il terminal internazionale e andare al punto internet per comunicare con casa.
Compro anche una scheda telefonica da 100 C$ e chiamo dalla sala d’aspetto prima di imbarcarmi, riuscendo a parlare per poco più di 3 minuti.
Alle 14.15 decolliamo con un bi-elica da 18 posti alla volta di Corn Island. Il cielo è un pò nuvoloso ma dall’alto si vede bene il lago di Managua, di un bruttissimo e innaturale colore marrone e lungo tutta la traversata verso oriente la rigogliosa natura che contraddistingue il cuore del Nicaragua.
Dopo un’ora di volo atterriamo a Bluefields, sulla costa Atlantica, per poi ripartire dopo una ventina di minuti.
La costa è selvaggia e l’oceano atlantico si infrange contro El Bluff. Altri venti minuti di volo in mare aperto ed eccoci a Corn Island grande.
L’aeroporto è una stretta striscia di asfalto, che si sviluppa di fianco alla strada che porta a Pick Nick Beach, la spiaggia più bella dell’isola grande.
Scendiamo ed usciamo dal cancello metallico, che interrompe la recinzione che delimita la pista. Dalla parte opposta della strada, c’è l’ufficio della “Costeña”, mentre quello dell’Atlantic Airlines” è dietro l’angolo a sinistra, seguendo la strada che porta al porto.
Recuperiamo lo zaino e proseguiamo a piedi verso il porto : poche centinaia di metri e siamo a destinazione.
Per accedere paghiamo una tassa portuale di 3 C$, quindi appena entrati si prosegue dritto per una ventina di metri e sulla destra si trova la lancia per Corn Island Pequeña.
Chiamarla lancia è un pò limitativo, visto che è dotata di due motori da 75 CV, che le consentono in circa mezz’ora di solcare il tratto di oceano che separa l’isola Grande dalla Pequeña !
Gli zaini vengono stivati a prua, mentre prendo posto al centro della lancia. Mi viene dato il giubbotto di salvataggio, che però non indosso, ma utilizzo (come vedo fare agli altri…) come cuscino. 
Questa scelta rivelerà la sua utilità solo più tardi, durante la traversata; la lancia infatti rimbalza sullo specchio d’acqua e il giubbotto attutisce i colpi preservando il fondoschiena !
Costo del passaggio : 70 C$, da corrispondere prima di scendere all’ormeggio di Corn Island Pequeña.
Solo quando tutti gli occupanti hanno pagato, la lancia approda sulla spiaggia, di fronte al “Diving Center” e sbarchiamo.
E’ quasi il tramonto, il cielo è rosso sulla baia, il mare calmo, alcune barche sono all’ormeggio e sulla destra domina la collina su cui è posto il faro.
Il centro di Corn Island Pequeña si sviluppa lungo la baia, ai margini del marciapiede di cemento che la percorre interamente costeggiando la spiaggia.
Di fianco al Diving Center c’è il cartello che indica Casa Iguana, primo insediamento di bungalow dell’isola, gestito da una coppia di canadesi.
Nostro riferimento è l’hospedaje Bridgett, che si trova a un centinaio di metri sulla sinistra, superato il piccolo supermarket e la chiesa evangelica.
Chiediamo di vedere le stanze : spartane ed essenziali, con solo il letto, doccia e bagno esterni ed in comune. Non mi fanno una grande impressione, quindi decidiamo di cercare qualcosa d’altro prima di decidere
La più vicina é Casa Iguana : seguiamo il sentiero che partendo dal Diving center, porta all’interno, sino all’altra parte dell’isola, sulla cui spiaggia sono posizionati i quattro bungalow, che la costituiscono, ma purtroppo non c’è posto. Tutti prenotano via internet ed è difficile che ci siano sistemazioni libere.
Ritorniamo al Diving Center e andiamo verso sinistra : ormai si è fatto buio !
Superiamo il ristorante “Lobster Inn” e raggiungiamo l’Hotel Delphin”, costruzione nuova, di un “tremendo” colore rosa.
La struttura dispone di un ristorante con prezzi abbordabili e 8 casette a due piani, immerse in un giardino molto ben curato.
La tripla costa 35 $ a notte, ma la otteniamo per 30 $; ormai è buio e decidiamo di prenderla.
La stanza è molto bella, con veranda che da sul giardino, ma il bagno ha solo acqua fredda.
Dopo una doccia rigenerante torniamo da “Bridgett”, che ha anche un ristorante, di cui abbiamo sentito parlare bene.
La fama è meritata : mangio un ottimo pargo rojo, bevendo due Toña e spendendo 120 C$.

18 Gennaio 2003 – Corn Island Pequeña.
Sveglia verso le 09.00 e per prima cosa una scappata a “Casa Iguana”, che dispone di un collegamento internet satellitare (l’unico dell’isola), attraverso il quale Marcus comunica con casa.
Si può utilizzare solo tra le 09.30 e le 11.30 ed è caro : 15 minuti, 50 C$ ! Tuttavia la connessione è veloce e quindi il quarto d’ora a disposizione può essere sufficiente.
Sperimentiamo l’organizzazione di “Casa iguana” : in attesa che sia possibile connettersi, infatti veniamo invitati ad aspettare nella costruzione che funge da ritrovo per gli ospiti, dove è possibile ascoltare musica, leggere libri, prendere da mangiare e da bere e godersi la vista dalla veranda. Veramente un bel posticino.
Qui tra le guide consultabili, scoviamo quella della “Moon” sul Nicaragua, edizione Gennaio 2003 ! Incredibile : aggiornatissima e fatta molto bene !
Mentre aspettiamo che Marcus termini il suo quarto d’ora, conosciamo una simpatica coppia di Bologna : Egidio e Beba, che sono sistemati da Derick’s, dalla parte opposta dell’isola.
La descrizione che ne fanno ci incuriosisce, quindi appena Marcus finisce, seguiamo Egidio e Beba costeggiando tutta la spiaggia per vederlo con i nostri occhi.
La passeggiata, molto piacevole, mi mostra un’isola stupenda e soprattutto ancora selvaggia : alla “cast away” !
In circa 20 minuti giungiamo da Derick’s, un gruppo di 8 capanne costruite tra le palme a due passi dal mare. Le capanne sono per due persone, ma c’è anche il dormitorio, con 10 posti singoli. Il costo della capanna è di 14 $ al giorno, quello del dormitorio di 5 $.
Io e Michele ci sistemiamo nell’unica capanna libera, mentre Marcus prende posto in dormitorio.
A questo punto dobbiamo tornare a riprenderci gli zaini all’Hotel Delphin e visto che è disponibile, prendiamo la carriola, su cui li potremo trasportare più agevolmente.
Per tornare al “paese” seguiamo il sentiero, che taglia tutta l’isola; è ben segnato, pianeggiante e per percorrerlo ci si impiega circa una ventina di minuti.
Pagata la stanza, lasciamo l’hotel Delphin spingendo la carriola !
Visto che è ora di pranzo e siamo in paese, decidiamo di provare un nuovo ristorantino; superiamo “Bridgett” e a poche decine di metri, sulla destra troviamo il ristorante di Aries, che in precedenza era il “Patricia’s Place”.
Aspetto familiare e alla buona, con Aries, simpatica afro-nicaraguense, a prendere le ordinazioni e a cucinare.
Qui il piatto comune e tipico è l’aragosta, non c’è scelta ! Si può solo scegliere il modo in cui sia cucinata : con cipolle, all’aglio o al pomodoro.
Prendo quella all’aglio e dopo un quarto d’ora ecco arrivare il mio pranzo : due code di aragosta condite con salsa all’aglio con riso e tostones; da bere un dissetante e buonissimo refrescos al tamarindo. Costo del tutto : 100 C$ (di cui 85 C$ per l’aragosta).
L’aragosta è buonissima e abbondante; la taglio a piccoli pezzetti e la unisco al riso, creandomi un prelibato risotto.
Mentre mangiamo un acquazzone si abbatte sull’isola; meno male che abbiamo optato per il pranzo !
Appena spiove, riprendiamo la nostra carriola e raggiungiamo Derick’s, dove occupiamo immediatamente, la nostra capanna.
Letto matrimoniale, con materasso sottile, due sgabelli a fare da comodino con un paio di candele già consumate e sul lato destro un tavolino basso, ricavato con canne di bambù e una panca, ottimi per appoggiare zaino e tutte le nostre cose. Per terra, la sabbia : troppo bello e particolare !
La capanna è a misura d’uomo, con una finestra che aperta funge da piano d’appoggio e da cui si vede il mare a poche decine di metri.
I bagni sono solo due e in comune; si trovano dietro le capanne e sono costituiti da due gabinetti da campo, posti all’interno di due gabbiotti in legno, ricoperti di foglie secche di palma.
Cosa volere di più ? Un posto così non ha eguali per sensazioni e atmosfera…
Fuori dalla capanna e tutto intorno, un fitto prato di erba verde, le palme altissime e di fronte il mare azzurro, vivace e selvaggio.
