Li ho sempre ammirati e definiti coraggiosi, ma anche un po’ coglioni,
 coloro che sin dalla tenera età hanno avuto l’impulso di scrivere un diario,
 e poi, ancora più coglioni, di non distruggerlo.
 Una volta era di moda, fra noi ragazzi e soprattutto fra le femminuccie, ora
 non lo so. Lo sport più divertente, per noi maschietti, era quello di riuscire ad
 individuare il posto dove lo sventurato o la sventurata avevano dimenticato
 questo forziere personale, che raccoglieva le cose più intime della propria
 figura.
 Con l’mmaginabile proseguio di allusioni e prese per il culo; conseguenza
 anche di catastrofiche interruzioni di belle amicizie ben consolidate.
 Quando non venivano, poi, a mancare anche i presupposti per iniziare un
 interessante ed innocente, forse, flirt.E siccome io ero il primo a cercare spudoratamente di violare queste
 intimità, le mie amiche, in particolare modo, oltre che odiarmi,
 ricomponevano subito le loro faccende, al mio apparire.
 Per questa ragione, mi sono sempre rifiutato di tenere un diario, anche se
 agli occhi dei coetanei ero un marziano.
 Perché non me ne fregava niente di dediche od elogi scritti, con vari
 disegnini e fiori secchi incollati nelle pagine del libro, a futuro e
 perenne ricordo di amici, amiche, compagni di scuola.
 Ma, ve lo sareste immaginato che razza di ritorsioni avrei subìto, nel caso,
 non improbabile, che il mio diario fosse stato scoperto ?
 Come mi sarei potuto giustificare se l’interessata fosse venuta a
 conoscenza, leggendo il quaderno, che la domenica l’accompagnavo ai festini,
 solo perché il giorno dopo mi riforniva di sigarette, prese nel tabacchino
 dei genitori ?
 Per non parlare di peggio, su cui stendo un velo pietoso.
 A dirla tutta, ci avevo anche provato.
 Per tre settimane mi ero fatto due palle così a scrivere quant’era buono il
 mio Catechista, le buone azioni che avevo inventato, nominare tutte le
 vecchine che avevo aiutato ad attraversare la strada.
 Omettevo, però, tutte le altre azioni, comprese quelle impure, che mi
 toccava poi confessare nel pomeriggio del sabato, vigilia della comunione
 domenicale.
Eh sì, perché ogni tre o quattro giorni, l’insegnante di religione
 raccoglieva i diari e coloro che si erano resi meritevoli potevano entrare
 gratis al cinema Concordia, la domenica pomeriggio.
 Allora era una corsa a trovare tutti i poveretti, inventati, bisognosi di
 elemosina, mentre le vecchine, ormai inflazionate, non se ne trovavano più.
 Poi il Catechista, un giorno, pellegrinando lungo la strada di Damasco, ebbe
 l’illuminazione che era più saggio lasciar correre, perché quello che
 leggeva era un po’ diverso da quello che sentiva nel confessionale.
 E non si chiedeva neppure quale delle due versioni fosse quella giusta.
 Ma quello che mi disturbava maggiormente erano le domande “quante volte, in
 che modo, ti penti, lo farai ancora ?”
 Ma chi si ricordava quante volte e se pensavi a qualcuno!!
 Ve l’immaginate averlo scritto sul diario “con Fedora abbiamo pensato bene
 di giocare a dottori, dal momento che il Monopoli l’ha preso Matteo”.
 Ritenni così che era più consono non tenere alcun giornale, in maniera tale
 che tutte le mie emozioni, i miei sentimenti, i miei primi passi, me li
 sarei tenuti per me e basta; tutt’al più avrei visto qualche films in meno.
 Poi, diventato grande, sempre meno è venuto il desiderio di scrivere “il mio
 diario”. Che catastrofe, l’avesse trovato la mi’ moglie.
 Chi legge queste note, sicuramente obietterà la prima di una lunga serie di
 ” ma che centra ?” Centra, centra, perché ora ho cambiato idea, e voglio
 scriverne uno, solo per pochi giorni, e solo per la cronaca seria di una
 vacanza non seria.
 Ora ho un’età in cui mi vergogno di altro, ma non delle mie emozioni e dei
 miei pareri, e se per caso qualcuno ha il coraggio di leggerlo, sono solo
 affari suoi; tanto al cinema non ci vado più da parecchio tempo ed il diario
 serve a me.
Perché serve a me ?
 Durante questo mese, ho sognato a lungo, per decidere di organizzare la
 solita vacanza invernale con la mi’ moglie ed ho avuto tempo di
 risoffermarmi sulle immagini fotografiche e filmate di viaggi fatti assieme
 in precedenza.
 Tutti bellissimi e pieni di ricordi, ora meravigliosi.
 Perché le contrarietà, sul momento ingigantite, sono state dimenticate o
 sottovalutate.
 Mi sono più volte chiesto:
 “ma lì, in quel momento, cosa pensavo e come vivevo il quotidiano tran –
 tran del turista medio?
 Quei colori, quei tramonti, quelle piazze, quei mercati, erano veramente
 sublimi, come le foto asettiche me le facevano rivivere, o c’era tanta puzza
 che mi faceva vomitare ed i rumori assordanti mi scassavano il sistema
 nervoso ?
 Quella foto al Market di Mombasa esprimeva il benessere di un ricco e
 satollo Bwana in visita alle miseria del Kenia, ma traspariva anche
 l’incazzatura per tutti quei rompi zibidei, che mi ronzavano intorno per
 offrirmi servizi inutili e mai richiesti ?
 Quella gita in barca privata, alle Seichelles , bella, bella, ma quanto ci è
 costato il trofeo del ^pesce corallo^? 
 Quelle trentasei ore di volo,sballottato fra sale attesa degli aeroporti,
 non tutti confortevoli, bivaccando anche come nomadi, disgustato dalla mia
 stessa puzza, senza avere l’opportunità di una doccia didinfestante, non me
 le ricordo più, eh?”
Ho deciso, quindi che quest’anno le nostre vacanze saranno affiancate da una
 cronaca quotidiana, che servirà a ricordare obiettivamente come si è svolta,
 senza ricordi caramellosi, anche con crudezza di immagini, se necessario.
 Ovviamente, non racconterò tutto tutto, ma solo l’essenziale.
 Ma non tutto l’essenziale, ma quel poco, anche con dovizia di particolari,
 che servirà a ricordarsi bene come si è svolta, fra qualche tempo, e senza
 che la mi’ moglie si incazzi, come magari ha fatto in quel momento.
PREPARAZIONE DEL VIAGGIO
 Premetto che non abbiamo più né l’età, né la voglia di partire alla ventura,
 vivendo tutto il quotidiano assieme ai locali.
 Neppure moriamo dalla voglia di trascorrere il nostro tempo intruppati in
 coda a seguire una bandierina tenuta alta da un’ accompagnatrice, non sempre
 disinteressata.
 Mi sono rifornito di depliant illustrati per trovare quello che poteva fare
 al caso nostro.
 Alla fine abbiamo scartato tutto il mondo, perchè ci siamo chiesti :
 “qual’ è quel paese dove il sorriso perenne è sulla bocca di tutti ?
 dove quando qui è inverno, lì fa molto caldo, dove si stà bene, si mangia
 pesce in tutte le salse, costa poco, non ti rompono le palle, ti diverti,
 sei rispettato se rispetti loro, lo conosci, lo ricordi con piacere?
 dove quando dici NO al mercataro, che ti vuol vendere la nienteria, è NO e
 basta ?
 dove sulla spiaggia il Vù cumprà locale si siede a dieci metri da te e porta
 in visione la sua mercanzia solo se tu gli e lo chiedi ?
 dove sei già stato meravigliosamente bene le altre cinque volte che ci sei
 andato ?”
La risposta non può essere che ” LA THAILANDIA”.
Allora ho di nuovo scorso tutte le mie vecchie guide e cartine,
 ripercorrendo mentalmente tutti gli itinerari; ne ho acquistate delle nuove
 ed alla fine abbiamo prenotato il viaggio Verona/Roma/Bangkok e ritorno,
 pagando, tramite un’Agenzia tedesca, la Tischler, i soggiorni: 6 notti a Hua
 Hin al Royal Garden Resort e 4 notti a Bangkok al Siam Intercontinental.
 Niente di particolarmente esotico ed eccitante, ma una vacanza rilassante,
 seppur breve, senza tante avventure.
 Hua Hin è una cittadina sul golfo del Siam a circa 220 kilometri a sud di
 Bangkok e noi ci siamo stati già nel 1994.
 Ci era piaciuta e ci ritorneremo. Sono passati sei anni e la troveremo
 sicuramente cambiata moltissimo e forse subiremo una grossa delusione, ma
 rischiamo ugualmente.
 Il trasferimento Bangkok/Hua Hin, abbiamo scartato la vettura privata, lo
 faremo con il treno o con il bus. Vedremo e vivremo a soggetto.
 Anche per gli itinerari a Bangkok (abbiamo già visto quasi tutto),
 cercheremo di indirizzarci verso mete alternative, ai margini del turismo
 organizzato.
 Non per questo fare i sacco-pelisti, torneremo ancora in quei luoghi già
 conosciuti ed anche meta “dell’italiano medio”.
 L’obiettivo è trascorrere un periodo di vacanza tranquilla, secondo il
 nostro metro, alla riscoperta di luoghi già visitati, forse già mutati, ma
 non per questo meno interessanti. Non ultimo, vacanze ittico-gastronomiche
 che non ci hanno mai deluso.
 A Bangkok abbiamo scelto l’hotel SIAM Intercontinental; è stato sempre un
 pallino per me. 
 Le volte che sono stato in Thailandia, sono sempre andato a passeggiare
 nella sua hall e mi sembrava veramente un’ oasi, con i giardini che la
 circondano. E fuori il caos di Bangkok.
 Vorrei tornare al mercato galleggiante, quello fuori città, a cento
 kilometri, a DAMNOEN SADUAK.
 Ci siamo stati nell’ 81 con nostro figlio che aveva 10 anni, ma a quel tempo
 non avevo la videocamera. Chissà come sarà oggi.
 Vedremo di organizzare la trasferta senza fermarci, nel ritorno, al Rose
 Garden, bello, bellissimo, rappresentativo, ma troppo inventato per i
 turisti.
 Vorrei riuscire a farmi portare nel piu’ grande ristorante del mondo dove i
 camerieri servono con i pattini a rotelle.
 Vorrei ritrovare quel ristorantino sulla sponda ovest del CHAO PHRAYA, dove
 il cameriere mi portava in giro per la sala a vedere cosa mangiavano gli
 altri per poter così scegliere. Chissà se riusciro’ a trovarlo.
 Devo rispolverare i vecchi testi di inglese sui quali ho iniziato a capire
 qualcosa, non molto, ma sufficiente per sopravvivere e fare tanto casino,
 parecchio divertente.
 L’importante è non prendersela mai anche se vi saranno delle sicure piccole
 contrarietà.
8 gennaio 2000 – Domenica
 Abbiamo ritirato i biglietti aerei ed i voucher degli alberghi.
 Ora, l’unica preoccupazione è la nebbia, che giovedì prossimo potrebbe
 infastidirci; da Bolzano dobbiamo arrivare a Verona per prendere l’aereo
 delle 8.30 per Roma. Poi a Roma alle 14.40 il volo no-stop per Bangkok. Se
 Verona fosse immersa nella nebbia, come si arriverebbe a Roma in tempo?
 Vedremo.
 Intanto ci siamo forniti di US Dollar per vivere in Thailandia ed abbiamo
 appurato che il Bath (moneta locale) è pressappoco dello stesso valore
 dell’anno scorso: 1 bath = circa 50 Lire.
 E’ molto semplice cosi’ fare i conti.
 Come compagnia aerea, quest’anno abbiamo scelto la Thai Airways, già
 piacevolmente sperimentata due altre volte precedenti.
 Ci hanno permesso anche di prenotare i posti sul Jumbo ed abbiamo optato per
 gli ultimi due delle file laterali, anche se più rumorosi, in maniera tale
 da non avere altri passeggeri accanto, nelle poltroncine.
 Potrebbero innervosirsi per la mia presenza fastidiosa, per i miei continui
 movimenti, le mie solite consultazioni di mappe e per l’insopportabile
 olezzo dei miei piedi , che anche appena lavati con brusca e striglia,
 assomigliano tanto ad una forma di cacio pecorino.
 Su Internet mi sono fatto una copia della mappa del B-747 e già mi vedo dove
 starò per 12 ore di fila. Di dormire, neanche parlarne, non ci riesco, e
 cosi’ dovro’ inventarmi come trascorrere il tempo.
 13 gennaio 2000 – Giovedì
 Sono le ore 15.20. Sono passati 10 minuti dal decollo da Roma e non abbiamo
 ancora forato completamente le nubi sopra di noi.
 Questa mattina alle 6 nostro figlio Charly ci ha accompagnato in macchina
 all’aeroporto di Verona e con un volo di 40 minuti siamo atterrati a Roma
 alle 8.20.
 La temperatura segna 8 gradi, ed e’ piacevole passeggiare ad Ostia in riva
 al mare. Poi l’imbarco sul Jumbo della Thai.
 Si sta ballando un po’, ma spero che duri poco, senno’ come faccio a
 scrivere?
 Nel nostro reparto, proprio l’ultima fila, c’e’ uno steward molto simpatico;
 mi ha dato il permesso di fare le riprese del decollo e ci siamo
 intrattenuti parlando di Hua Hin. 
 Che lo aiuta a distribuire gli aperitivi, c’è una Hostess veramente carina,
 ma con un nome impronunziabile.
 Io la chiamero’ “COSCIA LUNGA”.
 Ci porta il menu’ scritto su cartoncino pitturato e decorato. Il contenuto
 reale lo vedremo dopo.
 Intanto “coscia lunga” arriva con gli aperitivi e posso subito esibirmi nel
 mio perfetto inglese.
 Infatti chiedo un Campari con ghiaccio e mi ritrovo sul vassoio un bicchiere
 con succo di mela. Ma l’italiano che ha in testa il sale, dovrei essere io,
 non si perde di fronte all’incompetenza linguistica della hostess ed a
 gesti, indicando la bottiglia, mi ritrovo con due bicchieri, succo di mela e
 Campari. Da provare!!
 Sotto di noi, dopo un’ora dal decollo, si vedono le montagne della Grecia
 tutte innevate.
 Comincio ad avere un certo appetito.
 Dopo due ore e un quarto siamo sopra Ankara.
 E’ già buio e si vedono le città illuminate della Turchia.
 La cena-pranzo non è male : filetti di pesce al curry con riso, per me, e
 filetto di manzo con piselli e tagliatelle per Gianna. Il vino, bianco e
 rosso, è francese. Il profumino ed una certa fame mi fanno finire tutto,
 compresi i tagliolini della mia vicina di posto.
Fà molto scalpore la mia boccetta di peperoncino che porto sempre con me.
 Tutte le hostess si fermano, guardano, chiedono cos’è e fra una chiacchiera
 e l’altra mi permettono di portarmi via i bicchierini della Thai, per
 ricordo.
 Fra i miei compagni di viaggio si notano due sposini in viaggio di nozze,
 brilla troppo la lora fede nuziale, sei giapponesini che già dormono, una
 compagnia di italiani che pensa di fumare nelle ultime file, e invece tira
 cinghia come me, ed una thailandese con un figlio piccolo, bisognevole di
 frequenti cambi di pannolini.
 Dopo il bicchierino di Martell c’è più quiete, tanti leggono, alcuni
 guardano il film, altri tentano di assopirsi.
 Solo un nonno italiano, con nipotino di tre anni ha scoperto l’intelligente
 giochino di rincorrersi per il corridoio, chiamandosi con urletti
 indiavolati. Tra poco, se continuano, mi addormenterò anch’io, ma con un
 piede fuori nel corridoio.
 “O ridi ora, ‘mbecille” gli dirò aiutandolo a rialzarsi.
 Intanto coscia lunga non si vede più. Chissà che fine avrà fatto.
 Sono passate sei ore ed abbiamo sorvolato Teheran; tantissimi pozzi di
 petrolio sono riconoscibili nella notte profonda.
 Una hostess antipatica mi manda via dalla sua poltroncina, dove si
 stendevano bene le gambe, e per questo è antipatica. Poi assieme a coscia
 lunga continua a passare per il corridoio con il vassoio delle bibite. Io
 per dispetto ogni volta ne prendo una.
 Sopra Karachi c’è molta turbolenza.
 Stò scrivendo a sgorbi. Tonfa, ritonfa. Tutti seduti per mezz’ora con le
 cinture allacciate. Vado ugualmente in bagno camminando come un ubriaco.
 Dentro mi scappa da ridere, perché scappa in quà e là anche qualcos’altro.
 Mi viene in mente quella signora che scrisse a “lettere al direttore”.
 Caro direttore, mio marito ha sempre voglia di fare l’amore; quando dormo,
 quando preparo il pranzo, quando mangio, quando stiro, quando guardo la
 televisione. Cosa devo fare, signor direttore ?
 Si, ho capito, risponde il direttore, ma perché scrive a balzelloni ?
14 GENNAIO 2000 VENERDÌ
 Albeggia e dopo poco la colazione atterriamo a Bangkok.
 Nove ore e mezzo di volo. Veramente poco, sono le 7.15 ora locale.
 Ancora dentro l’aeroporto, in attesa di passare la dogana, cominciamo a
 vestirci adeguatamente, nel senso che rimango con jeans e magliettina bianca
 di cotone maniche corte. Fuori, nonostante l’orario mattutino fa già molto
 caldo, saranno 25 gradi; abbiamo lasciato Bolzano con -7.
 Cominciamo l’avventura per arrivare a Hua Hin.
 Di norma, per fare 250 KM, dall’aeroporto alla nostra destinazione balneare,
 vi sono i pulmini degli alberghi o le vetture private, che per la modica
 cifra di 2.400 bath = 120.000 lire, per due persone = 60.000 lire a testa,
 ti portano all’albergo di Hua Hin in 3 ore.
 Considerandola un’esagerazione, in virtu’ del medio costo della vita in
 Thailandia, decidiamo di risparmiare, affidandoci, seppur limitatamente, ai
 trasporti locali.
 Il risultato e’ che all’aeroporto, dopo diverse ricerche, prendiamo un
 pulmino shuttle, con aria condizionate, comodo e gradevole, che ci porta
 fino al ponte PINK LAO per 70 bath a testa = 3.500 lire.
 Da qui un TAXI METER, con 60 bath ci fa arrivare al terminal sud dei bus e
 quindi con pullman di linea, aria condizionata, abbastanza accettabile, in
 altre 3 ore a Hua Hin con 110 bath a testa.
 Altri 50 bath per il taxi scoperto, con panche, dalla stazione bus al Royal
 Garden Resort.
 Piccola curiosita’ economica: invece di spendere in due 2.400 bath = 120.000
 lire, ce la siamo cavata con 470 bath = 23.500 lire, arrivando alle 12.30,
 ma divertendoci un mondo e partecipando alla vita quotidiana dei residenti.
 Ne valeva la pena.
 Il Royal Garden Resort di Hua Hin è rimasto come me lo ricordavo.
 Bello, pulito, con tanto verde. Una piscina molto grande, immersa in un
 giardino tropicale; bouganville, palme, frangipani, orchidee, creano dei
 giochi di luci ed ombre. Si sente parlare solo tedesco. Di italiani .. solo
 noi due!
 Al confine est dell’Hotel, una spiaggia grandissima ed altrettanto pulita,
 con una sabbia bianca e finissima.
 Ci offrono il drink di benvenuto e ci permettono di riprendere fiato. Poi a
 cercare se sulla spiaggia c’e’ ancora il baracchino di legno dove 6 anni fa
 cucinavano un meraviglioso pesce alla thailandese.
 C’e’ ed e’ rimasto uguale; non una tavola di legno in piu’ o un mattone
 messo a nuovo. L’unica aggiunta, i tavolini di legno con relativi ombrelloni
 piantati nella sabbia.
 Gianna si accontenta di un paiolo di macedonia di frutta ed io, tanto per
 iniziare col piede giusto, mi pappo un tegame di Tom Yam Kung (una zuppa di
 pesce con gamberoni, funghi, pomodorini, cipollotti, citronella, tante
 verdure) piccante e buonissima.
 Infine due granchioni al vapore con salsa chili a parte. La loro polpa e’
 veramente squisita. Le pietanze le assaggia anche Gianna che pero’ si
 arrende presto allo zenzero del Tom Yam Kung.
 Il caldo, ma non irresistibile, grazie ad una leggera brezzolina, ci fa
 scolare due birre Singha Big. 
 Per la cronaca e per ricordo: il tutto per 250 bath = 12.500 lire.
 Ora sono le 16.30 e dopo il bagno in piscina andremo in paese. Abbiamo
 voglia di dormire ma dobbiamo resistere fino a stasera, cosi’ domani
 prenderemo subito i ritmi del fuso orario thailandese, 6 ore in avanti.
 Cena in una terrazza sul mare.
 Hua Hin si e’ rinnovata moltissimo. E’ piena di negozi belli e tanti
 ristorantini. Molto pulita, molto turistica, ma piacevole. 
 Di italiani, che notiamo, ci sono solo quattro ristoranti, dai quali, forse,
 ci terremo lontani.
 Dicevo della cena. Speciale come sempre: zuppa di pesce con granchioni,
 gamberoni in salsa curry, riso bianco, riso con gamberi e uova, 3 coca cole,
 acqua minerale. Poco meno di 300 bath = 15.000 lire, in due.
 Unico neo, i moscerini, che pappano Gianna sulle gambe; una quindicina di
 punture che pero’ dopo 10 minuti scompaiono con lo stick apposito.
 Dopo cena visita al mercato serale per locali. Paccottiglia e curiosita’,
 capi di abbigliamento, scarpe, borse, borsette, e tanta roba da mangiare,
 molto simpatico, ma crolliamo di stanchezza. A letto, facciamo in tempo a
 guardare il TG2 delle 14.00, qui sono le 20.15 e ci addormentiamo.
 15 GENNAIO 2000 – SABATO
 Alle 2.00 ci svegliamo come fosse gia’ mattina. Girelliamo un po’ e poi ci
 riprende il sonno. Ci risvegliamo che sono le 8.30; forse abbiamo gia’ preso
 il giro giusto. 
 Colazione abbondante nei pressi della piscina. Con tutto quello che c’e’, si
 potrebbe fare un lauto pranzo. Mi limito a tre tazze di caffe’ nero, 2
 succhi di arancia-mandarino, 2 uova fritte, 3 fette di pane con burro e
 marmellata di ananas.
 Vi sono diverse famiglie Thai che oggi vengono in piscina. E’ il loro giorno
 di festa e lo trascorrono al mare. Sulla spiaggia c’e’ piu’ gente di ieri,
 ma l’idea di Riccione o Viareggio è’ lontanissima. 
 Una venditrice di frutta stà preparando il suo ombrellone per riparare
 l’enorme cesto dal sole, che picchia sodo.
 I cavallai attendono i turisti per una galoppata sul bagno-asciuga e le
 massaggiatrici (quelle serie, ma per me sono le altre piu’ serie, perche’ la
 prestazione e’ piu’ completa), si preparano a palpeggiare i glutei dei
 turisti.
 Solito pranzo, dieta di crostacei e riso.
 Per quanto si diversifichi nei menu’ e nelle bibite, non si riesce a
 spendere, anche esagerando, piu’ di 250 bath = 12.500 lire a testa, facendo
 un pasto completo ed abbondante con pietanze che in Italia sarebbero
 proibitive economicamente, se consumate in modo continuativo.
 E’ pomeriggio e andiamo in paese passando per la spiaggia. Vogliamo prendere
 le biciclette a noleggio, ma prima tento di affittare un samlor, riscio’
 locale.
 Sarebbe bello, io che pedalo e Gianna che si spaparanza nella carrozzina.
 Non riesco a convincerli,ed a farmi capire, che non ci serve il pedalatore e
 cosi’ prendiamo due bici normali per 100 bath = 5.000 lire a testa al
 giorno: TROPPO!!! ma non ce ne sono altre.
 Giriamo per il paese fino al campo di golf e poi ancora per i mercati.
 Alla sera è attivo il night market, mercato serale pieno di negozietti e
 ristorantini in uno dei quali sostiamo per la cena.
 E’ sempre un grande effetto vedere il pesce in bella mostra, sceglierlo,
 farlo cucinare in diversi modi e gustarlo senza mai stancarsi.
 Al termine della cena, controllando il conto, noto che il totale e’
 inferiore al normale.
 Ricontrollo, e non appare segnata un’insalata di granchio ordinata
 successivamente.
 Lo faccio notare al boss che si prostra in centomila inchini e
 ringraziamenti, notando lui, questa volta, che aveva computato due birre
 piccole invece che due Big. Ma potevo tapparmi la bocca !!
 Rifa’ la somma, pago la differenza e mi dice: “You are very kind – tu sei
 molto gentile.” “No”, rispondo io, “I am a very ball italian!!! – Io sono un
 italiano molto coglione”.
 A letto a mezzanotte ma dormo poco. Non ho sonno.
16 GENNAIO 2000 – DOMENICA
 Quella budella della mi’ moglie mi convince ad andare in bicicletta fino
 alla montagna con il Budda, alla fine della lunghissima spiaggia. Sono 5 Km
 di sudate. Al ritorno ci fermiamo un attimo nel complesso scolastico dei
 Salesiani, che si trova proprio di fronte al nostro Hotel. 
 Si avvicina un mistico filippino che parla molto bene l’italiano.
 Conversiamo e gli diciamo che sei anni prima eravamo stati a trovarli.
 Volevamo, gli dico, verificare se i Gesuiti avevano gia’ conquistato i
 Salesiani.
 La risposta e’ stata divertente, ma, secondo me, una mano era sprofondata
 giu’ nella tonaca in cerca di qualche cosa.
 Stò prendendo il sole ai bordi della piscina e rivivo mentalmente le poche
 ore trascorse qui in Thailandia.
 Fra le altre cose, che mi vengono in mente, rivedo il nostro arrivo in
 aeroporto a Bangkok.
 Siamo stati quasi gli ultimi a prelevare le nostre valigie dal nastro
 trasportatore, ed anche gli ultimi del nostro volo ad andare via.
 Sul nastro erano rimasti tre bagagli che giravano; intorno nessuno.
 Quando siamo usciti dalla porta della dogana, non hanno controllato se il
 bagaglio che portavamo era effettivamente nostro.
 Potevamo anche esserci sbagliati ed aver preso quello di qualche altro
 passeggero, o potevamo, volontariamente ed in mala fede, appropriarci di
 cose non nostre.
 Mi chiedo: mi pare che anche in Italia non vi siano controlli, o no ? Se
 così fosse non mi parrebbe esattamente corretto. Costringerebbe i passeggeri
 in transito a precipitarsi nella zona consegna per non farsi sottrarre le
 valigie da qualche male intenzionato. E se il controllo passaporti durasse
 più a lungo del previsto, come è successo a noi ?
 Che io mi ricordi, solo all’aeroporto di Caracas, dopo la dogana, prima di
 uscire dall’aerostazione, mi hanno verificato se il numero dei tagliandi
 incollati sulle borse, corrispondevano esattamente a quelli “madre” datimi
 al check-in.
 Vi chiederete, cosa centra questo ? Niente, ma mi è venuto in mente ora.
Le massaggiatrici in spiaggia.
 Hanno creato una struttura in legno con il tetto in foglie grandi di palma.
 Sull’impiantito vi sono tre materassi ed i turisti si fanno massaggiare per
 un’ora al prezzo di 300 o 500 Bath = 15 o 25 mila lire (bisogna trattare).
 Le massaggiatrici sono forzute e non sono proprie delle ragazzine; ogni
 volta che passo lì vicino mi chiamano con “hallo” e muoiono dalla voglia di
 palparmi; il mio fascino ha colpito ancora.
 L’anno scorso avevo concesso loro questo grande beneficio e debbo dire che
 sono state veramente brave.
 Secondo me, però, queste sono solo professioniste dismesse, sia per l’età
 che per la stazza, perché l’occhietto vispo ce l’hanno ancora.
 Io preferisco le altre, Gianna invece no!!
 Siamo a pranzo in un ristorantino della zona turistica, ma che dà fiducia.
 Ci accoglie una cameriera gentilissima e soprattutto molto carina, a
 differenza di tante altre.
 Alta, bel personale, jens e magliettina attillata. Due poccine che stanno su
 senza trampoli.
 Anche l’occhio vuole la sua parte, ed è per questa ragione che mi sono
 seduto lì.
 Ma anche l’orecchio vuole la sua parte, ed infatti appena arriva per le
 ordinazioni, Gianna mi fa subito notare la voce un po’ roca e mascolina.
 In breve, per la mezz’ora del pranzo, il mio occhio ha indugiato con
 insistenza dove poteva esserci una certa differenza ormonale, che però non
 ho notato. Ho provato a spogliarla con lo sguardo, senza alcun risultato.
 Eppure cosa avrei dato per una piccola palpatina !
 Anche mio cugino Francesco, sono sicuro, avrebbe voluto accertarsi della
 tipologia faunistica della thailandese.
 Certo, con quella classe e portamento, è proprio una cameriera con le palle.
 E’ pomeriggio tardo e decidiamo di riportare le biciclette al noleggiatore
 in paese.
 Fuori dall’hotel, c’è una ragazzina sui 16 anni, ma qui l’età della gente è
 molto discutibile e soggettiva, che arranca alla guida di un risciò,
 trasportando due tedesconi ben pasciuti e con le birre in una mano.
 Le faccio un cenno per indicarle che l’aspetterò non appena scaricati i due
 bigonzi.
 Dopo poco arriva tutta felice di poter rifare il viaggio di ritorno a pieno
 carico.
 E’ identica alla soddisfazione del camionista che è riuscito a ritornare
 alla base con il mezzo riempito.
 Appena si avvicina, le dico di scendere e la istruisco sul funzionamento
 della telecamera. Prima di qualche sua obiezione, gli e la lascio in mano e
 dopo aver fatto salire Gianna nel carrozzino, mi metto alla guida del ciclo
 per qualche giro davanti all’albergo.
 Abbiamo fatto divertire i taxisti e gli altri risciò-men, tranne la nostra
 fanciulla, che sperava di trasportarci in paese.
 Tutto sommato, penso che sia rimasta ugualmente contenta, con la mancia che
 le ho lasciato.
 Dopo cena, da ripetere il granchio con i glass noodle (spaghettini fini di
 riso), andiamo a noleggiare un fuoristrada per domani.
 Non costerebbe neppure molto, 1000 Bath = 50.000 Lire al giorno, ma è senza
 assicurazione e non hanno la possibilità di stipularla. Non ci arrischiamo
 ed optiamo per un motorino Honda a 4 marce automatiche, con sedile adatto
 per due persone.
 Costo 200 Bath = 10.000 Lire al giorno.
 Quello delle bici mi ha proprio integamato !!
17 GENNAIO 2000 – LUNEDÌ
 Un luogo comune, soprattutto tra gli europei del nord, consiste nel
 considerare caciaroni gli italiani.
 Bene, li posso smentire.
 Li superani gli spagnoli e di più ancora i francesi.
 Qui al Royal Garden ve ne sono diversi e quando sono in piscina od in
 spiaggia o a colazione, si fanno proprio notare.
 Squardi di riprovazione di danesi, svedesi e specialmente di tedeschi, che
 finalmente non possono più pontificare : ” questi soliti italiani”.
 Ci dispiace solo di essere gli unici italici presenti in questa struttura.
 Se ci fosse la compagnia giusta, che dico io, sarebbe una bella corsa fra
 noi e loro !!
CULONI LARGHI:
 Non avrei mai immaginato che potessero esistere dei deretani così enormi.
 O è un caso, o all’aeroporto, i doganieri, prima li vagliano, come Tristano
 con la mietitrebbia, e poi li smistano tutti qui.
 Certo che, se una di queste matrone si sedesse su un sacco di coriandoli, al
 momento di qualche atto fisiologico soft, farebbe carnevale per un mese.
 Mi ritrovo così ad ammirare i pochi culetti decenti, che in condizioni
 normali, mi parrebbero dei corbelli.
 Faccio pratica con il motorino; ormai sono diventato un esperto.
 Andiamo sulla collinetta ad ovest di Hua Hin, quattro kilometri tutti in
 salita.
 Il panorama è stupendo, il caldo ti affoga.
 Sotto, il campo da golf e poi il paese, la spiaggia fino a Cha Am lunga 25
 Km.
 Peccato che ci sia un po’ di foschia; da tornarci al tramonto, con il sole
 alle spalle.
 Su in cima, con noi, ci sono quattro giapponesi, un uomo e tre donne, di una
 certa età. Attacco subito discorso, (altrimenti cosa scriverei ?) e lui mi
 chiede se parlo spagnolo, perché ha vissuto molto a Madrid.
