Europa

Passo del Gran San Bernardo

di Nigel Mansell – E finalmente, siamo arrivati in cima. Per noi, che non siamo ciclisti, che pedaliamo solo alla domenica per pochi chilometri con le nostre Mountain Bike, è veramente un’impresa.
I chilometri finali sono stati tutti un torcere di collo, non facevamo che tendere il capo verso l’alto, per guardare sopra di noi.

Tutti tentativi, purtroppo vani, per arrivare a capire quanto effettivamente mancasse alla cima. Speravamo di vedere quello che poteva essere il traguardo finale, che avrebbe posto termine alle nostre fatiche.

Ma invece, quasi improvvisamente e in maniera del tutto inaspettata, dopo una curva secca, ci è apparso infine il laghetto e là in fondo, l’Ospizio. Ce l’avevamo fatta!


La foto di rito con le biciclette è d’obbligo, sarà la testimone della nostra, per noi, grande conquista. Fieri e tronfi, gonfiando il petto per la soddisfazione, ci siamo messi in posa sul versante italiano, in modo da avere sullo sfondo la parte più alta del colle, il lago e l’ospizio. La paziente turista francofona, importunata per testimoniare l’evento, ci ha assecondato senza sottrarsi. Ce l’abbiamo fatta appena in tempo a scattare quella foto, perché poi è calata una fitta nebbia che ha nascosto tutto e tutti: ma l’istante in cui abbiamo conquistato quest’ambita cima, ormai era stato fissato.

Ora inizio a sentire freddo, siamo partiti dai trenta gradi di Aosta, dove abbiamo dormito e l’abbiama considerata quindi una tappa di avvicinamento, per arrivare ai nove gradi della cima posta a 2.473 metri sul livello del mare. Con il nostro Dokker siamo arrivati ai quasi mille metri di Gignod, per l’esattezza 988 m s.l.m. per poi, scaricate le bici, iniziare a pedalare, per la bellezza di più o meno millecinquecento metri di dislivello.

Raggiungiamo l’Auberge, proprio a fianco dell’Ospice, collegato da un corridoio coperto che collega il terzo piano dei due edifici e ci sistemiamo nella nostra camera. Una doccia lunghissima è indispensabile, non riesco a togliermi dalle ossa la sensazione di freddo. Mentre pedalavo, accaldato per lo sforzo, non mi sono accorto che la temperatura era scesa tanto.

Una volta sistemati, ci facciamo un giretto a piedi nei dintorni, poi prendiamo un caffè nella parte italiana, ripassando il confine, sperando che sia meno caro.

Ritorniamo in Svizzera, attraversando quella che una volta era una frontiera presidiata e visitiamo l’Ospizio. Entriamo nella chiesa, poi ci inoltriamo nelle stanze del museo con il suo tesoro: anche qui, è forse custodito un Santo Graal? Forse sì! C’è una scintillante coppa d’oro dietro una teca, che sia quella che ha raccolto il sangue di Cristo?

Poi ci sono le camerate e le cucine, che, come dice giustamente Vanessa, cucinano anche per l’Auberge lo stesso cibo, solo che noi dall’altra parte lo pagheremo almeno il doppio.

Il museo dei cani sanbernardo preferiamo non visitarlo, abbiamo le gambe a pezzi e la collinetta dove è sistemato non riusciremmo a risalirla.


Più tardi, esausti, una volta tornati in camera, in attesa della cena che abbiamo prenotato per le 19,30, stramazziamo nel letto vinti da un sonno profondissimo. Io non mi spoglio neanche, ancora infreddolito mi infilo sotto il piumone.

Mi risveglio dopo un’oretta, Vanessa dorme ancora. C’è ora un silenzio irreale qui sul colle avvolto dalla nebbia. Di macchine non ne passano quasi più, con l’approssimarsi delle tenebre preferiscono fare il tunnel.

E allora io penso all’Armée de Réserve di Napoleone, che nel milleottocento, forte di quasi cinquantamila soldati, passò di qui.

Con vari espedienti, trascinarono fin quassù anche i loro pesantissimi cannoni che gli sarebbero serviti nella campagna militare d’Italia. Si dice che, essendo maggio, marciassero di notte per paura del progressivo sciogliere delle nevi e delle conseguenti valanghe. Immagino cosa potessero significare cinquantamila uomini affamati, accampati qua in cima. Dicono che i frati fossero costretti a servire migliaia di bottiglie di vino ogni giorno e chissà quanto avranno dovuto cucinare per sfamarli. Ma forse, con più calcolo, (i frati sanno sempre capire da che parte tira il vento), si occuparono poi solo degli alti ufficiali.

Da piccolo, quando andavo a tagliarmi i capelli nella caserma di Piazza Roncas, dal barbiere dei Carabinieri, ricordo la riproduzione di un quadro affissa sulla parete, si vedeva Napoleone su un destriero con i lunghi capelli al vento, che varcava il passo. No, non era la copia del più famoso quadro di David, ma l’immagine era altrettanto epica e suggestiva. In realtà, pare che lui ci salì un giorno dopo i suoi soldati quassù, e per di più a cavalcioni di una più prosaica mula.

E i furbi frati, nonostante i rapporti burrascosi della Francia Rivoluzionaria con la Chiesa, divennero buoni amici del Buonaparte. Si fecero pagare quelli che oggi sarebbero migliaia di euro per il disturbo, e non bastando, Napoleone gli donò altri possedimenti che lui nella furia rivoluzionaria sequestrò ad altri ordini religiosi in Italia.