Un bel bagno nell’azzurro, quindi due passi lungo la spiaggia, sino a raggiungere la poco lontana “Farm Peace and Love”, gestita da Paola, un’italiana, che ormai si è trasferita qui da anni.
Le sue sistemazioni sono un po’ più costose, come la cucina italiana che propone : quindi se avete nostalgia del cibo italico, preparate un po’ di dollari…
Ritorniamo alla nostra capanna e sperimentiamo la doccia. E’ una sola, in comune per tutti gli ospiti di Derick’s e si trova alle spalle del dormitorio.
E’ costituita da una sorta “gabbiotto” senza soffitto, fatto di foglie secche di palma, all’interno del quale in un ambiente fin troppo carino, che ricorda molto le composizioni orientali, con rocce, piante e conchiglie, c’è una pedana di legno, una rudimentale mensola dove appoggiare le cose e un enorme bidone blù di plastica, pieno di acqua dolce, che proviene da un tubo collegato al pozzo poco distante.
Sulla mensola un’utilissima bacinella, che consente di versarsi addosso l’acqua. Quindi ci si insapona e ci si risciacqua, tutto praticamente all’aperto : strano, simpatico, divertente, comodo, inconsueto…
A questo punto un pò di relax sulle amache tra le palme a ridosso del mare, da dove vediamo spegnersi il giorno. Veniamo avvolti dalla notte, ma questo disagio dura circa una quarantina di minuti; poi, infatti, dal mare, sorge la luna, che con uno spettacolo incredibile riporta il “giorno”.
In un ambiente privo di energia elettrica e quindi della più piccola luce, il buio è totale e la luminosità della luna piena ha la stessa forza del sole. Le stelle sono migliaia e si distinguono tutte…, incredibile…
Sfruttando questo faro naturale, ripercorriamo il sentiero che porta in “paese”, utilizzando solo nei tratti ricchi di vegetazione la nostra torcia e dopo aver cercato invano un ristorante che ci cucinasse la “concha” (la conchiglia…), ci “accontentiamo” nuovamente dell’aragosta di Aries…, che ancora una volta ci soddisfa.
Concludiamo la serata partecipando al “Full Moon Party”, in cui si aggregano un po’ tutti, indigeni e viaggiatori presenti sull’isola…
Musica afro, qualche Toña, uno spettacolo di un fachiro, mangiafuoco, quindi passeggiata di ritorno e via a dormire.

19 Gennaio 2003 – Corn Island Pequeña.
Piove ! Il cielo inoltre è completamente coperto e grigio; non sembra il temporale passeggero di ieri, che dura il tempo di un pranzo per poi svanire incalzato dal sole e dall’azzurro del cielo.
Resto sul letto nella capanna e leggo il libro che saggiamente mi sono portato da casa e che doveva servire a rendere meno noioso il volo di ritorno.
Non è poi così male…, certo il sole, il mare, girare per l’isola sarebbe stato meglio…, ma anche starmene un po’ a poltrire leggendo, mentre la pioggia picchietta sulle foglie di palma che costituiscono il tetto della capanna non mi dispiace così tanto !
Mezzo giorno : piove ancora a tratti. Adesso basta, però : inizio a rompermi le scatole !
Finalmente alle due del pomeriggio il tempo ci da una tregua, che risulterà definitiva (fortunatamente…).
Ne approfittiamo per andare a cercare un posto dove mangiare qualcosa. Insieme a Marcus, seguiamo la spiaggia verso sinistra, superiamo la “Farm Peace and Love” di Paola e poco oltre troviamo la casa-capanna, dove dimora uno stravagante ragazzo canadese, amante della cultura jamaicana, che il giorno prima avevamo incontrato lungo la spiaggia : prepara da mangiare su ordinazione, ma anche senza,
magari qualcosa da mettere sotto i denti la troviamo lo stesso.
Distinguere il posto dalla spiaggia è semplicissimo, visto che davanti alla struttura campeggia e sventola una bandiera dell’Etiopia.
La casa è ai limiti della realtà ! Come faccio a descriverla ? Bisogna vederla per poter capire… E’ costituita da una parete in muratura, integrata da legno, lamiere, bambù e foglie di palma. Improvvisata, fatiscente, ma in un certo senso affascinante…
Ci avviciniamo e subito ci viene incontro il nostro amico “rasta”. Gli diciamo che vogliamo mangiare qualcosa e ci risponde che può organizzare un mini pasto. Perfetto : ci sediamo su due tronchi, ad un tavolo, che definirei “caratteristico”, ricavato con una lamiera rettangolare.
Dopo 5/10 minuti ecco il nostro spuntino : una zuppa vegetale, fatta di juca, cipolla, latte di cocco e peperoni e una coda di barracuda. Da bere, ordiniamo tre refrescos al mandarino.
L’aspetto della zuppa non è dei più appetibili, poi a me le zuppe non piacciono, quindi salto volentieri l’assaggio…
Per Marcus e Michele è una pacchia; si dividono in due, quello che avremmo dovuto mangiare in tre. E sembra che sia anche molto buono ! Soprattutto il barracuda.
Visto che il tutto è un po’ improvvisato, il simpatico canadese, ci dice di lasciare un’offerta solo per i refrescos, così ce la caviamo con 50 C$ in tre !
Proseguiamo il nostro giro dell’isola, continuando nella direzione intrapresa e superato un altro gruppo di capanne, molto più costose delle nostre e tutto sommato meno accattivanti come impatto visivo, pieghiamo verso l’interno, seguendo il sentiero che dovrebbe portare al paese.
Questo sale sino alla cima della collina su cui è posto il faro, che però è fuori funzione.
Piccola sosta, quindi proseguiamo, scendendo dalla parte opposta e raggiungendo il paese, da dove, attraverso il solito sentiero, facciamo ritorno da Derick’s.
Una bella doccia, sfruttando l’ultima ora di luce del giorno e…, ricomincia a piovere !
Questa volta è un temporale passeggero, che tuttavia, ci fa compagnia per un’oretta.
Immediato conciliabolo e decisione di andare a cenare da “Elsa” sulla spiaggia a poca distanza da “Casa Iguana”. E’ l’unica che cucina la “concha” e non vogliamo perdere l’occasione di assaggiarla.
Ci incamminiamo seguendo la spiaggia nel buio più totale, visto che le nuvole oscurano la luna piena, facendoci luce esclusivamente con le nostre torce.
La bassa marea agevola il nostro cammino, lasciandoci una grande porzione di spiaggia, che di fatto durante il giorno non si ha a disposizione e tra il fuggi fuggi dei granchi, che scappano veloci appena vengono illuminati, dopo una ventina di minuti raggiungiamo il ristorante di “Elsa”.
Tutto è buio…, solo una lieve luce su un tavolo. Elsa, cortese signora, anch’essa dai tratti africani ci viene incontro e ci comunica, con nostro profondo disappunto, che non dispone di energia elettrica e di conseguenza non può cucinare : profonda delusione !
Non ci resta che proseguire verso il paese… Altri dieci minuti e siamo nuovamente seduti al ristorante di Aries, dove ormai siamo clienti fissi, per cenare con un’ottima aragosta !
Finiamo di mangiare e ripartiamo per fare ritorno alle nostre capanne : non vogliamo rischiare di prendere l’acqua ! L’intuizione è giusta, il risultato un po’ meno… : a due terzi del cammino riprende a piovere intensamente.
Quando arriviamo da Derick’s, Michele e Marcus, sono completamente bagnati, mentre io grazie al k-way, saggiamente indossato, ho limitato i danni ! 

20 Gennaio 2003 – Corn Island Pequeña.
Piove tutta la notte, ma al mattino quando mi alzo, fortunatamente a smesso. Anche se il cielo è ancora parzialmente coperto e sono pochi gli sprazzi di azzurro, riaffiora la speranza di avere una giornata di sole. Aspettando che tutto ciò si trasformi in realtà, mi incammino lungo la spiaggia per scattare qualche foto e torno dopo circa mezz’ora : il cielo è ancora coperto !
Con Michele decidiamo di seguire la spiaggia in direzione di Casa Iguana; almeno saremo già vicini al “pueblos” e appena Marcus rientrerà dalla mattinata dedicata al diving, potremo andare a mangiare insieme.
La spiaggia è estremamente corta e la sabbia ha un colore beige molto intenso, che contrasta con l’azzurro del mare e il bianco della schiuma prodotta dalle onde.
La vegetazione verde e rigogliosa è proprio a ridosso dell’acqua e rende più intenso l’aspetto selvaggio dell’isola.
Mentre camminiamo, il sole comincia a fare capolino tra le nubi…; lentamente inizia a vincere la loro resistenza e l’azzurro diventa rapidamente il colore predominante del cielo.
