Viaggio in Venezuela

di Maurizio Fabbri –
11 Gennaio 2002 – Partenza…, arrivo a Maquetia, notte a Macuto.
Finalmente ci siamo…, è il giorno della partenza per la nuova avventura. I preparativi ultimati solo ieri, mi hanno tenuto sveglio sino alle 03.00, ma tanto non avrei dormito comunque, vista l’eccitazione e la tensione : é la prima volta che vado oltre oceano.
Alle 07.30, come programmato, arriva Michele, il mio compagno di viaggio; definirlo tale non gli rende però il giusto merito, visto che lui é la “guida” ed io il suo compagno…, o forse sarebbe meglio dire il suo bagaglio ! In poco più di mezz’ora giungiamo a Malpensa, terminal 1, dove prima di congedarci dal gentile Cesare, che ci ha condotto fin qui, incontriamo il Calcio Como al gran completo e Zucchero !
Facciamo in modo veloce il chek-in e imbarcato il fido zaino, attendiamo che giunga il nostro turno al gate B 13 : il volo AZ 666 dell’Alitalia ci aspetta.
Il costo del biglietto é stato un vero affare : euro 648,67 (Lit. 1.256.000) volo diretto Milano – Caracas, tasse incluse, anche se ci ha vincolato al periodo 11/27 Gennaio.
Merito di questo va sicuramente e indiscutibilmente a Nadia della Cit di Como, a cui, da qualche anno, ci rivolgiamo con fiducia. I suoi sforzi, la sua pazienza e la sua professionalità e tempestività nell’avvisarci della disponibilità dei voli e di questa offerta, oltre a farci risparmiare sensibilmente, hanno contribuito, non poco, all’ottima riuscita di questo viaggio.
La partenza, prevista per le 10.05, slitta alle 10.30; la giornata é bellissima, limpida e soleggiata e nel momento in cui il carrello si stacca da terra la nostra avventura ha inizio.
L’aereo è completo; non pensavo che così tante persone volassero in Venezuela…, il collegamento dell’Alitalia é addirittura giornaliero !
Dopo l’adrenalina del decollo, passo le prime due ore sonnecchiando; svanita la tensione, sopraggiunge la stanchezza e una notte pressoché insonne si fa sentire.
Il pranzo, accolto un pò come intermezzo, é triste, smunto e patetico, ma tutto sommato mangiabile… Poi un’altra oretta di sonno, due film e uno snack, che più che scaccia fame, è scaccia noia ! Ma quanto sono lunghe 11 ore di volo ?
Finalmente, dopo il terzo film e la cena, alle 16.02, ora locale, in perfetto orario, giungiamo a Caracas.

L’aeroporto non si trova, però, nella capitale, ma sulla costa, in località Maquetia; per raggiungere Caracas é necessario prendere un taxi oppure il bus.
Sbarcati, il primo scoglio é passare la dogana. E’ fondamentale armarsi di pazienza, perché qui si inizia a perdere tempo.
Percorso quasi tutto il lungo corridoio dell’aeroporto, si giunge al posto di polizia. Qui bisogna fare molta attenzione; ci sono quattro diverse file : per i venezuelani ed i residenti, per gli stranieri (turisti), per i diplomatici e per gli equipaggi dei voli.
Inseritevi subito e correttamente nella fila per i gate riservati agli stranieri; se sbagliate, giunti al gate, non vi registreranno e vi manderanno a fare di nuovo la coda che vi compete.
Queste ultime sono estremamente lente; il motivo sta nel fatto che é necessario compilare un coupon con i propri dati personali e il luogo in cui si é diretti per ottenere il visto di entrata. L’Alitalia fornisce tale documento prima dell’atterraggio ai suoi passeggeri, ma averlo già pronto non evita la coda, visto che tutti gli altri o comunque molti di essi ne sono sprovvisti e sono costretti a farlo al momento dell’esibizione del passaporto.
Superata la dogana, dopo 1 ora, e ritirato il bagaglio, prima di uscire dall’area arrivi, si deve consegnare, all’incaricato del controllo bagagli, un secondo coupon. Quest’ultimo ha valore solo per i residenti, che devono dichiarare analiticamente tutti i beni che introducono nello stato; per i turisti é, generalmente, solo un controllo formale : in pratica, vi consegna il coupon e si passa !
A questo punto si esce dalla zona “protetta” riservata ai soli viaggiatori e si entra nella parte dell’aeroporto accessibile a chiunque;una “jungla” in cui non é affatto raro essere avvicinati da persone, ben vestite che chiedono se si ha bisogno di un taxi : stare molto attenti ed essere diffidenti, anche se stanchi, é d’obbligo.
Per lasciare l’aeroporto si hanno tre possibilità : usufruire del servizio taxi ufficiale dell’aeroporto stesso, uscire e prendere un taxi all’esterno, utilizzare i mezzi pubblici.