 E la frittata è fatta. Ma quando mai mi sarei immaginato di parlare,
 capendomi, con un giapponese ?
 Con il motorino è troppo bello; decidiamo di andare a Cha Am, altra località
 di mare.
 Su Internet avevo trovato un sito, il cui autore, parlando di Hua Hin,
 consigliava però di provare un ristorante di Cha Am, che secondo lui era il
 Top.
 Il ristorante si chiama PAK KLONG e si trova a nord del villaggio, dove
 termina la lunga spiaggia. Lo individuo anche senza indicazioni in inglese.
 L’insegna del nome ve la risparmio; è tutto scritto in thailandese, ma una
 vecchina ce lo insegna con un dito.
 Chiediamo al cameriere se è proprio il ristorante Pak Klong e lui
 naturalmente acconsente.
 Potrebbe anche essere ” la locanda della sesta felicità”, mi fermo
 ugualmente; ma come posso essere certo ?
 La conferma viene durante il pranzo.
 Pietanze eccezionali, curate, saporite, preparate con dovizia di
 particolari. Il conto un po’ più caro, perché cibo superbo.
 Colpo di vita, ci roviniamo con 540 Bath = 27.000 Lire in due.
 Valeva la pena dissanguarci.
 Consiglio : polpa di granchio, tanta e sbucciata, con curry indiano.
 Con il motorino è un piacere.
 La gente locale si accorge subito della mia imbranatura celestiale,
 specialmente nelle rotonde (la guida è a sinistra) e mi agevola con ampi
 gesti e sorrisi di compatimento.
 Al rientro in albergo, come sempre, faccio lo scemo con la guardia della
 Security all’ingresso del viale, salutandola militarmente sull’attenti.
 Solo che questa volta sono sul motorino e mi sono ritrovato vicino al canale
 con le ninfee.
 Gianna mi sopporta, ogni tanto scuote la testa, ma in fondo in fondo, che
 esistenza piatta avrebbe senza uno sciabordito come me ?
 In piscina c’ è una biondina niente male, che, ho controllato bene, è sola.
 Per due volte, quando passa, la saluto e le sorrido, così tanto per
 gentilezza.
 Lei deve avere però qualche difetto alla vista; non mi vede proprio. Peccato
 !
Abbiamo uno zainetto della Nike pieno di tasche e taschini, molto comodo,
 rigorosamente falso, acquistato l’anno scorso a Ko Samui.
 E’ molto adatto per girare e per questo usato tantissimo. Mi pare che fosse
 stato pagato 300 Bath = 15.000 lire, e così quando mi accorgo che una
 bretella si è strappata a metà nella giuntura, non mi sono preoccupato
 molto.
 Usa e getta, lo ricompro uno nuovo.
 A Gianna viene in mente di andare a cercare una bottega dei
 settecentoventisei sarti che si trovano lì intorno e convincerli a
 riattaccare bene le due bretelle, magari senza fretta, si può tornare il
 giorno dopo a prendere lo zainetto.
 Troviamo un sarto fuori del paese, proprio lungo la strada che porta alle
 cascate.
 C’e’ un garage lungo lungo, dove in fondo è dislocata l’abitazione con
 l’immancabile televisore sempre acceso, e all’ingresso, il laboratorio di
 sartoria.
 Sommerse da montagne di pantaloni, gonne, camicie, giacche, si intravedono
 vecchie macchine da cucire ed alle pareti, raffigurazioni di Budda ,
 Buddini, fotografie e stampe di famiglie reali, tutte incorniciate da
 ghirlande e coroncine di fiori.
 L’artigiano ci accoglie curioso, forse siamo i primi europei che si
 rivolgono direttamente a lui.
 Ci spieghiamo in lingua locale, nel senso che lui parla thailandese ed io
 l’italiano, ma con tanta gestualità, sorrisi, esclamazioni, che alla fine
 capisce il motivo della visita e ci fa cenno di accomodarci su una panchina
 lì dentro.
 Stiamo a guardare per un’oretta il genio che si esibisce in tutto il suo
 repertorio creativo, cercando bullette, trincini, battitori, incudinini, e
 spesso lavorando per terra.
 Ogni tanto mi si avvicina e, indicandomi la borsa, mi dice qualche parola,
 sempre in thailandese.
 Ho imparato che le risposte migliori e di effetto sono una serie di
 esclamazioni di stupore e lui ritorna all’opera soddisfatto.
 Sorpresa finale al termine delle riparazioni : 60 Bath = 3.000 lire.
18 GENNAIO 2000 – MARTEDÌ
 Mi è accaduto molte volte di contrattare i prezzi delle merci esposte nei
 mercati.
 In genere, partono dal doppio del prezzo poi concordato successivamente.
 Alcuni acquisti, però, non si concludono perché discordanti di 20 Bath fra
 domanda ed offerta.
 Alla fine rifletto: e io ho perso mezz’ora inutilmente per mille lire !
 E’ giusto così, o valeva la pena mollare ?
 La risposta ciascuno se la può dare secondo la propria filosofia,
 intendimento e concetto di vita.
 Intorno al settore del turismo ruota un sistema umano incredibile.
 E’ una vacca, quella del turismo, dove le possibilità di mungere sono
 infinite. I thailandesi lo sanno e si comportano di conseguenza, sempre
 grati a chi si rivolge a loro, mai servili però, con grande dignità.
 Non ho mai notato il pietismo sui loro volti, né il disprezzo per chi, più
 abbiente, si trova dall’altra parte del banco.
 E’ sempre un piacere conversare, sia per informazioni, sia per affari anche
 miseri, sia anche per sterile argomento.
 Certo non ti regalano nulla, ci mancherebbe anche questo; a meno di quanto
 loro stabiliscono non riesci a comprare, ma tutto viene coordinato con un
 rituale identico per tutti.
 Una calcolatrice che non serve a fare i conti, ma solo per scrivere il
 prezzo che ti chiedono e quello che tu offri. Alla fine un OK da parte loro
 conclude l’affare, che viene sempre rispettato. Se poi ritorni, anche dopo
 qualche giorno, a riacquistare merce similare, loro se lo ricordano, e sei
 esentato dal procedimento palloso e vai direttamente al sodo.
 Non riuscirai comunque mai a capire qual’ è il prezzo giusto.
“D’ Alema dice no ai referendum sociali” vale poco meno di un pasto in un
 ristorantino lungo la strada per Kiri Kan, vicino al parco marino naturale e
 nel mezzo di grandissime piantagioni di ananas.
 Infatti, nel ritorno pomeridiano, abbiamo comprato in paese il ” Corriere
 della Sera”, costo 130 Bath = 6.500 Lire, edizione di domenica passata, il
 cui titolo l’ho indicato prima.
 Sempre in motorino, bella gita, ma che caldo !
 Fuori delle arterie principali, nessun turista, è per questo che destiamo
 stupore.
 Ci fermiamo nei pressi di alcuni laghetti artificiali con piccole idrovore,
 per l’ossigenazione delle acque.
 Mi sembrano allevamenti di Kung, gamberi, ed infatti l’uomo Thai mi indica
 di avvicinarmi e tirando su una rete fittissima mi mostra il contenuto.
 Penso subito ad una moltitudine di crostacei che mi saltano addosso
 all’indietro, invece non vedo nulla.
 Quello insiste, e finalmente noto delle microscopiche innumerevoli uova; fra
 queste un gamberino, piccolo piccolo, appena nato, ma già formato.
 ” Vai ciccio, che’ te ti mangio dopo “.
 Vicino, c’è un ragazzotto accoccolato sulle ginocchia, che parla prima
 dolcemente, poi con convinzione, dopo ancora con fermezza, fino a lanciare
 incitamenti strazianti.
 Il suo interlocutore lo fissa, prima assente, poi, più interessato, infine
 la sua attenzione sembra vibrare fino allo spasimo e si scarica con un
 “chicchirichì” poderoso e belligerante.
 E’ dentro una grande gabbia di bambù ed il suo padrone mi assicura che è
 “very strong” e che sabato prossimo, nella piccola arena, farà sicuramente
 fuori quel bastardo che un mese fa’ l’ha ridotto al lumicino. Ora si è
 rimesso ed è pronto per rendergli la paga.
Non me la sento di fermarmi a pranzare accanto ad uno dei tanti baracchini
 sulla strada, se non altro, perché l’unica acqua che vedo per risciacquare i
 piatti, è quella di un secchio sotto il tavolo.
 Optiamo per una trattoria locale, con tavolini, che sembra più adatta.
 Unici clienti, noi, risatine di compiacimento, e secondo me, di prese per il
 culo, da parte delle cinque presenze femminili nel locale, fra donne e
 ragazzine.
 Dopo la conta a chi tocca venire al nostro tavolo, mandano l’unica ragazza
 che parla inglese.
 Dice solo ” jes e denchiù” ma è sufficiente.
 Per scegliere le pietanze, mi presenta una carta molto ricca, ma purtroppo
 scritta molto e solo in thailandese; la guardo unendo le dita delle mani e
 muovendole in sù e in giù; e ritonfa con le risate.
 Mangiamo ugualmente e bene.
 Mi sono anche fatto capire che desideravo cibi piccanti.
 E’ riuscita a farmi morire.
 Sempre crostacei e riso. Ci siamo compresi talmente bene che oltre al resto,
 mi sono toccate due paiolate di zuppa di pesce.
 Totale del conto per la cronaca economica: 220 Bath = 11.000 lire perché
 Gianna ha preso anche un trombone di gelato ed io una Pepsi da un litro e
 mezzo, sennò si pagava anche meno.
Che scottata oggi alle cosce, con il motorino; stanotte mi leccherò le
 ferite.
 Solita serata con piacevoli passeggiate in paese; infiniti vialetti e viuzze
 per il sollazzo del turista.
 Chioschi, negozietti, baracchini, ristorantini; per quanto ci passi e
 ripassi, sembrano sempre una novità.
 Mi soffermo spesso ad ammirare la tecnica di preparazione dei “thai food”,
 pietanze thailandesi.
 I cuochi sono folcloristici e preparati, usano una quantità di spezie e
 verdure a noi sconosciute, che riempiono di colori e sapori i piatti che ti
 preparano.
 Optiamo per la solita osteria.
 Ormai ci conoscono, sono premurosi, attenti, gentili, spiegano la
 preparazione dei vari menù, ci consigliano cosa provare, tanto io sono
 l’italiano coglione.
 Un neo, comune a tutti i ristoranti, è la mancanza di tovaglioli di carta,
 quelli che si addoppiano in quattro, quelli insomma che conosciamo noi, e
 con i quali si riesce a sgrassarsi la bocca e le mani; o non li conoscono o
 li ritengono superflui.
 Usano dei microscopici pezzettini di carta sottile, misura cm. 5 x 10,
 appoggiati in un contenitore sul tavolino; non servono a nulla.
 Il mio amico Biagini, Cartaria Dolomiti, avrebbe da lavorare parecchio qui
 in Thailandia.
 Stasera ho chiesto un bottiglione grande di Pepsi, come quella del
 mezzogiorno, perché quella in bottigliette piccole in una sorsata è già
 finita.
 Non l’avevano, ma niente paura, sono andati a comprarla nel market accanto.
 Poi scelta di pesce direttamente dalla vetrinetta piena di numerose qualità
 marine. Consiglio: provare il red o withe Snapper, dentice, con salsa al
 curry o al chili od anche solo bollito o alla griglia, è stupendo.
 Il ristorante lo consiglio a qualche camionista che per caso si trova a
 passare per Hua Hin.
 Si chiama SUKS MBOON ed il boss è PRASERT BOOTYING.
 Si trova in DEACHARNUCHIT ROAD 99 proprio nel mezzo del mercatino della
 sera.
19 GENNAIO 2000 – MERCOLEDÌ
 Tre bossoli di caffè nero e tanta frutta per colazione, poi alla stazione
 ferroviaria, a piedi (il motorino lo abbiamo restituito ieri sera), per
 prenotare il treno per Bangkok, domattina presto.
 Sono le 8 ed i baracchini gastronomici sono pieni di thailandesi che
 mangiano ( li vedo sempre mangiare, li invidio) zuppe di verdura con carne,
 zenzero e coriandolo in foglie, prezzemolo cinese, aglio tanto, scalogno,
 bergamotto, cedronella lemon glass, tanto riso, spaghettini, tagliatelle
 larghe e sottili, fatte con farina di riso, pezzetti di pollo con troiaini
 vari, ma saporiti, a guardare la soddisfazione con cui si ingozzano. Profumi
 e aromi di spezie, noce moscata, chiodi di garofano, curcuma, pepe,
 cannella, e l’immancabile “nam pla” salsa salata a base di pesce fermentato.
 E poi frutta fresca per tutti i gusti e tutti i sapori, manghi, ananas,
 interi o affettati, mangostani rossi,frittelle di banana, banane alla brace,
 diffusissime le fette di cocomero, anche con polpa bianca, più dolce di
 quella rossa. 
 Sono degli esperti a scolpire la frutta e verdura e la trasformano in
 splendide decorazioni.
Le Ferrovie Thailandesi debbono essere, in qualche modo, in una fase di
 transizione, smobilitazione e rinnovamento, ma in peggio.
 Saranno stati istruiti da qualche loro collega a sei ore di fuso orario in
 meno, perché non c’è quasi mai nessuno allo sportello, gli orari sono
 scritti in modo che solo dopo aver conseguito una laurea in cartellonistica
 ferroviaria, riesci un po’ a comprenderli; hanno anche tolto il bar, dove ci
 si ristorava con una bibita fresca.
 Prenotiamo i posti e paghiamo i biglietti per domani mattina presto fino a
 Bangkok, in seconda classe, previste quattro ore di viaggio, speso 182 Bath
 a testa = 9.100 lire.
Oggi giornata di riposo sul mare.
 Abbiamo due poltrone-lettini nel giardino confinante con la spiaggia tramite
 un murettino basso.
 Siamo in prima fila e vediamo tutto quello che succede ed il passeggio sul
 bagnasciuga.
 Ogni tanto passa qualche venditrice di ananas, banane, noci di cocco, con i
 due cestoni a biciancola su una spalla.
 Ci guarda sorridendo, chissà cosa pensa.
 Una di queste ha una bambina piccola che ci squadra con gli occhioni
 sgranati.
 Gianna dice di no, ma io sono sicuro di aver sentito la madre dire alla
 figlia : “hai visto che carini che sono ? sembra che capiscano”.
 Da noi, i bambini si portano allo Zoo, qui invece in spiaggia, e gratis.
C’è una slava “CULO GIUSTO” qui accanto a noi, ma anche il viso è della
 stessa categoria.
 Legge un libro a caratteri cirillici.
 Chissà come sarebbe rotolarsi fra sospiri e da !! (come ha insegnato Lucio
 Battisti).
Ora passa “CULO BASSO”.
 Se la perdi la ritrovi subito, basta seguire la strisciata che lascia il
 deretano sulla sabbia.
 La sabbia è bianchissima, fina, pulita, non scotta, ideale per bambini.
 Mi piacerebbe, ma mi vergogno, eppure cosa darei per una paletta e
 secchiello.
“CULO BIANCO” è invece passata ora.
 Dev’essere appena arrivata e continua a passeggiare sul bagnasciuga facendo
 ogni tanto dei piccoli saltelli e gridolini quando arriva l’ondina di
 risacca.
 Certo è difficile sopportare il freddo dell’acqua, che credo sia un brodo
 bollente.
Gianna è una santa.
 Mi compatisce, mi guarda con commiserazione quando rido per conto mio e
 scrivo, e l’ho sentita pensare: “ma che cazzo avrà da tenere sempre la penna
 in mano ?”
Direttamente in mare con la sigaretta fra le labbra è andata “CULO SECCO”.
 Questa mattina, a colazione l’ho vista ingerire tre grani di mais, un filino
 di papaia, un licius sbucciato, tanto per non ingrassare troppo.
 Infine, due fettone di torta alla crema con sopra aggiunto mezzo chilo di
 marmellata di ananas.
 Poi deve aver vomitato il tutto.
 Indossa un due pezzi microscopico, di costole ne ho contate ventisei, sembra
 la pubblicità della nota stazione climatica di fumenti naturali, chiamata
 Auschwiz.
 “Ma perché non ti metti anche il tanga, tanto che ci sei, così sei ancora
 più bella?”
 L’ho sentita rispondere col pensiero : “Ma perché non ti fai i cazzi tuoi,
 ciccio ? Guardati te, trombone”.
E’ un’ora che qui davanti c’è uno che vende fazzoletti e parei di seta.
 Ad un tratto, mi mostra da lontano un libro con le figure.
 Sembra un menù.
 I ristoratori intelligenti, avendo a che fare con i turisti, sostituiscono
 la lista delle vivande, con fotografie dei piatti già preparati, così si fa
 prima a scegliere e dove si casca.
 Gli odori ed i sapori non sono ancora riusciti a trasferirli nell’immagine.
 Mi alzo a guardare che piatto guarnito scegliere oggi, ma vedo raffigurati
 solo dei disegni da ricopiare nei tatuaggi.
 Contrariato, gli chiedo, allora, se nel suo repertorio, c’è anche una fava
 grossa così ed al suo diniego declino l’offerta delle raffigurazioni
 ordinarie.
” LO SPIAGGESE” è la lingua ufficiale dei bagnanti con la gente locale.
 I movimenti gestuali delle mani non si contano. Scuotimenti di capo, manate
 sulle spalle, dita delle mani che si scozzolano ad indicare le unità,
 sospiri di sollievo, stupore, rattristamenti di espressione.
 Così si crede di capire cosa pensa l’altro e si tenta di convincerlo che il
 prezzo offerto è buono.
 “Ci limetto, ci limetto” è una parola ricorrente.
 Ho appena visto una norvegese pagare 150 Bath lo stesso pareo da noi preso a
 100 Bath, e magari il francese l’ha pagato solo 50 Bath.
 Alcuni negozi e pochi mercatari cominciano a praticare i prezzi fissi.
 Almeno ti puoi regolare all’incirca quanto può costare quello che ti
 interessa.
 Il solito tatuaggiante, che assieme alla sorella vende anche i parei, belli,
 misti seta e cotone, mi si avvicina e mi dice : ” amigo italiano, gome stai
 ?” (quando parlano italiano la dizione è come quella degli africani).
 Gli chiedo come fa a sapere che sono di Siena ma vivo a Bolzano, e lui mi
 indica il naso e gli occhi.
 Bisogna che la mattina mi lavi meglio la faccia per cancellare la visione
 del piatto di pici col sugo, specialità della Val d’Orcia, altrimenti
 riconoscono subito la mia origine.
 Mi vengono in mente i tunisini, che qualche secolo fa, al bazaar di Jerba,
 mi venivano incontro chiamandomi: “amico italiano, Riva, Rivera, Anastasi;
 Chinaglia, Zoff”.
” Ci abbiamo mangiato in due e ci sono anche avanzati ” gli ho berciato
 passandogli davanti all’ Italian Pavillon del nostro albergo, ristorante
 molto quotato.
 Abbiamo pranzato benissimo sulla spiaggia, in un baracchino nuovo, pulito,
 con personale gentile e svelto per 190 Bath = 9.500 lire in due.
 In uno dei tre ristoranti dell’albergo con 400 Bath = 20.000 a testa, si
 mangiava poco di più ed altrettanto bene.
 E’ sempre parecchio meno che in Italia, ma ormai sei condizionato dal potere
 della moneta locale e dal costo della vita qui in Thailandia.
 Così non ti sembra più molto sciocco risparmiare anche le mille lire.
Tutte le guide turistiche indicano i prefissi internazionali da comporre per
 telefonare in patria.
 Ti dicono di digitare 00139 più il numero con prefisso nazionale, alcuni
 senza lo zero, altri completo.
 Provo col telefonino a spedire dei messaggi a nostro figlio, ma per quanto
 provi tutte le combinazioni suggerite, non riesco a trasferire la posta.
 Allora, ormai rassegnato, faccio il numero normale, con il prefisso normale,
 come se fossi in Italia, ed arriva tutto.
” POCCIA FLACCIDA ” ha colpito ancora.
 Ma di tutte quelle che potevano farmi ballare gli occhi, proprio te dovevi
 prendere il sole in topless ?
 Ci ha provato anche una più carina, si fa per dire; è sdraiata sul lettino a
 pocce in su e quando si raddrizza per fumare una sigaretta, si copre il seno
 con il cappello di paglia, per decenza.
 Ma valle a capire ste’donne.
 Tante non realizzano che l’indecenza è invece mostrare le due appendici
 cadenti, spompate e magari piene di grinze.
 Aveva ragione un mio ex amico toscano quando affermava:
 “alle donne, è più facile entri prima in c…., che nel capo”.
Sempre piu’ spesso si notano in giro europei di tutte le eta’ in compagnia
 di ragazze thailandesi.
 Noto anche gli sguardi di riprovazione degli altri turisti.
 Ma che c’e’ di male se lei si e’ innamorata perdutamente dell’uomo bianco?
 Lui e’ contento, perche’ in patria credeva di aver smarrito il suo fascino,
 qui riconquistato.
 Per lei, una botta di vita, inimmaginabile per le amiche del villaggio e
 l’equivalente di 18 sacchi di riso da sfamare per un anno i sei fratellini.
 Il tornaconto vale la pena.
 Loro sono del ceppo mongolide, mica mongoloide!!
Tutti che ci spalmiamo di olio solare e creme abbronzanti protettive.
 La mia e’ fattore 9, dice una; si, ma la mia e’ fattore 6, adatta anche sul
 ghiacciaio, dice l’altra.
 Devono aver copiato dalle industrie dei pneumatici.
 Uno monta un treno di gomme da neve winter a novembre e va avanti bene fino
 a maggio, usando naturalmente anche i percorsi autostradali, chè tanto sono
 fatte anche per questi.
 Cosi’ le creme; ora vanno bene a Hua Hin e fra qualche giorno a Obereggen.
I tedeschi non si smentiscono mai. 
 Credono che la lingua internazionale sia la loro. 
 Si rivolgono nei chioschi dei locali e sempre in lingua teutonica, non una
 parola di inglese, chiedono: “Vorrei un paio di Viustel cotti bene e con
 tanta senape, meglio ancora se assieme mi date un piatto di crauti e due
 cetrioli”, poi si meravigliano ed imprecano se il thailandese li guarda
 incredulo o se i crauti sono esauriti.
 “Quanto costa questo, quanta colazione e’ compresa nel soggiorno, a che ora
 esatta apre la sala della colazione?”
 Alle 6, e giu’ tutti in fila 10 minuti prima, per entrare e sedersi,
 puntuali sempre, anche se e’ ancora buio e devono ancora digerire i tromboni
 di birra ingurgitati solo qualche ora precedente.
 Avrebbero sicuramente bisogno di farsi un clistere con il breccino!!
 Ad una signora tedesca, mi rivolgo in tedesco, per indicarle dove andare a
 farsi preparare un omelette e due uova al tegamino, con pancetta, guarnite
 di germogli di soia e contornate da due salsiccioloni arrostiti.
 Mi ringrazia meravigliata e mi chiede dove ho imparato la sua lingua.
 ” A letto, signora ” rispondo, e mi arriva un calcio sugli stinchi,
 provenienza Gianna.
Il sistema delle colazioni, in Thailandia, è quello americano.
 Vi sono diversi tavoloni pieni di “TUTTO” e ciascuno passa a prendersi
 quello che vuole.
 Solo la bambina con il briccone del caffe’ gira fra i tavoli e riempie piu’
 di una volta le tazze, a chi lo chiede.
 Ai tedeschi, o per lo meno alla maggioranza di questi, tutto cio’ non basta.
 Credono di essere nel Take Away, prendi e porta via, e cosi’ dopo aver fatto
 la prima indigestione, riempiono le borse e il Ruecksack di banane, panini,
 burro, marmellata.
 Tanto per ricordo, per saltare il pranzo e magari risparmiare 2.000 lire, ti
 venisse un colpo.
 Già l’anno scorso a Ko Samui, in un piccolo Resort pieno solo di tedeschi e
 noi 4 italiani, con Carmelo e Anna Maria, se tardavi un attimo la mattina al
 cesso, non trovavi piu’ né il mango, nè la papaia.
 Mentre spingevi pensavi “ma una banana me l’avranno lasciata ?”
 Il ristoratore era costretto a raccomandare con l’altoparlante di mangiare
 pure fino a schiantare, ma di non fare razzia, per la loro cazzo di desina.
 Li odiavo.
 O oggi Gianna, verso le 11.00, non tira fuori dalla borsa un licius e lo
 sbuccia. Me ne ha offerto la meta’; e’ piccolo come una noce, ma non me la
 sono sentita di privarla del suo trofeo.
Oggi il sole ha picchiato forte.
 Me ne accorgo in camera. Stasera mi mangero’ al posto dei gamberoni, sono
 cotto a puntino.
 Trovo una farmacia e mi prendo una crema contro le scottature.
 Istruzioni in Thai. Non riesco a tradurre se bisogna spalmarla prima o dopo
 i pasti.
20 GENNAIO 2000 – GIOVEDI’
 Piove.
 E’ ancora buio, sono le sei meno un quarto e ci facciamo accompagnare alla
 stazione ferroviaria dal taxi dell’albergo, 40 Bath = 2.000 lire a testa.
 Ci hanno preparato due basket, scatole di cartone con la colazione.
 Il cuoco ci porta due tazzone di caffè, che beviamo subito.
 Il treno arriva in orario, anche se viene dalla Malesia ed il nostro vagone
 è tutto pieno.
 Con rincrescimento, dobbiamo disturbare una donnina che si è straiata nei
 nostri due posti prenotati. Chissà qual è la sua provenienza? Forse la
 Malesia.
 Si siede allora su due poltroncine dove ci sono già altre due donne ed un
 bambino, per lasciare il suo comodo giaciglio al ricco uomo bianco. Mi sono
 vergognato come una spia, ma cosa ci posso fare?
 Il vagone di seconda classe, con aria condizionata, è uguale a quella di
 terza classe, ma con ventilatori nel soffitto, che non funzionano, ed i
 finestrini e le porte aperti.
 C’è un odore come di acido fenico che si propaga specialmente quando il
 treno rallenta o si ferma.
 Poi credo di scoprire la natura del profumo. Sacchi di cipolle ed aglio
 deposti nei porta oggetti.
Quasi tutti dormono, ma cominciano a svegliarsi e si mettono in coda nel
 ..”loco comodo”, con asciugamano sulle spalle, spazzolino e dentifricio in
 una mano, rotolo di carta igienica nell’altra.
 Guardiamo il contenuto del basket, che Gianna poi consumerà: due panini,
 vaschetta del burro, tortina di banane, un mandarino, 5 bananine, 2 uova
 sode, coscio di pollo, un sandwich.
 Prendo la scatola ancora sigillata e mi avvicino ai sedili della nostra
 sfrattata.
 Gli e l’appoggio sulle ginocchia, le faccio un sorriso, le indico il bambino
 come gesto diversivo, mormoro alcune parole incomprensibili per lei e me ne
 vado via subito, prima che mi mandi in stramona.
Accanto al nostro c’è il vagone ristorante.
 Ci vado e tutto sommato sono più diligenti che da noi. La fatiscenza e
 l’incuria è identica alla nostra, ma la gentilezza e l’operosità è migliore.
 Sono le sette e mezzo, ed alcuni mangiano già piattate di riso con carne e
 verdure.
 Mi limito al menù “B” da 80 Bath = 4.000 lire : sandwich con prosciutto e
 formaggio, fette di ananas, bossolo di caffè e succo di arancia-mandarino.
Fuori ha smesso di piovere e le nuvole sono alte. La temperatura è
 gradevole. Attraversiamo campagne allagate, piantagioni di palme, manghi,
 papaie e risaie di un verde vivo; sembrano campi da golf.
 Sul treno c’è un andirivieni di venditrici di tutto quello che serve a
 riempirsi la pancia. Se non bastano queste, ci pensano le colleghe nelle
 stazioncine dove ci fermiamo.
 I ferrovieri, quelli che ci hanno controllato i biglietti, vestiti da
 militari e con diverse stellette sulle spalline, cominciano a spazzare i
 corridoi dei vagoni ed uno con secchio, acqua, detersivo e spazzolone, lava
 per terra.
Appare il sole ed anche la lunga periferia di Bangkok.
 Arriviamo con tre quarti d’ora di ritardo, sommato tutto negli ultimi dieci
 kilometri.
 Sei ore per 220 kilometri.
Usciamo dalla stazione di Bangkok, dribblando centinaia di tassisti abusivi
 che mi offrono un passaggio, ma io sono un italiano furbo e vado
 direttamente all’uscita a prendere il TAXI METER con il tassametro a prezzo
 fisso.
 Prima però mi fermo a comprare un pacchetto di sigarette.
 Sono aumentate quest’anno a Bangkok; mi costano 345 Bath = 17.250 Lire.
 Si, perché, 45 Bath sono per le Marlboro e 300 Bath = 15.000 lire per la
 multa pagata al poliziotto che mi ha bloccato nell’atto di salire sulla
 macchina, dopo aver gettato la cicca per terra.
 Ve lo ricordate : “chi siete, da dove venite, cosa portate, si ma quanti
 siete? Due fiorini !! ” Ugualos.
 La ricevuta della sanzione pagata la debbo incorniciare.
 Non so se mi brucia più lo spettacolo dato alla folla vociante attorno al
 tavolina della gogna, o la presa pel culo di Gianna, che ha così rinvigorito
 i suoi argomenti contro i fumatori.
 Debbo dire, sinceramente, che mai una multa è stata tanto giusta e pagata
 così serenamente.
Bangkok ci accoglie con la solita vampata di calore, umidità, caos e rumore
 assordante.
 Al Siam Intercontinental non ci vogliono riconoscere il DAY USE per l’ultimo
 giorno, perché non specificato nei voucher, anche se eravamo d’accordo con
 l’Agenzia. Ce lo possono concedere solo pagando il prezzo di una nottata in
 più.
 Il day use è la possibilità di occupare la camera fino alle ore 18,00
 dell’ultimo giorno, invece che fino alle 12,00, come consueto.
 Infine, dopo una telefonata in Italia al Tour Operator, siamo d’accordo che,
 o riconoscono il fax dell’agenzia con il voucher , o lo pagheremo noi, con
 successivo rimborso.
 Siamo anche un po’ contrariati dalla sistemazione in camera. Ce
 l’aspettavamo migliore; stanza piccola, unico letto alla francese, una
 piazza e mezzo, ho l’impressione che ci provino e che ci abbiano sistemato
 in una singola, adattata per due persone.
 In più, siamo fuori dal padiglione centrale, ma questo era previsto.
 La camera mi sarebbe andata bene una quarantina di anni fa, quando la notte
 non c’era bisogno di molto spazio ; anzi !
Le strutture del Siam Interconti, al contrario, sono favolose.
 I giardini, attorno alla bella piscina, sono un campionario di piante e
 fiori tropicali; sembra di essere in un giardino botanico.
 Diversi pavoni passeggiano tranquillamente per gli spazi verdi, nei dieci
 ettari che una volta appartenevano alla famiglia reale, immersi in centro
 alla caotica città.
 Trovano posto anche campi da tennis, un campo pratica da golf, percorsi
 jogging, con canali, laghetti, ponticelli.
 Più distanti, si intravedono i grattacieli, che ogni anni diventano più
 numerosi.
Dall’altra parte della strada, è in funzione, da tre mesi, la metropolitana
 sopraelevata.
 Per 25 Bath = 1.250 Lire, ci porta in dieci minuti sulla riva del Chao
 Phraia, all’imbarcadero dell’ Hotel Oriental (uno dei cinque alberghi più
 rinomati nel mondo).
 Il panorama è stupendo, durante il tragitto con il Metrò.
 Saliamo sul battello, risalendo il fiume, 10 Bath = 500 Lire, fino al ponte
 KUNG PHO, dove ci ricordiamo di quella trattoria dell’anno scorso.
 La troviamo, ci sediamo e dopo poco intravedo quel cameriere che mi ero
 fatto amico.
 Gli chiedo se si ricorda di me e la sua espressione non muta.
 Gli ricordo allora le sigarette fatte con il tabacco, macchinetta e cartina,
 ed il suo viso si illumina.
 Non sa più cosa fare.
 Si inchina, ride, mi prende le mani, mi vuole abbracciare, racconta a tutti
 i suoi colleghi le avventure culinarie dell’anno passato, e pranziamo.
 Tutto ottimo come previsto, solo i prezzi un po’ più alti che a Hua Hin.
 Ormai siamo degli esperti, conosciamo quasi tutti i costi delle pietanze.
 Abbiamo notato che non c’è molta differenza fra un locale e l’altro, tranne
 che in quelli di lusso all’interno degli Hotel.