In circa venti minuti raggiungiamo il ristorante di “Elsa”, proprio sulla spiaggia. Il suo aspetto è molto più bello e caratteristico di quanto non mi era apparso di notte : tavolini ricavati con legno e foglie di palma, a pochi metri dal mare e sulla sabbia il nome “Elsa” scritto con i gusci delle conchiglie.
Chiediamo se per pranzo possiamo mangiare la “concha” : la risposta affermativa ci rende subito di buono umore !
Altri dieci minuti e siamo a “Casa Iguana” e ne approfitto per usare internet. Purtroppo è occupato e mi dicono di tornare più tardi…; poco male, ci dirigiamo verso il “Diving Center” per aspettare Marcus, che dovrebbe rientrare e avvisarlo che siamo già in paese.
Anche qui però non abbiamo fortuna…; l’escursione infatti è un po’ in ritardo. Mentre io aspetto, Michele ne approfitta per girare per il pueblos. Dopo un quarto d’ora decido di andare a vedere se si è liberato il PC, quindi ritorno a casa Iguana : ancora occupato !
Mi siedo fuori dalla costruzione di legno rosa che ospita i due portatili a disposizione e aspetto. Il tempo passa, ma la ragazza connessa, non si schioda dalla postazione !
Arriva Michele, che mi comunica che ha avvisato Marcus, a cui manca ancora un’immersione e che ci raggiungerà per pranzo da “Elsa”. Mentre io attendo, si va a godere la spiaggia : come non capirlo ?
Finalmente, tra mille scuse, la ragazza al PC termina la sua opera : era ora !!! Tocca a me ! E invece no ! Bisogna cambiare il generatore… Solo altri cinque minuti… Fatto…; adesso tocca a me… e invece no ! Questa volta è il satellite a fare i capricci… Ma porca p… !
Passano altri cinque minuti e finalmente la connessione si riattiva : è passata un’ora da quando sono arrivato !
Mi avvisano che il collegamento è instabile, quindi mi sbrigo : due e-mail a casa e una ad Enrica, in risposta al suo messaggio con il quale mi avvisa, che sono a Granada e si stanno spostando verso Sud seguendo la costa : vuoi vedere che ci incontriamo di nuovo a San Juan del Sur ? Sarebbe molto bello dividere insieme qualche altro giorno… 
Giusto 15 minuti, il minimo sindacale ! Pago, o meglio mi faccio scippare, i 50 C$ richiesti e via in spiaggia.
Il sole ormai ha conquistato definitivamente il cielo e con la sua luminosità i colori dell’ambiente circostante acquistano un’altra valenza.
Il mare ha un tenue colore pastello, che diventa blu scuro più al largo, il verde della vegetazione è brillante; le piante sembrano lucidate…
Raggiungo Michele da “Elsa”, un bel bagno, quindi attesa : Marcus deve ancora arrivare !
Passano almeno quaranta minuti, prima di scorgere la sua sagoma all’orizzonte, lungo la spiaggia. Immediatamente ordiniamo tre piatti a base di “concha”, gallo pinto e tostones, così da abbreviare l’attesa, visto che la fame è tanta…
Una bella e fresca Toña come aperitivo, seduti a due passi dal mare, con la brezza che ci accarezza e i piedi nella sabbia e dopo una ventina di minuti ecco servito il nostro pranzo !
La “concha” è stata fatta a fettine sottili e fritta : la carne è bianca, la consistenza simile a quella dei gamberi, il sapore lievemente meno deciso.
Il piatto, arricchito dal consueto “gallo pinto” e dai tostones, mi lascia soddisfattissimo e soprattutto sazio ! Spesa totale : 110 C$.
Ritorniamo da Derick’s via spiaggia, godendoci il sole, la cui intensità mascherata dal vento, si rivelerà subito dopo la doccia ! 
Ci concediamo un po’ di completo relax sulle amache cullati dal vento e dal fragore delle onde, aspettando il sorgere della luna.
Appena il chiarore lunare rende il buio meno intenso, ripercorriamo il sentiero che porta in paese per andare a cenare. Scegliamo il ristorante di “Bridgett” : io prendo l’ennesima aragosta, Marcus e Michele una saporita e abbondante zuppa di pesce. Anche per la cena, il costo è di 110 C$.
Alle 21.30 siamo già in capanna ! Domani mattina, purtroppo, lasceremo l’isola…

21 Gennaio 2003 – Corn Island Grande.
Ci svegliamo alle 06.00; ultimi preparativi, quindi zaino in spalla lasciamo Derick’s.
La giornata è stupenda : cielo limpido e sole che già brilla alto.
In circa mezz’ora raggiungiamo il “diving center”, da dove parte la lancia per Corn Island Grande, ma quando arriviamo non c’è ancora nessuno : ne altre persone, ne la lancia !
Passano pochi minuti ed eccola arrivare; saliamo e prendiamo posto, collocando il giubbotto di salvataggio sotto il fondo schiena.
Restiamo in attesa una decina di minuti, nei quali altre persone si aggiungono a noi, quindi la lancia si sposta verso l’altra parte del paese, al piccolo molo, dove vengono imbarcati numerosi grandi bidoni di plastica azzurri e ci viene chiesto di pagare : 70 C$ come all’andata.
Appena tutti hanno pagato, la lancia lascia la “piccola” Corn Island, alla volta della “grande”.
La traversata è più tranquilla, visto che siamo a favore di onde e mi sembra anche più veloce.
Giunti a Corn Island Grande, usciamo dal porto e seguiamo verso sinistra la strada che si trova di fronte a noi; sappiamo infatti che poco più avanti (a circa tre cuadre) c’è l’hotel “Best View”, consigliatoci da Mirco, che dovrebbe essere molto carino.
Dieci minuti e lo raggiungiamo; in effetti è veramente caratteristico, di colore azzurro pastello, proprio sulla spiaggia ! Ha una splendida veranda fronte mare al primo piano e vi consiglio di farvi dare una stanza su questo lato : è veramente particolare. Costo della tripla : 20 $.
Siamo fortunati in questo senso, visto che se ne è liberata una in mattinata; mentre la sistemano, ne approfittiamo per fare colazione con un buon “gallo pinto”, bagnato da cafè negro.
La camera è decente, anche se un po’ piccola, con un letto singolo e uno matrimoniale. Pulita, con due finestre e il ventilatore, che di fatto non serve, visto che l’isola è molto ventilata. Ha il bagno, ma senza soffitto e la porta è costituita da una tendina trasparente. La doccia ha solo acqua fredda.
La veranda, in compenso, è uno spettacolo; vista impagabile sul mare turchese, con tavolini e sedie a dondolo e un parapetto formato da colonne tutte diversamente colorate. Quattro stanze si affacciano su di essa : l’ultima a sinistra è la nostra.
Ci sistemiamo : doccia veloce, un po’ di bucato, quindi via alla scoperta dell’isola, che si può tranquillamente girare a piedi.
Prendiamo verso sinistra; la strada costeggia il mare che ha colori particolari, con tutte le tonalità dell’azzurro. Dalla parte opposta le abitazioni, molto carine, completamente di legno e coloratissime.
Dopo circa un chilometro, superato il “Ristorante Seva’s”, abbandoniamo la costa e prendiamo la strada che piega verso l’interno; qui il vento è completamente assente e il sole si sente ! Meno male che ho il mio fido cappellino…
Troviamo la deviazione per “Silver Sand” e non ci facciamo di certo pregare… Poche decine di metri ed eccoci sulla spiaggia : una piccola baia di sabbia fine e quasi bianca, completamente deserta e con un acqua che tende al verde.
Un po’ di riposo, quindi ritorniamo sui nostri passi e proseguiamo il cammino sino a raggiungere la bella “Long Beach”, una spiaggia molto grande, di sabbia beige con un mare azzurro e onde grandi e spumeggianti, che si susseguono regolari.
Ne approfittiamo per fare un bel bagno ! La temperatura dell’acqua è ottima, la sensazione piacevole, il posto incantevole !
Il tempo di far asciugare il costume e ci rimettiamo in cammino, seguendo verso sinistra la strada che costeggia la spiaggia e che prende a salire verso la sommità di “Queen Hill” : in realtà poche centinaia di metri. Dalla cima della collina però si gode una bella vista sul porto dell’Isla Grande, che ha un mare azzurro pastello !
Ridiscendiamo dall’altra parte, tenendo la destra e giungiamo su quella che dovrebbe essere la più bella spiaggia dell’isola : Pic Nic Beach.
Nel punto in cui la raggiungiamo ci sono tre pescatori intenti a portare in secca la loro barca, di ritorno dalla pesca, che ci chiedono un aiuto; volentieri accettiamo, è passiamo la successiva mezz’ora a spingere su tronchi di palma un’imbarcazione di legno, che non posso immaginare come faccia a galleggiare, visto il suo peso ! Non senza fatica riusciamo nell’impresa e dopo i saluti e i ringraziamenti continuiamo il nostro tour lungo la spiaggia, in direzione del porto.