Il servizio taxi dell’aeroporto é sicuro ed efficiente, ma anche costoso; é facilmente individuabile dallo sportello giallo recante la dicitura “Ticketaxi” e deve essere pagato anticipatamente in Bolivares.
Funziona in questo modo : si dice dove si vuole andare all’incaricato, che rilascia un biglietto con banda magnetica, pagando l’importo della tratta, indifferentemente dal tempo necessario a percorrerla.
Una volta pagato, si viene condotti all’esterno dell’aeroporto e fatti accomodare su grandi jeep nere, belle, comode e nuove, che portano a destinazione.
Se non si hanno Bolivares, di fianco alla biglietteria dei taxi, guarda caso, c’è un ufficio di cambio.
L’alternativa é il taxi normale; per prenderlo basta uscire e fare cenno ad uno di quelli che si trovano all’esterno dell’aeroporto.Attenzione però, perché ce ne sono moltissimi abusivi! Quelli regolari e ufficiali sono bianchi ed hanno sulle fiancate una banda rettangolare a quadri gialli e neri, nonché la targhetta in metallo, come in Italia.
Ultima risorsa, infine, é il bus, che si ferma proprio di fronte all’ingresso del terminal internazionale; costa 2.500 Bolivares e conduce alla periferia di Caracas, terminando la corsa di fronte all’entrata della metropolitana “Gato Negro”.
Siamo stanchi, sono ormai le 17.30 e decidiamo di non correre troppi rischi; cambiamo quindi 30 dollari in bolivares e prendiamo un ticketaxi per Macuto, dove l’amico Massimo ci ha indicato un buon albergo dove alloggiare. Costo dello spostamento, 9.000 bolivares.
Il taxi lascia Maquetia e in 20 minuti siamo a Macuto, lungo la costa che nel 1999 fu martoriata da un tremendo nubifragio.
Il viaggio nella periferia di Caracas e poi lungo la costa, mi mostra un Venezuela povero, sporco, fatiscente e apparentemente poco sicuro, ma alla fine del nostro viaggio questa rimarrà solo la mia prima impressione.
Ci facciamo portare all’Hotel Santiago, che mi sembra subito carino; prima di lasciare il tassista ci accordiamo con lui per l’indomani prendendo appuntamento per le 08.30.
L’entrata dell’hotel é al quanto atipica; praticamente si entra nel bar/ristorante omonimo e dopo averlo oltrepassato, alla fine di uno stretto corridoio, si giunge alla reception.
Qui il mio primo giudizio dell’Hotel Santiago cambia : da carino a “caro”, visto che per una doppia, per una notte ci chiedono 46 dollari !
Chiaramente accettiamo, anche perché ormai é l’imbrunire e prendiamo possesso della camera; quest’ultima si rivela dignitosa, pulita e sicura.
Una doccia rigeneratrice e via in perlustrazione.
Praticamente siamo sul mare, ma non c’è spiaggia; tutta la costa, o almeno quella che si vede, é delimitata da frangiflutti artificiali : la catastrofe di alcuni anni fa ha lasciato il segno.
La strada su cui si trova l’hotel é abbastanza trafficata e noto subito le strane, almeno per noi europei, autovetture che circolano : sono enormi auto americane con battistrada larghissimi, oppure pick-up scassatissimi.

Primo pensiero : avvisare casa del nostro arrivo. Chiediamo dove poter acquistare una scheda telefonica e ci dicono che il supermercato le vende; lo raggiungiamo velocemente, visto che si trova sulla prima strada a destra usciti dall’hotel e lì acquisto una scheda telefonica da 3.000 bolivares, che rimarrà inutilizzata : i telefoni pubblici, infatti, non funzionano !
Decidiamo quindi di chiamare dall’hotel e per 45 secondi di comunicazione con l’Italia ci chiedono, ma sarebbe meglio dire ci scippano, 3.000 bolivares ! In seguito scopriremo che tale cifra è esorbitante, visto che utilizzando i telefoni pubblici, un minuto di conversazione costa 545 bolivares.
Paghiamo subito il nostro primo “dazio di inesperienza” e usciamo nuovamente per cercare di mettere sotto i denti qualcosa.
Ci dirigiamo verso sinistra e dopo qualche centinaio di metri troviamo una birreria, dove prendo un’arepa con carne mechada (1.700 Bls.) e una polar (birra nazionale in bottiglia, 700 Bls.).
Qui bisogna subito fare una digressione : in Venezuela le birre sono spesso in bottiglia, ma a differenza che in Europa, la bottiglia e da 0,22 cc. e non da 0,33 cc. !
Questo non significa che quest’ultima non ci sia, visto che esiste e si chiama “tercio”, ma raramente e solo se richiesta, viene servita; in caso contrario si riceve la “bottiglietta” da 0,22 cc., che in due sorsi e già finita !