 Ma fra Bangkok e Hua Hin si nota l’aumento ; in media ogni piatto costa in
 più ben 20 Bath = 1.000 Lire.
Siamo stanchi e decidiamo di stare qui intorno al Siam Center.
 A cena, entriamo in un locale dove la guardia della security, che ci apre la
 porta, mi stringe la mano a lungo, come fossimo vecchi conoscenti, e mi
 farfuglia un discorso interminabile.
 Rispondo anch’io alla vigorosa stretta e gli rispondo, con ampi sorrisi, in
 italiano, che Craxi non ce l’ha fatta ad andare a cena con Borrelli e che
 l’Inter, anche se fa pena, potrebbe ancora vincere il campionato (sono
 notizie apprese alla televisione satellitare).
 Quando usciamo, però, preferisco farlo dall’altra parte per paura che mi
 baci sulla bocca.
Gianna mi ha chiesto : ma perché quando parli con qualcuno, gli ripeti
 sempre che sei italiano ?
 E’ vero, quando converso, anche solo per saluti di circostanza, comunico
 sempre al mio interlocutore che siamo italiani.
 Questo perché non vorrei che dicessero fra sé : “ma che rompi coglioni che
 sono questi due tedeschi di merda “.
Andiamo a letto presto stasera.
 Domani vedremo cosa combinare.
 E’ anche bello riposarsi e non far niente.
21 GENNAIO 2000 – VENERDI’
 Bangkok deve aver preso la sindrome di Singapore. Tutte le piazze ed i viali
 principale sono pulitissimi.
 Omini e donnine con la scopa in mano sono dappertutto e sempre all’opera.
 Abbiamo visto, ieri sera, pulire, con lo spazzolone e detersivo, il selciato
 di marmo del piazzale antistante il Wordl Trade Center.
 Peccato però che nei SOI (strade) vicini, la porcheria e l’immondizia si
 accumuli dovunque.
 Importante, credo, sia cominciare, ma se assieme al repulisti delle strade,
 sistemassero anche i marciapiedi, uno che cammina cercando un portacenere,
 dopo essere inciampato in una buca, non finirebbe sul lastricato, seppur
 pulito e lucidato perfettamente.
Dopo colazione consegniamo le chiavi della stanza e Gianna dice al
 “ricevimento” : Birichini, la stanza che ci avete assegnato era una singola,
 vero?, ci avete inserito un letto da una piazza e mezzo e biancheria da
 bagno per due, è così?”
 Costernazione e ricerca di convincerci che per quello che abbiamo pagato è
 anche troppo.
 Infine, cosa otteniamo ?
 Ci cambiano stanza, ci spediscono al piano terra, fronte giardino, accanto
 alla piscina.
 Che sfiga !!
 Ci avevano provato !!
 Ora si che ci siamo ; soggiorniamo dentro il padiglione.
E’ pomeriggio e, direttamente dalla stanza, usciamo in piscina.
 Stamani abbiamo fatto visita al WAT ARUN, il Tempio dell’Aurora.
 Per me, è il Wat più bello. Peccato che le scalinate che portano all’apice
 siano chiuse ai visitatori; da lassù in cima il panorama sul fiume deve
 essere incantevole.
Ci dirigiamo a piedi, dopo aver traghettato sull’altra sponda, verso il WAT
 PHO, dove c’è l’immenso Budda sdraiato, visitato già altre volte, e, seppur
 stupenda tutta la struttura, ci dirigiamo al suo interno, direttamente verso
 la scuola dei massaggi tradizionali thailandesi.
 Lì, per 120 Btha = 6.000 Lire, per mezz’ora ci palpano, ci tirano, ci
 premono, ci bullettano, ci stirano, ci addoppiano, insomma ci rimettono a
 piombo.
 E così siamo io e Gianna dopo il trattamento.
 Da raccomandare : provatelo lì.
 La differenza tra il massaggio tradizionale e quello di cui mi ricordo, è
 minima ; nel secondo, ti levano i pantaloni e gli slip, e nel primo non te
 li levano proprio, e così è anche più scomodo.
Accanto al Siam Interconti, c’è un centro commerciale, dove al terzo piano
 esiste un’area grande con tanti piccoli chioschi di prelibatezze thai,
 cinesi, malesi, coreane. Si acquistano prima i coupons da 5 – 10 – 20 bath
 l’uno e poi si scelgono i vari piatti, pagandoli con i bigliettini.
 I buoni che avanzano si cambiano alla cassa.
 Abbiamo assaggiato vari tipi di pietanze, alcune buone, altre curiose, altre
 ancora un po’ insapori per i nostri gusti.
 In piscina ora voglio riposare, leggere, scrivere, nuotare.
 Al bagnino ho messo in tasca un biglietto da 20 Bath = 1.000 lire, e si stà
 facendo in quattro per trovarci due lettini dove li voglio io, con un
 ombrellone dove lo vuole Gianna.
 Ogni tanto uno stormo di piccioni ed una coppia di pavoni si avvicina al
 bordo piscina per dissetarsi.
 Basta che non mi scagazzino addosso mentre faccio il bagno.
 Mi rivolgo a loro con un ” kacle du du du”, sarebbe il chicchirichì
 americano, ma non devono conoscere le lingue estere.
Gianna dice che non ha più dolore alla cervicale e secondo lei è merito del
 WAT PHO.
 Ogni cinque minuti entra ed esce dalla piscina.
 Così stasera le ritorna.
Torno un attimo in stanza e trovo sul tavolino un piatto di frutta preparato
 per noi con il bigliettino di accompagnamento della Direzione.
 Lo gradiamo molto, ma non riusciamo ancora ad inquadrare il meccanismo che
 ha fatto ribaltare il nostro trattamento.
Sono appena passati, qui vicino, due finocchioni patentati.
 Si riconoscono immediatamente; lui aitante e frequentatore di palestre, lei
 permissiva e sottomessa.
 Li saluto con “hallo”, lei mi risponde e lui mi incenerisce con
 un’occhiataccia gelosa.
 Sapevo che cominciavo a piacerle!!
Il programma prevede di andare a cena nel più grande ristorante del mondo.
 I camerieri servono i clienti correndo sui pattini a rotelle, da quanto la
 sala è immensa. Ne avevo sentito parlare e ne avevo lette le qualità sulle
 guide specializzate. Ha battuto tutti i record di grandezza ed il suo nome è
 stato inserito nel guinnes dei primati.
 Delusione !!
 Mi dicono che il contratto con il proprietario dell’immobile non è stato
 rinnovato e quindi non esiste più.
 Tante cose a Bangkok, come in un attimo vengono create, altrettanto
 velocemente spariscono.
Proviamo allora con il SEE FOOD MARKET, ristorante con mercato del pesce.
 L’ultima volta che sono stato a Bangkok, esattamente un anno fa, non sono
 riuscito a trovarlo (poi ho scoperto di aver sbagliato numero di strada),
 nonostante il mio albergo fosse proprio nei suoi paraggi.
 Ora, informazioni attendibili ci indicano la via, il luogo, il numero.
 Con il Metrò andiamo sulla SUKOMWIT ROAD, si prende il SOI 24 ; è una strada
 abbastanza lunga e piena di ristoranti, trattorie, baracchini.
 In fondo c’è il See Food Market.
 E’ uno spettacolo, grandissimo, inimmaginabile.
 Nell’enorme ingresso vi sono le cucine vetrate.
 Si vedono trenta cuochi intenti a preparare i piatti.
 All’interno, arredamento molto curato con tavolini, sedie, fiori da tutte le
 parti e ragazzi e ragazze molto giovani a disposizione per servire ed
 indicare il procedimento che si usa.
 Su un lato del grandissimo salone vi sono banchi di pesce e crostacei di
 tutte le specie e categorie, oltre ai banchi di verdure e frutta.
 Il motto dell’insegna luminosa del locale recita in inglese . “Se cerchi
 qualsiasi cosa che nuota, quì la trovi “.
 E’ come essere al mercato. Con il carrello della spesa si prende quello e
 quanto si vuole, su ogni cassetta è segnato il prezzo al kilo, poi si esce
 dalla cassa dove si paga e si torna al tavolo.
 Arrivano subito i camerieri che chiedono e consigliano come cucinarlo,
 ricevono le ordinazioni delle bevande e portano il carrello ai cuochi.
 Per il servizio di cucina, il compenso viene fissato prima.
 Ci portano il pesce scelto preparato in maniera eccellente.
 Fra l’altro, abbiamo mangiato della fragole divise in due, naturali, e
 pronte per essere intufate, ma poco poco, in una tazzina piena di zucchero
 di canna, mescolato con peperoncino tritato.
 Provare, a me è piaciuto !!
 Certo, non si può pretendere di spendere come mangiare riso e gamberoni in
 una trattoria, ma il conto uno se lo può fare all’atto della scelta. Questo
 non è il vero volto della thailandia gastronomica, qui ci si rende conto
 quanto è a buon mercato quello che ti vendono nelle bancarelle.
 Ne consiglio una visita !!
 Ho considerato che una cena di pesce, crostacei, aragoste, gamberoni,
 aragostine, granchioni, insomma una cena memorabile, si può pagare
 l’equivalente dalle 30 alle 50 mila lire; di più no, perché uno scoppierebbe
 prima.
 In Italia costerebbe cinque volte tanto.
E’ arrivato nel chiosco dei giornali dell’albergo il “Corriere della Sera”,
 con in prima pagina la notizia della morte di Craxi.
 Lo leggo prima di addormentarmi.
 Il silenzio di Borrelli crea grande rumore, ma mi concilia il sonno.
22 GENNAIO 2000 – SABATO’
 Ci alziamo presto per andare, dopo colazione, al WEECK END MARKET.
 E’ aperto solo il sabato e la domenica.
 La linea della Metropolitana sopraelevata ci porta in venti minuti proprio
 al suo ingresso. Con il taxi e con il traffico intasato come al solito, ci
 avremmo impiegato più di un’ora.
 Il Metrò è in funzione solo da qualche mese ed il suo utilizzo non è
 divenuto ancora abituale.
 Così, negli ingressi e nelle piattaforme di sosta, stazionano poliziotti e
 personale esperto che aiutano i passeggeri ad espletare le pratiche
 necessarie.
 I biglietti si ritirano solo dalle macchinette che funzionano con monete da
 5 e 10 Bath.
 Vi sono degli sportelli ove gli impiegati cambiano le banconote.
 Gianna, già espertissima, si fa dare solo poche monete da 10 Bath, perché
 già in possesso di altre, e inserendole dentro il marchingegno, quest’ultimo
 ne rifiuta una.
 Immediatamente arriva il militare, prova lui ed anche lui non riesce a farla
 ingollare.
 Poi, prendendola in mano, si accorge che la moneta assomiglia a quella
 giusta, ma non è uguale.
 E’ una da 500 lire italiane che Gianna si era trovata in tasca senza
 accorgersi della differenza, dal momento che si assomigliano moltissimo.
 Prendendola fra le dita con diffidenza e senza capire che moneta possa
 essere, la porta dagli impiegati, che la cambiano, ma che anche loro, la
 girano e la rigirano per riuscire a capire come abbiano fatto ad avere in
 cassa un attrezzo del genere.
 Gianna si è guardata bene da svelare l’arcano ; come avrebbe fatto a
 spiegare che non voleva truffare le ferrovie thailandesi?
 Saranno ancora lì a guardare quella misera moneta italiana !!
Il week-end market è’ un’area grandissima tipo bazaar arabo e si vende tutto
 quello che uno si può immaginare, ed anche di più, compresi animali esotici.
 Più tardi sarebbe stato troppo pieno di gente e già ora il caldo soffocante
 mi inzuppa di sudore la magliettina leggera di cotone.
 Troviamo delle cose veramente belle ed a poco prezzo; altre,
 interessantissime,seppur anche queste poco costose, hanno il problema di
 essere trasportate in Italia, ed è impossibile per l’ingombro eccessivo.
 Ci accontentiamo del solito e trascorriamo la mattinata passeggiando tra i
 banchi e conversando con i venditori, come sempre disponibili e gentili.
 E’ uno spettacolo, ed una bionda, di mia buona conoscenza, ci perderebbe
 delle giornate intere.
 Al ritorno, verso mezzogiorno, riprendiamo il metrò, ma l’affollamento che
 si è creato, indica che la linea si è guastata. Tutta la Metropolitana di
 Bangkok è ferma.
 Succede anche qui e dicono divertiti che è la prima volta.
 Sembra che mi fissino in modo strano!!
 No, dico io, è già la sesta o la settima volta che me ne servo, e non sono
 io che porto pece.
 Arrivano anche gli operatori della Televisione locale e mentre riprendono
 con la loro cinepresa, a mia volta agguanto la mia e li filmo io.
 Incrocio di immagini, e giù risate di entrambi.
Anche oggi, solito cesto di frutta tropicale in camera, e di nuovo in
 piscina.
 In giro c’è meno traffico degli altri giorni, ma c’è più gente che dalle
 campagne si riversa in città per trascorrere il fine settimana. E’
 esattamente il contrario di come fanno in occidente.
 Il turista si gode la città ? Ed oggi, che è festa, ce la godiamo anche noi,
 dicono i thailandesi delle pianure.
 Il turista è l’incarnazione di quel modello che li ha fatti sognare
 guardando la televisione. Per il turista, la Thailandia stà vendendo se
 stessa e si è aperta senza condizioni, per servire il delicato bisogno di
 svago del viandante ricco.
 Crea anche, però, una serie di problemi che dovrebbero far riflettere.
 Ma è un discorso troppo lungo e complicato…!!
C’è il ragazzino della piscina che ogni tanto mi saltella intorno. Quando
 faccio un movimento con il braccio per accostare la sigaretta alle labbra,
 balzella verso di me, pensando di essere chiamato, poi, fa un inchino e
 prosegue.
 Oddio, ho pensato la prima volta, non è che il fumo l’ho espirato verso
 terra e mi vuole sanzionare con 300 Bath di multa ?
E’ incredibile il numero di “CULETTI SECCHI” che girellano per Bangkok.
 Ste’ cittine sono fasciate da jeans taglia 22 e magliettina Gucci o Versace,
 su ciabatte con tacchi da mezzo metro. Non hanno mezz’etto di ciccia in più.
 Ci sono tante bruttine, altre così e così, e poche, ma si notano subito,
 veramente belline.
 Se scendono dai trampoli diventano bonsathai.
 Mi sono accodato a loro per uno spuntino veloce.
 Al Mc Donald un panino con pesce tipo Findus, coca colona, patatine fritte
 costa 90 Bath = 4.500 lire.
 E’ poco per noi, ma credo che loro non se lo possano permettere tutti i
 giorni.
 Uno stipendio medio si aggira sull’equivalente di 3 o 4 centomilalire al
 mese.
 Mentre ero al Mc Donald, Gianna ha pranzato solo con la frutta omaggio
 nella camera.
 Secondo me, anche a lei piacciono i bonsai.
 Dice anche che vuole tornare a rifarsi i massaggi, le sono piaciuti troppo.
 E allora perché si incazzava quando ci andavo io ?
 La differenza stava solo nella facoltà, che avevo, di poter scegliere la
 massaggiatrice con la vestaglietta bianca numerata.
Per ritornare ai prezzi, che non capirai mai quali siano quelli giusti, a
 Hua Hin ho comprato un paio di occhiali da sole marcatamente falsi RAY BAND
 per 120 Bath = 6.000 lire.
 Al week-end market li vendevano uguali, ma non marcati, a 50 Bath = 2.500
 lire.
 Per non parlare poi di quei meravigliosi e comodi zainetti della NIKE a 210
 Bath = 10.500 lire.
 C’è qui a Bangkok, dentro il Wordl Trade Center, una boutique della Lacoste
 (quella vera). Magliette, maglioni, soprabiti, scarpe, giacchette, tutte
 Lacoste, con un’infinità di colori e sfumature.
 Il prezzo di una maglietta colorata è di 1.500 Bath = 75.000 lire.
 Mi pare che in Italia costino sulle 130.000 lire.
 Ma ormai mi sono abituato così tanto ai falsi d’autore, che il coccodrillino
 vero sembra più brutto di quello clandestino.
 La qualità del cotone dei falsi è comunque ottima.
Bangkok, in particolare, la Thailandia, in generale. cerca di emulare in
 maniera sconcertante le grandi nazioni asiatiche.
 Stà vivendo una fase tumultuosa di miracolo economico ed appare come un
 terreno fertile per gli investimenti stranieri; questo, soprattutto grazie
 all’offerta di mano d’opera a basso costo e stabilità politica.
 Un imprenditore italiano, che da cinque anni si occupa del settore
 dell’abbigliamento, mi ha confessato che stanno smobilitando le loro
 fabbriche in Thailandia, perché non più convenienti.
 Hanno aperto delle succursali nel Bangladesh, paese allucinante, da quanto è
 povero.
 Gli ribatto: Eh, fate bene, così il sarto lo pagate solo 1.000 lire al
 giorno, invece delle 3.000 lire che vi costa qui.
 Ha acconsentito, ma, secondo me, non ha realizzato se la mia era una
 considerazione accondiscendente o riprovevole.
Sia nei piccoli, che nei grandi centri, tutti lavorano.
 Si scavano contemporaneamente quattro buche, se gli operai sono quattro.
 Conosco un paese dove uno scava, un altro controlla e gli altri due stanno a
 guardare, discutendo dell’ultima assemblea sindacale sull’assenteismo
 occulto.
 Qui no, scavano tutti e quattro; magari una poi si dimenticano di riempirla,
 ed io ci finisco dentro cercando il secondo portacenere in giro.
Due americane, qui in piscina, sono tutte preoccupate per la neve che,
 caduta abbondante, sta paralizzando Washington. Chissà come sarà il tempo a
 Timbuctù ?
Il programma di stasera è un giro a Pat Pong, quartiere di negozietti e
 spettacolini incredibili.
 Voglio ritornare in uno di quei templi del sesso più inverosimile, sfrenato
 e penoso, tanto.
 Gianna ha già risposto con un categorico no !!
 Le è bastata una volta; ha detto che non si pente di aver vissuto una serata
 a vedere ciò che neppure una donna immagina si possa fare con il proprio
 corpo, ma le è servito per decidere di non ritornarci.
 Girelliamo per Pat Pong facendo dei piccoli acquisti.
 Ai lati delle strade, oltre le bancarelle, si aprono i vari locali proibiti
 ai puritani.
 Io non lo sono e sbircio dentro le porte aperte. E’ presto, sono le otto di
 sera, ma ci sono già le “girls” che ballano nude sui palchi. Altre, di
 fuori, stanno terminando di truccarsi.
 Ogni dieci metri, un giovanotto ci sventola sotto il naso un cartoncino dove
 in tutte le lingue sono descritti i dodici spettacoli che si possono
 ammirare dal vivo al piano superiore.
 Trascrivo il numero 4, ma per decenza ogni parolaccia la sostituirò con
 “BUM”.
 ” Bum, bum, bum, bum, bum, e poi si frullano come cignalacci “.
Secondo me, ultimamente, gli uomini sono stati un po’ trascurati, qui a
 Bangkok.
 Una volta, la qualità delle ragazze “GO GO BAR” era migliore.
 Tantissime sono piuttosto bruttine, poche sono decenti, alcune, ma rare,
 sono bellissime.
 Credo che quest’ultime, però, dopo vari giochini e voli pindarici, ti
 presentino il conto finale scritto su un bel baccellone.
 Nò grazie, le fave mi garbano tanto, ma solo quelle maggiaiole in Toscana.
Ogni tanto i negozianti hanno bisogno di una rinsestata.
 Generalmente sono sorridenti, gentili, corretti; qualcuno se ne vuole però
 approfittare, e quando te ne accorgi, lo devi castigare.
 Il giochino delle tre carte ed il pacco pieno di cartaccia lo hanno
 inventato a Napoli e non sono d’accordo di riprovarlo a Bangkok.
 E’ successo che, dopo molte trattative, siamo riusciti a spuntare un prezzo
 interessante per una borsa Vuitton, falsa, ma bella.
 OK, giro l’occhio e nel sacchetto di plastica ci infilano una borsa
 similare, ma diversa da quella scelta.
 Non hanno avuto alcun effetto i richiami del boss; abbiamo girato il
 deretano e siamo andati via.
 Ma vaffanculo, vendila ora a quella maiala della tu’ sorella, ciccio, se ci
 riesci.
23 GENNAIO 2000 – DOMENICA
 Mattina presto dedicata al ” PARCO LUMPINI”.
 E’ il polmone verde di Bangkok, in pieno centro, con pagode, laghetti,
 giardini.
 Passeggiamo fra giovani e vecchi che fanno jogging lungo i percorsi
 predestinati.
 Alcuni, da soli o in compagnia, eseguono esercizi di ginnastica filosofica
 orientale, e tanti sono con un maestro che li istruisce.
 Alle 8 in punto, altoparlanti, nascosti fra le piante, diffondono l’inno
 nazionale.
 Tutti si fermano, in piedi, ad ascoltare con devozione.
 Al termine, un inchino e riprendono la loro attività.
 In alcuni padiglioni aperti è disponibile l’attrezzatura per il “karaoke”.
 Podisti stanchi o giovanotti di una certa età si esibiscono in canti, mi
 sembrano cinesi, e si compiacciono quando li osservo e li riprendo con la
 telecamera.
 Uno, al termine dell’esibizione, credendomi americano, mi dice ridendo che
 lo spettacolo non è gratis e dovrei pagare 2 dollari. Rispondo, sempre
 ridendo, che sono italiano e quindi pagherò con 2 lire.
 Una signora attempata riempie il giardinetto con dei gorgheggi di un’opera
 lirica cinese. 
 Il finale assomiglia molto al muggito di quando una vacca va al toro.
 Mentre cineriprendo il laghetto con le barchette, una coppia, seduta sopra
 una panchina, all’ombra di un sicomoro, mi chiede da che parte del mondo
 provengo.
 Alla mia risposta erutta una serie di esclamazioni di ammirazione per Roma,
 Milano e gli italiani.
 Rispondo, con sincerità, che anche la Thailandia è altrettanto meravigliosa
 e soprattutto i suoi abitanti.
 E’ raro vedere europei nel parco. Non rientra nei percorsi turistici, ed è
 un peccato. Una visita, la merita proprio.
Ma anche qui c’è la pecora nera.
 Terminata la visita al parco Lumpini, decidiamo di ritornare al week-end
 market, per le ultime spese.
 Per la strada, pochissima gente, il traffico quasi inesistente a quest’ora
 di domenica.
 Vicino alla fermata della sopraelevata, un passante ci chiede ancora da dove
 veniamo.
 Solite esclamazioni, e poi : ma dove andate ?
 Ed io coglione : al week-end market.
 Oh, fa lui, ma oggi è domenica ed apre solo il pomeriggio.
 Mi consulto con Gianna e decidiamo allora di tornare in albergo, in piscina
 e poi nel pomeriggio shopping.
 Allora il furbone fa : vi accompagno io a fare un giro turistico e spesucce
 varie in attesa delle 13.30, orario di apertura, secondo lui.
 Ma và a straffanculo, tegame, gli fò, e vò via.
 Consiglio : quando ti chiedono dove vai, dribblali. O altrimenti fai come ho
 fatto io l’anno scorso, appena fuori del Rembrand. Dopo aver evitato il
 quarto omino che voleva accompagnarmi dove voleva lui, per farmi comprare
 quello che gli pareva e prendere così la provvigione, all’ennesima domanda
 “dove stai andando?”, gli ho risposto in italiano: vado qui dietro l’angolo
 a farmi una padellata di cazzi miei, vuoi venire ?”
 ” Oh jes”, ha acconsentito, ma è rimasto lì.
E infatti il mercato lo troviamo aperto; per quanto ci ritorni, trovi sempre
 roba nuova, interessante, curiosa, nelle più di cinquemila botteghe che lo
 compongono. Purtroppo le valigie ed i borsoni hanno una capacità limitata.
 Da non scordare che Gianna, domani, si vorrà riempire di orchidee.
E’ quasi mezzogiorno e finalmente ci dedichiamo alla piscina. Ci si stanca
 ad andare in giro e sono in un bagno di sudore.
 Le nuotate poi ti ristorano e ti riimmergi volentieri nel solito e ovattato
 ambiente turistico; che bello fare gli “italiani medi”.
I cittini francesi e quelli tedeschi sono come gli italiani : rompicoglioni.
 In piscina sguaiattano dappertutto con giochi, giochini, occhiali da sub,
 palle, palline colorate, richiami, gridolini, urletti. I loro genitori li
 guardano, solo ogni tanto, e preferiscono scolarsi boccali di birra, con
 questo caldo.
 Gianna non li sopporta, a me invece piacciono .. fritti.
 Poi se ne vanno per quindici minuti e Gianna nuota con uno dei salvagentini
 lasciati in acqua, da loro.
 Ora, però, li trova simpatici.
Non so nuotare bene, ed in acqua vado dove si tocca. Sono ritornati i
 bambini.
 Una cittina tedesca, bellina, tanto, avrà 3 o 4 anni, nuota con gli altri e
 la vedo ad un tratto andare sott’acqua, provare ad uscire, ritornare sotto,
 cercare di mettere la testa fuori, annaspare.
 Dentro la piscina ci sono solo loro. Un coetaneo, con i salvagenti alle
 braccia, la guarda e ride. Non si rende conto del problema.
 La bambina è senza braccialetti.
 Mi precipito in acqua, solo perché lì si tocca.
 La prendo per un braccino e la sollevo sul bordo, dove sputacchiandomi
 addosso si riprende, sbava, si stropiccia gli occhi, mi guarda, e sento che
 pensa ” a buon rendere “.
 I presenti mi guardano disinteressati.
 Mi aspettavo un applauso ed una medaglietta.
Ci sono due, arabi dalle fattezze, seduti ad un tavolo fra la vasca ed il
 giardino.
 Uno, giovane, con lo stecchino fra i denti che cambia continuamente molare e
 le gambe su una poltroncina.
 L’altro, più anziano, pelato, vestito ma senza scarpe, con i piedi
 calzettati, appoggiati sopra il tavolino.
 Passo loro accanto, per andare al cesso, luogo più consono anche a loro e li
 sento discorrere.
 Sono italiani, milanesi dalla parlata, probabilmente manager e stanno
 valutando l’attendibilità del loro partner coreano.
Sono le due del pomeriggio. Si stà troppo bene qui nella Pool; forse
 saltiamo anche il pranzo. Ceneremo presto stasera,e recupereremo tutte le
 calorie perse a far niente.
Le scimmiette ci sono anche qui al Siam Interconti.
 Non camminano carponi a quattro zampe, non hanno la coda prensile, né hanno
 la corona del culo deformata da quelle escrescenze emorroidali che tanto
 impressionano noi umani.
 Arrivano vestite all’ultima moda, con l’uomo bianco che l’accompagna ed i
 bambini dietro, vestiti da festa, con le scarpe, calzettoni, e vestitino
 allacciato fino al collo, poverini, a trascorrere quì la giornata festiva.
 Alcune assomigliano proprio ai primati di cui parlavo prima.
 Chissà se il loro costume da bagno prevede anche il reggiemmorroidi ?
Oggi i pavoni corrono il “TOUR DEL SIAM”.
 E’ mezz’ora che si rincorrono percorrendo lo stesso tragitto circolare,
 piscina, siepe di bambù, albero di frangipane, palma, bouganville,
 ponticello di legno, mangrovia, piscina di nuovo.
 In “pavonese” ho sentito il più scarso dire a quello che lo superava: ” eh
 ti ripiglio, ti ripiglio, tanto ti ripiglio”.
Lasciamo la piscina che è ancora presto, sono le quattro del pomeriggio ed
 andiamo a fare il giro dell’isolato.
 Detta così, sembra una passeggiata veloce; ci abbiamo impiegato tre ore.
 Non ci si può immaginare quanto, percorsi che sulla cartina sembrano brevi,
 in realtà siano infiniti. In sovrapprezzo il caldo, l’umido, la gente, i
 rumori assordanti.
 L’inquinamento acustico delle città italiane è irrilevante, in confronto.
 I peggiori quartieri di Napoli sono un’oasi di pace, rispetto a Bangkok.
 I motorini ed i Tuk-Tuk, specie di “Apine” con carrozzino, sembrano senza
 marmitta di scarico. Tanti camminano con le mascherine sulla bocca; i
 poliziotti del traffico, tutti.
 Diversi giovani usano quel “suppostone” tipo “vicks” ispirandolo dal naso.
I mercatini di Pratunam, qui vicino al Siam Intercontinental, sono veramente
 da visitare.
 Infiniti, ma non caotici come a Pat Pong e quasi tutti con i prezzi fissi.
 Verifichiamo quanto in più abbiamo pagato dalle altre parti.
 Abbiamo anche trovato gli orologini falsi, ma belli, che Gianna cercava, ma
 non trovava più in altre bancarelle.
 Due Rolex ed un Cartier con cinturino = circa 11.000 l’uno.
 Credo che le grandi marche stiano attivandosi per stroncare il remunerativo
 ed anche conveniente mercato dei “falsi ma belli”.
Al ritorno incrociamo due pezzi di mandorla da schianto.
 Sono davvero molto belle, forse escono da una sfilata di moda. Mi devo
 ringollare quanto detto prima, delle indocinesi.
 Alte, classe, portamento, bellezza, trucco sapiente, mi fanno inciampare
 nell’ammirarle e loro ridono.
 Mentalmente auguro loro di rompersi il collo slittando dagli alti trampoli
 ove sono appollaiate.
 Loro mentalmente si sono toccate i marroni.
 Gianna ne è convinta ed io con riluttanza, a riguardarle bene, anche.
Abbiamo già cenato e siamo seduti sulle poltroncine della hall in albergo.
 Fuori ci sono quattro neozelandesi primitivi, vestiti da neozelandesi
 primitivi, due uomini e due donne.
 I due maschietti a petto nudo, con le chitarre e coperti di piume di gallo,
 possenti, sembrano Maciste.
 Le due donne sono ancora più enormi.
 Si stanno preparando a sollazzare i commensali, quì in un ristorante
 dell’Hotel.
 Quando mi avvicino, mi fermo e faccio un paio di quei gesti propiziatori che
 solitamente eseguono prima delle partite di rugby.
 Mi guardano, ma non realizzano i miei versi. Solo le due navi mi sorridono
 con “hallo”.
 Invece, quando escono dal ristorante, dove li sento berciare come allo
 stadio, mi salutano anche loro.
 Questa volta non dico che sono italiano, per timore della presa pel culo,
 grazie alla nazionale della palla ovale, che qualche mese fa, le ha buscate
 sode da quella della Nuova Zelanda
Ma se lavorano sti’ Thai.
 Oggi è domenica, ma non te ne accorgi se non perché gli europei vengono a
 fare il giretto in albergo e la città è piena di ragazzi a spasso.
 Alcuni di questi, giovani, giovanissimi, bivaccano nei luoghi di ristoro ed
 anche seduti sulle gradinate dei “Center”.
 Bevono succhi di frutta e bibite da enorni bossoli di cartone.
 Tanti hanno vicina la bottiglia del “Mekong”, il whisky thailandese, e
 spesso lo miscelano con il contenuto del bicchiere.
 Problemi anche qui, che lasciano l’amaro in bocca, come in tutto il mondo.
 Ma non vi piacciono più gli sballi da “gnocca”?
Quasi tutti i negozi sono aperti, gli shop center tutti.
 Nei vari cantieri stradali sono tutti all’opera.
 Ho notato una cosa curiosa. Fra la stazione del Metrò ed un grande
 magazzino, stanno costruendo una passerella che porta direttamente nei due
 luoghi senza scendere le scale ed attraversare lo stradone.
 Nel cartellone del cantiere, assieme ai nomi dei progettisti, sono indicate
 le date dei lavori: “inizio 4 gennaio 2000, fine 15 febbrario 2000”.
 Io scommetto che ce la faranno.
Ho sempre commiserato quegli italiani che non vanno mai nei ristoranti
 cinesi perché “chissà cosa ti danno da mangiare, i troiai di formiche e
 mosconi mi fanno schifo, etc.”
 Invece la cucina orientale la ritengo una delle più sofisticate e saporite.
 Certo, tutto è relativo, bisognerebbe entrare nelle loro dispense per essere
 sicuri, ma noi, di troiai non ne abbiamo mai mangiati.
 Ma nel pomeriggio, prima di tornare in albergo, mi sono fermato presso un
 loro baracchino gastronomico, vicino a tanti altri, per curiosare la merce
 esposta.
 Mi hanno attirato l’attenzione tre tegamoni pieni, a forma di piramide, di
 roba fritta.
 In uno c’erano cavallette, negli altri due scarafaggi e calabroni grossi
 come passerotti.
 Debbo dire che mi hanno fatto un po’ impressione ; non ho avuto il coraggio
 di assaggiarli.