La sabbia qui è bianca e fine, il mare calmo, senza onde, sembra quasi una tavola, dal colore azzurro intenso. Non si può certo resistere a tutto questo : un altro bagno è d’obbligo !
La fame si fa sentire, quindi ci sediamo ai tavolini del Pic Nic Center, un ristorante costruito proprio sulla sabbia. I prezzi sono leggermente più alti (circa 10/15 C$ in più), ma non è affatto male !
Prendo un’entrata di “tostones e queso” (30 C$), con una coca-cola (10 C$) e successivamente un succo di pera in lattina (10 C$).
Restiamo circa un ora, quindi riprendiamo il cammino. Andiamo in direzione della pista dell’aeroporto, che costeggiamo interamente sul suo lato sinistro, dove sorgono le baracche degli isolani, sino a raggiungere il cancello di uscita, da cui siamo transitati quattro giorni fa.
Proseguiamo in direzione porto e ci fermiamo all’agenzia dell’Atlantic Airlines, per confermare il nostro volo di domani. Sorpresa ! Non c’è più posto sul volo delle 08.35 : siamo costretti a prendere quello delle 06.40 ! Altra alzataccia…, ma almeno arriveremo a Managua presto e raggiungeremo con più comodità San Juan del Sur.
Ritorniamo verso l’hotel e ci fermiamo a bere qualcosa al “Nautilus”, simpatico bar-ristorante, a un centinaio di metri dal “Best View”. Prendo un frullato di papaia niente male per 10 C$.
La sera torniamo a cenare proprio qui, insieme ad una coppia di americani, Sam e Natalie (fratello e sorella), molto simpatici e alla mano, che hanno la camera proprio di fianco alla nostra.
Un po’ per curiosità, un po’ per nostalgia, un po’ per fame, ordino un piatto di spaghetti con gamberi in salsa d’aglio, contro il principio cardine del mangiare in viaggio, che detta : “mai ordinare piatti italiani all’estero…”. Tuttavia, sono fortunato : la porzione è abbondantissima, il sapore ottimo, i gamberi molto numerosi e saporiti, gli spaghetti al dente. Unico neo : sono cucinati senza sale ! Problema che risolvo in parte con il formaggio, in parte con il sale da tavola… Costo : 55 C$.
Sottolineo un particolare non indifferente, che non si verifica mai alle nostre latitudini : il locale non dispone di birra, quindi andiamo a comprarla in una sorta di spaccio poco distante (costo 10 C$) e la portiamo in tavola, senza alcun problema… Quando si vede in Italia una cosa del genere ? 

22 Gennaio 2003 – San Juan del Sur.
Sveglia alle 05.40 per raggiungere in tempo l’aeroporto, dopo una notte tranquilla, ventilata, con qualche mosquitos di troppo, nell’unica volta che non ho schierato la zanzariera da viaggio !
Fondamentali sono stati i tappi per le orecchie, visto che il fragore delle onde, a pochi passi dalla stanza, è molto fastidioso.
La signora che gestisce l’hotel non c’è, quindi lasciamo i soldi che dobbiamo in camera, chiudiamo la porta e appoggiamo le chiavi sul tavolo della cucina, sperando che la donna delle pulizie e/o qualcun altro non festeggi con i nostri dollari !
Usciamo in strada e…, sorpresa ! E’ venuto a prenderci il responsabile dell’agenzia dell’Atlantic Airlines. Mai cosa fu più gradita ! Evitiamo infatti di fare la strada a piedi, zaino in spalla.
L’aereo è già in pista e pronto alla partenza; check-in veloce e alquanto rustico, che stride e si contrappone al meticoloso controllo del bagaglio a mano prima dell’imbarco.
Inoltre passiamo sotto un metal detector, che secondo me è solo un deterrente psicologico, visto che non mi sembrava essere in funzione…
Altro particolare simpatico : un ragazzo in partenza, ha nel bagaglio a mano una bottiglia di ron “Flor de Caña”, che gli viene imbarcata come bagaglio normale ! La ritroveremo a Bluefields, per terra, insieme alle valigie…
Partenza in perfetto orario e dopo una ventina di minuti scalo tecnico a Bluefields, dove lasciamo Marcus, che proseguirà il viaggio, dopo una notte qui, in panga e bus.
Saluti di rito, con un compagno di viaggio veramente simpatico, che ci ha accompagnato con allegria per sette giorni !
Un’altra ora di volo e atterriamo a Managua : sono le 07.40 del mattino !
Ne approfittiamo per andare allo scalo internazionale e comunicare con casa via internet, nonché per cambiare un po’ di soldi in cordobas, in modo da avere il contante con cui concludere il nostro soggiorno in Nicaragua.
Raggiungiamo la sala dello scalo internazionale, dove il punto internet è presso l’ufficio postale, proprio di fronte all’entrata : non si può non vederlo ! Connessione rapidissima : 1 $, mezz’ora.
Poi andiamo allo sportello bancario, dove effettuo un prelevamento di 1.500 C$ con la carta di credito. Contrariamente a quanto mi aspettavo, l’operazione è veloce e priva di lentezze burocratiche, firme e controlli vari.
Mentre ripercorriamo il corridoio che porta all’entrata principale dello scalo internazionale, incontriamo Roberto, conosciuto a Ometepe, che è in attesa del volo per l’Italia.
Scambiamo quattro chiacchere, parlando soprattutto di San Juan del Sur, dove noi ci stiamo recando e da dove lui invece arriva : qualche indicazione su come muoverci, dove dormire, e mangiare, su com’è il posto. Quindi un cordiale arrivederci e riprendiamo il nostro viaggio.
Usciamo dall’aeroporto e attraversiamo la strada ponendoci sulla carreggiata che va verso il centro città : pochi istanti, un gesto con la mano, due parole per concordare il prezzo giusto (40 C$) e siamo su un taxi, che in circa quindici minuti ci porta al terminal centrale.
Non facciamo a tempo ad uscire dall’auto che veniamo letteralmente “caricati” sull’espresso per la frontiera di Peñas Blancas.
Due ore di viaggio e siamo al terminal di Rivas, dove il bus fa una piccola sosta, quindi prosegue per il confine di stato, lasciandoci alla “Virgin”, ovvero il nome con cui è identificato l’incrocio per San Juan del Sur : sono le 11.20.
Il bus per San Juan del Sur, proveniente da Rivas, dovrebbe passare intorno alle 12.00; di conseguenza, decidiamo di fermare un taxi che ci porti subito e più velocemente alla nostra destinazione.
Trovarlo non è difficile; ne passano infatti continuamente e funzionano un po’ come collectivos : sin quando hanno posto, caricano persone… Noi lo dividiamo con altre sei e in un quarto d’ora giungiamo nella località turistica più nota del Nicaragua.
Chiediamo al tassista se ci accompagna alla ricerca di una sistemazione, in modo da non girare con lo zaino a spalle e cominciamo a visitare i diversi hotel e hospedaje menzionati dalla guida.
I primi che prendiamo in considerazione sono l’hotel “Estrella” e “El buen gusto”, che si fronteggiano e sono posti di fronte alla spiaggia. Nessuno dei due però ci soddisfa : vuoi per le camere, vuoi per i bagni e/o per l’aspetto.
Decidiamo quindi di lasciare il taxi e girare a piedi tra le vie : paghiamo 10 C$ per il passaggio, più 5 C$ di extra per l’accompagnamento !
San Juan mi appare subito una bella cittadina, viva e piena di turisti e viaggiatori.
Ci sono molti ristorantini, tutti o quasi localizzati sul lungo mare, bar, pulperie, hospedaje e hotel (alcuni belli, moderni e ben curati).
Prendiamo in considerazione, l’hotel che ci ha segnalato Roberto in aeroporto, ma il rapporto qualità-prezzo, mi appare un tantino spropositato; nonostante il bell’aspetto dell’entrata, infatti, le camere sono piccole, tristi e poco invitanti. La doppia con bagno costa 33 $, senza bagno 25 $ : uno sproposito.
Prendiamo la parallela al lungo mare e ci imbattiamo nell’hospedaje “Beach Fun Casa 28”, proprio di fronte al “Comedor Soya” e al “Leo’s Internet Point”.
Di uno sgargiante colore blu, l’hospedaje a conduzione familiare dispone esclusivamente di stanze con bagno in comune, ma l’ambiente è accogliente, accattivante e l’atmosfera mi piace subito.
Le camere sono disposte in su due piani in una costruzione a L, che di fronte ha un piccolo giardino; quelle al piano terra sono un po’ più piccole, ma le tre al primo piano sono grandi, spaziose, abbastanza pulite e pur nella loro essenzialità, estremamente vivibili.
Il costo poi è ottimo : la doppia viene 100 C$ a notte ! La prendiamo !
I due bagni sono a piano terra; uno ha annesso, l’unica doccia, molto spaziosa, pulita e con un getto d’acqua generoso, anche se freddo.