Gignod è una sorta di altopiano che si affaccia sul fondo valle di Aosta. Da lì siamo montati in sella e siamo saliti sino a Étroubles, percorrendo circa trecento metri di dislivello. Abbiamo mangiato qualcosa presso il Carrefour locale, e poi ci ha subito spaventato la rampa che ci ha portato a raggiungere il bivio con il quale finalmente abbiamo lasciato la trafficata Statale, che continua fino al tunnel.

Passato Saint-Rhémy, ci siamo inoltrarti nella valle e dopo parecchio pedalare, abbiamo rincrociato la Statale con il viadotto coperto che arriva dalla valle parallela, per imbucare direttamente gli automezzi nella galleria che li porterà in Svizzera. Gli siamo passati sotto e abbiamo iniziato a salire i tornanti finali.

Dopo non andavamo più spediti e ci fermavamo spesso per bere e mangiare qualcosa. Guardavamo in alto e la serpentina della strada, che si arrampica sulla ripida montagna che ci sovrastava, sembrava sempre più lunga e crudelmente troppo ripida.

Quando ormai, veramente provati, pensavamo di essere arrivati in cima, dopo aver scavallato quella che pensavamo essere l’asperità finale, ci ha preso lo sconforto. Abbiamo alzato la testa e abbiamo scoperto un’altra montagna con la strada che ancora si arrampicava zizzagando sulla facciata scoscesa, ormai nuda della vegetazione, viste le altezze raggiunte. Ma quello che ci ha fatto più paura, sono stati gli archi della galleria para valanghe, lassù in cima, che sembravano avere una pendenza disumana.

Ormai stanchissimi, per via anche dell’ossigeno sempre più rarefatto, siano arrivati comunque a percorrere quella galleria, che alla fine abbiamo scoperto non essere poi così ripida come pensavamo. Avevamo ormai quasi perso le speranze di raggiungere il nostro obiettivo. E invece… dopo una curva cieca, ecco davvero la fine: eravamo arrivati!

Quando i soldati di Napoleone si riversarono nella valle di Aosta, si comportarono come un’orda barbarica. Fu un enorme branco di lupi affamati che travolse tutto ciò che incontrò. Ricordo le maschere di Carnevale, soprattutto quelle più famose di Gignod, che rappresentano dei personaggi crudeli, di cui da piccolo avevo molta paura, e che scoprì più tardi, scimmiottano le divise napoleoniche, per esorcizzare quella che immagino fu una devastazione senza pari, per tutta la Valle d’Aosta.

Arrivati a Bard i soldati napoleonici trovarono il Forte che proprio non li voleva fare passare. Requisirono materassi e coperte dalle abitazioni dei paesi che attraversarono, poi copertili di paglia, li usarono per far passare di notte silenziosamente i cannoni, e non essere così sentiti dai soldati nemici asserragliati nel forte.

Intanto, alla popolazione terrorizzata, fregava ben poco degli ideali e delle promesse della Rivoluzione, chi poté scappò sulle montagne per mettersi in salvo.

Una volta passato, Napoleone per vendetta lo fece distruggere quel forte. La meraviglia che ammiriamo oggi è stata poi ricostruita dai Savoia.

Ah… Se ti avessero lasciato fare mio caro Napoleone…

Se ti avessero fatto terminare il tuo progetto di modernizzare e unire l’Europa…

Se quelli del Congresso, nella loro affrettata restaurazione non avessero rimesso sui troni tutti quei bellicosi cugini…

Forse non avremmo avuto la sanguinosa Prima Guerra Mondiale, e probabilmente neanche la Seconda, diretta conseguenza dell’irrisolta precedente.

Mi piace soggiornare all’Auberge, è la seconda volta che lo facciamo e Vanessa asseconda questa mia passione. Assaporiamo con gli altri turisti la cucina tipica valligiana e poi a nanna presto. Il giorno dopo mi tuffo in una colazione abbondante, il conto sarà salatissimo.

Recuperiamo le bici che ci hanno custodito in una sorta di anfratto, chiuso con un vecchio catenaccio, che loro usano come cantina, e scendiamo ad Aosta.


Stamattina ci sono più o meno cinque gradi, il nostro pesantissimo bagaglio è soprattutto fatto di vestiario, che ci è servito per sopperire a tutte le diversissime e varie condizioni climatiche che abbiamo affrontato nella scalata della vetta.

Quindi indossiamo guanti, cappelli e scaldacollo. In un attimo, con velocità che superano i cinquanta all’ora, scendiamo ad Aosta, per ritrovare i trentacinque gradi di un’infuocatissima valle. Solo chi conosce bene Aosta, e io qui ci sono nato, sa quanto possano essere torride le estati. Qui, tra le pietre dei resti romani che diventano roventi, e che ne fanno, dopo Roma, la città con maggiori resti romani, ci sembra di essere due uova che friggono su di un tegamino.

Da piccolo mio padre mi portava spesso a Courmayeur o fino a Saint-Rhémy. Io guardavo l’imbocco dei tunnel, potendo solo immaginare cosa potesse esserci dall’altra parte.

Arrivai a percorrerli solo in età adulta, quando ormai ad Aosta non ci abitavo più.

Arrivare in cima al Gran San Bernardo con Vanessa, è stato per me la somma di tante emozioni, finalmente esaudite.

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Pubblicato da
Marco

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