24 GENNAIO 2000 – LUNEDÌ
 Abbiamo passato l’ultima notte a Bangkok. Ci alziamo prestino e andiamo
 all’imbarcadero destinazione Memorial Bridge.
 Lì vicino c’è il grande mercato dei fiori e Gianna vuole fare rifornimento.
 Incredibile è la varietà di fiori e di orchidee con tutte le tonalità di
 colori a noi sconosciuti.
 Si compra una scatola, lì accanto, all’inizio di Chinatown. La facciamo
 riempire di mazzoni di orchidee, che abbiamo stimato in un centinaio.
 Costo comprensivo di box 120 Bath = 6.000 lire, ma solo la scatola è costata
 35 Bath.
Riprendiamo il battello verso il Wat Pho. Gianna vuole ritornare nella
 scuola dei massaggi, che si trova all’interno del tempio.
 Si decide questa volta di stare lì per un’ora; costo 200 Bath = 10.000 lire
 a testa.
 Mi hanno troncato.
 Ogni centimetro quadro è stato pigiato, calpestato, stirato, compresso,
 maltrattato. Dopo ero nuovo, mi sembrava di aver cambiato i muscoli ed aver
 oliato le giunture.
 E così, quando la massaggiatrice mi ha chiesto se consideravo terminata la
 seduta o se la volevo continuare con modalità un po’ diverse e particolari,
 ho optato per questa seconda soluzione, previo accordo sulla differenza di
 prezzo.
 Io non ho fatto nulla, ha fatto tutto lei, ma con modini delicati e sublimi,
 che sembrava essere sospesi nel vuoto.
 Mai un movimento brusco o insofferente, senza furia od indisponibilità.
 E a quel punto mi sveglio, perché Gianna, nel lettino accanto mi dice che il
 tempo del massaggio è trascorso.
 Sopra di me, in ginocchioni, rivedo la massaggiatrice che mi guarda
 divertita, con quegli occhietti neri.
 La guardo meglio e rinoto quello che già prima aveva attirato la mia
 attenzione.
 Ho pensato : “Chissà se Loredi le ha già dato il beverone ? “
 Sì, perché il nasino schiacciato aveva due tunnel larghi come due canali e
 mi sembrava proprio la scrofa madre del podere ” Le Fosse” a Castiglioni, in
 Val d’Orcia, prima che Loredi ed il su’ babbo Angiolino la governassero.
 In questo grande salone della scuola, vi sono numerosi lettini ove viene
 praticato il tradizionale massaggio Thai. E’ soprattutto una scuola che
 istruisce sulle tecniche da eseguire.
 Diversi europei la frequentano ed accanto a noi ci sono due tedescone che
 imparano ciascuna massaggiando l’altra, seguendo le direttive di un testo,
 che tengono aperto sul materasso, e con la supervisione di un professore, lì
 accanto.
 E’ stato veramente notevole, il massaggio.
 Specialmente Gianna è d’accordo, così finalmente finisce di rompermi i
 coglioni quando voglio andare in qualche sala qui a Bangkok. Se poi c’ è
 anche da ristorarsi, che c’è di male?
Per pranzo andiamo nuovamente dal nostro amico alla fermata del Krungton
 Bridge, uno degli ultimi ponti di Bangkok, risalendo il fiume, lontano,
 dalla parte ovest, e proprio sulla destra, appena usciti dall’imbarcadero.
 Il locale si chiama KANABNAM RESTAURANT e l’indirizzo è 765/20 RIMMANAM CHAO
 PHAYA RAJVITEE ROAD BANGPLAD.
 Il mio amico si chiama MINAI e mi ha lasciato anche il numero del suo
 telefonino 01-4484044.
 Chi ci vuole andare, faccia riferimento all’italiano che si preparava le
 sigarette con la macchinetta. Sarà sicuramente trattato con tutti i
 riguardi.
 Mangiamo bene, come sempre, però la zuppa di gamberoni con citronella, la
 TOM JANG KUNG l’hanno rifatta anche meglio.
Nel ristorante entra un Texano imponente con un anellone al dito ed una
 indocinese al braccio. 
 L’americano, alto, grosso, baffoni e capelli bianchi, si siede per il
 pranzo.
 Mi pare di riconoscerlo; anche l’anno scorso lo abbiamo trovato lì, e fra le
 quattro bottiglie di birra che si scolava, ci aveva fatto assaggiare quello
 che mangiava, consigliandoci cosa ordinare.
 Dopo un po’ mi alzo e gli chiedo in inglese se è americano.
 No, non era quello che avevo creduto di riconoscere; anche lui è italiano,
 di Pordenone e lavora in Thailandia da dieci anni. Posa i piloni lungo il
 fiume per costruire in aderenza i muraglioni.
 Dice che lavorano soprattutto di notte. Per il caldo ? chiedo io. No per la
 bassa marea, risponde. Dice anche che i lavori più faticosi li fanno le
 donne, per loro è normale.
Torniamo, ancora poche ore di piscina, e riposo prima di tante ore in aereo.
 I soliti 20 Bath = 1.000 lire fanno precipitare il bagnino a prepararci
 lettini, asciugamani, ombrellone.
 Ogni dieci minuti, nuotata.
 Intanto guardo con cupidigia i portaceneri (ne faccio la collezione) della
 piscina con il logo del Siam Intercontinental.
Noi turisti scassiamo l’economia dei thailandesi. Distribuiamo mance di qua
 e di là, sono poche lire per noi, ma si abituano male.
 Bisognerebbe proprio entrare nel loro ordine economico di idee per non
 inflazionare troppo il loro profitto.
 Da una parte sono d’accordo, dall’altra no. Non so cosa sia giusto fare. Il
 nostro comportamento rischia di abbruttire la dignità, ma serve anche per
 migliorare la loro esistenza. Però solo l’esistenza degli addetti al
 turismo.
 E la dignità, da quali confini è circondata? Non prendo posizione!!
 Per non parlare degli approfittamenti, anzi parliamone.
 Se si ordina un taxi nell’Hotel, fino all’aeroporto, si pagano 900 Bath =
 45.000 lire. Se si ferma direttamente sulla strada costa 400 Bath = 20.000
 lire.
 La differenza, sicuro, viene divisa fra gli addetti al ricevimento e
 partenze.
 Si dirà che ventimila lire non sono niente. E’ vero, ma sono il doppio, ed
 il doppio è tanto; perché chi non fa niente deve avere lo stesso profitto di
 chi lavora per un’ora e ci mette la macchina e la benzina ?
 Stamani attendevo in uno dei tanti imbarcaderi.
 Di frequente arrivava un sampan o lancia lunga privata, con turisti portati
 in giro per i canali.
 Il prezzo del viaggio lo avevano già pagato. Quando la barca attraccava,
 raso raso la banchina, arrivava uno che prendeva la mano di chi scendeva.
 Non serviva, ma lo faceva ugualmente.
 Prima che i turisti se ne andassero, chiedeva loro, anche in modo arrogante,
 ho notato, 20 Bath = 1000 lire.
 Non sono niente, ma non è giusto, secondo me.
 Non mi pento di aver mandato a cagare un tizio con camice bianco, al Wat
 Pho, che mi aveva preso alle spalle e massaggiato la nuca per un minuto,
 senza che lo chiedessi, e voleva poi 20 Bath.
 “Ma assieme al minuto massaggino, mi hai preparato anche due lettini con
 asciugamani e ombrellone, e forse mi dai anche un portacenere ?”
 Noo?
 Allora vaffanculo.
Sono le 16,30, Gianna è dalla parrucchiera, qui vicino.
 Tra poco andremo a preparare le valigie e ci è stato riconfermato il day use
 fino alle 18, poi vedremo cosa fare.
Mi rimangio le affermazioni di qualche giorno fa, non è vero che si possono
 capire i prezzi giusti, dividendo per due quello che ti chiedono.
 Fuori dal Palazzo Reale, abbiamo spuntato 200 Bath = 10.000 lire per un
 ventaglione colorato, bello, per il quale in un altro banco ci avevano
 chiesto 600 Bath = 30.000 lire.
Ripenso ai modi di vita dei thailandesi.
 L’industria della plastica ha conosciuto uno sviluppo notevole; c’è
 dappertutto. Si fa un enorme uso di questo materiale eterno e discusso,
 salvo poi il breve saltino “dall’usa e getta”, ai rifiuti. Si resta
 impressionati in particolar modo dai sacchettini, sempre in plastica, ove
 viene immesso dentro di tutto : brodo od anche aranciata e succhi di frutta,
 ed in tutti i casi con una cannuccia, di plastica, naturalmente.
 I primi tempi pensavo che ci portassero dentro i pesciolini vinti alle
 giostre, ma poi, vedendo che succhiavano il contenuto, ho realizzato che i
 pesciolini non potevano incanalarsi molto facilmente nel tubicino.
 Passano con disinvoltura, dai canestri di bambù per il presce fresco, al
 sacchetto di polietilene per gli altri alimenti, comprese le salse di tutte
 le specie, salvo poi abbandonarlo dovunque.
 Pensando alla vorticosa crescita dei consumi, il risultato è purtroppo un
 paese invaso ogni giorno di più dai rifiuti.
 E mi hanno detto, che nessuno vuole le discariche, come in tutto il mondo
 nessuno le vorrebbe.
Gianna è tornata. Le hanno lavato i capelli e massaggiata la testa sdraiata:
 350 Bath = 17.500 lire in tutto. Poco meno che a Castiglioni in Toscana.
La cultura e la disciplina del massaggio, c’è sempre stata in Thailandia, da
 quando un medico dell’India, due secoli o tre prima di Cristo, la introdusse
 in questo paese. 
 Poi hanno scoperto, e a livello industriale durante la guerra del Viet Nam,
 che aggiungendoci qualche cosa di altro, abbastanza antico, ma molto
 richiesto, invece di guadagnare cinque o dieci mila lire all’ora, nel
 prendevano centomila.
 Secondo me, sono più da condannare le nostre battone, che non ti fanno
 neanche il massaggio, prima della funzione.
Chiudiamo le valigie ed i borsoni, li depositiamo nella hall e paghiamo i
 conti extra.
 Il prezzo del day use non ce lo richiedono.
 Mi sà mill’anni di sapere cosa può essere accaduto, telefonicamente o via
 fax, fra la Tischler, tour operator di Garmisch ed il Siam Interconti.
Verso sera fermo un taxi qui vicino, sullo stradone. Chiedo all’autista
 quanto mi costa andare all’aeroporto e concordiamo 400 Bath = 20.000 lire ;
 ne aveva chiesti 500 di bath.
 Monto in macchina ed in cinquanta metri raggiungiamo Gianna, davanti
 all’ingresso dell’Hotel, con il carrello dei nostri bagagli.
 Rifiutiamo l’aiuto, inutile, di sette inservienti, che ci saltellano intorno
 per fare qualcosa.
 Mi comporto come uno scacciamosche. Non faccio in tempo a tirar via una
 borsa dalle mani di un siamese con il pigiama nero alla zuava e giacchetta
 bianca, che un altro prende la valigia.
 Alla fine, con o senza l’aiuto dei fattorini, siamo pronti per partire.
 Il nostro autista ride come un matto quando salgo per ultimo, senza
 distribuire oboli esosi perché non meritati, mentre due di loro gli si
 avvicinano parlando in “M’HAIFREGATESE”.
 In mezz’ora siamo all’aeroporto e subito dopo,il check-in.
 Con i bagagli consegnati siamo più liberi di girellare per l’aerostazione.
 E’ molto grande, piena di negozi e pulitissima.
 Sono le 21,30. Dentro aria condizionata, si stà bene. Vado un attimo fuori a
 fumare. e sono assalito da una vampata di calore e umidità.
 E’ afoso, 35 gradi. Mi ricordo della differenza di temperatura, quando si
 saliva in metropolitana. L’aria condizionata dentro le carrozze mi colpiva
 come dei raggi laser ed ero tutto sudato; altro che sauna finlandese.
Dappertutto cartelli con inviti alla pulizia e divieti di fumare.
 Per i fumatori incalliti, vi sono due o tre salette, quadrate, tre metri di
 lato, con pareti in vetro.
 Dentro, fra la nebbia che si è formata, si intravedono dodici sfigati.
 Provo anch’io ad entrare e noto che nonostante il condizionatore d’aria sia
 acceso, è impossibile sostarvi, è una camera a gas.
 Esco subito e subito credo di capire la ragione di quella situazione
 metereologica da Val Padana.
 Vuoi vedere che Gianna ha consigliato un condizionatore che faccia solo
 rumore ed hanno staccato i tubicini del ricambio d’aria ?
 Ci scommetto le palle, ma di una di quelle dell’altra sera !!
La Thailandia, che abbiamo conosciuto, frequentato, ammirato, goduto, è
 rimasta fuori nella calura serale. Qui dentro è tutto uno scintillio.
 Anche i prezzi fanno scintille: una birra piccola 150 Bath = 7.500 lire, un
 piatto di riso con qualcosa 220 Bath = 11.000 lire, una scatola di orchidee
 grande la metà di quella presa da noi al mercato costa 25 dollari, quasi
 50.000 lire.
L’aereo si riempie.
 Una sessantina di greci abiterà nei nostri paraggi. Sbarcheranno ad Atene,
 dove faremo scalo.
 Da quando sono entrati, continuano a scambiarsi di posto. Gli steward e le
 hostess li guardano divertiti, io un po’ meno; la partenza ritarda e dico ad
 uno di loro che finchè si rincorrono e si mescolano, l’autista non parte, è
 per questo che non siamo in orario.
25 GENNAIO 2000 – MARTEDÌ
 Volo tranquillo.
 Proprio ora, sono passate 10 ore e 20 dal decollo,siamo nel sentiero di
 discesa su Atene.
 Sono le 10,30 di Bangkok, le 4,30 di Roma, le 5,30 di Atene.
 Fuori è buio. Scendono i greci e l’aereo rimane quasi vuoto. Salgono gli
 addetti alle pulizie e dopo il decollo mi straio su una fila centrale di
 sedili da quattro.
 Sento poco dopo un profumino di caffè e rinunzio a dormire per fare
 colazione.
 E’ da quando siamo partiti che ci riempiono di cibo e bibite, ma non danno
 mica noia!!
 La Thai Airwais è proprio una bella compagnia.
Siamo sul canale di Otranto e Gianna sfacciatamente chiede alla hostess :
 una volta davate un mazzetto di orchidee. Non usa più ?.
 Ha la valigia piena.
 Con un sorriso la collega di Coscia Lunga gira il culetto e torna con un
 cesto di mazzetti che distibuisce a tutti.
Atene – Roma in un’ora e 45 minuti.
 Saluti e arrivederci alla Thai.
 Il tempo di eseguire il check-in e volo per Bologna.
 Si arriva dopo 45 minuti; sorvoliamo la Toscana, bianca di neve.
 Mi è sembrato di vedere Loredi che governava la troia e mi è subito venuto
 in mente il massaggio al Wat Pho.
 Bus fino alla stazione ferroviaria appena in tempo per prendere il treno per
 Bolzano alle 11,29. Arriveremo alle 14,29,
Ho finito. Tiro anche un sospiro di sollievo.
 Non ci avrei scommesso di riuscire a non arrendermi.
 Diverse volte mi sono scoraggiato e sono stato tentato di smettere di
 scrivere tutte le stronzate che mi venivano in mente.
 Mi chiedevo : a cosa serviranno ?
 Questo lo sapremo in seguito. Intanto il resoconto c’è; se sarà divertente
 od utile lo decideremo fra qualche tempo.
 Sicuramente, ho tralasciato qualche avvenimento o passaggio di cui ora non
 mi ricordo.
 Mi sarebbe piaciuto di più avere accanto una scrivana siamese, scelta da me
 e non da altri, e dettarle tutti i pensieri, alcuni anche educativi, che
 partorivo, e poi magari ristorare la mia mente con rilassamenti tradizionali
 del luogo, ma non troppo tradizionali.
 Forse non era il caso.
Non ho voluto trascorrere una vacanza prettamente culturale, per questa, c’è
 stata o ci sarà, forse un’altra occasione.
 Volevamo passare solo una decina di giorni riposandoci a modo nostro.
 Tutto sommato lo rifarei.
 Del programma che mi ero prefissato, non sono riuscito a rispettare la
 visita al mercato galleggiante di Damnoen Saduak. Non c’è stato proprio il
 tempo.
 A Bangkok, con quel caldo, volevamo occupare la mattinata a girare ed il
 pomeriggio a riposare in piscina. Così abbiamo fatto e siamo soddisfatti.
 Potrebbe essere una scusa per ritornare in Thailandia.
Intanto ci accoglie una temperatura di meno 10 gradi a Bolzano.
 Ma vaffanculo, Mario, non te ne potevi stare al caldo ?
 Mi è già ritornato il raffreddore.
 Ho saputo dell’intervento del Tour Operator al Siam Interconti.
 E’ come prevedevo.
 Grossa abbaiata e l’ammonimento di non fare i coglioni.
 E’ servita a rinsestare tutto: da quel momento eravamo finiti nella
 categoria VIP, Vogliamo Incommensurabile Protezione.
Eh ci ritorno, ci ritorno, Eh se ci ritorno !!
Thailandia 2001 da “Baffino”
20 gennaio 2001 sabato
Quasi un anno fa, precisamente il 25 gennaio 2000, alle 5,30 di un
 primissimo mattino invernale, io e Gianna eravamo sul sentiero di discesa
 verso Atene a bordo di un Jumbo 747 della Thai Airwais.
 Tornavamo da una scanzonata vacanza in Thailandia e mi disturbava già solo
 il pensiero di tremare di freddo non appena sbarcati in Italia.
 Poi, fisiologicamente, siamo tutti rientrati nei ranghi e le ferie,
 trascorse al caldo, sono rimaste solo un bel ricordo.
 Ma non è stato come le volte precedenti, quando compivamo i nostri programmi
 vacanzieri.
 C’è stata, per la prima volta, una variante significativa.
 Avevo tenuto, l’anno passato, un diario informativo che conteneva tutti gli
 umori che si materializzavano durante il trascorrere di quei momenti in
 Thailandia e questa ricostruzione, stampata per gli amici e conoscenti,
 veniva anche corredata di foto e link ed inserita nella rete di Internet
 all’indirizzo:
 http://users.iol.it/tre_pi/mario/index.htm
Con mio grande stupore, quelle sette righe (si fa per dire) buttate giù con
 le impressioni giornaliere, hanno suscitato un interesse se non altro
 curioso e non sono mancati gli attestati, anche di sconosciuti, che,
 leggendo la storia nel Web, mi hanno confortato a proseguire in questa pazza
 idea, un tantino vergognosa.
 L’anno scorso, prima di redigere il diario, le premesse erano di documentare
 gli avvenimenti, affinché la vacanza trascorsa, potesse essere rammentata
 senza ricordi caramellosi e falsati dal tempo, ma con obiettività e crudezza
 di immagini.
 Posso dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative ed il
 diario ha ottenuto lo scopo prefissato.
 Per un anno intero, con parenti ed amici, abbiamo continuato a parlare della
 Thailandia e suscitato ammirazione per questo popolo modesto, disponibile,
 sorridente e dignitoso.
 A più d’uno è venuto il desiderio d’andarci ed ad altri di ritornarci, con
 altre ottiche che ho loro cercato di trasferire.
 Insomma, un piccolo successo l’ho ottenuto: quello di non dimenticarmi del
 periodo “vissuto” e non facendo solamente trascorrere il tempo.
 Quest’anno, arrivato il momento di un altro periodo di vacanza, un coro
 unanime mi ha violentato e costretto a ripetere l’iniziativa precedente.
 Mi ha meravigliato soprattutto la mì moglie, che bistrattata nei racconti
 dell’anno passato, mi ha ordinato ugualmente di ricompilare un diario.
 E’ stato però un mezzo ricatto, perché la vacanza la paga lei.
 Ebbene, mi sottometterò al volere della belva.
E’ doveroso anche precisare che queste annotazioni, come anche tutte quelle
 seguenti, non saranno modificate al termine della stesura del giornale e che
 quindi rispecchieranno fedelmente le idee e le sensazioni suscitate in quel
 momento cronologico, senza essere state influenzate da fattori o circostanze
 verificatesi successivamente.
21 Gennaio 2001 Domenica
Questa mattinata festiva la dedicherò al riordino delle mie carte ed alla
 programmazione preventiva delle vacanze.
 Già l’anno passato, prima di decidere dove trascorrere le ferie, mi ero
 documentato con tutto ciò che le mie deboli capacità mi permettevano, in
 relazione ai mezzi che la società “civile” ed il progresso era disponibile a
 trasferirmi.
 Poi, quando alla fine della fiera, ho optato per la Thailandia, ho
 cominciato a smanettare su Internet, alla ricerca di qualche “new”
 interessante.
 Ed è stato a questo punto che navigando nel “web” ho intercettato un sito
 che mi ha fatto iniziare una bella, simpatica e interessante amicizia, che
 tutt’ora prosegue.
 E’ accaduto,infatti, che abbia trovato delle pagine, ove un certo Camis
 Italo con la moglie Wilai, pubblicizzavano con particolari precisi e mirati,
 l’affitto della propria villa in Thailandia.
 Il messaggio era rivolto a quegli italiani, un po’ timidi o pigri o
 sprovveduti, che lontano dalla loro Italietta, soffrivano, già dopo un’ora,
 di nostalgia gastronomica e di ristrettezze linguistiche.
 Per farla breve, stì due attrezzi lanciavano un “imput” che pressappoco si
 può interpretare così:
 Cosa ne dite, se mentre siete in un paese di sogno a trascorrere le vostre
 vacanze, ma non avete desiderio di assaggiare tutti quei “troiaini
 orientali” e non sapete come districarvi nella lingua locale, avete a
 disposizione due persone che parlano in tricolore cisalpino e anche l’idioma
 del posto, e magari vi preparano anche una bella “amatriciana” condita con
 guanciale di maiale, olio toscano, peperoncino calabrese, basilico fresco
 ligure, e in sovrappiù aragoste e gamberoni all’abruzzese, granchi e
 branzini alla siciliana, totani e dentici alla livornese, con accanto una
 granseola alla veneziana ?”
 Italo è un italiano (che altro sennò? non ho mai sentito un norvegese
 chiamarsi così) trapiantato in Thailandia da quattro anni, e Wilai, la sua
 moglie thailandese, che parla benissimo l’italiano, cucina
 indifferentemente, così si dice, sia i piatti locali che italiani, avendo
 vissuto per otto anni nel Bel Paese, come sposa legittima di Italo
 l’italiano “farang” (straniero).
I prezzi poi che praticano, sia per l’affitto della villa a pochi minuti dal
 mare, in stile occidentale, sia per le abbuffate in “italian style” che in
 “thai sbobba”, sono una miseria, se rapportati al potere di acquisto della
 pur povera liretta italiana.
 Inoltre sono disponibili anche ad eseguire il “transfert” del ricco uomo
 bianco, con una vettura privata, dall’aeroporto di Bangkok sino alla loro
 residenza, che si trova a Bang Phe nella provincia di Rayong nel sud-est a
 circa 300 kilometri dalla capitale. Ed anche questo ad un prezzo pressappoco
 corrispondente in Italia, al costo di un passaggio in taxi da Roma ad Ostia.
Il loro recapito telefonico diretto, telefonando dall’Italia, nel caso uno
 volesse contattarli direttamente è:
 0066-38-896053
Bene. Visitando il sito di Italo, un anno fa, sono rimasto colpito dalla
 dolcezza dell’invito ed ho iniziato con lui una “corrispondenza virtuale” da
 cui è nata e proseguita “un’amicizia virtuale”, ma senza fini o scopi
 turistico-alberghieri.
 Dopo che il Camis è riuscito a leggere il mio diario, questa conoscenza
 virtuale si è ancora di più approfondita, con scambi di idee, sensazioni,
 informative thailandesi, stronzate italiane soprattutto toscane, discorsi
 semi-seri, ragionamenti strulli, considerazioni critiche.
 Tutti gli argomenti erano buoni per essere trasferiti a sei ore di distanza
 di fuso orario.
 Dopo un anno di queste conversazioni virtuali, è nata una parentela
 virtuale, e ciò mi lascia, in questo momento, molto perplesso e dubbioso.
 Cioè mi induce a fare alcune riflessioni.
 Leggo stamattina su un quotidiano nazionale, che in Israele una giovane
 palestinese ha teso una trappola mortale ad un ebreo conosciuto tramite
 Internet.
 I due si erano scambiati messaggi elettronici diretti e “virtuali” ed un
 mese fa si erano poi incontrati.
 Il ragazzo israeliano, poche ore dopo, è stato crivellato di colpi alla
 periferia di Ramallah.
 I servizi segreti d’Israele sospettano ora che la ragazza sia stata l’esca,
 utilizzata da un gruppo di militanti palestinesi, per attirare nella
 trappola il giovane, che era destinato ad essere assassinato.
 Conseguenza di questa lettura è stata la valutazione oggettiva della
 differenza fra il “virtuale” ed il “reale”.
 Ma quale baratro esiste fra l’uno e l’altro ?
 Virtualmente uno si costruisce uno scampolo di mondo ove riporre un’immagine
 costruita artificialmente a proprio uso e consumo.
 Viene sezionata la personalità dell’individuo corrispondente, si scelgono le
 parti migliori e si selezionano gli umori profondi, creando una cartella
 asettica ove custodire il “top” dell’immaginazione.
 Si crea, quindi, un “alter” della persona con cui sei in rapporto.
 Ma realmente sarà proprio così ?
 L’ideale, che col tempo ti sei formato, corrisponderà poi veramente a ciò
 che ti troverai di fronte, nel caso si decidesse di varcare quella soglia
 che divide le due realtà ?
 Quante fanciulle, dopo aver amoreggiato platonicamente via Internet con il
 ragazzo dei loro sogni, si sono poi trovate di fronte ad un satiro bavoso e
 lascivo, come se una bacchetta magica avesse operato un incantesimo alla
 rovescia ?
 Ci vorrebbero dei dati statistici, per rendersi conto di queste differenze.
 Ma il dato statistico, secondo me, è come la pelle dei coglioni. Si dirige
 dalla parte dove uno la tira.
 E quanti soggetti, da analizzare, sono necessari e sufficienti, a creare un
 dato statistico attendibile ?
Il poro Stalin diceva che una morte è una tragedia, un milione di morti una
 statistica.
 Tempo fa, alcune multinazionali, specializzate in rilevamenti e sondaggi
 opinionistici, avevano promosso una ricerca a livello mondiale, volta a
 verificare, percentualmente, quanti mariti, dopo aver fatto l’amore, si
 rigirano dall’altra parte e si mettono subito a dormire.
 I risultati del sondaggio si sono dimostrati piuttosto avvilenti per noi
 maschietti.
 Per le donne, la percentuale arrivava al 98,6 %.
 Gli uomini, di contro, si limitavano a stimare un 96,3 %.
 Secondo me, invece, la percentuale non supera il 5 %.
 L’altro 95 % si veste e va a dormire a casa, con la propria moglie.
Ritornando a Italo & Wilai, mi piacerebbe incontrarli e continuare dal
 “vivo”, anche per poco, quell’interscambio sociale iniziato e proseguito
 tramite Internet.
 Ma ..caro “Baffino”, non mi freghi !!
 Vuoi mica che, appena ci incontriamo, appare un killer con gli occhi a
 mandorla per eliminarmi fisicamente nella villa di Bang Phe, dove magari si
 trovano gli Headquarters della “Coscialunga Enterprises” ?
 No !! Preferisco ricordare Italo come abile conversatore epistolare, amante
 delle avventure di Tex Willer, mirabile conoscitore della Storia e delle
 troiate fatte subire agli indiani d’America, esperto in Guestbook, amico di
 Coscialunga e conoscitore “virtuale” della Toscana, di Castiglioni, della
 Val d’Orcia e di Loredi e Angiolino del podere Le Fosse.
 No !! Per ora non mi fido. Non voglio rischiare e poi disilludermi.
 Però, uno può anche cambiare idea, ce lo insegnano i nostri politici.
 E allora cancello tutto, mi butto e rischio.
 Andrò a trovare e conoscere di persona Italo & Wilai.
Tutte queste seghe per arrivare al dunque.
 Ho programmato la nostra vacanza.
 Il diario di un anno fa, compilato durante il viaggio in Thailandia,
 terminava con una frase significativa: “Eh. tanto ci ritorno, Eh. se ci
 ritorno”. Mai un proponimento od un augurio è stato quanto mai centrato.
 Ritorneremo in Thailandia e rischieremo l’incontro con Italo, detto Baffino,
 o Bufalo Stanco, alla pellirossese.
La cronaca vorrà anche essere un’analisi di come forse si potrà riuscire a
 “vivere” economicamente senza scialacquare, ma anche senza farsi mancare
 nulla, nel rispetto di un sano divertimento e benessere gastronomico.
 La scommessa, oggetto di quest’anno, da analizzare e verificare, è questa:
 appoggiandosi ad un Tour Operator italiano, per due settimane di vacanze in
 Thailandia, costituite da sei notti al mare e sei notti a Bangkok, si
 spendono mediamente 2 milioni e mezzo di lire.
 Dobbiamo riuscire a smentire questa diceria e vedere, a parità di
 condizioni,quanto si può risparmiare, organizzandosi da soli.
Ho iniziato scegliendo la Compagnia Aerea.
 L’anno scorso con la Thai Airwais, l’anno prima con la Quantas.
 Consigliabili tutte e due.
 Il biglietto andata e ritorno Italia/Thailandia, con le più conosciute e
 pubblicizzate Compagnie, costa, con tariffa agevolata e vincolata ad alcuni
 fattori e requisiti, all’incirca 1.470.000.
 Tentiamo questa volta con la Emirates Airlines, la flotta aerea di bandiera
 degli Emirati Arabi.
 Per un certo numero di posti, offrono il viaggio a 1.150.000 lire, partenza
 e ritorno a Monaco di Baviera, con scalo a Dubai per cambio vettore. Dopo
 vari tentativi rientriamo in questa tariffa.
Come residenza a Bangkok, abbiamo scelto il “Menam River Side”. E’ molto
 bello, funzionale, situato sulla sponda est del fiume Chao Phraya e tariffe
 convenienti e promozionali permettono di pagare a persona un pernottamento a
 Lire 29.000 compresa la prima colazione all’americana.
 Gli altri sei pernottamenti al mare li trascorreremo da Italo & Wilai
 affittando la villa per una spesa totale di Lire 320.000.-
Il conto è presto fatto per due persone,come noi siamo:
 2.300.000 viaggio aereo
 348.000 pernottamenti a Bangkok
 320.000 pernottamenti al mare
 _____________
 2.968.000 totale per 2 persone = Lire 1.484.000 totale spesa a testa.
Con quello che costava solamente il viaggio con la Thai Airways o la
 Quantas, ci siamo comprate anche dodici notti in Thailandia.
27 Gennaio 2001 (sabato)
Chi ha avuto il coraggio e la costanza di leggere il resoconto del viaggio
 vacanziero dell’anno passato, troverà che, anche questa volta, ripeterò dei
 concetti e delle verifiche già riportate precedentemente.
 Per costoro, che sono stati già lettori affezionati, sarà solo un ripasso,
 ma per i neofiti, invece, costituiranno delle informative forse utili e
 comunque a base reale, anche se da considerarsi solamente come pareri
 unilaterali.
 Non ci sarà infatti il contraddittorio, perché non fa parte dello spirito di
 questo scritto.
 Racconterò fedelmente tutto ciò che accadrà e come mi comporterò
 conseguentemente.
 Né, tanto meno, vorrà essere una lezione da seguire “in caso d’uso”. Che
 ognuno si regoli come meglio crede.
Questo pomeriggio, mi ha incuriosito una pubblicità inserita nella pagina
 principale di “Italia Online”, su Internet.
 Cliccando sul “banner”, un’Agenzia di viaggi di Milano, la Travelprice
 Italia, invitava i “navigatori del web” a costruirsi direttamente i loro
 safari.
 Bastava inserire nell’apposito spazio i nomi delle città di partenza e
 destinazione, nonché le date relative, ed automaticamente il richiedente
 avrebbe visto apparire magicamente il costo, iniziando da quello più
 favorevole, con tutti gli operativi aerei e quant’altro utile e necessario
 sapere.
 Bene, mi è venuta una curiosità folle.
 Vuoi vedere, mi sono detto, che nonostante la mia convinzione di aver colto
 un tour operator conveniente, con delle combinazioni adeguate, se avessi
 acquistato tramite Internet, avrei scovato di meglio ?
 Altre volte mi ero soffermato davanti ad alcune offerte “dell’ultimo
 minuto”, così per desiderio di sapere, e mi erano sembrate straordinarie.