Di fianco c’è il lavandino dove poter fare il bucato e i fili dove stendere la propria roba ad asciugare.
E’ possibile anche mangiare : la signora, gentilissima, infatti cucina su ordinazione a prezzi ottimi, così, prima di uscire in perlustrazione, ordiniamo per cena un bel filetto di pesce.
Raggiungiamo inconsapevolmente il mercato, che si trova nella parallela successiva verso l’interno, e andiamo a mangiare in uno dei comedor al suo interno. Ce ne sono tre, uno di fianco all’altro, con i tavoli di fronte : noi scegliamo il “Comedor Angelina”. Per 25 C$ mangio un ottimo filete con gallo pinto e tostones; Michele invece per 35 C$ un pescado intero.
L’ambiente è carinissimo, si respira tutta la tranquillità che il Nicaragua può regalare, tutti i sapori, gli odori e il colore e calore della sua gente.
Sulla sinistra c’è “El Cafetin”, un piccolo locale, aperto il mattino, che prepara solo colazioni, gestito dalla simpaticissima Daniela, una ragazza italiana, di Firenze. Nei prossimi giorni ci torneremo…
Prima di andare in spiaggia facciamo un giro nella parte del paese che si trova dietro il porto, passando per la piazza della chiesa e di fronte al murales di Sandino ed entrando, esclusivamente per curiosità, all’hotel “Colonial”, per chiedere quanto costa una doppia con bagno : 40 $ a notte !
Finalmente in spiaggia… Entriamo nella bella baia di San Juan del Sur, dalla parte del porto e da qui già si vede la perfetta forma a mezza luna di questo litorale.
La spiaggia è molto ampia a causa della bassa marea e la sabbia di un beige scuro, compatta, dura e perfettamente liscia.
Lungo tutto il perimetro, si sviluppa il paese e sul “malecon”, che accompagna la spiaggia si susseguono i bar-ristoranti, tra i quali il più famoso è sicuramente “Ricardo’s”.
Prendiamo posto con i nostri teli e ci godiamo un po’ di sole in attesa del tramonto, definito come il più bello del Nicaragua.
Verso le 17.00, l’alta marea dimezza l’ampiezza della spiaggia e spostandoci in una posizione più centrale per apprezzare a pieno il tramonto, ritroviamo Enrico, conosciuto durante l’ascesa al vulcano Maderas e ci fermiamo con lui e la sua compagna di viaggio.
Ci propongono di andare a vedere lo schiudersi delle uova di tartaruga al Parco Naturale del Coco : bisogna noleggiare una tenda, prendere l’autobus delle 14.00 per il parco e dormire una notte fuori per vedere questo miracolo della natura… Michele sembra propenso per il si…, io invece sono un po’ titubante; decideremo più tardi sul da farsi… 
Intanto ci lasciamo sorprendere dal tramonto; bello e suggestivo…
La sera rimango piacevolmente sorpreso e soddisfatto invece della cena che la signora ci fa trovare pronta. Un ottimo e abbondante filetto di pesce con riso e tostones e un gustoso refrescos; il tutto per 30 C$, ovvero 2 euro !!!
Concludiamo la serata facendo un giro per il malecon e ci fermiamo a bere qualcosa al bar “Marie’s”, di fronte al ristorante “Il Timone”, dove c’è un pò di vita e movimento con musica e possibilità anche di mangiare. E’ molto conosciuto, poiché è indicato su quasi tutte le guide, ma la sua fama risale a quando il proprietario era Marie, che ormai l’ha venduto da qualche anno !
Le famose insalatone e i primi piatti a base di pasta, vengono cucinati dal ristorante di fronte e tutto sommato non mi sembravano così trascendentali, quindi molto meglio andare a mangiare altrove ed utilizzarlo come locale per il dopo cena.

23 Gennaio 2003 – Rivas.
Abbiamo deciso di non andare al Parco Naturale del Coco, ma di fare una visita di mezza giornata a Rivas e il pomeriggio goderci la spiaggia di San Juan, così alle 08.30 prendiamo il bus, che parte proprio davanti al mercato. In circa un’ora siamo al terminal di Rivas : costo del viaggio, 8 C$.
Come prima cosa, facciamo un bel giro nel mercato, che si sviluppa dietro il terminal, quindi raggiungiamo il parco cittadino alle spalle del quale si trova la cattedrale.
Lungo la strada che porta al centro cittadino, le bancherelle vanno via via diradandosi lasciando il posto a negozi, banche e farmacie.
Entriamo nella prima “pulperia” che incontriamo e acquistiamo il mitico ron “Flor de Caña Centenario”, per 146 C$ : il prezzo è quello consigliato, non si può trattare !
La piazza e poco distante, solo una quadra e non si può sbagliare, visto che le guglie della cattedrale si notano sopra i tetti delle case : si viaggia a vista.
La cattedrale ha un non so che di decadente, che la rende affascinante, ma è molto lasciata andare rispetto a quelle che ho visto negli altri centri visitati.
Qualche scatto e via, risalendo la parallela alla strada che ci ha portato qui. Un annuncio pubblicitario però catalizza la mia attenzione : promozione internet, 1 ora per 12 C$ !!! E’ il prezzo più basso trovato, sarebbe stupido non approfittarne ! Ma solo dopo il desajuno, che consumiamo poco lontano, in una “Soda” (un comedor…) di fronte alla stazione di polizia : gallo pinto con tortillas e cafè negro, 25 C$.
Rifocillati, ritorniamo all’internet point e in un’ora comunichiamo un po’ con tutti. Quindi risaliamo sino al terminal, dove troviamo in partenza il bus per San Juan.
Un’altra ora di viaggio e siamo di nuovo a “Casa 28”; il tempo di lasciare i nostri acquisti e di scoprire che non possiamo farci la doccia perché manca l’acqua… Nessun problema : andiamo subito in spiaggia ! 
Obbiettivo del pomeriggio è quello di salire sulla collina che si trova a ridosso della spiaggia, per avere una visuale dall’alto di San Juan.
Percorriamo interamente la spiaggia sino ad incontrare gli scogli; li superiamo agevolmente e sulla destra troviamo una ripida scalinata che consente di risalire la collina, fino alla sua sommità.
Dall’alto la vista è incredibile : si domina l’intera baia caratterizzata dalla perfetta forma a mezza luna della spiaggia, con a ridosso il paese.
Riscendiamo dalla parte opposta, seguendo la strada, tra case eleganti e villette con piscina e ritorniamo sulla spiaggia.
Un bel bagno rinfrescante, quindi ci dirigiamo verso il centro della baia, prendendo posto nelle sdraio di fronte al bar “Ricardo’s”; per dissetarci una coca-colita, che nel prezzo ha compreso l’uso dei gadget da spiaggia… (bibite 20 C$, birre 25 C$).
Il sole picchia e forte, ma forse perché oggi il vento è meno intenso del solito.
Il tramonto, complice qualche nuvola che vela il cielo ci riserva uno spettacolo molto bello, fatto di atmosfera e colori quasi irreali.
Un’ultima Toña aspettando il consolidarsi del buio, quindi facciamo ritorno a “Casa 28”, dove conosciamo Stefano, un altro ospite italiano, che per la seconda volta viene in Nicaragua e visto che ha un lavoro stagionale, ci starà per 3 mesetti… Una vena di invidia, mi solca la mente…
Per la cena optiamo per il ristorante “Lago Azul”, il primo sulla sinistra sul lungo mare, venendo dal porto, consigliato dalla nostra guida. L’aspetto mi ispira abbastanza, anche se siamo i soli nel locale !
Ordino gamberi all’aglio che si rivelano ottimi e abbondanti, accompagnati dall’immancabile riso e da tostones e da bere due Toña. Il prezzo, 140 C$, visto che purtroppo sul conto ci viene calcolato il 10% in più quale mancia (prassi comune, ma raramente usata qui in Nicaragua). Per Michele invece un’abbondante e gustosa zuppa di pesce per 90 C$.
Dopo cena, un po’ per voglia un po’ per nostalgia raggiungiamo la Pizzeria “O sole mio”, in fondo al “malecon” dalla parte opposta, sperando di bere un buon cafè.
Il ristorante è gestito da Paolo, ragazzo gentile, cordiale e simpatico, che è qui in Nicaragua ormai dal 1997 e che ha messo su un locale veramente molto bello, dove il servizio è ben curato, le pietanze cucinate ad arte, la scelta ampia e stuzzicante e i costi contenuti, in linea con quelli degli altri locali, anche se, dopo aver provato la sua ottima cucina, il paragone non reggerà più di tanto. 
Se venite a San Juan del Sur vi consiglio, anzi stra-consiglio di cenare almeno una volta qui, per assaggiare tutti i sapori e gli odori della cucina Nica, impreziosita dall’esperienza culinaria italiana; non a caso il locale è sempre pieno ! Ditegli pure che avete trovato questo suggerimento in rete, grazie a me e vedrete che, non solo per questo, vi tratterà bene e soprattutto rimarrete soddisfatti, come lo siamo stati noi l’ultima sera trascorsa qui ! Anche il cafè non è affatto male; certo non può essere l’espresso a cui siamo abituati, ma ci si avvicina molto.
Proprio Paolo, con cui ci intratteniamo a parlare, ci consiglia un’escursione da fare : arrivare sino a Playa Hermosa a piedi partendo dal El Remanso, in modo da vedere tre bellissime spiagge. Consiglio che non ci facciamo ripetere due volte !
Sacrificheremo Montezuma, unica tappa che volevamo fare in Costarica, per goderci sino all’ultimo il Nicaragua…, scelta che a dire il vero avevamo già maturato da soli !
Alle 22.00, la piccola San Juan del Sur è già tutta buia… Un’ultima birra in una sorta di birreria sulla parallela al “malecon”, che espone in bella vista uno striscione che pubblicizza l’offerta di “due Victoria al prezzo di una” (il posto è pieno di ubriachi e sinceramente ve lo sconsiglio…), quindi torniamo a “Casa 28”.

24 Gennaio 2003 – El Remanso, Playa Tamarindo, Playa Hermosa.
Sveglia alle 08.00 e come prima cosa colazione al mercato, nel comedor di Ixtel, notevole bellezza locale… Michele si fa il consueto gallo pinto, mentre io mi accontento di una tazza di café negro.
Usciti in strada, contrattiamo con un tassista per essere portati a El Remanso e successivamente essere riportati indietro. Ci accordiamo per 150 C$ andata e ritorno; prezzo onesto !
La strada per El Remanso è relativamente breve, solo 6 Km., ma a causa delle sue pessime condizioni (sterrata e piena di buche), ci impieghiamo quasi mezz’ora. Raggiungerlo è semplice; infatti, una volta usciti dal paese e passati di fronte al distributore della Texano, bisogna prendere a destra e proseguire sempre diritto : si arriva direttamente in spiaggia !
Qui ci lascia il taxi e paghiamo metà della corsa (75 C$), mettendoci d’accordo per il ritorno alle 14.00.
La spiaggia di El Remanso è costituita da una piccola baia concentrica, di sabbia scura, compatta e liscia, con un mare dal colore blu profondo di fronte, in cui i pellicani si tuffano alla ricerca di cibo.
Sulla sinistra ci sono gli scogli ed è proprio da qui che comincia la nostra camminata verso Playa Hermosa.
Seguiamo la costa passando facilmente sopra gli scogli e godendoci lo spettacolo naturale del mare sulla nostra destra.
La prima baia che incontriamo è la piccola Playa Tamarindo; costituita di sabbia fine e beige, con alle spalle una brulla vegetazione e di fronte un grosso scoglio solitario.
La superiamo e proseguiamo ancora, sino a raggiungere un grande costone che si tuffa nel mare, sul quale non è possibile camminare; è necessario “scavalcarlo”, prendendo il piccolo sentiero sulla sinistra.
Quest’ultimo, sale sul costone e sbuca dalla parte opposta, proprio all’inizio della splendida Playa Hermosa; per raggiungerla abbiamo impiegato circa 45 minuti.
La spiaggia è incredibilmente bella. Ampia e lunghissima, completamente deserta : ci siamo solo io e Michele !
La sabbia ha un colore beige scuro ed è compatta e levigata a causa della bassa marea e del vento che soffia a folate dall’interno; alle spalle si profilano verdi colline e di fronte, a poche centinaia di metri, dalla riva si staglia un grande scoglio.
Il mare è calmo e di un blu scuro, che sembra quasi nero e moltissimi sono i pellicani e i gabbiani che a grandi stormi vi si tuffano alla ricerca del loro pasto quotidiano.
Le onde sono piccole e lunghissime e spingono, sulla sabbia liscia, l’acqua lentamente, formando uno specchio su cui il cielo si riflette specularmente.
Restiamo qualche ora a prendere il sole, che è intenso, ma sopportabile, grazie al vento; quindi verso le 12.45 ritorniamo indietro verso El Remanso.
Puntuale alle 14.00 arriva il taxi, ma non è lo stesso di questa mattina; a prenderci è venuto il simpatico Francisco, che ci riporta proprio davanti a “Casa 28”, per i restanti 75 C$, che avevamo pattuito.
Una bella doccia, che evidenzia tutto il sole della mattinata e via, di nuovo fuori.
Attraversiamo la strada e entriamo al comedor “Soya”, dove oltre a mangiare la “comida corrente”, si può anche trovare da dormire a prezzi molto economici. Michele mangia, mentre io mi accontento di una coca-colita !
A mio parere è molto meglio andare ai comedor del mercato, che offrono una scelta, un aspetto e un servizio di gran lunga migliore a parità di prezzo !
Rifocillati, prendiamo la traversa che porta verso il distributore della Texano, alla ricerca del punto internet più economico del paese. Lo scoviamo facilmente, visto che si trova subito sulla destra, ma non possiamo utilizzarlo : manca la corrente !
Continuiamo così il nostro giro, risalendo la strada sino in cima e svoltando quindi a destra verso il centro paese. Subito sulla sinistra troviamo la Pizzeria San Juan, gestita dall’italianissimo Maurizio, uomo di mezza età, che si è stabilito qui e vive con una ragazza diciottenne, che da poco gli ha dato un figlio.
Da lui potete trovare pizze intere o al trancio (che non sono niente male, ma non aspettatevi troppo…), dolci e primi piatti, ma solo su ordinazione e per la cena. I costi vanno dai 60 ai 100 C$ a seconda di cosa ordinate per i primi, 10 C$ per i tranci di pizza.
Mi ha fatto una strana impressione, che non voglio descrivere; se decidete di passarci, tirate voi le vostre conclusioni.
Ritorniamo al punto internet, ma la corrente non c’è ancora…, quindi proseguiamo sino al parco e entriamo nella vicina “Casa Oro”, che funge da centro di informazioni turistiche, oltre che da ostello.
Scopriamo con piacere che la mattina c’è la possibilità di usufruire di un passaggio gratuito per Majagual, grazie al pulmino dell’unico hospedaje esistente in loco (Eco Lodge Majagual); parte alle 10.30 davanti a “Casa Oro”. Cominciamo a maturare l’idea di passarci una notte…
Manca ancora la corrente, ma non nella nostra zona, così decidiamo di utilizzare i PC del simpatico Leo, che offrono una connessione abbastanza rapida per 40 C$ all’ora (30 minuti, 20 C$). 
Per cena ordiniamo alla signora una “comida” a base di pescado : pargo rojo e nuovamente restiamo ampiamente soddisfatti.
La serata la concludiamo a “Casa 28” in compagnia di coca e ron !

25 Gennaio 2003 – Majagual.
Dopo una notte abbastanza movimentata per il forte vento che l’ha resa quasi fredda, costringendomi a indossare pantaloni e maglietta a maniche lunghe, ci alziamo alle 09.00 e come prima cosa torniamo a “Casa Oro” per avere conferma di tutte le notizie avute ieri, al fine di organizzare una notte a Majagual. Conferma piena ! Il pulmino gratuito parte alle 10.30 ogni mattina ad eccezione della domenica. Per tornare si può prendere lo stesso pulmino, che parte la mattina alle 09.00 da Majagual, oppure se si ha necessità di essere a San Juan più presto, è necessario accordarsi con un tassista per farsi venire a prendere; costo del passaggio, 80 C$ ed è possibile prenotarlo tramite “Casa Oro”. 
Visto che la cosa è fattibile, decidiamo di dedicare la giornata di domani e l’ultima notte in Nicaragua a Majagual, accordandoci per avere un taxi che ci riporti a San Juan alle 06.00 di martedì mattina, in modo da raggiungere la frontiera e San Jose del Costarica con comodo !
Pianificati gli ultimi giorni di viaggio, andiamo al mercato a fare colazione. Ci sediamo a “El Cafetin” di Daniela, pimpante e simpatica ragazza fiorentina, che a prezzi stracciati, prepara tutte le mattine un ottimo desajuno e un buon cafè in moka, all’insegna dell’allegria e della spensieratezza. Gioiosa, disponibile e socievole, renderà “scoppiettante” il vostro inizio di giornata…
Se venite a San Juan del Sur, passate a trovarla, fate colazione da lei e soprattutto salutatemela !!!
Dopo aver scambiato quattro chiacchere, salutiamo Daniela e andiamo in spiaggia, dove, fatta mente locale e aver nuovamente pensato ai giorni che mancano alla partenza, realizziamo, che martedì è il giorno del nostro decollo da San Jose, quindi è praticamente impossibile riuscire ad andare a Majagual domani : se vogliamo vederla, dobbiamo farlo oggi !