 Ho pensato : In Internet c’è la possibilità di selezionare innumerevoli
 occasioni, la concorrenza è infinita, in queste circostanze la legge
 economica provoca dei ribassi e sconti spolpati all’ossicino.
 Proviamo !!
 Ho iniziato chiedendo la tariffa migliore che l’Agenzia di Viaggi poteva
 fornirmi, nella tratta aerea Verona/Bangkok e ritorno, da effettuarsi con
 partenza 25 febbraio, ritorno dopo un mese, con date flessibili e in classe
 economy, cioè in classe “schiavi”.
 Corrispondeva, all’incirca, a ciò che avevo già prenotato, confermato,
 pagato.
 Dopo poco, sono arrivate una serie di proposte, la più favorevole delle
 quali era quella da effettuarsi con la “Swissair”, Via Zurigo,ed al prezzo
 di Lire 2.235.000, poi seguivano altre offerte a dei prezzi maggiori.
 Ma come, mi sono chiesto, non si saranno sbagliati ? O forse questa
 Compagnia Aerea esegue tratte solo per VIP, con intrattenimento galante per
 i passeggeri ?
 Ho richiesto, allora, il responso del costo, per la stessa tratta e stesse
 date, da compiere con la “Emirates Airlines”.
 La risposta è stata : non ci sono posti disponibili.
 E’ possibile, ma che fai, mi pigli pel culo ? ho pensato. Ora voglio vederci
 più chiaro, ti metto una data lontana e vediamo cosa mi rispondi, ho
 continuato a pensare.
 E così ho variato le date, inserendo la partenza al 25 novembre con ritorno
 il 10 dicembre, volo Roma / Bangkok e ritorno con Emirates, in categoria
 Economy. Quindi lontano nel tempo, periodo di bassa stagione, presunzione
 ammissibile che l’aereo sia ancora esente da prenotazioni.
 Risposta : il prezzo più favorevole è di L. 2.237.000 e se volete prenotare,
 cliccate subito qui a destra.
 Ma cliccate a destra un cazzo !! Allora mi pigli davvero pel culo !!
 Una rondine non fa primavera, ma una passera sì. Ed Internet è pieno di
 passere !!
 E allora continuiamo nell’approfondimento di quanto siano attendibili le
 offerte nel Web.
 Ho già prenotato l’albergo a Bangkok, scegliendo il Menam River Side al
 costo di Lire 29.000 per notte, a persona.
 La Direzione di questo Hotel ha un sito con tutta la descrizione delle
 strutture, servizi, mappe e prezziario che, risulta essere, in questo
 periodo e con i complimenti del Manager, limitato a Lire 80.000 per notte, a
 persona, ma, solamente se prenoto subito, potrò usufruire di questa
 irripetibile occasione.
 Ma allora, andate tutti a ristroncarvelo !!
 Ve ne approfittate plagiando gli sprovveduti, avvantaggiandovi della
 credenza popolare che vede Internet come la possibilità insperata di
 risolvere le proprie necessità od i propri sfizi, ad un costo accessibile e
 nettamente inferiore rispetto ai prezzi di listino.
 E’ possibile che dobbiamo diffidare anche di Internet ?
 Allora, la morale consiglia di non fermarsi mai al primo risultato. Ce ne
 possono essere sempre di migliori.
 Alla fine, quando con soddisfazione avremo trovato “il meglio”, stiamo certi
 che vi sarà ancora qualcos’altro di più favorevole.
 Ora mi frulla per il capo un dubbio atroce.
 Il mì Italone thailandese non mi avrà per caso fregato ? Gli ho prenotato
 l’affitto della sua villa in Thailandia, ma ho l’incertezza che, se avessi
 continuato a “navigare nella rete web”, forse avrei trovato, chennesò, Pak
 Ket Tin che pur di avermi fra i suoi ospiti, mi avrebbe offerto anche il
 volo dall’Italia.
28 Gennaio 2001 (domenica)
Sempre cliccando su Internet, però, contrariamente a quanto pontifica il
 profeta, fra il gregge di pecore nere, se ne intravedono alcune di bianche.
 Voglio dire che, tour operator seri, nel senso che ciò che promettono di
 favorevole lo offrono veramente, si trovano, in rete.
 Uno di questi è “Caesar Tour”, rintracciabile al seguente indirizzo :
 http://www.caesartour.it
Le proposte sono serie, veritiere ed appropriate per chi può disporre di
 scelta “last minute“.
 E’ già stato verificato da alcuni miei conoscenti che avevo sollecitato a
 provare.
 La vacanza si è poi rivelata conforme alle aspettative ed alle promesse.
Un altro sito da consultare con fiducia è:
 www.viaggiare.it
 E’ comodo e facile da sfogliare, vi sono innumerevoli offerte, alcune anche
 superconvenienti.
 Quest’oggi vi ho trovato una proposta relativa ad un viaggio a/r per Bangkok
 con cinque pernottamenti all’Hotel Asia, molto buono, con volo di linea Thai
 Airwais, per la cifra molto accattivante di Lire 1.389.000 complessiva di
 tasse,quota iscrizione, etc.
 La data della partenza è fissata tuttavia a breve, precisamente per il 4
 febbraio prossimo.
 Chi è senza problemi di data, quindi, può riuscire ancora ad economizzare un
 bel po’.
 Nello stesso sito, si trovano le “occasioni di solo volo” con tariffe
 proprio competitive.
 E’ da consigliare una sua consultazione per chi la vacanza se la vuole
 programmare da solo.
20 Febbraio 2001(martedì)
Sono diversi giorni che intercorre un’intensa corrispondenza internettiana
 con Italo il Thailandese, atta a chiarire ed organizzare sia il soggiorno da
 lui, che i modi, i tempi ed altre formalità per l’incontro fatidico.
 Ho gravato i due amici virtuali di tante quelle incombenze, che immagino si
 siano già pentiti e rotte le palle di avermi scovato nel percorrere la loro
 pista.
 Le due commissioni più importanti sono state il trovare una vettura a
 noleggio per girellare in quel cazzo di posto e, più importante, ordinare la
 cena per la serata dell’arrivo. Per il simposio non ho fatto altro che
 elencare tutti i tipi di esseri viventi che nuotano nel mare e cucinati
 all’orientale e all’italiana. Per la macchina da affittare, che me la
 procurino una a quattro posti, del tipo “non mi frega niente come”, basta
 che respiri.
La frase comune “a buon rendere”, questa volta ha avuto il suo effetto.
 Ho avuto anch’io l’incarico di portare nel Siam una macchinetta per il
 caffè, bustine di semi di basilico genovese, di perzemolo, e dei tubetti di
 “Foille”, una pomata per le scottature, perché a Wilai il sole equatoriale
 non crea effetti dannosi, ma la permanenza intorno ai fornelli di cucina,
 sì.
 Ma per caso, non è che il fornello a gas non ce l’hanno, e debbono usare il
 falò acceso nel cortile ?
 Cominciamo bene !!
Qualche giorno fa ho cercato anche di approfondire alcuni dettagli per
 conoscere il tipo di sistemazione proposta, in maniera di non trovarmi
 impreparato.
 Principalmente, per essere certo dell’esistenza di stì due attrezzi, della
 casa, del luogo, della grande acqua.
 In contemporanea, debbo aver provocato in loro uno stato di fribillazione
 maniacale, perché dalle risposte pervenute ho notato uno stato di disagio
 mentale, provocato dall’avvicinarsi del momento del nostro incontro reale,
 dopo un lungo anno di contatti solo epistolari.
 Per sondare ulteriormente l’umore del prossimo vicino, ho anche scritto ad
 Italone, chiedendogli se era vero che quando si metteva una “D” davanti,
 faceva impazzire le donne.
 Il riscontro è stato conforme allo spirito della battuta.
Ormai la nave stà per essere varata e in qualche modo remeremo.
Sono in farmacia ad acquistare i tre tubetti della pomata anti falò. Penso
 che probabilmente si scotteranno nel mandare segnali di fumo al noleggiatore
 dell’auto per il suo affitto. I telefoni forse non sono ancora usuali.
 Mentre aspetto il mio turno, sento il giovanotto che mi precede davanti al
 bancone, che sottovoce chiede alla Farmacista di dargli qualche cosa perché,
 disperato, non ce la fa più.
 Si spiega meglio, confessando di non sapere più come fare, perché ha sempre
 desiderio di fare l’amore.
 Al mattino, dice, è infoiato, a mezzogiorno ce l’ha sempre ritto, nel
 pomeriggio se non tromba muore, alla sera è peggio di mezzogiorno.
 Non ne può proprio più. Chiede istruzioni alla Dottoressa la quale si
 consulta con la collega. Al suo ritorno, mentre impaziente stò per
 andarmene, il giovane ripete la solita domanda ” allora cosa mi date ?”
 E la Farmacista: ” Ti diamo due milioni al mese, vitto e alloggio gratis e
 la domenica libera”.
25 Febbraio 2001 (Domenica)
Siamo sul treno che ci porta a Monaco di Baviera. Partito da Bolzano poco
 dopo le otto di mattina, forse arriverà direttamente all’aeroporto per le
 dodici meno un quarto, in tempo per il nostro imbarco.
 Abbiamo già oltrepassato Innsbruck e fra poco entreremo in Baviera.
 Tutto il paesaggio è coperto di neve.
 Nei periodi precedenti la giornata di oggi, mi sono spremuto le mie deboli
 meningi per indovinare cosa mi aspetterà e come vivere queste due settimane
 di vacanze.
 Idealmente ho percorso tutti gli itinerari immaginabili e non, e con la
 testa ero più di là che di quà, intendendo la Thailandia per “là” e il Bel
 Paese per “quà”, e non nell’altro senso.
 Ora mi sento spompato, ho le batterie scariche, non avrei neppure la forza
 di scrivere ogni tanto.
 Mi sono rammollito e bevuto il cervello.
 Intanto mi è venuta una fame mondiale. Sono solo le undici ma già mi
 mangerei un agnello con la lana. Forse a Monaco troverò un salsicciolone
 caldo con senape ed un bossolo di birra.
 Eseguiamo in un attimo il ceck-in e ci trasferiamo nella zona imbarco.
 L’appetito è sempre più insistente. Un bar nell’aerostazione mostra in
 vetrina diversi sandwich, ma non i wurstel, e mi accontento di qualche
 stuzzichino e un trombone di bevanda bionda.
 Poi quando vado via, vedo due ragazze al tavolino che stanno pappandosi
 quello che cercavo io.
 Bisognava chiederlo e me lo preparavano. Non c’ero arrivato.
Ci imbarchiamo.
 L’aereo della Emirates Airlines è un Airbus 330. Ci accomodiamo al nostro
 posto e noto subito un particolare curioso.
 Sul retro delle poltrone, è come incassato un piccolo televisorino.
 E’ un display con telecomando. Si possono scegliere diversi programmi. Sono
 disponibili una decina di films, avvenimenti sportivi, giochi elettronici, e
 poi…udite, udite, ciò che già vent’anni fa speravo installassero le
 Compagnie Aeree e cioè un marchingegno per ammirare in diretta quello che
 accade davanti al velivolo. E così vi sono due canali che per mezzo di due
 telecamerine poste vicino al tubo di Pitot sul davanti della fusoliera,
 trasmettono le stesse immagini che vede il pilota. Particolarmente d’effetto
 sono i decolli e gli atterraggi.
Salto da un programma all’altro, collaborando idealmente con il personale di
 macchina, controllando che i parametri del volo siano compatibili con il
 briefing eseguito e sperando che oltre a portarci l’aperitivo, già
 sorseggiato, ci diano anche da masticare qualche cosa.
 Tutte le hostess della Compagnia Aerea sono straniere, probabilmente danesi
 e olandesi, anche abbastanza carine, gentilissime di sicuro. Probabilmente
 questa non è una professione dignitosa e nobile per le loro femmine
 stanziali arabe.
Sorvoliamo l’Ungheria e tra poco saremo sulla verticale di Istambul.
 Intanto ci portano la pappa. E’ solo passabile, ma con l’appetito che rode
 lo stomaco è una cena formidabile.
 Dovrebbero tenere dei corsi per i passeggeri, anche solo per corrispondenza,
 sull’uso delle stoviglie per le pietanze contenute nel vassoio.
 Tutti ingobbiti per evitare che le varie salsine ondeggino fino alla
 camicia.
 Quando termino di scartare l’agnello brasato che galleggia in una palude di
 riso e spaghettini (così li definiscono nel menù), la mousse di cioccolata
 rimbalza nel vassoio e dopo averla rimessa nel suo contenitore originale,
 non mi decido se iniziare il pranzo con il dolce all’agnelletto o con
 l’agnello al gianduiotto.
 In anni passati, comunque, ho mangiato anche di peggio.
Siamo sopra l’Arabia Saudita. Si vola a 930 Km/ora ad un’altitudine di
 11.150 metri e con una temperatura esterna di meno 58 gradi.
 Credo che la Emirates Airlines sia una delle ultime Compagnie Aeree a
 concedere ancora un po’ di spazio ai fumatori.
 Le ultime quattro file di poltrone sono per loro. Naturalmente tutte
 occupate, ma anche il resto dell’aereo è tutto impegnato completamente.
Aeroporto di Dubai.
 Abbiamo tempo, ripartiremo fra tre ore e mezzo e possiamo passeggiare fra i
 Duty Free. In questo periodo comincia il mese delle grandi svendite negli
 Emirati ed anche l’aerostazione subisce l’influenza del mercato.
 La struttura aeroportuale è descrivibile con cinque sole parole, “è uno
 schiaffo alla miseria”.
 Qui ci sono gli “arabi ricchi”. Quelli poveri sono gli immigrati o quelli
 che abitano fuori del Paese.
 Qui la parte dei marocchini o dei polacchi la potrebbero fare gli europei.
 Non mi sorprenderebbe uscire in città ed al primo incrocio intravedere il
 dott. Brambilla, munito di secchio e spazzolone, intento con una mano a
 lavare il vetro di una Rolls Roys e con l’altra a mungere la cammella (il
 secchio serviva a questo).
 Sarebbe più remunerativo, che non sedersi ogni mattina alla scrivania del
 suo posto di lavoro come capufficio dell’anagrafe municipale.
26 Febbraio 2001 (lunedì)
Ripartiamo per l’ultima tratta.
 Anche stavolta l’aereo è pieno. Sono le tre e mezzo di mattina, ora locale.
 Passano cinque ore e si atterra a Bangkok. E’ mezzogiorno qui in Thailandia.
 Le pratiche doganali oggi sono velocissime. Appena il tempo di spogliarsi
 dagli abiti europei ed arrivano anche i bagagli.
 Mi sto riprendendo dal rincoglionimento della nottata in bianco.
 La tratta Dubai/Bangkok è stata abbastanza pesante. Non c’è stato verso di
 sgranchirsi le gambe. Nel velivolo, occupato in ogni ordine di posto, non
 c’è stata la possibilità per le solite passeggiatine rilassanti, causa gli
 ingorghi nei corridoi.
 Quando mi sono portato in coda, fra l’ultimo servizio e la saletta del
 personale di volo dubaino, ho trovato questo luogo già prenotato da un
 distinto giovanotto con la barba, con il quale avevo scambiato poc’anzi
 qualche parola di circostanza.
 Aveva posato per terra una copertina in dotazione ai miseri passeggeri e
 pregava inginocchiato e genuflesso il suo Allah.
Ho poi avuto modo, con lui (con il giovane barbuto, non con Allah), di
 intrattenermi in una conversazione etnico-religiosa sulla nazionalità dei
 nostri Dei.
 Lui insisteva che era sicuro dell’origine ebraica-palestinese di Cristo.
 Io gli ribattevo che invece avevo la documentazione certa sull’origine
 italiana del Nazzareno.
 La mia teoria era basata su tre punti cardini.
 Il primo punto sosteneva che solo una mamma italiana poteva considerare suo
 figlio un Dio.
 Il secondo sottolineava che solo un figlio italiano era certo che la su’
 mamma fosse vergine.
 L’ultimo punto legittimava la dimostrazione, in quanto solo un figliolo
 italiano poteva rimanere in casa dei genitori fino a trentatre anni.
Passata la dogana, ci informano che il Bus n. 3 con aria condizionata ci
 porterà alla stazione autocorriere est di Ekamai per 100 Bath = 5.000 Lire a
 testa.
 Ci arriviamo in 40 minuti e nel percorrere a piedi, con i bagagli, quei
 quaranta metri necessari a raggiungere l’altro bus, ci siamo conciati come
 tegoli grondanti. Iniziamo a riscoprire le alte ed umide temperature
 orientali.
 Saliamo sul pulmann che ci porterà a Bang Phae, luogo dal quale partono i
 battelli per l’isola di Kho Samet e paese adottivo di Italo & Wilai.
 Costa 124 Bath = 6.200 Lire a persona, compresa bibita e dolcetto, offerti
 appena partiti, alle due del pomeriggio.
Tre ore e tre quarti di viaggio tranquillo, percorrendo circa 280 kilometri,
 attraverso risaie, piantagioni di palme e foreste di alberi della gomma, con
 l’immancabile scodelletta legata al tronco inciso da mani esperte per far
 colare il lattice di caucciù.
A Bang Phae ci vengono a recuperare le truppe cammellate di Italo.
 C’è Wilai con un autista ed un pick-up e seduti sul suo cassone, in due
 kilometri siamo a casa, da Italo.
 Mentre aspettavo che ci venissero a prendere nella piazzetta della stazione
 delle autocorriere, sono stato colpito dalla visione di un’operatrice
 ecologica, con probabili antenati egizi primo periodo.
 Stava pulendo la piazza, da carte e immondizie. Aveva un’enorme scopa, di
 saggina o materiale equivalente e tirava, tramite una fune, una cesta
 robusta e grande, su cui riporre quello che raccattava. Sulla terra battuta,
 lasciava una scia segnaletica ed è per questa ragione che l’ho imparentata
 con gli antichi Faraoni, prima che scoprissero l’uso e l’utilità della
 ruota.
Prendiamo possesso della villetta dei nostri padroni di casa, dotata di
 tutte le comodità occorrenti e rifornita di viveri di prima, seconda e terza
 necessità. Ci trasferiamo subito nella casetta accanto, quella dove abitano
 Italo & Wilai, per la cena.
Toh !!
 Esistono davvero !! 
 Ci sono, respirano, parlano, mangiano, pensano; forse ogni tanto frullano.
 Sono proprio vivi, sono reali, si sono trasfigurati. Che timore mi aveva
 attanagliato fino a questo momento !!
Beh, ragazzi, d’accordo. Le ordinazioni per il menù le avevo già predisposte
 da tempo, via Internet. Ma Wilai, la moglie folletto siamese, ci ha
 preparato due ore di rifocillamento sublime. Gamberoni, granchioni, frutti
 di mare, altro pescato dai nomi strani, tanto riso con dentro altro pesce,
 zuppe sempre di pesce con tante spezie e verdurine sconosciute (la famosa
 Tom Yam Kung), il tutto cucinato all’orientale, ma quando dico all’orientale
 è per indicare una maniera elaborata, gustosissima, delicata. Insomma una
 chicca.
 In più la fame che ci attanaglia da una decina di ore.
 Ci siamo subito rifatti, e in che modo !!
 Poi, le quattro o cinque bottiglie di birra “Singha big” accelerano il
 nostro stato comatoso e siamo pronti per andare a nanna.
Bene, ci sono. La bolla di sapone non si è dissolta. Posso continuare a
 sostenere il mio programma.
 Wilai è vulcanica. Quaranta chili in continuo movimento per predisporre,
 controllare, comandare, fare, disfare, creare. Tutto per evitare qualsiasi
 disagio all’ospite e facilitargli, invece, l’inserimento graduale nei ritmi
 della società siamese.
 Italo, il Baffino, è il Boss di questa piccola struttura ricettiva.
 E’ l’ideologo, il pensatore, il negoziatore, il cardinale della struttura,
 l’inventore, il creatore, il pensiero personificato.
 Una bella accoppiata vincente !!
 Ha l’hobby del computer e delle relazioni sociali, parla indifferentemente
 in perfetto inglese o in un italiano rifinito, mastica il thai quel tanto da
 non soccombere in una conversazione con gli occhi a mandorla, e si mette in
 azione per i suoi spostamenti, preferibilmente con una “due ruote” un po’
 vecchiotta, ma preziosa e utilissima.
 Gli chiedo se ha intenzione di correre il prossimo “Tour del Siam” e mi
 replica assentendo che si iscriverà alla gara quando la competizione si
 terrà durante la stagione delle piogge. Lui è imbattibile anche nel nuoto.
Ci dobbiamo raccontare un sacco di cose, ma rimandiamo tutto al domani.
 Ora ci faremo una grassa dormita.
 E invece, col cazzo.
 Sono le una di notte e stiamo girellando per la casa.
 E’ una residenza adatta ad una famiglia numerosa. Sembra di essere in
 vacanza in una di quelle villette che affittavano a Castiglione della
 Pescaia, una trentina di anni fa, ai villeggianti che amavano il mare. Tre
 stanze da letto , un ampio soggiorno-pranzo, un cucinino grande, un servizio
 con doccia, una bella veranda. Insomma sei posti letto. Ma cos’altro
 vogliamo di più ?
 Siamo i padroni della casa, ma intanto, nel ricordo fisiologico che qui è
 notte fonda, ma in Italia sono le sette di sera, Gianna si mette a leggere,
 mangiando bananine e delle specie di nespole, da noi sconosciute, che Wilai
 ci ha fatto trovare dentro il frigo, assieme ad un cocomero, un ananas e
 delle mele a forma di pera.
 Io compilo il mio diario, aiutandola a finire la frutta e scolandomi una
 bottiglia di succo d’arancia fresco e dolcissimo.
 Dopo un’oretta ci riprende sonno.
27 Febbraio 2001 (martedì)
Il chiarore del giorno ci sveglia alle sette e mezzo. Ci è passata tutta la
 stanchezza che avevamo accumulato.
 Colazione con Italo e poi via con Wilai, acchiappando tre taxi motorini che
 in cinque minuti ci portano in paese a Bang Phae all’imbarco per l’isola di
 Kho Samet.
Nei paesini, ma anche nelle grandi città, in Thailandia, sono diffusissimi
 queste moto-taxi.
 Ricordano un po’ i nostri “pony express”, ma invece di pizze o pacchettini,
 portano in giro (non nel senso di presa pel’ culo) le persone, a prezzi
 abbordabilissimi. Sono tutti giovani ed indossano una specie di canottiera
 colorata con cucito sulla schiena un grande numero (grande di dimensione)
 che attesta l’ autorizzazione comunale a fornire il servizio.
 Sono l’ideale per arrivare ad un indirizzo fuori mano, ove autobus o taxi
 collettivi non approdano. Quest’ultimi due compiono dei percorsi
 prestabiliti e spesso i motorini taxi stazionano nelle vicinanze delle loro
 fermate. E’ l’unico mezzo di locomozione veloce e comodo, se si vuole
 risparmiare delle scarpinate solari. Ti portano ovunque tu lo chieda. Mi
 pare che per una distanza di tre kilometri la tariffa ammonti a ben 20 Bath
 = 1.000 lire.
 Che eseguono il servizio, ho notato solo ragazzi in età giovanile.
 Aspetto con ansia il momento della pari opportunità anche per le cittine che
 si vogliono impiegare in questo lavoro. Sarò cliente fisso con poco senso
 dell’equilibrio.
Con l’assistenza di Wilai, prendiamo il biglietto per il traghetto e
 paghiamo anche la tassa di accesso all’isola, divenuta da alcuni anni
 patrimonio nazionale e parco marino naturale (l’isola, non la tassa).
 L’isola è piena di spiaggette con intorno tanta vegetazione lussuriosa.
 Con un motorino a noleggio, fatichiamo attraverso i tratturi disastrati
 dalle piogge scroscianti e non più ripristinati, per raggiungere i luoghi da
 ammirare, provare, godere. Tutt’intorno “resort, bungalow, ristorantini,
 negozietti”.
 Il tutto abbastanza bello, ma come al solito anche molto affrettato.
 Anche la pulizia degli arenili lascia abbastanza disorientati.
L’isola di Kho Samet si trova ad una mezz’ora di battello dalla terra ferma.
 Le strade, abbastanza rovinate, sono tutte a sterro ed alcune spiagge si
 possono raggiungere solamente a piedi.
 Il principale punto di arrivo sull’isola è Samet Village. Da qui, una
 nutrita truppa di “songthaew” all’inglese, “sonteo” alla toscana, aspettano
 di riempire le panche dei propri cassoni e poi trasportano i viaggiatori,
 per pochi bath, ai luoghi prescelti.
 Dal 1981 fa parte di un Parco Nazionale e sott’acqua abbondano i coralli. 
 In anni recenti, nonostante il decreto di istituzione del Parco, il luogo è
 stato assalito da una speculazione edilizia, non basata sul cemento, ma su
 bungalow in legno, e comunque compatta.
 Le Autorità, nel 1989, visto il business turistico, in contraddizione con lo
 status di protezione del Parco, ha temporaneamente chiuso l’accesso
 all’isola, compiendo dei propri blitz, arrestando gli operatori turistici,
 dichiarati tutti abusivi, e sgombrando con modi dai caratteri molto duri i
 visitatori.
 Dopo cinque anni di lassismo, la risposta degli imprenditori e dei locali
 non si è fatta attendere, ed è esplosa in forma di arrabbiatissime
 dimostrazioni a Rayong, durate qualche settimana.
 L’inevitabile compromesso si è espresso con la revoca, da parte del Ministro
 dell’Agricoltura, della misura restrittiva, ventilando peraltro una chiusura
 estiva nei mesi di luglio, agosto e settembre.
Attualmente nell’isola c’è il tutto esaurito.
 I Turisti fanno a cazzotti per soggiornarvi e soldi buoni ne portano tanti.
 In sovrappiù, da un paio d’anni, hanno inventato quella tassa d’accesso di
 100 Bath = 5.000 lire.
 Non è molto, ma sono tanti i visitatori che la pagano.
 Con il ricavato, perché, oltre foraggiare il mantenimento del biotopo
 isolano, più topo che bio, non comprano anche qualche scopa, forcone, sacchi
 per la spazzatura, e li danno in dotazione a quegli operai che puntualmente
 bivaccano ai crocevia dei sentieri, impettiti e gloriosi nel loro
 giornaliero ufficio governativo ?
 Non fanno una sega tutto il giorno !!
 Almeno fareste qualche cosa di utile per voi !!
 Il Turista morde e fugge. Voi però rimanete e ci dovete pure campare.
 Ho constatato che l’immondiziaio, che puntualmente si crea un po’ dovunque,
 non è dovuto all’incuria dello straniero. Questi, al contrario, è molto
 attento a non provocare disastri.
 Sono i locali, gli indigeni, purtroppo, che non sono ancora adeguatamente
 educati all’ordine. Abbruttiscono, in tal modo,irreparabilmente, le cose
 belle che hanno la fortuna di avere.
 Ma che teste di cazzo !!
 A dirla tutta, conosco anche in Italia alcuni luoghi del genere.
 Teste di cazzo anche a noi !!
Noto, nella fascia cis-marina, una lussureggiante foresta di palmizi ed
 altre piante, a me sconosciute. Alcune debbono essere centenarie ed il tempo
 le ha intortite e raggrinzite.
 Intorno a questa rigogliosa vegetazione,hanno creato il loro habitat
 naturale una moltitudine di uccelli, sia piccolissimi, che di dimensioni
 ingenti.
 Ora che si stà avvicinando uno dei soliti brevi, ma scroscianti acquazzoni,
 registro che tutta la fauna volante, vorticosamente, si innalza e si
 solleva, posandosi da una palma all’altra.
 Seguo, con l’occhio, una passerottina che, fragile ed indifesa, cerca
 disperatamente un riparo, e vedendo un incavo nel tronco dell’enorme albero
 che domina l’altura della baia di “Hat Sai Keo”, si appresta ad entrare
 frettolosamente nel rifugio.
 Appena posata all’ingresso, però, esce da questo un enorme pappagallo giallo
 e verde, che con modi bruschi, le dice che il luogo prescelto è già
 occupato.
 Impaurito, l’uccellino riprende il volo, alla ricerca di altri ripari, ed
 intanto la pioggia ha iniziato a inzuppare le sue piccole ali, creandogli
 anche delle difficoltà di sostentamento.
 Non trovando altro e continuando a piovere, la passerottina ritorna
 nuovamente al nido prima intravisto e tenta di entrare forzatamente.
 Il pappagallone, a questo punto, fa scudo col suo corpo, le sbarra
 l’ingresso e la rimanda via.
 Disperata, riprende il suo volo e poi non so dove sia finita.
 Ora capisco il significato del vecchio adagio thailandese che recita:
 ” Più l’uccello fa il duro e più la passera si bagna”.
Giriamo diverse spiagge e fra un bagno e l’altro ci saremo sicuramente
 scottati. 
 Pranziamo con dell’ottimo pesce, a dei prezzi sempre molto convenienti.
Ora torniamo a casa dopo aver trascorso una bella giornata balneare. Ci
 voleva.
 Con il battello che pende tutto a destra, traghettiamo sulla terra ferma ed
 a piedi, lentamente, attraversiamo, passeggiando, il paese di Bang Phae,
 verso casa nostra.
 Ogni tanto ci fermiamo accanto ai negozi che offrono frutta e verdura dai
 colori, dimensioni, forme incredibili e dai profumi intensi e non
 descrivibili.
 Con pazienza e gentilezza, i negozianti ci indicano le qualità e si prestano
 volentieri a farci assaggiare i loro prodotti, pur sapendo che non diverremo
 mai loro clienti.
 Siamo solo noi i turisti in questo luogo.
 Non vi sono grandi strutture ricettive, qui. Il villeggiante preferisce
 soggiornare nei centri più adeguati e creati appositamente per lui.
 Così è ancora più vero inserirsi nella loro vita.
Gli studenti stanno uscendo dalle scuole.
 Sciamano a frotte per le strade, vestiti con divise diverse e sgargianti ed
 indicanti i vari indirizzi formativi.
 Secondo il mio parere, quelli vestiti con cravattina e soprammaniche,
 studiano ragioneria,
 quelli con i pantaloncini corti e scarponcini, ma con la camicia beige,
 imparano a fare i geometri. Chi va a scuola per impratichirsi a diventare
 bottegaio, sopra il vestitino crema e blu, porta il grembiulino bianco.
 Scherzano, vociano, e discorrono sulle ore di lezione trascorse.
 Con nostalgia mi rivedo nei loro panni. Chissà se fra di loro ce n’è
 qualcuno trasgressivo ed impertinente come ero io ?
Chi lo sa, se usa ancora sbattere fuori dalla porta l’alunno solo perché
 candidamente vuole fare un po’ di umorismo con il professore ?
 Io ero abbonato agli allontanamenti per disturbo della quiete scolastica.
 Forse esageravo, ma forse esageravano anche gli insegnanti
 La prima settimana di scuola, di tanti anni fa, mi avevano subito sospeso
 perché avevo protestato, scrivendo in Segreteria: “desidero conoscere il
 criterio adottato per la scelta del posto sui banchi, per il quale, il
 compagno che l’anno scorso me l’avete messo di dietro, quest’anno me lo
 trovo davanti”.
 O l’altra volta che ho dovuto tornare accompagnato dai genitori perché avevo
 scritto sulla lavagna : ” Informo le professoresse, che alle ore 11 il
 Preside prenderà contatto, in un luogo adatto, con il corpo delle
 insegnanti”.
 Non vi dico cosa successe, poi, quando in un tema di italiano avevo
 commentato che la poesia del Leopardi è la poesia del pessimismo, bastava
 leggere ” La passera solitaria “.
 Non c’era un professore che mi credesse in buona fede !!
Accanto alla villa presa in affitto da Italo & Wilai, sostiamo un attimo nel
 negozietto a venti metri dalla casa.
 I due anziani bottegai thailandesi (sembrano i mì nonni, ma saranno più
 giovani di me) ormai ci conoscono ed ogni volta iniziamo un lungo colloquio
 intraducibile.
 Parliamo tutti contemporaneamente, tanto a loro non frega un cazzo di quello
 che diciamo, e a noi uguale.
 L’importante è chiacchierare, non si può mica fare la spesa in silenzio come
 al Supermarket !!
 Qui, i rapporti sociali,sono ancora intensi.
 Ci riforniamo di birra, succhi di frutta ed altri generi necessari alla
 sopravvivenza e ci salutiamo.
 Questo lo capiamo tutti. Sono grandi manate sulle spalle e sventolio di mani
 per aria.
 Vuol dire arrivederci.
Cena e serata fino a tardi con Italo e quell’attrezzo delicato della su’
 moglie.
 In cucina è espertissima,ma è anche uno spasso conversare con lei in
 italiano. Lo parla molto bene. La pronunzia della “erre”, dopo tre anni di
 allenamenti a scuola in italia, non è più una “elle” alla cinese e così non
 posso rifarle il verso.