Ci azioniamo subito : torniamo a “Casa Oro” e spostiamo il taxi di un giorno, quindi mentre andiamo verso “Casa 28” per prendere gli zaini, contrattiamo con un tassista il passaggio sino a Majagual per 80 C$.
Zaino preparato velocemente, paghiamo la signora e usciamo e sorpresa…, ritroviamo Enrica, Claudia e Nello, che sono appena arrivati a San Juan ! Spettacolare !!!
Hanno la macchina, noleggiata a Granata e anche loro vogliono andare a Majagual : cosa c’è di meglio ? Neanche se ci fossimo dati appuntamento saremmo stati più tempestivi !!!
Congediamo lo sfortunato tassista, che vede sfumare i suoi 80 C$ e caricati anche i nostri zaini sull’auto, partiamo alla volta di Majagual, nuovamente tutti insieme.
Sono veramente contento di dividere con loro ancora qualche giorno di questo viaggio; è veramente strano come mi senta in sintonia con questi nuovi amici, che mi sembrano invece vecchie conoscenze, collaudati compagni di viaggio, persone particolari e un po’ speciali, che hanno contribuito a rendere la mia esperienza in Nicaragua così speciale.
Usciamo dal paese e poco oltre, verso sinistra troviamo la deviazione per Majagual.
La strada non è molto lunga, ma le sue condizioni rendono lo spostamento un po’ ostico, anche per il pieno carico dell’auto, che arranca in salita sulla strada sterrata e spesso tocca sotto, sui dossi !
In due circostanze inoltre, preferiamo scendere, per consentire a Enrica, pilota degno di tal nome, di affrontare con più tranquillità un erta salita e un ponte di legno !
In mezz’ora raggiungiamo l’Eco Lodge, unica sistemazione della zona, gestito da un australiano, sulla spiaggia di Majagual.
E’ molto carino, ben curato, con ristorante, bar, un ampia veranda immersa nell’ombra della vegetazione a poche decine di metri dalla spiaggia, che gli si apre di fronte.
Le sistemazioni non sono molte, ma fortunatamente troviamo due stanza libere : una tripla, in cui ci sistemiamo io, Michele e Nello e una doppia in cui vanno le “bambine” !
Il costo è di 14 $ per la tripla, ma comunque bisogna versare al momento della registrazione una caparra di 20 $, visto che tutto quello che si consuma viene addebitato sulla camera e al momento del pagamento del conto, si integra la caparra o si riceve il resto.
La camera è dignitosa, pulita, abbastanza ampia con un letto matrimoniale e un letto a castello. Il bagno non è da meno : in camera, con la doccia, ma solo acqua fredda.
Il tempo di sistemarsi e siamo in spiaggia; molto carina e di sabbia fine e dorata. Il mare invece è di un azzurro intenso e l’acqua è un tantino fredda.
Il vento che soffia da terra è un po’ fastidioso e non fa altro che scaraventarti sabbia addosso, ma se si va verso destra, superato un primo scoglio che entra nel mare, si apre un’altra piccola ansa riparata, dove questo inconveniente viene eliminato quasi del tutto.
Trascorriamo l’intera giornata al sole, parlando e raccontandoci le rispettive esperienze vissute; per noi purtroppo è la fine del viaggio…, i nostri amici sono invece solo a metà !
Il tramonto anche qui è molto bello e particolare ed il sole infuoca il cielo prima di morire nel mare; lo seguiamo con lo sguardo ed in silenzio…, poi tutti in doccia, per prepararsi alla cena !
Il solo ristorante disponibile è quello dell’Eco Lodge, quindi non abbiamo problemi di scelta ! Unica attenzione da prestare è l’ora dell’ordinazione : va fatta prima delle 20.00, altrimenti si resta senza cena ! 
Io ordino il consueto filetto, Michele un pescado, i nostri compagni le lasagne…, che si riveleranno poco degne del loro nome…
Concludiamo la serata con carte e ron, quindi tutti in branda.

26 Gennaio 2003 – San Juan del Sur.
Sveglia alle 08.15 e dopo un summit con gli altri durante la colazione, decidiamo di lasciare Majagual, che merita a mio parere un solo giorno e non di più e tornare a San Juan del Sur.
Detto, fatto : paghiamo il nostro conto, ricarichiamo l’auto e in poco meno di mezz’ora siamo di nuovo a San Juan del Sur.
Comincia la ricerca del posto dove passare l’ultima notte Nica, almeno per me e Michele…
Dopo vari tentativi andati a vuoto, ci dirigiamo nuovamente a “Casa 28”, dove ritroviamo la stessa camera che avevamo lasciato e la signora ben felice di riaverci come ospiti, mentre Enrica, Claudio e Nello, che preferiscono una camera con bagno, trovano posto all’hopedaje “La Flor”, proprio sulla strada alle spalle del nostro alloggio.
Appena sistemati, andiamo a farci un cafè al “Cafetin” di Daniela e visto che sono al mercato, ne approfitto per comprare i frijoles (3 Kg., 5 C$) da portare a casa.
Quindi un bel giro di San Juan del Sur ed infine uno spuntino da Ricardo’s a base di macedonia di frutta, prima di trascorrere il resto del pomeriggio sulle sue sdraio, godendoci l’ultimo sole Nica.
Il tramonto, neanche a farlo apposta ci regala uno spettacolo ai confini della realtà : il cielo è pieno di piccole nuvole bianche che creano uno scenario incredibile, nel momento in cui il sole va a morire nel mare. Tutto diventa rosso, velato di viola, senza soluzione di continuità : non solo l’orizzonte, ma anche il cielo sopra di noi sembra prendere fuoco…
La cena è poi memorabile… Andiamo da Paolo alla “Pizzeria O sole mio”, dove mangiamo veramente molto bene. Rinnovo a tutti il consiglio di andarci se capitate a San Juan : sicuramente il posto dove si mangia meglio e che offre il miglior rapporto qualità/prezzo.
L’aperitivo lo offro io : una bella bottiglia di “Flor de Caña” invecchiato 7 anni, che svanisce rapidamente…, quindi un assaggio di tortelli al pesce, e un ottimo filetto, accompagnato da riso e insalata, bagnato dall’immancabile Toña. Paolo, infine, ci offre il lemoncino, che gradiamo molto volentieri…
Una serata molto carina, che scorre via veloce; sembra quasi che il tempo negli ultimi giorni di un viaggio, passi molto più rapido… Siamo gli ultimi a lasciare il locale, verso le 22.00 e ripercorriamo tutto il malecon, sino alla traversa che porta verso il mercato.
In giro ci siamo solo noi…; prima inevitabile tappa all’angolo della prima parallela, dove si trova “Casa 28”. Restiamo diverso tempo a parlare come se non volessimo salutarci…; ora che ci siamo ritrovati, ci dobbiamo nuovamente lasciare, le nostre strade, purtroppo, si separano ancora una volta…

27 Gennaio 2003 – Peñas Blancas, Alajuela (Costarica).
Alle 07.00 lasciamo “Casa 28” e andiamo a prendere il bus per Rivas; parte di fronte al mercato alle 07.30 e il costo per la “Virgin” è di 5 C$.
Visto che siamo in anticipo, a turno entriamo al mercato a prendere un cafè negro, quindi puntuale il bus lascia San Juan del Sur, come al solito annunciando la partenza con sonore strombazzate.
In circa mezz’ora raggiungiamo la “Virgin”; il bus che porta a Peñas Blancas ci aspetta sul ciglio della strada; neanche il tempo di salire, che siamo in movimento.
Venti minuti e altri 5 C$ e raggiungiamo la frontiera. Il bus ci lascia a poche decine di metri dalla zona franca, che percorriamo a piedi; ci sono moltissime persone, e ai margini della strada si susseguono le bancherelle che vendono di tutto.
Prima di accedere alla zona franca di frontiera è richiesto il pagamento di una tassa comunale, pari a 1 $ o a 14 C$, che vengono richieste e vanno pagate subito ad un funzionario, che si trova davanti al cancello di accesso della frontiera.
Una volta pagato, si entra nella zona franca e tenendo la sinistra, bisogna raggiungere l’ultima palazzina sul fondo, dove si trova l’immigrazione Nicaraguense.
Percorriamo i duecento metri a piedi col nostro zaino sulle spalle, e ci accodiamo agli sportelli; sfortunatamente prima di noi è arrivato il Ticabus, che attraversa tutta l’america centrale e c’è una discreta coda !
Se si è provvisti della carta di ingresso, che si riceve al proprio arrivo in Nicaragua, non è necessario compilare alcun modulo : basta presentare il passaporto e il permesso di soggiorno turistico e pagare 2 $ (quindi conservatevi qualche banconota di piccolo taglio…) come tassa di espatrio. 
Espletate le formalità alla frontiera Nica, facciamo dietro-front e torniamo sui nostri passi, dirigendoci verso la frontiera Tica, che è facilmente individuabile : si trova dritto, di fronte al cancello di accesso, basta seguire la fila dei camion !