 In compenso ho notato che già dopo un giorno della mia vicinanza, sempre più
 spesso esce fuori con le mie frasi fatte, tipo “alla fine mi ha rotto i
 coglioni”, “non si capisce proprio una sega”, e così via.
 E non le dice a sproposito, sono tutte frasi centrate, colpiscono
 l’obiettivo.
 Ci guardiamo anche i filmini che ho girato l’anno scorso e tiriamo la
 mezzanotte.
Stò sconvolgendo Italo con tutti i programmi vulcanici che cerco di
 convincerlo ad effettuare con me e con Gianna.
 Caro Baffino, non avrai mica creduto di fare solamente “l’affittacamere”,
 spero ?
 Tutti a nanna perché è tardi.
28 Febbraio 2001 (mercoledì)
Curiosamente, fuori dai grandi centri abitati, tipo Bangkok o Pattaya, e
 quindi anche a Rayong, non ci sono taxi in città, da prendere al volo, o
 quelle vetture predisposte al servizio come lo intendiamo noi europei. Per
 questo tipo di prestazione, bisogna prenotare in anticipo.
 Tutti usano il taxi-motorini o i “Sontei” (Songthaew in inglese).
 Andiamo con Wilai a prendere la macchina noleggiata a Rayong, a 15 kilometri
 da Bang Phae.
 Saliamo a bordo dei camioncini con le panchine sul cassone.
 Un’ora di divertimento. A Rayong di nuovo sui motorini fino dal
 noleggiatore.
 Ci danno una Toyota pick-up, con quattro posti in cabina.
 Il costo, compresa l’Assicurazione, è di circa 45.000 lire al giorno.
 Poi nuovamente a casa a prendere Italo. 
 Non vuole separarsi da quella sua specie di marchingegno a due ruote, perché
 dice che gli può fare comodo, e così caricato sul cassone il suo
 inseparabile mezzo, ci dirigiamo verso sud a pranzare in riva al mare in un
 ristorante scoperto da Wilai.
 Gli avevo proposto di attrezzarci con una fune legata alla vettura per
 trainare la “carretta” 
 pilotata da “baffino”, ma abbiamo rinunziato per non creare troppe
 sensazioni di ilarità nei passanti con gli occhi mandorlati.
 Ci sono vasche piene di tutte le specialità marine vive, gamberi,
 granchioni, calamaroni, ostricone, aragoste, cicalone (non quelle delle
 femmine, che si chiamano anche passere), dentici, branzini, ed altri pesci e
 crostacei sconosciuti ai più, ma che in bella mostra, aspettano solo di
 essere presi nella rete del cuoco, scelti e divorati.
 A dispetto di “Nane il chioggiotto”, un ristorante dove la specialità è solo
 pesce, vicino a Sottomarina, e dove alla fine il conto si aggira sulle
 120.000 lire a testa, noi, lì, in quel momento ed in quel luogo, con molta
 indifferenza forzata, e con noncuranza, come se lo facessimo sempre, non
 economizziamo affatto nella varietà (è abbastanza facile recitare la parte
 dello spandone).
 C’è anche una leggera e piacevole brezza che ci permette di stare all’aperto
 senza aria condizionata e senza sudare o schiantare.
 Il conto, poi, è vergognoso.
 In Italia si paga di più andare in pizzeria e portarsi a casa una
 “napoletana senza origano e cotta bene, con capperini a parte”.
Già l’anno passato, avevo avuto modo di notare, contrariato, un’usanza
 adottata sia dai ristoranti piccoli ed ambulanti, tipo banchettini di
 wurstel, che dai sontuosi locali di ristorazione alberghiera.
 Al posto dei tovaglioli di stoffa o di carta, mettevano a disposizione dei
 commensali, delle piccolissime striscioline di carta, che non servivano
 assolutamente a nulla, se non far imprecare, per l’inevitabile sbrodolamento
 che si verificava e che non si riusciva a detergere.
 Bene ! Quest’anno alcuni ristoranti si sono aggiornati.
 Sui tavolini, anche di locali prestigiosi, sistemano un contenitore ovale,
 di plastica, con un foro all’apice.
 Dentro, è sistemato un rotolo di carta igienica che si srotola tirando il
 capo dal forellino.
 Sempre meglio di prima, ma..ragazzi.. che fantasia !!
 Ci manca solo il cagnolino che transiti per i saloni con in bocca l’inizio
 dello Scottex, per dimostrare quanto è lungo.
Viaggiamo all’interno della costa e percorriamo le colline piene di
 piantagioni di alberi della gomma. Quando ci riposiamo all’ombra di un
 Tempio, Italone prende la sua specie di bicicletta e ci dimostra la sua
 freschezza di sessantottino.
 Al ritorno è quasi buio e lasciati i nostri albergatori alle loro funzioni,
 io e Gianna ci dirigiamo nuovamente in macchina a Rayong a cenare.
 La vettura presa a nolo, per ora funziona bene.
 Quando accendo i fari abbaglianti, però, si mette in azione il clacson ; per
 questa ragione, tendo a viaggiare con le mezze luci.
 Ho il timore di frenare, per paura che contemporaneamente si muovano i
 tergicristalli, ma per il resto, è tutto a posto.
 Sbagliamo per due volte la strada del ritorno, nel buio pesto, ma riusciamo
 in qualche maniera a tornare.
1 Marzo 2001 (giovedì)
Con Wilai che ci fa da guida, di mattino presto, raggiungiamo un Tempio,
 dove, all’interno delle sue strutture, eseguono i massaggi terapeutici
 tradizionali.
 Come al solito sono sfigato, e mi tocca un omone grande e grosso, con i
 baffi, vaffanculo, e per due ore sono strizzato da stò gazzilloro che,
 assieme alle donne massaggiatrici, continua a pigliarmi pel culo, tirandomi
 anche i peli del petto. La loro razza è esente da questa peluria buffa ed
 esilerante.
Al mercato di Rayong, Wilai dimostra tutta la sua capacità di thailandese,
 nel districarsi fra i banchi dei prodotti ittici.
 Facciamo la spesa per il pranzo cucinato all’italiana. E’ un modo per mutare
 i sapori.
 Con i crostacei non utilizzati, ne abbiamo presi tanti che sono avanzati
 senza cucinarli, la folletto siamese prepara un sughetto al pomodoro per gli
 spaghetti di stasera.
 E la cena, dopo il pomeriggio trascorso a passeggio nel mercato di Bang
 Phae, grande spaghettata con quel meraviglioso condimento, e per secondo e
 dessert, frutta, frutta, frutta.
Fra i tanti argomenti sviscerati con Italo, dopo aver raddrizzato e salvato
 il mondo, con tutti i nostri pareri, consigli e modi di rimediare alle
 ingiustizie che intasano l’universo, il tema serale scivola sull’opportunità
 che una coppia di Italiani potrebbe agguantare, per venire a svernare in
 Thailandia, paese esotico e caldissimo, quando da noi il rafreddore è il
 minore dei mali.
 E’ soprattutto un’analisi particolareggiata, rivolta alla possibile
 realizzazione dell’eventuale progetto con i relativi costi ed oneri.
 Allora, la conclusione, dopo lunghe riflessioni è stata:
 L’affitto di un appartamento grande all’europea o di una villetta tipo la
 nostra, qui a Bang Phae, con tutte le comodità necessarie ed anche più del
 necessario, nelle immediate vicinanze del Golfo del Siam, può venire a
 costare dalle 200 alle 400 mila lire al mese.
 Con 300 o 400 mila lire al mese a testa, si riesce a mangiare benissimo in
 casa od al ristorante.
 La ragazza di servizio, che ti faccia anche da cuoca , quando le dai 300
 mila lire al mese, oltre a fare le capriole dalla contentezza, si iscrive
 subito al corso per massaggiatrice ed è disponibile anche per questo lavoro
 giornaliero.
 Il viaggio andata e ritorno dall’Italia lo possiamo considerare ad un costo
 non superiore al milione e trecento mila lire.
In definitiva se una coppia di anzianotti pensionati e mezzo rincoglioniti
 come noi, decidessero di trascorrere i tre mesi di dicembre, gennaio,
 febbraio in Thailandia, la spesa necessaria pro capite, diventerebbe:
viaggio
 1.300.000
 ½ canone affitto di una bella casa 200 mila x 3 mesi
 600.000
 vitto 400 mila x 3 mesi
 1.200.000
 ½ compenso ragazzo di servizio 150mila x 3 mesi
 450.000
Il totale, pro capite per tre mesi arriverebbe a 3.550.000 Lire
 che significherebbero 1.184.000 lire al mese. CI SI PUO’ PENSARE !!!
Domani è in programma la visita alle miniere di rubini. C’è abbastanza
 strada da fare, non è un percorso turistico-europeo e sarà indispensabile
 farci accompagnare da Wilai.
2 Marzo 2001 (venerdì)
Arriviamo a Chantha Buri verso mezzogiorno.
 Abbiamo percorso un centinaio di kilometri verso sud, in direzione del
 confine con la Cambogia.
 Per informazioni, ci avvaliamo della nostra guida, utilissima per l’impatto
 con i residenti.
 Rimangono sorpresi, quando vedono me ed Italo, che ho convinto ad essere
 della spedizione,ed ancora di più quando dai sedili posteriori fa capolino
 Wilai che chiede informazioni nella loro stessa lingua.
 Ci dicono che le miniere di rubini, quelle vicino a Chantha Buri, si sono
 esaurite alcuni anni fa e quindi non più operative ed interessanti per la
 loro visita.
 I libri guida recenti, sulla Thailandia, le riportano ancora come
 funzionanti.
 Ci indicano un altro luogo, molto distante, sulle montagne, ma rinunziamo
 per pericolo di impiegare troppo tempo a raggiungerlo e trovare poi che
 malauguratamente ieri hanno deciso di interromperne l’operosità.
Troviamo lungo la strada un’indicazione per raggiungere un parco naturale
 con all’apice una cascata.
 Fa molto caldo, caldissimo, ed optiamo per questa soluzione in cerca di
 refrigerio.
 Ci arrampichiamo con il “pick-up” lungo la salita, nel mezzo di una foresta
 tropicale e quando, raggiunto il parcheggio, ci incamminiamo a piedi,
 l’umidità ci fa ancora di più grondare di sudore.
 Gianna e Wilai, montanare esperte, ci precedono, ma Italo vuole con se anche
 la sua “bicicletta”, e lo devo aiutare spingendolo quando le ruote affondano
 nel fango del tratturo sconnesso.
 E’ così che stò “noccolo” mi prometteva benessere e riposo ?
 Dove c’era la cascata, ora c’è solo un piccolo rocchio d’acqua. Siamo nella
 stagione secca.
 Anche questa volta l’ho spadellata.
 Ma non potevano scriverlo su quel troiaio di cartello, giù a valle, che non
 c’era l’acqua, ma che di umido c’era solo il nostro sudore ?
Di ritorno verso il golfo del Siam, in una stradina di campagna, vediamo un
 bambino thailandese, scalzo, con indosso solo pantaloncini corti e sulla
 testa un cappello di paglia a forma di cono.
 Cerca di farsi seguire, tirandola con una fune, da una bufala enorme, con
 due corna a semicerchio e con la schiena gobbuta.
 Fanno più passi indietro e laterali che quelli lungo la stradina.
 La bestia non vuol saperne di andare avanti.
 Chiediamo al giovanetto dove stà andando e questi risponde che deve portare
 la bufala dal toro, nella vicina stazione di monta, per la sua inseminazione
 naturale.
 Accorti della fatica nel condurre la vaccina, gli chiediamo perché non lo fa
 fare al su’ babbo.
 Il bambino ci risponde che il toro lo fà meglio.
Pranziamo lungo la costa e nelle vicinanze ci sono numerosi allevamenti di
 gamberi della specie Kung Kula Dam, quelli grandi, lunghi, quelli che se vai
 a comprarli te li vendono a metrate, quelli scuri, quelli che sembrano
 aragostine, quelli con i quali ci facciamo passare la fame.
 Andiamo a visitare le acqua-colture e la nostra interprete intrattiene una
 lunga, curiosa e formidabile conversazione con il gamberaio.
 Tre giorni fa, che sfiga, li hanno immessi tutti sul mercato gastronomico ed
 ora ci sono solo quelli piccoli, che debbono crescere.
 Sono tutti molto ospitali (gli addetti, non i gamberi) e spiegano alla
 nostra amica tutte le operazioni necessarie alla loro riproduzione (dei
 gamberi non degli addetti).
 Ritornando verso casa, con Italo ci tuffiamo in mare, il sole tramonta,
 l’acqua è caldissima, Baffino è insuperabile nel nuoto e questa volta si
 dimentica del suo “velocipede”.
 Tanto che ci siamo, si ritorna a cenare con il pesce ed i frutti di mare, ed
 ora col buio, le zanzare cenano con Gianna.
3 marzo 2001 (sabato)
Risiamo al Tempio dei massaggi.
 Pur così presto, c’è già tantissima gente. Nessun turista. Bisognerebbe
 aspettare il nostro turno fra un’ora e mezzo.
 Nel grande cortile vicino al laghetto,pieno di grossi pesci che vengono
 pasturati da giovani ragazzine, stazionano cani, gatti, galli e galline.
 Quest’ultime, pomposamente e tutte tirate a festa, sculettano tentatrici
 nelle vicinanze dei loro sultani, che prima indifferenti e poi sempre più
 interessati, le guardano con occhio critico e lussurioso.
 Chiedo a Wilai quante prestazioni riesce a sostenere il galletto ogni giorno
 e lei risponde che una decina è un fatto abbastanza frequente.
 A questo punto, Gianna mi dà di gomito e con un sorrisino di compatimento mi
 dice : hai sentito ?
 Mi rivolgo nuovamente alla nostra guida per sapere se i tributi gallinacei
 sono rivolti tutti esclusivamente ad una sola partner, e la risposta è :
 Nooo!! Ne ha sempre una nuova.
 Ora sono io a dare di gomito a Gianna. 
 Hai capito bene ? Le recito.
Ritorniamo al grande mercato di Rayong per la spesa del pesce, destinazione
 cena e per vedere le fontane che vorrei portare in Italia.
 Al contrario delle massaggiatrici, per la fontaniera è troppo presto.
 Ma l’indovinerò mai una ?
Facendo inversione di marcia con la Toyota, (è sempre molto difficile
 abituarsi alla guida a sinistra) sbaglio corsia e mi immetto nel senso
 contrario in un luogo proibito, e proprio di fronte al poliziotto che dirige
 il traffico.
 E’ immediato l’ordine di accostare, controllo della patente internazionale e
 contestazione dell’infrazione per la quale è prevista una multa di 500 Bath
 = 25.000 lire da pagarsi al comando di polizia.
 Gli Angeli non abitano qui a Rayong.
 Forse a Bangkok, ma qui no !!
Il nome di Bangkok è ancora quello vecchio. Da quando è stato ufficialmente
 cambiato il vecchio nome “Siam”, in “Thailandia”, nel lontano 1938, anche il
 nome della città è stato mutato ufficialmente in “Krung Thep” che significa
 “città degli angeli”.
 Ma il vecchio nome ha continuato ad essere usato sempre dai mercanti
 stranieri ed ancor oggi, per la gente che vive fuori dal regno, la capitale
 della Thailandia è conosciuta con il suo vecchio nome Bangkok.
Dicevo del tutore del traffico e degli Angeli dissolti.
 Il poliziotto fa capire a Wilai che possiamo cavarcela con 300 Bath = 15.000
 lire, dati sottobanco, senza disturbarci troppo a pagare una somma maggiore
 in caserma.
 Acconsentiamo e versiamo l’obolo.
 Riprendere la vicenda con la telecamera, naturalmente, non è concesso.
 Wilai è incazzata nera, io un po’ meno.
 Stò terminando di fumare una sigaretta e chiedo al poliziotto dove gettare
 il mozzicone.
 Mi indica di buttarla per terra.
 Ma allora ce l’avete proprio con me !!
Terminata la commedia, accompagno a casa le due donne e con l’omino che
 vende generi alimentari, lì accanto, andiamo dove oggi si svolgono i
 combattimenti dei galli.
 Un centinaio di appassionati sono sparpagliati sui gradini di legno della
 piccola arena, dove due pollastroni incazzati, ricuciti e armati di speroni
 aggiuntivi di acciaio, si beccano e si rostrano di santa ragione.
Ci trasferiamo, poco dopo, lungo la spiaggia che unisce Bang Phae a Rayong.
 E’ un arenile molto ampio e con alle spalle una piccola “palmeta”
 ombreggiante. Come da noi bisogna stare all’erta quando cadono le pigne
 mentre si passeggia nelle pinete, qui c’è bisogno di grande abilità per
 schivare le grosse noci di cocco che, ogni tanto, da 15 o 20 metri di
 altezza, decidono di andare a marcire sulla sabbia.
 Il mare è come quello di Viareggio o Cattolica, con il 98,7 % di bagnanti in
 meno, rispetto al numero di villeggianti nella stagione invernale in Italia.
 Non c’è quasi nessuno lungo questi 15 kilometri.
 Ho contato due italiani (noialtri), sette giapponesini ed una dozzina di
 ragazzotti thailandesi con la chitarra e tamburi e strumenti a percussione,
 ricavati con aggeggi di fortuna.
 Ogni tanto si buttano in mare con dei salvagenti enormi, costituiti da
 camere d’aria di camion, gonfiate all’inverosimile,come usava da noi
 nell’immediato dopoguerra, l’ultima per precisione, non la seconda Punica.
Anche qui, la pulizia lascia a desiderare.
 Con tutta probabilità, le entrate comunali non sono sufficienti a permettere
 la bonifica delle brutture da sporcizia.
 Consiglierei il Sindaco di controllare più strettamente i propri esattori.
 Riparlando della spiaggia, non vi sono strutture alberghiere, tranne due
 Hotel, laggiù in fondo, quindi è quasi deserta.
 Dipende dai punti di vista, ma si può considerare, tutto sommato, ancora
 vergine, pur a ridosso di un centro abitato, abbastanza grande.
 I turisti non arrivano qui.
 Si fermano prima, a Pattaya, a circa 80 kilometri a nord-ovest.
 Lì c’è tutto, divertimento, aberrazione, trasporti sofisticati, discoteche,
 grandi e lussuosi ristoranti, postriboli, centri commerciali, pedofilia,
 ombrelloni e cabine e spogliatoi, scooters d’acqua, deltaplani, offerte
 insistenti di “ficchi, ficchi”, vita mondana.
 In questa lunga spiaggia, tra Rayong ed il promontorio di Bang Phae, non c’
 è altro che ciò che la natura ha creato.
 Le sozzure, che si notano, sono state portate dagli umani.
 Da diverse ottiche, si può valutare cosa scegliere. Io scommetto che entro
 dieci anni diventerà come Pattaya. Ma intanto è così e non è poco per chi
 vuole ancora respirare il “selvaggio”.
 Me l’aveva già anticipato Italo, ma io non ne ero convinto o forse non
 abbastanza osservatore.
 Le ragazzine tailandesi fanno il bagno, nel Golfo, vestite con gonnellino e
 camicetta. Sotto portano mutande e reggipetto.
 I loro fidanzatini, al posto della gonna, hanno i pantaloncini corti.
 Sono esentati dall’indossare il sospensorio mammellare.
 Mi raccontava Italo, dicevo, che le ragazze per bene non si mettono in
 costume per bagnarsi. Quelle che lo fanno, sono delle svergognate, salvo
 poi, nei cespugli lì vicino, aprire le cosce e dispensare i propri favori.
 Ma il bikini in spiaggia, no !!
 Scommettiamo che a Pattaya la maggior parte delle thailandesi nuota
 indossando il costume ?
Per pranzare, scegliamo un ristorantino dall’altra parte dello stradone
 “lungomare”.
 Ordino un piatto di gamberi mescolati a tanto riso e gamberi freschi in
 salsa di pesce ed aglio.
 Non avevo, però, registrato nel menù, che i crostacei erano aperti e crudi.
 Dopo averne assaggiati un paio, faccio il filo a tre gattini che sostano
 sotto i tavoli.
 Ne offro loro quattro o cinque. Miagolano che sono meglio quelli che prepara
 Wilai.
 E così anche loro lasciano l’avanzino.
 Quindi attenzione :
 Quando nel menù si vede scritto “frish shrimps” (gamberi freschi), qui per
 freschi si intende crudi !!
 Del resto, hanno ragione loro. Tutto il loro pescato è fresco, non hanno
 bisogno di specificarlo. Ne hanno tanto e costa poco. Che senso avrebbe
 riciclare gli avanzi ?
Quel gruppetto di ragazzi, di cui parlavo prima, cantano e suonano la
 chitarra.
 Mi permettono di riprenderli con la telecamera e mi offono Wisky e Coca
 Cola.
 Ringrazio, ma rifiuto. Anche ora, un pochino, ma di più alla loro età,
 preferivo maggiormente la passera, che non la loro maniera di essere
 trasgressivi.
 Sotto le palme, ad una decina di metri dall’arenile, si stà d’incanto.
 Soffia una leggera brezzolina che nasconde gli effetti del sole che picchia
 e bisogna stare attenti alle scottature. 
 Se il ventolino cessasse, si schianterebbe dal caldo.
4 marzo 2001 (domenica)
Riportiamo la Toyota pick-up al noleggiatore, la mattina presto.
 Tutto sommato, la macchina ha svolto il compito per cui l’abbiamo affittata.
 E’ una vecchia Toyota turbo diesel e seppur un po’ lentina, ci ha portato
 dove volevamo, senza troppi inconvenienti.
 Con 350 mila kilometri sul groppone, aveva anche il diritto di guaire,
 quando gli accendevo i fari abbaglianti.
 Carichiamo i bagagli nel cassone e l’omino del noleggio ci accompagna fino
 alla stazione dei Bus.
 Qui è una pena salutare e lasciare Wilai.
 Come faremo senza di lei ?
 Ma potevamo scegliere di andare in vacanza nel Madagascar?
 Ieri sera abbiamo cenato assieme a lei ed Italo, festeggiando anche in
 anticipo il compleanno di Gianna.
 “Baffino” le aveva preparato una delle sue torte a sorpresa con tante
 fragole nella bordatura.
 Le bottiglie di birra, gettate vuote per folclore, nell’aiola vicina,
 avevano creato un mucchio eloquente di come si era svolta la serata, e
 specialmente la siamesina trasferiva verso i presenti tutta la sua vivacità.
 Ogni tanto ho cercato di prenderla in giro, ma credo che alla fine lei sia
 riuscita, nel suo italiano particolare, a pigliarci pel culo tutti quanti.
 Il distacco da Italo è stato più dignitoso.
 E’ come se ci lasciassimo per qualche giorno solamente, per poi ritrovarsi
 su Internet.
 Mi mancherà la satira e le fatiche dei trasbordi del suo “mezzo
 locomotorio”.
Ah, mi stavo dimenticando.
 Italone è bravissimo ed un grande esperto nel manovrare la sua sedia a
 rotelle nei meandri di casa sua, ma per la strada sconnessa o per i sentieri
 nella foresta, lascia un po’ a desiderare e tante volte è meglio se l’aiuto
 io, che come secondo pilota, a parte gli slalom velocissimi con qualche
 ammaccatura, ho fatto egregiamente la mia parte.
Il Bus viaggia veloce verso Bangkok, traffico un ce né punto e in due ore e
 mezzo siamo a Bangkok al Menam River Side.
 Si realizzano subito infondati i nostri timori di sistemazione nello
 scantinato, considerato il prezzo esiguo, e ci sistemano, invece, subito in
 una grande stanza, uguale alle altre, con due lettoni come usano negli Hotel
 in Thailandia, quando non tentano di fare i furbi.
 Posizione stupenda e strutture e servizi altrettanto ottimi.
 La zona della piscina è superiore a quella di tanti altri alberghi di
 categoria superiore.
 Con traghetto e metropolitana ci trasferiamo al week-end market . E’ aperto
 solo il sabato e la domenica e non avremmo in seguito avuto l’occasione di
 ritornarci.
 La descrizione del mercato l’avevo già sviluppata profondamente nella
 cronaca dell’anno passato ed ora posso solo accennare che è infinito e vi
 viene offerto di tutto.
 Acquisto la fontanella bramata dall’anno scorso e ce l’imballano per
 portarla in Italia. Vedremo come ci organizzeremo per farla trasportare in
 aereo.
 Al ritorno in Hotel, decidiamo di rimanere in piscina a riposare, per
 smaltire le fatiche rocambolesche, derivate dalle attività goliardiche
 consumate con Italone.
Caro Baffino, che cantate a squarciagola in macchina ricordando Battisti,
 Dalla, e le tue nostalgiche canzoni liguri.
 Avresti anche ventilato il desiderio di rimanere solo per mezza giornata
 vicino alle cascate, anche se aride, per rigenerati con la meditazione.
 Ma ti ho riportato via.
Il Menam River Side è pieno di tedeschi ed è giusto così, perché pagano
 poco, piccinini.
 Alla sera ceniamo in albergo.
 Anche se è stato un pomeriggio di tutto riposo,non ce la sentiamo di
 effettuare lunghi trasferimenti alla ricerca della confusione.
 L’Hotel, oltre a saloni e salette per caffè ed aperitivi, contiene tre
 ristoranti all’interno delle sue strutture, uno cinese, l’altro Thai e
 l’altro ancora specializzato in “see food”, pesce.
 Quest’ultimo è situato nella grande terrazza sul fiume Chao Phraya ed è qui
 che scegliamo la nostra permanenza serale.
 Il Chao Phraya proviene dalle montagne del nord e percorre 365 kilometri
 prima di gettarsi nel golfo del Siam. Ha dato origine ad una delle regioni
 più fertili del mondo per la produzione di riso, irrigando le vaste pianure
 centrali. Per secoli ha costituito una delle più importanti vie navigabili
 per gli scambi con l’estero.
 E’ stata fino ad una trentina di anni fa, la principale arteria di Bangkok
 con i suoi canali (klong), ora quasi tutti spariti. Al loro posto sono stati
 costruiti dei viali grandissimi.
 Il fiume però è rimasto, non l’hanno ancora seppellito con colate di cemento
 e acciaio. Questo materiale per adesso viene usato per riempire le sue rive
 di grattacieli, per lo più adibiti a residence od Hotel di lusso.
 Nonostante il declino dell’importante navigazione fluviale, il Chao Phraya
 rimane pur sempre un comodo e veloce mezzo di trasferimento con i battelli o
 “taxi del fiume”, quando le strade della città sono intasate sia di traffico
 che di rumore.
 Navigando con il “ferry”, impressiona ancora la vista delle vecchie case su
 palafitte, accanto a modernissime costruzioni in vetro e acciaio.
Al ristorante See Food adottano il sistema a buffet e praticano un prezzo
 fisso.
 Sono 640 Bath = 32.000 lire a testa, escluse le bevande e si può prendere
 quello e quanto si desidera.
 Stasera i tedeschi hanno lasciato posto ai giapponesi.
 Ne arriva un battaglione, tutti inquadrati.
 Sono divisi in plotoni, vocianti ma organizzatissimi.
 Non si fiondano tutti insieme a ripulire le pietanze a disposizione, ma lo
 fanno con tattica e strategia.
 I diversi manipoli composti da 10 o 15 persone alla volta, all’unisono si
 alzano e si trasferiscono quatti quatti nel reparto scelto per
 l’acquisizione dei beni di sostentamento.
 Poi tornano nei loro tavoli per ingozzarsi, per riandare, più tardi,
 assieme, a saccheggiare altro cibo.
 Ho detto saccheggiare, ma non è una battuta.
 Come si chiama quando viene fatta completa razzia di tutto quello che c’è
 nei vassoi ?
 Il personale thailandese stà facendo le capriole per tenere il tempo e
 ricostituire le teglie vuotate.
 In un piattone di una giapponesina ho contato, sistemati a piramide, 5
 granchioni, 4 gamberi grossi, un branzino e 2 cicalone, tutti cucinati alla
 brace.
 Fra una pausa e l’altra, di questi strategici colpi di mano nipponici,
 noialtri poveri due italiani, adottiamo la tattica dell’articolo quinto,
 quella che chi ha preso per primo il posto, ha sempre vinto.
 Così ci sistemiamo davanti al braciere, appena libero e vuoto, ed aspettiamo
 pazientemente che sia cucinato dell’altro pesce. Nel frattempo arriva
 l’altro plotone, che però aspetta di far ripulire a noi per primi il
 prodotto arrostito.
 Ci aveva provato un giapponese, tanto grosso quanto frettoloso, ad allungare
 per primo la sua gialla mano, ma proprio in quell’attimo ho avuto uno
 sbandamento di equilibrio ed il rappresentante del Sol Levante è stato
 ricacciato indietro.
 Proprio come ad Okinawa.
 Siccome poi gli intervalli degli attacchi giapponesi sono numerosi,
 ripetiamo per altre quattro volte le nostre sortite.
 In questo modo, un eventuale scrivano orientale con il compito di segnalare
 gli avvenimenti sul diario, non mi vedrà mai con i piatti straboccanti.
 L’unico pericolo è che metta un contatore ai miei avvicinamenti.
 Consiglierei alla Direzione del Menam di fornire ai clienti dei carrelli
 tipo supermarket, per approvvigionarsi più speditamente.
 Beh, ragazzi, avranno e avremo preso quantità di pesce inimmaginabile, ma
 non è avanzato nulla nei nostri piatti.
 Saremo anche forse stati degli ingordi, ma anche che ci richiedeva, tutto
 quel ben d’Iddio.
 D’altronde, la cena, con un servizio molto accurato e tempestivo, te la
 fanno pagare carissima, per i loro livelli.
 In un altro ristorante, sarebbe costata cinque volte di meno, in Italia,
 invece, cinque volte di più, ma con meno varietà e quantità.
Poi, ragazzi, che atmosfera.
 Su questa terrazza, in riva al fiume,si stà d’incanto.
 Un brezzolina mitiga la calura e l’umidità.
 E’ un ambiente adatto per una cena romantica.
 Poi mi viene in mente che i depuratori sono pochi e non adeguati, che tutti
 gli scarichi della città confluiscono nel Chao Phraya, e che però si
 riescono a nascondere nelle sue acque.
 Allora penso che è come dire : che bello tenersi per manina con l’amata e
 gustare questi cibi sublimi, beandosi della vista di questo merdaio che
 scorre, trasportato dal fiume.
 E’ come gratificarsi, dopo una giornata faticosa, guardando passare
 lentamente un mucchio di merda.
 Ma d’altro lato, anche in Europa ci sono dei percorsi bucolici, dove la
 vista e l’animo sono appagati dalla magnificenza della campagna ben
 concimata dal lettame animale, impuzzolita e sciamante di insetti.
 Forse c’è una piccola differenza ?
 Dev’essere una delizia anche farci il bagno.
 Ma l’occhio non vede ed il cuore non dole.
 E non vedendo altro che ciò che voglio vedere, terminiamo la cena e andiamo
 a nanna.
Alla televisione americana, in camera, apprendiamo e vediamo le immagini
 dell’attentato all’aereo della Thai in partenza per Chang Mai e sul quale
 doveva viaggiare il Primo Ministro thailandese.
 Siamo contenti, in questo momento di non essere capi di governo, ma solo
 medi turisti italiani rompicoglioni e irriverenti.
5 marzo 2001 (lunedì)
La colazione in albergo è come al solito fa – vo – lo – sa.
 Le orde nipponiche sono già partite per le escursioni e nella sala vi sono
 poche persone.
 La varietà, la qualità, i servizi, sono di altissimo livello, così come
 tutte le altre strutture ricettive.
 Se poi si calcola che il pernottamento con colazione, è costato meno della
 cena di ieri sera, sembra impossibile, ma è una delle numerose
 contraddizioni della Thailandia turistica.
 Poi non lo ripeterò più, ma trovare una combinazione come questa, offerta
 dall’Agenzia tedesca LTU, è veramente da consigliare a tutti gli amici.
L’addetta ai clienti di questa agenzia, questa mattina è a disposizione per
 mezz’ora.
 Con lei riusciamo a trovare un’escursione per domani al mercato galleggiante
 di Damnoe Saduak, a 110 kilometri da Bangkok, senza passare dal Rose Garden
 e dalla fattoria dei coccodrilli.
 Ci eravamo già stati, sono bei luoghi per un turista, la prima volta, ma
 troppo finti e preparati appositamente per i villeggianti.
 Il costo per persona è 750 Bath = 32.500 lire
A mezzogiorno, con il ferry, lungo il fiume, arriviamo all’ultimo ponte a
 nord, il Krung Thon Bridge, dove c’e’ il ristorante di Winai, il nostro
 amico, manager del locale. E’ da tre anni che andiamo a trovarlo ed a
 pranzare nella sua bettola.
 Solite feste e solita abbuffata.
 Di nuovo, a tutte le cameriere del locale racconta il nostro primo incontro
 e come facevo le sigarette con la macchinetta.
 Satolli, al termine, riattraversiamo il Chao Phraya, destinazione Wat Pho,
 l’imponente tempio buddista, dove al suo interno c’è la scuola dei massaggi
 tradizionali e dove li mettono in pratica per i richiedenti.
Vediamo una moltitudine di gente, soprattutto giapponesi, sono dappertutto,
 ma anche tanti italiani, in attesa sulle panchine lì intorno.
 Stanno aspettando il loro turno con un biglietto in mano, che attesta il
 pagamento.
 Mi rivolgo ai conterranei, che mi dicono di essere venuti, dopo aver letto,
 su Internet, un resoconto di un turista italiano che raccomandava una visita
 in quel luogo, per un massaggio autentico, terapeutico e curativo.
 Ma sarò stato imbecille ??
 Mi sono fregato da solo.
 Mai pubblicizzare troppo le proprie esperienze. Rischi che ti prendano alla
 lettera e quando vuoi ripeterle, trovi pieno e devi ritornare il giorno
 dopo.
 Ma i giapponesini come avranno fatto a tradurre la mia cronaca ?
Quest’anno mi meravigliano le numerose presenze di turisti di colore (nero
 naturalmente), probabili americani. Si differenziano dai loro simili
 asiatici per la stazza, la pancia sempre piena e satolla, l’abbigliamento
 sbrindellone ed un pochino anche per il dialetto yankee.
 Mi sovviene immediatamente il tenore del colloquio avvenuto alcuni anni fa,
 e che riporto qui sotto.
 Signore, ma berchè ho le mani gosì grandi ?
 Vedi Tom, risponde il Signore Iddio, ti ho fatto le manone così grosse,
 perché sono necessarie per afferrare e strozzare la gazzella, affinché tu
 dia da mangiare ai tuoi figli.
 Ah sì, Signore, ma berchè ho anghe i biedoni gosì enormi ? ridomanda Tom.
 Continua Iddio: ce l’hai così grandi, perché ti servono per correre più
 velocemente della gazzella, quando la seguirai per la savana, per
 strangolarla e portare la sua carne al villaggio.
 Ah sì, Signore, ma berghè ho anghe la belle nera ?
 Hai la pelle nera, perché correndo con i tuoi piedoni per la savana per
 agguantare e strozzare la gazzella, fonte di cibo per i tuoi familiari, il
 sole che implacabile picchia sul tuo corpo, ti provocherebbe delle ustioni
 fatali, se tu non avessi questa protezione.
 Ah, sì sì, Signore, conclude Tom, ma allora ghe gazzo ci faccio io guì a New
 York ??
6 marzo 2001 (martedì)
Ci vengono a prendere con un pulmino, per portarci al mercato galleggiante
 di Damnoe Saduak, lungo i canali rurali.
 La guida ci informa che negli ultimi cinque anni è cambiato moltissimo.
 Quale differenza troveremo, dopo 20 anni da quando ci siamo stati ?
 Ed infatti il mercato è diventato una grande troiata rispetto all’originale.
 La zona è la stessa, ma le donnine che pagaiano con le canoe si sono
 sviluppate ed adeguate ai tempi.
 Turisti ce ne sono a pacchi e le contadine Thai, o almeno la maggioranza,
 hanno convenuto che è meno fatica e più remunerativo caricare quattro
 tromboni di stranieri da portare a passeggio sui canali, che non riempire le
 barchette, con merce da vendere o da scambiare.
 Quelle poche che hanno resistito, spacciano la frutta o le minestre ai
 visitatori.
Fino a pochi anni fa, era una fiera solo per loro e la flotta di canoe era
 l’equivalente dei banchettini colmi di frutta, verdura, cibo, tanto cibo.
 Anche l’abbigliamento è cambiato.
Prima, sembrava che questa corporazione si dovesse distinguere dalle altre,
 indossando delle tutine blu, e cappelli di paglia a cono, come copricapo.
 Ora jeans e magliettine targate Gucci o Ravazzolo sono le più ambite. Solo i
 copritesta non sono ancora sponsorizzati o firmati.
Prima era un continuo contrattare fra di loro. Dentro le canoe, vendevano,
 compravano, mangiavano e forse anche defecavano.
 Ora faticano di meno e ricavano molto di più.
 E’ impossibile da credere quanti Bus, pulmini, macchine private, gite
 organizzate, prendano d’assalto questo luogo.
 Ed ai lati dei canali, come la gramigna, sono cresciute botteghe,
 negozietti, bar, taverne di ristoro.
 Quanto manca per creare anche dei bordelli ?
Però è sempre molto bello ed affascinante, e credo sia uno spettacolo unico.
 Ma che mi suscita questa contrarietà, è la finzione con cui viene recitata.
 Ormai è allo stesso livello del lavoro degli elefanti, delle danze
 propiziatorie, dei tuffi dei coccodrilli, delle battaglie fra manguste e
 cobra, dei massaggi rilassanti.
L’uomo bianco è proprio coglione.
 Mentre, con la lunga e veloce lancia, ci portano dal parcheggio dei veicoli,
 all’emporio navigante, lungo un ampio canale, contornato da bicocche su
 palafitte, osservo un dimorante la stamberga che, seduto su un seggiolino
 sulla veranda, scatta delle fotografie, al passaggio di questa moltitudine
 ricca e da spolpare.
 Fate bene !! Bisogna approfittarsene.
Hanno costruito pure dei cessi per i bisognini fisiologici.
 Ho notato, usandone uno, che dentro l’orinatoio per uomini, invece della
 capsula canforata antiodorifica che si usa in Europa, hanno lasciato dei
 cubetti di ghiaccio.
 Bravi ! In questo modo l’urea si mantiene più fresca e non si decompone
 subito.
Non vorrei, però, anche questa volta, essere frainteso.
 Per chi l’ha già visitato alcuni anni fa, quando era ancora “vero”, è
 sconsigliabile, oggi, un’altra ispezione.
 Per chi ci va, per la prima volta, invece, è un luogo folcloristico ed
 affascinante e fa bene a farci l’escursione.
Giapponesi, giapponesine, sono dappertutto e numerosi.
 A saltellini capitano quando meno te li aspetti. Sono come le formiche.
 Ho provato a schiacciarne una decina, ma sono ricomparsi, più numerosi, con
 quei buffi cappellini, le gambe storte, mediamente piccinini, il culo che
 striscia per terra, l’andatura ad ambio, come gli orsi, o a balzelli.
 Una cittina del Sol Levante, bellina, educata, tutta inchini e sorrisi, con
 l’ombrellino colorato sempre aperto, forse anche nel “vespasiano”, è tanto
 piccina che la testa le puzza di piedi.
 Non danno noia, sono educatissimi, sorridono sempre, parlando tra di loro è
 un continuo dondolarsi con gli inchini e spendono con noncuranza i loro
 super “yen”.
 A proposito, in tailandese, “yen, yen” non vuol dire “soldi, soldi”, ma
 significa “fresco, fresco”.
 Me l’ha insegnato Wilai per bere i suoi buoni succhi di frutta.
In Thailandia, ogni giorno sorgono nuove autostrade.
 L’altro giorno, a Rayong, c’era una deviazione per il ripristino di un
 raccordo.
 Il giorno dopo, il raccordo stradale era già percorribile.
 Lavorano anche la domenica con il caldo soffocante e le donne operaie si
 riconoscono dal cappello a cono e il viso fasciato da un fazzoletto di seta.
 Gli uomini, invece, si riparano dalla calura, anche con il passamontagna di
 lana.
 Dicono che sia più fresco, ma faccio fatica a crederci.
Nella terra dei Thai, di fame non si muore mai.
 Verrebbe voglia di dire anche : nei paesi più avanzati, di fame muoiono solo
 gli emarginati, ma qui, che siano belli o brutti, il riso c’è per tutti.
 Mi sono indugiato a considerare quanti chioschi e banchetti per il cibo
 siano sorti in ogni quartiere, ogni strada, ogni vicolo.
 Mi sono chiesto a chi servono, così numerosi.
 Mi hanno spiegato che è “cosa loro”.
 I Thai difficilmente mangiano a casa. Sia di mattina presto, che di mezza
 mattina, a mezzogiorno, per merenda, a cena, prima di coricarsi, a
 mezzanotte, anche quando frullano, i Siamesi mangiano.
Si vedono masticare sempre, con la loro scodella di riso, accanto alla
 pietanza, che può essere pollo, verdure, pesce, anatra od altro.
 E zuppe, zuppe, zuppe.
 Minestre di tutti i tipi, speziate, saporite, piccanti, delicate o sontuose.
 Ma sempre brodi sono.
 Ed il riso riempie lo stomaco, ma le poche calorie fanno venire nuovamente
 fame di lì a poco.
 Ho conosciuto un thailandese che si siede a mangiare almeno cinque volte al
 giorno, ed è magrissimo come una scheggia.
Non come noi, che appena leggiamo la carta del menù, cominciamo già ad
 aumentare di stazza.
 Abbiamo visto due turisti, coniugi australiani, che da quanto trabordano, si
 fa prima a saltarli, che girargli intorno.
Al contrario di ciò che si può pensare, per loro, mangiare, non è un
 dissanguarsi per il costo.
 Un piatto di riso con una pietanza, lo pagano 20 Bath = 1.000 lire.
 Se prendono anche un piatto di pesce, o pollo o affini, allora il conto
 arriva a 50 Bath = 2.500 lire.
 Un impiegato di banca, che riceve un buon stipendio, guadagna l’equivalente
 di 400.000 lire. Un operaio specializzato 250.000 lire. Il salario di un
 poliziotto arriva a 3.500 Bath al mese = 175.000 lire, ma si può
 arrotondare.
 E allora il conto quadra. Non si svenano a sfamarsi.
 E’ chiaro che è difficile permettersi una cena in un grande albergo, ma, in
 genere, loro non ci vanno, ci mandano i bischeri come noi.
Una delle tante contraddizioni che distinguono i tailandesi, è la
 considerazione che hanno per “l’uomo bianco”.
 Che siamo dei rompipalle, lo pensano, ma non lo dicono. Gli facciamo troppo
 comodo.
 Ma chiaramente ci battezzano come sporcaccioni.
 Non nel senso ludibrio della parola, ma proprio in quello igienico.
 Loro non comprendono come si riesca a rimanere “puliti”, solamente con due
 doccie giornaliere. Ne occorrono almeno cinque.
 Il mio amico Italo, che ora è rimasto a grattarsi la pera a Bang Phae, ci ha
 messo tutto l’impegno di cui è capace, per far loro comprendere l’assurdità
 del convincimento.
 Non hanno cambiato opinione, neppure quando “baffino” ha giurato che le mani
 se le lava almeno sette volte al giorno, al contrario di loro, che non se le
 detergono neppure dopo essere stati al cesso od essersi scavate la narici,
 con i sottili ditini.
 Fatte cinque doccie al giorno, secondo loro, uno è esentato da successive
 pulizie, anche se necessarie e incombenti dal punto di vista sanitario.
 Poi, quando insiste nelle sue dimostrazioni, gli altri guardano per aria,
 glissano, fanno finta di non capire, cambiano argomento.
Stasera ci regaleremo un “colpo di vita” a Pat Pong, il quartiere
 temutissimo da mogli e fidanzate.
 Intanto mangio un ananas fresco e subito dopo mi faccio un bel bidet alla
 cavità orale.
 Vuoi mica che il bagnino della piscina vomiti al mio passaggio, dallo sporco
 e dal puzzo che lui crede che io emani ?
Arriviamo a Pat Pong con la metropolitana.
 Le bancarelle sono già operative, ma è ancora troppo presto per i locali
 trasgressivi.
 Le ragazze sciamano ancora per strada, sono ancora insignificanti, sembrano
 le stesse che pochi minuti prima ho incontrato lungo il fiume nel ferry, o
 accanto ai baracchini a mangiare la frutta.
 Alcune si stanno preparando per la lunga ed operosa serata e si truccano
 vistosamente, sedute ai tavoli affacciati sulla strada.
 Stanno cambiando completamente il loro “look”.
 Da anonime, diventano di colpo figure da copertina.
 Non ci si ricorda più cosa ci sia sotto l’intonaco spalmato sul viso o sotto
 i vestitini provocanti.
 Cominciano ad arrivare i taxi pieni di giapponesi vocianti.
 Per loro hanno preparato dei locali appositi. Verranno cullati, imboccati,
 lavati, massaggiati a quattro mani, e per pochi yen vivranno per qualche ora
 nell’anticamera del paradiso terrestre, manipolati ed attorniati da
 ragazzine vestite, o da scolare, o da verginelle pudiche, o da bambine della
 porta accanto.
L’occhio cade su un edificio a tre piani, dove sono istallate un centinaio
 di macchine con “tapee rullant”. Qui, giovani e meno giovani corrono o
 trotterellano o camminano con la gettoniera accanto.
A proposito della strategica organizzazione dei nipponici, ieri, durante il
 tragitto per raggiungere i canali rurali, ci siamo fermati in uno spiazzo,
 già predestinato per i turisti, dove si poteva bere e comprare oggetti di
 artigianato.
 Anche qui le giapponesine erano in assoluta maggioranza, divise a gruppetti
 cappellinati.
 Al termine dello shopping, aspettavano di salire nei Bus, e sul piazzale
 sterrato del parcheggio, fumavano voluttuosamente una sigaretta, pompando a
 ritmo vertiginoso come quando sai che è l’ultima.
 La cenere non la gettavano per terra. Avevano attaccato al collo, con un
 laccetto, un piccolo coso cilindrico con apertura e chiusura automatica.
 Insomma, un piccolo portacenere portatile, e lì hanno deposto i loro
 mozziconi spenti, al termine del rito con il Kalumeth della pace.
 Poi, il ciccaio a pendaglio è stato rimesso in borsetta.
 Se non troverò l’aggeggio, lo sostituirò con una boccetta per lo sciroppo:
 La funzione è la stessa.
Cara gente Thai.
 Imparate dal popolo del Sol Levante.
 Attaccatevi al collo dei sacchi neri ove riporre i “vostri” rifiuti di
 plastica, che abbandonate un po’ dovunque. L’aspetto delle vostre città
 subirà un miglioramento notevole.
7 Marzo 2001 (mercoledì)
Mattinata dedicata ai massaggi al Tempio.
 All’interno del Wat Pho, c’ è una struttura, largamente descritta nel diario
 di un anno fa, dove insegnano l’arte del massaggio tradizionale e dove lo
 mettono in pratica con i visitatori che lo richiedono.
 Quest’anno è aumentato tutto, qui a Bangkok, ed anche il prezzo dei
 massaggi.
 Per un’ora di stiracchiamenti si pagavano 200 Bath =10.000 lire.
 Ora hanno ritoccata la tariffa a 250 Bath = 12.500 lire.
L’ anno passato, mi era toccata la conoscente di Loredi. Oggi, come
 massaggiatrice, mi scelgono un misto fra “Dumbo” e “Busso”.
 Al contrario di Dumbo, però, non ha la proboscide, ma due orecchiette a
 sventola, ragazzi, che tutti l’ambiscono per averla nelle regate, come
 passeggera tattica.
 I forellini del naso assomigliano tanto a quelli della su’ mamma, che mi
 aveva servito un anno fa.
 “Busso” era il soprannome di un nostro amico, che praticava il pugilato
 dilettantistico.
 Le aveva prese tante, che il naso era sulla stessa linea perpendicolare fra
 la fronte ed il mento, così, come ce l’ha la mia vicina.
 La “Michelin” pneumatici la potrebbe usare come “testimonial” per le
 labbrone che si ritrova, ad uso copertoni antineve.
 Però è giovane e un po’ bellina.
 Di sicuro è simpatica, come tutte le ragazzine che non sono propriamente
 delle “vamp”.
All’ora di pranzo, mi ricordo che in una guida del 1992 consigliavano un
 ristorante fuori mano, lontano dai percorsi abituali.
 Diceva il manuale, che, in questo grande locale, sulla sponda est del Chao
 Phraya, ma molto a nord, si poteva pranzare a buffet, con specialità Thai e
 giapponesi, quanto si voleva, al prezzo fisso di 90 Bath = 4.500 lire.
 Vogliamo verificare, anche se sono trascorsi nove anni, tanti, e magari i
 prezzi sono lievitati, o forse la trattoria è sparita.
 Faccio da navigatore al pilota di un “taxi meter” che non conosce il
 ristorante, non sa dov’è la via, non legge la cartina in inglese che ho
 davanti, non parla una parola né di italiano o di qualche lingua europea. Sa
 solo il Thai ed inventiamo una bella cooperazione.
 Riesco a gesti a pilotarlo fino a destinazione, aiutandomi con la mappa
 della città, ed effettivamente c’è ancora.
 Funziona come descritto, non sono disponibili cibi e pesci pregiati, come
 cercati e ingoiati sino ad ora, ma c’è tanta roba ed anche molto gustosa.
 Dove starà la fregatura ? mi chiedo mentre attendo il conto finale. Convengo
 che proprio qui stia l’inghippo temuto.
 E invece no!!
 Il pasto lo conteggiano 90 Bath = 4.500 lire, compreso il caffè.
 La birra grande 100 Bath = 5.000 lire.
 Una bottiglietta di acqua minerale 20 Bath = 1.000 lire.
 Lo consiglio. Il suo nome è :
 BAAN KHUN LUANG
 E l’indirizzo : KAO ROAD 131/4 proprio accanto alla riva est del ponte
 Krung Thon Bridge.
 Questa zona di Bangkok è sconosciuta alla maggioranza dei turisti, ma mi
 dicono che è piena di locali convenienti e raccomandabili.
 Dall’altra parte del ponte c’è infatti il ristorante del nostro amico Winai.
Ritorniamo al Menam a metà pomeriggio e facendo a piedi il breve percorso
 tra l’attracco del “ferry”e l’albergo, cerco dove gettare la mezza
 sigaretta, rimastami in mano.
 La potrei buttare nel mezzo di mucchi di rifiuti ai lati della strada, ma
 per non incrementare le piramidi di sporcizia, preferisco farla incanalare
 in un tombino grigliato della fognatura.
E così ho nuovamente incrementato le deboli casse comunali di Bangkok.
 Non passano due minuti, che mi raggiunge un poliziotto.
 Mi contesta l’infrazione e mi intima di pagare la multa. Sono 500 Bath =
 25.000.
 Non serve a nulla spiegare, anche ad altri due suoi colleghi, che era il
 luogo più adatto per disfarsi della cicca senza imbrattare la strada, come
 abitualmente i loro compaesani fanno con le bucce della frutta, verdura e
 sacchetti di plastica.
 Il corpo del reato l’ho gettato in un altro luogo che non si chiama
 portacenere ?
 OK, allora devo pagare !!
Al termine del verbale, durante la compilazione del quale, parlo con un
 poliziotto che intende un po’ di inglese e gli faccio delle osservazioni
 umoristiche, ma sempre molto leggere e serene, ci stringiamo anche le mani,
 nel salutarci.
 Ed è stato meglio buttarla sul ridere, perché, e questo è un consiglio
 importante, se ti irrigidisci e vuoi discutere animatamente all’occidentale,
 con lo stridore delle due lingue diverse e con la diversità dei sistemi di
 comportamento, ci pensano poco a portarti al loro Comando per chiarire la
 tua posizione.
 Magari la chiariscono l’indomani, con tante scuse.
 Capiranno anche che in realtà volevi preservare il paese dal degrado
 ambientale, ma nel frattempo hai trascorso una nottata ospite della
 municipalità di Bangkok, perché il funzionario era occupato, prima.
 E questo è da sconsigliare !!
L’anno passato erano 300 Bath = 15.000 lire.
 Quest’anno, con l’inflazione e la caduta libera della Borsa, nonché con il
 rafforzamento del dollaro, la multa è stata più elevata.
 Dopo aver salvato il dissesto finanziario del fondo per la preservazione
 dell’ambiente, ci allontaniamo, non senza aver incenerito Gianna con
 un’occhiataccia eloquente, con la quale le proibisco, categoricamente, di
 sblaterare dei commenti evidenti.
Non sono un puntiglioso piantagrane, però questa sanzione è immeritata.
 E’ un’altra delle tante contraddizioni dei thailandesi.
 Ma questi episodi, al contrario, mi possono suscitare solo il desiderio di
 augurare, durante il versamento dell’obolo, “tutto in medicine”, ma non mi
 fanno mutare opinione sulla gente del posto e sul Paese.
 Rimango sempre un profondo ammiratore del luogo e dei suoi abitanti.
 Del resto, la durezza della Polizia, in Thailandia, è proverbiale, ma a
 parziale giustificazione di alcuni metodi discutibili, l’altra faccia della
 medaglia ti dice che rischia meno una donna sola nel pieno della notte, a
 passeggio in qualche quartiere decentrato e semi deserto, che a mezzogiorno
 in piazza Duomo a Milano.
 Sono autorizzato a pontificare che “ogni rovescio ha la sua medaglia”.
Ora guardo con più profondo rispetto alle abitudini delle giapponesine con
 il tubetto al collo.
 Quanto multe avranno preso, prima di inventare i loro portacenere da collare
 ?
Mi rammento che a Rayong, quando mi contestavano la giusta sanzione per
 l’inversione proibita, ho chiesto al gendarme dove gettare la cicca, e
 costui mi ha indicato per terra, sulla strada.
 Allora, sarete anche bravi, gentili, carini, ospitali, protettivi, ma anche,
 talvolta, dei grandissimi pezzi di merda.
Cena a base di riso e pesce (che altro? direbbe Italo) in uno dei tanti
 ristorantini sulla strada. E’ a conduzione familiare e fra i tavolini
 giocano due cittini piccoli, figli del gestore, che ha la sua abitazione nel
 retrobottega, divisa dalla sala dove si mangia con una tenda, e con la
 televisione sempre accesa ad alto livello.
A proposito, lo sapevate che le telenovele thailandesi riescono ancora a
 inebetire, meravigliare, incuriosire, emozionare gli ascoltatori ? E lo
 sapevate che gli spettatori non sono, come da noi, dagli ottanta in su, ma
 sono degli ottantenni in giù, fino ai cinque anni ? Cioè tutti. Guardano e
 ascoltano a bocca aperta mentre si infilano in bocca le bacchette ripiene di
 riso o di spaghettini cinesi e spesso sbagliano buco per l’appannamento dei
 loro occhi commossi.
Ci gironzola intorno anche un piccolo cagnetto barboncino, che sembra fatto
 di peluche e guaisce ogni volta che mi muovo a guardarlo.
 Spesso mi si intrufola fra i piedi e sobbalzo dalla sorpresa di sentire un
 corpo estraneo.
 Anche Gianna è infastidita e d’un tratto prendo una specie di biscottino da
 sopra il tavolo e lo offro, chinandomi e sorridendo, al cagnolino, che lieto
 e festante, mi si avvicina con andatura grata e devota.
 Gianna, rabbuiata, mi brontola: ma con tutta la rompitura di coglioni che ci
 ha dato, gli vai anche ad offrire da mangiare ?
 No, rispondo, mi serve per vedere dove ha la bocca, così sò dove tirargli
 una scarpata nel culo.
Vicino all’Hotel Menam, ci sono diverse botteghe da sarto.
 Gianna entra in una di queste, e l’Indiano (non pellerossa, Indiano
 dell’India) le fa scegliere prima le sete e poi, da una rivista di moda, il
 modello preferito.
 In pochi minuti le prende le misure, concordano il prezzo e si danno
 appuntamento per l’indomani, per la prova.
 Il vestito sarà pronto in 24 ore.
8 Marzo 2001 (giovedì)
Altre incongruenze dei Thailandesi.
 Anche se Bangkok si è urbanizzata, quasi a livello di Singapore, è sempre in
 grado di sorprendere il viaggiatore.
 La fiorente economia ha creato numerosi centri commerciali con aria
 condizionata e ha dato vita a molti altri segni di civiltà.
 Ma la città è ben lontana dall’essere resa più docile dalle idee
 internazionali e dalla tecnologia, come quando duecento anni fa è stata
 fondata.
 Sotto la modernità apparente, si trova sempre l’irriducibile anima
 thailandese.
 Grattacieli in vetro e acciaio si elevano a fianco di guglie scintillanti
 dei Templi. 
 Ghirlande di gelsomini dondolano dai lunotti anteriori dei taxi e dei Bus.
 Monaci con la testa rasata e vestiti con teli arancioni camminano per le
 strade, accanto a moltitudini di schermi televisivi che iniettano immagini
 sincronizzate degli ultimi balli alla moda.
 A proposito, ho visto un monaco anziano camminare a fianco di uno giovane,
 un novizio.
 L’anziano era molto arrabbiato, lo faceva capire dai gesti e dallo sguardo.
 Diceva al giovane seminarista: Quanto volte te lo devo dire, che mi devi
 chiamare “padre” e non “babbo” ?
Più del dieci per cento della popolazione vive nella capitale ed ogni giorno
 pulmann stracarichi arrivano dalla provincia e portano persone che vengono a
 Bangkok a cercare fortuna.
 Ma la cosa che più sorprende, è che la città continua a funzionare bene.
 I trasporti saranno anche un po’ lenti, ma sono numerosi.
 Alle due del mattino, basta fare un cenno con la mano, ed immediatamente si
 materializzerà un taxi.
 Si può mangiare un piatto di riso o di tagliatelle, conditi con pietanze
 gustose, da un venditore sulla strada, mentre ci troviamo accanto ad un
 albergo di lusso da 200 dollari a notte.
 A differenza di molte altre città, nonostante la modernità, a Bangkok, più
 ci si ferma, e più ci appare “esotica”.
Oggi la giornata è piena di sole e nella “pool” i giapponesi hanno passato
 la mano ai francesi, che schiamazzano e starnazzano come branchi di oche.
 Ci sono parecchi giovani, e dalle faccie, alcuni devono essere anche un pò
 cannati.
 Il casino che fanno lo trasferiscono, poi, dalla piscina alle stanze.
Nel pomeriggio procediamo verso il “Siam Center” ove rivisitiamo i mercatini
 di “Pratunam”, dove c’è tutto quello che si trova a Pat Pong, compresi gli
 orologi bellissimi, ma falsi e che costano una miseria.
 In precedenza ci siamo sderenati con una lunga passeggiata allo “Zen”, uno
 dei più grandi, forniti e famosi centri commerciali di Bangkok.
 Questa zona della città è il cuore buono della gente “in” di Bangkok.
 Nella piazza pulitissima, davanti al Centro, si stanno tenendo dei concerti
 di musica Rock e frotte di giovani passeggiano o sostano nelle vicinanze.
Sono riuscito a trovare il surrogato del portacenere tascabile.
 Faccio fare da portacenere ai poliziotti che incontro.
 Ogni volta che finisco di fumare, mi avvicino al militare più prossimo e gli
 faccio intendere di voler gettare la sigaretta.
 Faccio cenno e chiedo dove poterla buttare ed alcuni, imbarazzati, girando
 lo sguardo e non vedendo nulla allo scopo, porgono la mano e la prendono
 loro.
 Gianna è riuscita anche a rifilargli due cartaccie, aggiunte al mozzicone.
 Poi cosa ne facciano, non lo so. Magari vanno alla ricerca del primo tombino
 nelle vicinanze.
 Che stronzi, quell’altri, se ci ripenso.
Vicino ai mercatini di Pratunam vi sono tanti grandi ristoranti modello
 europeo, pieni di cassette colme di pesce in bella mostra.
 Sono dei piccoli “See Food Market” e l’ingresso ai tavoli è allettante.
 Vogliamo però cenare in un locale dove ci eravamo trovati benissimo
 l’altranno.
 Ci andiamo. Si chiama “INTER”, me lo ricordavo dalla pena che faceva un anno
 fa, e di più ancora adesso.
 Abbiamo la conferma che merita una citazione. Si trova nella zona del “Siam
 Centre”.
 Dei medi-ristoranti è il migliore in rapporto a qualità/gentilezza/prezzo.
Dopo aver girovagato fino quasi a crollare, torniamo a buio verso casa, sono
 quasi le dieci di sera e la sartoria indiana è ancora aperta, il vestito già
 pronto ed anche impacchettato per essere portato via. Che tempismo !!
9 Marzo 2001 (venerdì)
Ci avviciniamo prestino al Memorial Bridge, nelle vicinanze del quale c’è un
 grande mercato di fiori freschi.
 Ci facciamo riempire due “box”, scatoloni zeppi di orchidee, spendendo in
 tutto 12.500 lire.
Lungo i viali che dal “Wat Saket”, sulla collina d’oro (da visitare per lo
 stupendo panorama sulla città) portano al monumento della Democrazia, le
 orchidee fanno da cespugli intorno agli alberi. E’ appena terminato di
 imperversare un grosso temporalone, con l’acqua fitta e grossa come le funi.
 E’ servito a mitigare la calura, ma l’umidità è sempre più alta e si
 continua a sudare.
Ulteriore lauto pranzo dal nostro amico Winai, che ci tratta sempre meglio.
Fra un “ceneriotto” (poliziotto portacenere) e l’altro, ritorniamo in
 piscina per le ultime nuotate.
Ripassando nei pressi di alcune sale di massaggi “particolari”, ripenso
 ancora e nuovamente ad altre incongruenze e contraddizioni della mentalità
 thailandese.
 Tempo fa, una signora di Como, dopo aver letto la mia cronaca dell’anno
 passato, mi aveva scritto :”Ma dai, signor Mario, si aggiorni, non esiste
 più la prostituzione in Thailandia, così come favoleggiano gli occidentali
 !!”
 La posso ancora smentire.
In Thailandia, la prostituzione è proibita dalle Autorità, come gettare le
 cicche nei tombini delle fogne.
 Però viene tollerata, per una relazione di stretta economia.
 I mozziconi, non portando benessere, si debbono invece tassare, così
 l’economia si adegua.
In Thailandia, il sesso a pagamento si è trasformato a livello industriale.
 Forse è l’attrazione maggiore per un turismo che si espande sempre più.
 Sembra che gli introiti del turismo provvedano al 25 % del prodotto
 nazionale lordo (sono dati ufficiali).
 Molto di più che non le spiagge ed i monumenti, il sesso organizzato attira
 visitatori da tutto il mondo ed aiuta la nazione ad incamerare valuta
 pregiata.
 Questa industria prospera grazie alla qualità dei servizi e all’enorme
 domanda che fa scavalcare gli indugi della morale.
 Migliaia di giovani ragazze vengono reclutate nei villaggi rurali, anche con
 inganni, ma il più delle volte con il consenso dei genitori, nel nome del
 denaro che guadagneranno.
 Non voglio e non sono in grado di approfondire l’argomento, ma vorrei
 perlomeno sfiorarlo. Ciascuno se ne può fare l’idea che crede.
Le giovani ragazze sono spinte dal miraggio dell’emancipazione, sia pur
 ottenuta con la svendita del proprio corpo.
 Parlando con la gente thailandese, la traduzione del loro pensiero è che
 fare l’amore non è peggiore che lavorare sotto il sole per pochi Bath, e
 viene pagato assai meglio.
 L’ambizione di queste giovani è divertirsi, lasciare la noia del villaggio,
 nonostante che la tradizione continui ancora ad avere un grande valore.
C’è il miraggio dei bei vestiti, della disponibilità di denaro, le comodità
 del modello corrente.
 La prostituzione, però, in Thailandia, non esiste fuori dai circuiti
 turistici, almeno così mi appare, ma posso anche essere smentito.
 E’ qui che viene approfondita questa industria e la ragione di questo
 atteggiamento risiede nel costume della società Thai.
 La mercificazione, che dilaga, non viene osteggiata.
 Anche se, teoricamente, i più non approvano, in realtà tutto appare
 accettabile e normale.
Non si può, quindi, dare tutta la colpa agli stranieri (Farang), che calano
 a frotte con i loro quattrini, portando alle stelle la domanda.
 I thailandesi si adeguano ed il sesso non solo viene sempre più venduto, ma
 anche sempre più reclamizzato alla luce del sole, e questa mia
 considerazione non può essere smentita.
 Di contro, non si possono considerare maiale, nella nostra valutazione,
 tutte le thailandesi.
 Nello stesso modo, un norvegese che di sera passeggia alle Cascine, non
 potrà asserire che in Italia le donne sono tutte battone o che a Firenze
 siano tutti “buchi” (pederasti alla fiorentina).
 E’ vero, ce ne sono tanti, ma non tutti.
 Però ora che ci ripenso, ce ne sono proprio tanti !!!
Mi diceva ed asseriva una mia carissima amica cosciale, che il genere umano
 è un Computer e come tale si comporta in base a come viene programmato.