Proseguiamo tenendo la sinistra, costeggiando la lunga colonna di Tir e subiamo il controllo passaporti, effettuato da due guardie costaricensi; quindi sempre diritto e incontriamo il cartello che individua materialmente il confine. Foto di rito sotto quest’ultimo…, quindi ancora diritto.
Arriviamo in uno spiazzo, in cui sulla destra c’è una pensilina e diversi bus e a sinistra il ristorante “La frontiera” : entriamo dal lato destro di questa struttura e ci incolonniamo per passare il controllo dell’immigrazione del Costarica. Fare ben attenzione a non entrare dal lato sinistro, perché la fila inizia dalla parte opposta !!!
Mentre aspettiamo in coda, cambio gli ultimi cordobas nicaraguesi e venti dollari in colones costaricensi a uno dei molti “coyotes” (cambia valute…) presenti nella struttura : il cambio mi appare favorevole e solo di poco si discosta da quello effettuato dall’ufficio bancario alla mia sinistra. Circa 350 colones per ogni dollaro.
Nel frattempo la colonna si muove, dato che nell’atrio, delimitato da una vetrata, in cui sono sistemati gli sportelli dell’immigrazione, un agente di polizia fa entrare circa una ventina di persone alla volta.
Ci vuole circa una mezz’ora per espletare questa fase burocratica, anche perché bisogna compilare un coupon prima di ricevere il visto turistico : in compenso non viene richiesto alcun pagamento !
Usciamo dal lato da dove siamo entrati e mentre io custodisco gli zaini, Michele attraversa la strada, entra nella biglietteria della “Transporte Dulce” e acquista i biglietti del pullman per San Jose : costo, 1.900 Colones. Provvisti di biglietto ci incolonniamo sotto la pensilina con tutti gli altri in attesa di partire.
Prima di salire sul bus, viene effettuato un controllo bagagli, più convenzionale, che reale, quindi si sistema lo stesso, spiegando esattamente quale sarà la propria destinazione, in modo da non ritrovarselo dietro a tutti gli altri al momento di scendere e si sale sul pullman. Consiglio : fate prima che potete e una volta saliti, prendete subito posto, perché vengono venduti più biglietti di quanto siano i posti a sedere e se ci si attarda, si resta in piedi !
Il viaggio dalla frontiera a San Jose dura circa 5 ore e non viene effettuata alcuna sosta.
La differenza fra i due paesi, appare subito netta e marcata : praticamente nello spazio di una frontiera, sembra di compiere un balzo in avanti di cinquant’anni !
Il Costarica, per quello che riesco a scorgere, dai finestrini del pullman mi appare subito un paese molto organizzato, con strade larghe e perfettamente asfaltate; i mezzi sono in ottimo stato, moderni e la cartellonistica stradale, ricalca quella americana.
Niente a che vedere con il Nicaragua : ma non è di sicuro la stessa cosa !
Cuore e anima non si inventano, non si comprano, non si creano : ho ce l’hai o non ce l’hai !
Il Nicaragua ha mantenuto una propria identità, che si manifesta con forza in ogni attimo di vita quotidiana, nei gesti, nelle parole, nelle città, tra la gente; l’afferma con orgoglio e la difende e ciò colpisce immediatamente a discapito della povertà e dei pochi mezzi attualmente a disposizione, che finiscono per diventare marginali.
Il Costarica, la “Svizzera” del centro america, invece, mi è sembrato che questa identità l’abbia dimenticata, perduta, sepolta, barattata…, diventando irrimediabilmente una “copia” di quello stereotipo del modello statunitense a cui tende.
Verso le 12.30 arriviamo all’aeroporto di San Jose, che dista 18 Km. dalla capitale e qui scendiamo, dato che non è nostra intenzione pernottare nella capitale. Inoltre dobbiamo confermare il volo di domani, quindi, entriamo in aeroporto nella speranza di poterlo fare.
L’aeroporto è veramente molto bello, funzionale e moderno; una struttura apparentemente nuova e recente.
Non riusciamo nel nostro intento di confermare il volo, ma apprendiamo che non è necessario, quindi prendiamo subito un bus per Alajuela, piccola cittadina a soli 2 Km., logisticamente più comoda per trascorrere l’ultima notte : costo, 300 colones.
In circa 10 minuti siamo al terminal di Alajuela, che non ha niente in comune con i fatiscenti e sporchi terminal nica, ma questo è dovuto solo alla ricchezza…: probabilmente 15/20 anni fa anche questo, avrebbe avuto l’aspetto dei terminal di Managua.
Accompagnati da una gentile ragazza a cui Michele a chiesto informazioni, raggiungiamo l’Hotel Alajuela, poco lontano, dove prendiamo, per il prezzo non poi così basso di 40$, una doppia con bagno : la voglia di cercare un posto più economico non c’è, annebbiata dalla malinconia della fine del viaggio…, tanto è l’ultima notte !
La camera non è niente di eccezionale; pulita, ma piccola, buia, con un forte odore di naftalina e nessuna finestra che da sull’esterno, ma solo una che da sul corridoio. Anche il bagno non fa eccezione : pulito, ma con acqua gelata !
La fame si fa sentire, quindi consigliati dal ragazzo della reception, raggiungiamo il vicino mercato e ci sediamo alla “Soda Hermanos Gonzales”, dove la “comida es muy veloce y rica !”
Il mercato non è molto ampio e vende solo generi di prima necessità, niente di artigianato.
Facciamo un bel giro della città, trafficata e piena di negozi e centri commerciali; sembra di stare in europa, o forse sarebbe meglio dire in america…
I semafori sono posti in alto al centro dell’incrocio, lo smog non è indifferente, l’inquinamento acustico notevole, la gente va di fretta lungo le strade, ostentando quell’indifferenza che caratterizza le nostre “normali” giornate : praticamente siamo già tornati a casa…
I prezzi sono due o tre volte più alti che in Nicaragua, ma quello che cambia e si percepisce di più e immediatamente è l’atmosfera.
Troviamo un punto internet, da cui comunicare un’ultima volta con casa prima del ritorno e confermare l’orario di arrivo, quindi di nuovo in hotel per allestire definitivamente lo zaino per il viaggio e aspettare l’ora di cena…
Alle 19.30 usciamo nuovamente per cercare un posto dove mangiare e vaghiamo senza successo per diverse quadre, tra serrande abbassate e negozi chiusi, prima di imbatterci nella “Soda Argo”, gestita da un greco, che da vent’anni si è stabilito qui.
Un buon churrasco di carne e una fanta, rappresentano la nostra ultima cena in viaggio : costo, 1.200 colones.

28 Gennaio 2003 – San Jose, Miami
Alle 08.00 lasciamo l’hotel Alajuela e raggiunto il terminal, prendiamo il primo bus per San Jose, che passi anche dall’aeroporto (chiedere, perché non tutti fanno questa tappa, anche se lo si legge sul parabrezza).
Una decina di minuti e siamo a destinazione; paghiamo ai box posti nel corridoio subito dopo l’entrata per i voli internazionali, la tassa costaricense di espatrio (per i turisti è di dollari 1,60 per un soggiorno inferiore alle 48 ore e di dollari 16,70 per un soggiorno superiore alle 48 ore) e accediamo alla moderna struttura, accodandoci al check-in dell’Iberia.
Mentre aspetto, guardo il serrato controllo dei bagagli agli altri check-in; le borse e valigie vengono aperte e controllate minuziosamente…, tutto il lavoro fatto per allestire lo zaino, andrà a farsi benedire !!! Ed invece no…, passiamo indenni il controllo : meno male !
Girelliamo per i negozi della zona partenze spendendo gli ultimi colones…, una telefonata a casa con la scheda che Nello, gentilmente ci ha regalato, quindi imbarco e partenza in perfetto orario per Miami.
A Miami ripetiamo la trafila già effettuata all’andata per poter accedere alla sala transito, ma questa volta è molto più laboriosa e lunga in termini di tempo, dato che l’aeroporto è pieno di gente.
Imponente il servizio di sicurezza, con molti militari armati : segno che la guerra è vicina ? Speriamo di no… (anche se sarà una speranza vana…).
Volo per Madrid in perfetto orario, su un Boing, che mi appare enorme dall’esterno, un po’ strettino, una volta che prendo posto all’interno !
Volo tranquillo, anche se con qualche turbolenza; pasti ottimi.

29 Gennaio 2003 – Madrid, Milano, ritorno…
In perfetto orario giungiamo in Europa, accolti da una bella giornata di sole, che però non mi accende il sorriso…
Il volo per Milano parte con un ritardo di quasi un’ora, a causa dell’attesa di qualche coincidenza.
Sull’aereo saremo forse una quarantina di persone… Le due ore passano veloci e in men che non si dica, siamo al ritiro bagagli di Malpensa : eccoci a casa, con il ricordo di una grande e fantastica avventura che mi scalda l’anima e il cuore e il sogno di una nuova partenza.

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