 Se le tribù dell’Amazzonia sono state programmate a non avere vergogna delle
 loro nudità, non credete che si meraviglino, se facciamo loro notare che il
 topless è meglio che lo indossino sulla Costa Azzurra, o che la “Bernarda” è
 meglio la nascondino con la foglia di fico ?
 Se gli Esquimesi sono stati abituati a defecare dentro l’igloo, senza
 paretine di ghiaccio che li nascondino, ed accanto all’ospite che in quel
 momento stà gustandosi un bel salmone alla mugnaia, come si fa a convincerlo
 di andare fuori a buco ritto con sessanta gradi sotto zero ?
Per i giapponesi, poi, è una vera manna.
 In Giappone ci sono gli “incentive tour”.
 Il viaggio nel Siam è il premio che numerose aziende offrono per la
 produttività dei dipendenti.
 E qui si sfogano, stì sfigati.
 Diranno a Natale : lavorerò come un giapponese, ma poi a Pasqua..e si
 fasciano i lombi perché non scoppino prima.
Poi c’è lo sfruttamento sessuale dei bambini.
 Un’altra signora, di Ancona questa volta, mi scriveva che, con tutti i
 controlli che Istituzioni Mondiali eseguono, contro la pedofilia, questa stà
 limitando enormemente la sua portata.
Altro argomento da prendere con le molle !!
 Ma siete sicuri che tutti siano inorriditi da questa pratica che si propaga
 a macchia d’olio ?
 Non credete che sia lo stesso discorso della prostituzione ?
In Thailandia la pedofilia è un fenomeno ancora diffusissimo.
 Gli assistenti sociali sostengono che si tratti di veri e propri racket,
 contro i quali il mondo intero stà costituendo un coordinamento
 internazionale di controllo e denunzia.
 Ma fatemi il piacere !!
 Non venite a rompermi i coglioni con la serietà di queste intenzioni !!
 Ma credete davvero che ci sia una volontà seria di stroncare queste pratiche
 antiche almeno quanto l’epoca dell’antica Roma, da parte di quei paesi dove
 più è concentrata questa attività lucrosa ?
Il mio amico Italone, (che sicuramente ora, senza di me, si stà già rompendo
 i marroni), con la su’ moglie Wilai, thailandese purosangue, da una decina
 d’anni vive a stretto contatto con le incoerenze del popolo thai.
 Mi raccontava che non ha motivo di dubitare di un episodio riferito da un
 suo amico australiano.
Costui, raccontava, stava passeggiando nel centro di Pattaya, quando è stato
 avvicinato da un bambinetto di una dozzina d’anni, con l’offerta di
 prestazioni sessuali particolari , in cambio di pochi Bath.
 All’insistenza del cittino, che non si capacitava dell’immediato rifiuto,
 l’amico di Italo ha creduto doveroso ed utile rivolgersi a due poliziotti,
 che si trovavano lì vicino.
 Costoro, stupiti dall’evento denunziato, hanno congedato il ragazzino
 regalandogli venti Bath, ed hanno portato l’australiano al loro comando di
 polizia.
 Qui, il poveretto, dopo essere stato strizzato, verificato e passato ai
 raggi ics, è stato trattenuto tutta la notte per accertamenti.
 La mattina seguente, dopo altri interrogatori da parte di altre Autorità, è
 stato infine rilasciato, ma con l’ammonimento, solo verbale, di non
 ritornare più in Thailandia a creare loro altri problemi.
 Meglio sorvolare !!
Mi racconta ancora il mì “Baffino” Italo, che, in effetti, da un certo punto
 di vista, la signora di Como ha ragione.
 E mi fornisce la sua versione, frutto di sue esperienze, sugli usi e costumi
 del favoloso Siam, riguardo a ciò che noi consideriamo una mercificazione
 del proprio corpo.
 Ne è uscito fuori un trattato, che da un certo punto di vista divide
 notevolmente le idee incarnate nelle teste dei vari abitanti le diverse
 latitudini.
La prostituzione in Thailandia non esiste, per lo meno non nel senso che
 intendiamo noi, osserva “Baffino”.
 Nella cultura europea, si intende comunemente per “prostituzione” la
 concessione di prestazioni sessuali in cambio di benefici materiali,
 solitamente, ma non necessariamente sotto forma di denaro.
Una sua ex collega, tanti anni fa, in una megalattica e multinazionale
 azienda telefonica, in Italia, usava pagare il dentista “in natura” e questa
 forma di pagamento la faceva rientrare, nel giudizio del microcosmo
 aziendale, nella categoria “prostitute”.
Nell’inconscio collettivo europeo, la prostituzione può variare entro una
 gamma che ha, ad un estremo, le battone da strada, ed all’altro, le
 signorine di buona famiglia, che sposano un vecchio bavoso, solo perché è
 ricco.
 Nel mezzo ai due estremi, vi sono tutte le varie “hostess, accompagnatrici,
 massaggiatrici, mantenute, etc. etc.”, insomma tutte coloro che vanno a
 letto con qualcuno, per una motivazione diversa da “un’attrazione spontanea
 e disinteressata”.
 A sottolineare questo fatto, nel matrimonio tradizionale europeo, fino a non
 molto tempo fa, esisteva la famosa “dote”, cioè un insieme di beni (denaro,
 lenzuola, supellettili varie) che rappresentando un contributo tangibile
 alla costruzione del benessere della nuova famiglia, precisavano che
 l’unione non era motivata da “interesse”.
 Qui in Thailandia, continua il “Baffin-pensiero”, la cosa funziona
 esattamente al contrario.
Il matrimonio tradizionale thailandese, anche oggi, prevede che la sposa
 venga “comprata” dal marito, il quale versa al suocero od a chi ha diritto,
 un compenso in denaro il cui ammontare viene pattuito in precedenza.
Forse una volta si pagava in bufali, oche, maiali, terra, ma oggi, prosegue
 il mio amico italo-thailandese, posso testimoniare che si tratta di vil
 denaro, come è capitato un paio d’anni fa, di assistere casualmente ad una
 di queste “contrattazioni prematrimoniali”, al termine della quale, è stata
 pagata in contanti la non trascurabile cifra di trentamila Bath (unmilione e
 mezzo di lire italiane).
 La coreografia era tipicamente Thai.
Tutti seduti in cerchio per terra, con al centro bottiglie di birra,
 Stravecchio Mekong, Soda, Pepsi e stuzzichini alimentari superpiccanti per
 stimolare la sete.
 Oltre a portaceneri stracolmi, musica tradizionale, bambini vocianti e
 casino generale,, erano presenti lo sposo, la sposa, i genitori di lei, il
 secondo marito della madre della sposa, uno stuolo di figli, di primo e
 secondo letto, nipoti, cognati, cugini e amici.
 L’atmosfera era festosa e normale, niente di bieco o di sordido, solo un po’
 di sovreccitazione alcoolica.
 Nessuno, e tanto meno la sposa, appariva turbato o imbarazzato.
Le ragioni storiche della faccenda rientrano nel contesto che l’aspirante
 marito era tenuto a dimostrare, alla famiglia della sposa, che era in grado
 di garantirle un tenore di vita paragonabile a quello a cui era abituata, se
 non meglio.
 Qualcosa di simile avveniva tra gli Indiani d’America.
 Lo sposo comprava la moglie pagandola in cavalli per dimostrare che era un
 buon cacciatore ed un buon guerriero e che quindi con lui la ragazza non
 avrebbe patito la fame. Più cavalli venivano pagati, e più la sposa e la sua
 famiglia si sentivano onorati e fortunati.
A questo punto il quadro, già parecchio complicato, continua a raccontare
 Baffino, peggiora, per il livello delle idee europee.
 Ciò che per noi “civili” è condizione necessaria per attribuire ad una donna
 l’appellativo di “prostituta”, e cioè il fatto di vendere i propri favori,
 qui in Thailandia è addirittura istituzionalizzato nel matrimonio.
 Si potrebbe obiettare che la prostituzione vera e propria è un’altra cosa.
 Se si tratta di matrimonio è un rituale con radici storiche etc., ma anche
 qui, la logica occidentale non funziona.
 Per quanto possa sembrare strano, il confine tra un matrimonio ufficiale e
 qualsiasi altro tipo di unione, è molto, ma molto sfumato.
Prosegue il mio amico Italo:
 Da queste parti, viene considerato “matrimonio” qualsiasi tipo di convivenza
 che preveda rapporti sessuali, specialmente se nascono dei figli.
 Moltissime coppie, anche anziane ed anche conviventi da decenni e fornite di
 figli e nipoti, non sono ufficialmente sposate.
 Dal punto di vista dell’accettazione sociale della convivenza, non frega
 niente a nessuno, e neanche al Governo, neppure del matrimonio religioso.
 I due conviventi non sono tacciati come concubini o peccatori pubblici, e
 tutti li considerano sposati.
 Pochi si prendono il disturbo di ufficializzare la cosa in comune, anche
 perché il non farlo non comporta praticamente alcun svantaggio, nemmeno a
 livello di registrazione dei figli, i quali possono essere legittimamente
 riconosciuti da chiunque, sposato o celibe, e perfino da persone che non
 sono i loro genitori naturali.
 Nessuno fa domande in proposito, basta che qualcuno firmi.
 Da sottolineare che in tutti questi casi (semplice convivenza, matrimonio
 religioso, civile o entrambi i matrimoni), l’unico punto fermo, rimane il
 fatto che la donna “deve” essere pagata, indipendentemente con il tipo di
 formalità che la coppia intende espletare.
 Sempre e comunque “la passera si paga”, e questo è un concetto fondamentale
 e molto radicato.
Ci sono due eccezioni a questo comportamento: i rapporti extraconiugali e
 quelli prematrimoniali.
I primi (è sempre Baffino che ci illumina), vengono gestiti più o meno come
 nella Sicilia d’anteguerra, nel senso che i casi sono notevolmente e
 diversamente gestiti, se chi “mangia fuori dal piatto” è l’uomo o la donna.
 Se è la donna, il compagno può scegliere fra diverse opzioni.
 Fingere di ignorare (succede spesso), troncare il rapporto (poco frequente e
 sintomo di modernità), oppure adottare un comportamento stile “Corleone” (in
 tal caso ci scappa il morto, a volte due).
 Se è il maschietto a correre la cavallina, le opzioni teoriche sono più o
 meno le stesse, ma quella più praticata è quella di fingere di ignorare, ma
 in questo caso, con molta comprensione per le “esigenze maschili” e con una
 punta di orgoglio per le qualità virili del partner.
Motivo di riflessione molto più attenta, sono invece i rapporti
 prematrimoniali, tra adolescenti, di età compresa fra i quindici ed i
 vent’anni.
 Da un certo punto di vista, sono gli unici motivati dalla semplice
 attrazione fisica.
 Si verificano tra compagni di scuola o di lavoro, o semplicemente tra
 coetanei dello stesso villaggio o di villaggi vicini.
 Fin qui niente di strano, ma le stranezze iniziano quando questi rapporti
 vengono calati nella realtà thailandese, con particolare riferimento ad
 alcuni elementi culturali.
Uno di questi elementi è la totale ed incredibile ignoranza della fisiologia
 della procreazione e quindi di qualsiasi pratica anticoncezionale.
 Quando si dice “ignoranza”, non si rende appieno l’idea.
 Infatti i thailandesi non si limitano a disconoscere le pratiche
 anticoncezionali, ma quando glie le spieghi, non ci credono.
 Ti guardano con il loro sorriso ebete (è sempre Baffino che illustra),
 biascicando qualche parola incomprensibile.
 L’unico suono che si comprende nei loro farfugliamenti è la parola “FARANG”,
 straniero, ed il senso generale è molto chiaro.
 “Questi cazzi di Farang hanno sempre qualche stronzata da venderci. Ora
 vorrebbero anche insegnarci come nascono i bambini”.
Il risultato pratico di tutto ciò, è che moltissimi, se non la maggior parte
 di questi rapporti tra adolescenti, lasciano una conseguenza ben visibile a
 forma di pupo o pupa, quegli esseri che fanno “ueee, ueee”, bevono latte e
 si cacano addosso, oltre a prendere il morbillo, la pertosse, la varicella e
 la rosolia.
 I genitori di questi adolescenti si guardano bene dall’ insegnare ai loro
 figli il sistema di evitare questi coinvolgimenti.
 Se ne sbattono le palle, che è un piacere.
 Mettono già nel conto, che succederà anche a loro visto che succede a tanti
 e la cosa viene vista come un normale inconveniente della maturazione di una
 persona, e poco importa se questo “inconveniente” sia a sua volta una
 persona.
In genere, questo rapporto prematrimoniale viene riciclato in un matrimonio
 vero, il che non significa che debba essere celebrato un rito religioso o
 civile.
 Basta che lo sposo-bambino vada a vivere con la sposa-bambina, di solito a
 casa dei genitori di lei, e faccia il bravo ragazzo, cioè cercare un lavoro,
 dare una mano in casa ed altro.
 Resta basilare il fatto che la famiglia del neo-padre versi il solito obolo
 a quella della neo-madre, dopodiché tutti vivono felici e contenti.
Questo però è un caso ideale e non frequentissimo.
 Normalmente “lui” si defila ed il bambino rimane sul gobbo della ragazza (e
 soprattutto sul gobbone della nonna), e può anche verificarsi che la
 situazione rimanga invariata per tutta la vita.
Sono abbastanza frequenti i casi in cui madre e figlia abbiano subìto lo
 stesso “inconveniente” per cui ci sono famiglie costituite da tre donne, di
 tre generazioni diverse,e non perché tutti gli uomini siano prematuramente
 defunti, ma perché non sono mai stati presenti, se non al momento
 dell’orgasmo.
E’ su questo tipo di situazioni, che si inserisce il matrimonio thailandese
 “normale”, cioè quello di interesse, continua “Baffino”.
 Un uomo di mezz’età, benestante, comincia a frequentare la famiglia in cui
 c’è un pargoletto di troppo, e manifesta la propria disponibilità ad
 accollarsi morbillo, pertosse, pannolini, scuola ecc., in cambio di un po’
 di passera e di qualcuno che gli prepari il “Tom Yam Kung”.
 Pagando, s’intende, pagando.
Ricapitolando fino a questo punto: il matrimonio quasi non esiste, la
 maggior parte delle persone si sono sposate in qualche modo due o tre volte
 ed hanno figli da diversi partner.
 Infine quando due si mettono insieme, non necessariamente il rapporto viene
 impostato come definitivo, nemmeno a livello di intenzioni.
 Può essere benissimo una soluzione temporanea, magari di qualche anno, con
 lo scopo di superare un passaggio difficile della vita (per uno dei due) e
 di avere un po’ di sesso e qualche comodità (per l’altro).
 Ecco quindi che, se da una parte il matrimonio stesso tende a sconfinare
 verso una qualche forma di prostituzione, dall’altra, vogliamo vedere come
 accade il contrario?
 Come cioè la prostituzione tende ad avvicinarsi ad un rapporto socialmente
 omologato?
Dice sempre “Baffino” :
 E’ come quando si fora una galleria e c’è una squadra che scava da una parte
 ed un’altra che scava dalla parte opposta.
 Si vengono incontro e, se l’ingegnere ha fatto i calcoli giusti, prima o poi
 fanno cadere l’ultima parete di roccia che li divide e stappano la bottiglia
 di champagne.
 Solo che, quando la parete che cade è quella che divide la prostituzione da
 un qualsiasi rapporto di coppia, il povero occidentale non ci capisce più un
 cazzo e comincia ad avere delle crisi di sconforto intellettuale.
 Dunque, cominciamo col dire che non è vero che la prostituzione non esiste
 al di fuori dei circuiti turistici (e così il mio amico inizia a smentire le
 mie affermazioni di poc’anzi).
 Le “sale di massaggi” sono sempre state una tradizione in Thailandia, e
 molto prima dell’arrivo degli occidentali.
 Il concetto è analogo a quello dei luoghi ove le “geishe” giapponesi
 celebravano la “cerimonia del tè” (e non solo quella) per i Samurai provati
 da una lunga giornata di viaggi e di battaglie.
 Effettivamente una volta non esisteva la distinzione tra le massaggiatrici
 “vere” (cioè quelle che sanno fare i massaggi e che spesso non brillano per
 sex-appeal) e quelle “con la vestaglietta numerata” (che magari come
 fisioterapiste lasciano un po’ a desiderare, ma sono state molto più
 generosamente dotate da Madre Natura).
 Come le geishe ti preparavano il tè, queste ti stiravano i muscoli e se poi,
 nell’uno o nell’altro caso, da cosa nasceva cosa……………questa non
 era però scontata.
 E quando avveniva, non era detto che tutto si esaurisse nel giro di un’ora o
 di una notte. Poteva benissimo, visto che la professione della fanciulla non
 era considerata disonorevole, nascere un rapporto di una settimana, un mese,
 un anno o una vita.
Ora effettivamente in Thailandia esistono tre “punti caldi”, uno dei quali è
 quel quartiere di Bangkok che si chiama Pat Pong.
 Un altro è costituito da tutta la citta di Pattaya ed infine c’è una
 spiaggia di Pukhet, che si chiama Patong Beach, che sarebbe molto bella dal
 punto di vista paesaggistico.
 Peccato che sia stata trasformata in un bordello a cielo aperto.
E continua “Baffino”:
 In questi punti caldi è diffuso il sesso usa e getta alla maniera
 occidentale, che in questa piccola trattazione vorrei lasciare per ultimo,
 sia perché è l’ultimo arrivato in senso cronologico, sia perché è il meno
 importante come impatto sulla cultura locale.
 Quello che invece è importantissimo è il rendersi conto che tutta la
 Thailandia, al di là della prostituzione in senso stretto, è una immenso
 serbatoio di fidanzate più o meno temporanee o più o meno durature, molte
 delle quali sono delle potenziali mogli (mentre altre assomigliano di più
 alle nostre prostitute in quanto tendono a pilotare il rapporto verso la
 brevità).
 Comunque, mai meno di qualche ora.
 “Una botta e via” è un concetto quasi sconosciuto, a parte i famosi punti
 caldi, ma quelli sono anche molto recenti.
 C’è sempre di mezzo il drink, la cena ed eventualmente la discoteca.
 Insomma per un certo tipo di europei è il paradiso, perché vanno a puttane
 potendosi permettere di far finta che non è vero, che hanno”rimorchiato”
 grazie al loro fascino e, perché no, anche ai loro soldi.
 In fondo che differenza c’è con uno che “cucca” facilmente a Viareggio o a
 Taormina perché va in giro in Ferrari, dorme in un cinque stelle e offre
 champagne tutte le sere? Anche lui in un certo senso “paga”, l’unica
 differenza è che qui non c’è bisogno della Ferrari, busta un pickup a
 noleggio, e se invece dello champagne si offre Mekong va bene lo stesso
 (solo che costa molto meno).
Questo dal punto di vista del farang.
 E da quello della ragazza?
 Si considera una prostituta?
 E’ considerata tale dagli altri?
 Non più di tanto (mentre lo sarebbe sicuramente se indossasse un bikini in
 spiaggia).
Dal suo punto di vista (bisogna tener conto che la quasi totalità di queste
 fanciulle hanno una di quelle cose che fanno “ueee ueee”e che si sono
 ritrovate come conseguenza dei giochi di gioventù) lei non fa altro che
 cercare un rapporto più o meno temporaneo o più o meno duraturo (un giorno,
 una settimana, un anno o una vita) che la aiuti a vivere, il che rientra
 perfettamente nelle tradizioni.
 Probabilmente la sua mamma al villaggio la sta aiutando a suo modo nella
 ricerca, e se le capita di conoscere qualche “zio” benestante e in buona
 salute, con una bella casa e venti “rai” di terra, magari le telefona e
 quella molla il bar, salta sul primo autobus e se ne torna al paesello a
 conoscere il marito che le ha procurato mammà.
Certo che se prima lei trova un farang al bar non c’è niente di male, anche
 perché, si sa, i farang sono tutti ricchi (e questa non glie la togli dalla
 testa neanche se li ammazzi, come il fatto che siamo sporcaccioni).
Insomma lei ci prova, e quasi tutte sono disposte a prendere in
 considerazione l’idea di un rapporto duraturo che magari permetta loro un
 trasferimento in occidente, con eventuale possibilità di far studiare il
 bebè in Europa o in America.
E i punti caldi?
 Quelli si liquidano con poche parole.
 Sono nati all’epoca della guerra del Vietnam come retrovie, dove i marines,
 ricalcando le orme dei samurai, venivano ogni tanto a ritemprarsi dalla
 fatiche belliche.
 C’è stato, come al solito, lo zampino dello Zio Sam.
 Finita la guerra, ormai le strutture c’erano e sono state date in pasto agli
 assatanati di tutto il mondo, come tutti sanno (tranne la signora di Como).
Vorrei concludere, continua “Baffino”, completando un punto che ho lasciato
 in sospeso. Prima parlavo del fatto che la prostituzione esiste
 indipendentemente dal turismo e ne ho accennato le origini storiche.
 Poi però ho sviluppato l’argomento solo in relazione agli occidentali.
Ma come funziona la prostituzione per i thailandesi al giorno d’oggi?
 Esiste?
 Nei modi e nelle forme attuali è stata importata di riflesso dall’occidente?
 Risposte: funziona alla grande.
 Esiste eccome. 
 Assomiglia ben poco ai modi e alle forme occidentali e non c’entra
 assolutamente niente con quanto si vede nei famosi “punti caldi”, che sono
 stati predisposti più che altro per gli occidentali e per i giapponesi.
 Senza andare a cercare tanto lontano: Rayong. 
 E’ una sonnacchiosa città di provincia, di sera vanno quasi tutti a nanna,
 trovare qualcuno che parla inglese è un’impresa ardua ed i turisti sono una
 specie rarissima e quei pochi sono solo di passaggio.
 Eppure le sale di massaggio ci sono (non sto parlando del tempio dove
 praticano i massaggi terapeutici tradizionali) e sono frequentate quasi
 esclusivamente da thailandesi. Io non ci sono mai stato, però ci sono
 passato davanti parecchie volte e poi ho i miei informatori.
 Frequento invece saltuariamente, per dovere d’ufficio, un ristorante
 “particolare”, quello dove ogni tanto porto i grandi cacciatori bianchi a
 fare un safari.
 Io ne conosco solo uno, ma so che ce ne sono altri.
 Comunque ti posso dire che quello è sempre pieno di thailandesi.
 Gli unici europei siamo io e i miei cacciatori bianchi (quando ci siamo).
 Nessuno del personale parla inglese, neanche le ragazze (per questo è
 necessaria la mia presenza e intanto scrocco pure la cena, tra l’altro si
 mangia bene).
 Quanto ai modi e alle forme sono garbati e simpatici, non senza una certa
 poesia, e comunque molto “orientali”.
Niente a che vedere con i locali “hard” di Pattaya o di Bangkok.
 Niente di volgare o di osceno.
 I tavoli sono al buio e c’è un palco illuminato dove le ragazze si alternano
 a cantare su una base registrata.
 Cantano tutte piuttosto bene e sono abbigliate in modo sexy, ma non da
 “puttane”.
 Uno se ne sta lì, ascolta la musica e guarda le ragazze, con calma.
 Nel frattempo consuma la cena che generalmente è ottima.
Se una delle fanciulle ha risvegliato gli istinti selvaggi di qualcuno,
 questi non fa altro che aspettare che la suddetta vada a cantare un’altra
 canzone, dopodiché fa un cenno ad un cameriere ed acquista una (o due o tre)
 ghirlande di fiori che costano 300 baht cadauna.
 Il cameriere provvede all’istante ad andare a mettere la ghirlanda (o le
 ghirlande) al collo della cantante la quale, al termine della sua
 performance, viene a sedersi al tavolo del generoso samurai.
Più sono le ghirlande e più la fanciulla è disponibile, in quanto lei e i
 gestori del locale fanno fifty fifty del prezzo pagato per le ghirlande
 stesse (naturalmente detratte le spese, peraltro irrisorie).
A questo punto il generoso samurai offre da bere, eventualmente da mangiare,
 insomma fa’un po’ di corte alla tipa e poi, se lo desidera, se la porta da
 qualche parte per placare le sue brame, a fronte di un ulteriore regalo, che
 si aggira normalmente sui 500 baht (corrispondenti a 25.000 lire italiane),
 quanto si doveva pagare di multa per quella cazzo di inversione errata.
Mi continua a raccontare “Baffino”:
 Che io sappia, non esiste quel “reclutamento” di cui tu fai cenno.
 Non esiste neanche la figura del protettore, inteso alla nostra maniera.
 Si chiama “mama san” e non è un bieco mafioso, ma un serio imprenditore.
 Le ragazze vanno a chiedere lavoro spontaneamente come farebbero in un
 supermercato o in un lavaggio auto, e se ne possono andare quando vogliono,
 come da qualsiasi altro posto di lavoro.
Se commettono qualche mancanza, non vengono né picchiate né minacciate, ma
 “multate” attraverso una trattenuta sul loro fisso mensile (sì, perché hanno
 anche un fisso mensile).
Da notare che fare il “mama san” non è mai l’unico lavoro.
 E’ solo un servizio in più che viene offerto come optional all’attività
 principale, che rimane sempre e comunque il ristorante, o il bar , o la
 discoteca, o quel diavolo che è.
Non ci sono rapporti visibili tra prostituzione e malavita organizzata.
 La mafia si occupa di droga, armi, contrabbando, ecc.
 Ad esempio un business illegale molto lucroso, e strettamente legato ad un
 potente racket, è costituito dal commercio clandestino di specie animali
 protette.
Un cucciolo di tigre dell’età di tre mesi vale al mercato nero più di
 cinquantamila dollari e, con un sovrapprezzo di diecimila dollari, può
 essere consegnato a domicilio in Europa o in America!
Concludo con una nota di colore.
 Se mai ci fosse stato, e non mi risulta, un calo nella domanda interna di
 sesso mercenario, questo calo sarebbe stato spazzato via dalla caduta
 dell’Unione Sovietica.
Ma che c’entra, dirai tu?
 C’entra c’entra.
Perché da quando il vecchio Gorby è stato silurato e la Santa Madre Russia è
 diventata quel gran casino che è oggi, a Pattaya si è verificato un fenomeno
 che dai ricchi thailandesi è stato salutato come la manna dal cielo: sono
 arrivate le russe!!!!!
 E così adesso si possono togliere la soddisfazione di frullare delle donne
 farang,che fino a pochi anni fa era un sogno proibito.
E questo penso che lenisca non poco anche l’incazzatura sotteranea che
 sicuramente dovevano avere, per il fatto che invece i maschietti farang, con
 le fanciulle orientali, per un motivo o per l’altro, hanno sempre avuto un
 discreto successo.
 Ciò è buono anche per le russe, che hanno visto salire le loro quotazioni
 fino a diecimila baht!!! (sono 500.000 lire italiane)
Purtroppo per loro però, a differenza di quanto avviene con le thailandesi,
 al loro seguito è arrivato un nutrito drappello di mafia russa, e quindi
 credo che la maggior parte di quei diecimila baht finisca nelle tasche di
 qualche Don Calogero moscovita (il quale sicuramente non si limita a
 “multare” gli sgarri).
 Ciò è molto visibile.
 Infatti a Pattaya i russi vivono in una specie di circuito chiuso che ha le
 caratteristiche di un ghetto.
Hanno i loro bar, i loro alberghi e i loro ristoranti (con le regolamentari
 scritte in cirillico). Quando mettono il naso fuori, sono estremamente
 malvisti.
 Gli albergatori, a meno che non siano russi essi stessi, quando vedono un
 passaporto dell’ex Unione Sovietica, dichiarano il tutto esaurito.
 Tutti i russi in Thailandia sono considerati mafiosi e visti come il fumo
 negli occhi.
 E con ragione, perché uno dei loro divertimenti principali, quando vanno di
 sera in qualche altro locale che non sia dei loro, è quello di ubriacarsi e
 poi innescare una rissa da farwest, con tavoli, sedie e bottiglie che
 volano.
 Una volta tanto parteggio per i poveri, piccoli poliziotti thailandesi i
 quali in questi casi, dopo che sono riusciti con fatica e con rischio (in
 sette o otto) ad acchiappare uno di questi giganti biondi, alti due metri e
 pesanti cento chili, lo mazzolano di santa ragione, prima di portarlo in
 caserma per spiegargli che non deve rompere i coglioni.
Spero di essere riuscito a comunicarti un po’ di confusione, stà quasi
 concludendo il mio amico.
 Se è così, ho raggiunto il mio scopo.
 In Oriente infatti c’è da preoccuparsi quando qualcosa sembra chiaro.
 Alla base di questa chiarezza c’è molto probabilmente un equivoco.
 Se invece un fenomeno appare incasinato, inspiegabile e contraddittorio,
 be’…….di solito si è sulla buona strada, se non per capire, almeno per
 “constatare” come funzionano le cose.
Da capire, a questo livello, c’è ben poco.
Voglio dire, se si prende in esame un fenomeno singolo, in questo caso “la
 prostituzione in Thailandia”.
Funziona così e basta.
Per tentare una razionalizzazione occorre ampliare moltissimo la visuale e
 fare un’analisi dettagliata di tutta la società thailandese, della sua
 storia, dei rapporti tra le sue varie componenti, nonché delle complesse
 interazioni con il resto del mondo.
Ci si trova poi inevitabilmente a fare le pulci a tutto il pianeta e si
 finisce, come spesso accade in questi casi, a parlare di aria fritta.
E forte di questa lunga analisi, che personalmente mi ha trasferito il mio
 grande amicone, ritorno in diretta all’Hotel a Bangkok. 
 Qui in piscina c’è il solito gruppetto di ragazzi francesi. Fanno un chiasso
 della malora, ma è il loro tempo.
 Fanno parte di una classe di una scuola superiore che ha deciso di far
 trascorrere la gita scolastica in Thailandia.
 Mica scemi, eh?
 Il costo sarà stato come quello necessario per passare una settimana a
 Curmayer.
Leggo ora su un quotidiano locale, in lingua inglese, che a settembre
 inizieranno a demolire l’Hotel Siam Intercontinental.
 E’ stato costruito 35 anni fa, ma è rimasta un’istituzione qui a Bangkok,
 sia per l’architettura particolare a pagoda, che per gli immensi giardini e
 strutture sportive, nel pieno centro della città.
 Abbiamo fatto bene a soggiornarci l’anno scorso. Sarà un pezzo di storia di
 Bangkok, che se ne andrà.
 Al suo posto edificheranno una enorme struttura ricettiva e la durata dei
 lavori è prevista in tre anni.
E’ l’ultimo giorno della nostra vacanza in Thailandia.
 Stanotte torneremo in Italia.
 Non ho voglia di continuare a descrivere anche la partenza.
 Tornerò a casa mia e basta.
 Ogni volta che ci si torna, in Thailandia, si impara qualcosa di nuovo.
 Ad esempio, mai fidarsi troppo degli amici, specie se sono virtuali.
 Italo, chiacchiera, chiacchiera, però non mi ha fatto conoscere
 “Coscialunga”.
 Però, mi ha insegnato tante altre cose.
Infine, se questo testo vorrà essere pubblicato, credo sia meglio
 bonificarlo un po’, prima.
 Non tanto per “Baffino”.
 Vorrei vedere come lo trasbordano, tirando il carrettino lungo le strade
 polverose e piene di sassi, come alla “Cascata”, su, in cima alla foresta.
 E’ per me, soprattutto.
 Vorrei evitare il disturbo, inevitabile, durante un prossimo auspicabile
 controllo del passaporto, al “Don Muang”, aeroporto di Bangkok, che mi
 ritenessero, anche solo temporaneamente, loro ospite, gratificandomi con :
 “vieni di là, che te la diamo noi la tua cazzo di Tom Yam Kung.
 No, grazie, non tengo appetito !!
Dopo una settimana dal mio ritorno, mogio mogio, dalla vacanza, Italone, via
 e-mail, mi scrive, fra gli altri argomenti, che io non me ne ero accorto, ma
 lui, oltre ad essere genovese di origini, è anche ebreo di nascita, in
 parte.
La prima ed immediata domanda, che gli vorrei fare, sarebbe : ma hai sentito
 dolore, quando ti hanno circonciso ? Ma questa, gli e la risparmio.
Invece, mi sento più di brontolarlo così : “ma cazzo, anche questa, ora ?!
 La moglie “buddista”, va behh, passi, ma te ebreo !! Me lo potevi dire
 prima, senza farmi perdere tempo!! Con che coraggio, posso raccontare ai
 miei amici cristiani, che ho fatto combutta con uno, i cui antenati hanno
 giustiziato il nostro Dio ?
 Sì, direbbe lui, ma è successo poco più di duemila anni fa. Ma che ci
 combina ? riprenderei io, l’ho letto solo oggi, al Catechismo, ed oggi mi
 incazzo !!”
D’altro canto, anch’io, a Bang Phae, ero diventato “Sonteo”.
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