Il motivo di ciò non sono riuscito a capirlo, ma ho maturato una mia congettura : probabilmente, visto il caldo, la bottiglia da 0,22 cc. consente di consumare la birra ancora fredda, evitando che il contenuto, permanendo “troppo” tempo a temperatura ambiente si riscaldi.
La Polar é la birra più diffusa e potrete trovarla in queste diverse qualità :
– polarcita, bionda da 0,22 cc. a 5%;
– polar tercio, bionda da 0,33 cc. a 5%;
– polar light, bionda da 0,22 cc. a 4%;
– polar ice, bionda da 0,22 cc. a 4,5%.
La stessa marca produce anche un succo, commercializzato nelle stesse bottiglie della birra, che si chiama “Maltin”; assomiglia molto ad uno sciroppo di ciliegia e per me ha un gusto orripilante !
Oltre alla Polar, si possono trovare altre due marche di birra : la “Solera” e la “Brahma”
Quest’ultima é brasiliana e si trova in due versioni, col vetro a rendere e senza : la differenza non sta certo nel contenuto !
Ci sediamo nei tavolini fronte strada a consumare la nostra cena, che non é affatto male; l’arepa si rivela infatti molto gustosa ed essendo una frittella di mais, per intenderci polenta fritta ripiena, sazia immediatamente.
Dall’altra parte della strada c’é un locale dove fanno musica dal vivo, ma fino al momento in cui lascio la birreria, non vedo nessuno entrarci.
Prima di fare ritorno all’hotel acquisto una bottiglia d’acqua da 1 litro e mezzo, per 800 bolivares; erroneamente pago con una banconota da 1.000, scambiandola con una da 100, ma la cassiera, onestamente, me lo fa notare. Questa cosa, oltre che rallegrarmi, mi colpisce positivamente.
Giunti all’hotel scopriamo che il bar sottostante si é animato e riempito di persone, quindi ci sediamo al bancone e prendiamo un’altra polar prima di andare in camera per la notte.

12 Gennaio 2002 – Macuto, Caracas, Coro.
Dopo una notte tranquilla, lasciamo Macuto alle 07.00 del mattino direzione Caracas.
Per raggiungere la capitale decidiamo di utilizzare uno dei molti pulmini (buseta) che passano continuamente di fronte all’hotel, rifilando quindi un bel bidone al tassista che ci ha condotto qui e con il quale ci eravamo accordati per farci venire a prendere alle 08.30.
La buseta non ha, in genere, fermate precostituite, basta mettersi sul ciglio della strada e fare cenno con la mano; se non si ferma, c’é un’unica ragione : é piena !
  Tuttavia non bisogna preoccuparsi di restare a piedi, visto che ce ne sono moltissime, si susseguono senza sosta e portano tutte a Caracas.
Costo del viaggio : 700 bolivares…, se avessimo preso il taxi avremmo speso molto, ma molto di più !
La buseta segue la costa sino a Maquetia, dopo prende verso sinistra in direzione dell’entroterra; in circa mezz’ora siamo a Caracas.
L’impressione che ho della città non é affatto positiva; sia la periferia, che il centro mi appaiono poveri, sporchi e squallidi. Le case sono costruite ovunque si guardi e mi appaiono fatiscenti, spoglie e in molti casi scheletriche, soprattutto quando il colore ocra dei mattoni che le costituiscono si contrappone al bianco di quelle più rifinite.
Lentamente dalla periferia ci avviciniamo al centro; si cominciano a vedere negozi, centri commerciali, caos, smog e traffico. Per un solo istante mi sembra di non essere mai partito…; poi il bellissimo clima presente, con i suoi trenta gradi tutto l’anno, fa svanire questa sensazione.
Le piccole case lasciano il posto ai grandi palazzi, che si spingono verso l’alto e per strada c’é un brulicare incessante di persone.
Un particolare, che noto subito, forse perché non é così usuale alle nostre latitudini, sono le inferiate e le sbarre anti-intrusione che preservano ogni finestra, porta, balcone di qualsiasi edificio, sia a piano terra, che ai piani più alti; praticamente vivono in gabbie !
Onestamente mi aspettavo molto di più da questa metropoli, che, data la sua posizione, rappresenta il primo approdo del Sud America; tuttavia una città con quasi 8 milioni di abitanti, in cui le etnie si mischiano e la povertà di molti risalta ancora di più, quando si confronta con l’inusuale ricchezza di pochi, non può certo rappresentare le tradizioni di un popolo e di un paese, che ha innumerevoli risorse e bellezze, naturali, culturali e umane.
Il vero Venezuela non é certo rappresentato dalla sua capitale.
Il viaggio termina al capolinea, che fortunatamente si trova di fronte alla fermata della metropolitana “Capitolio”; basta attraversare la strada e scendere le scale.
La metropolitana é molto bella, pulita, funzionale e sicura; mi ricorda tantissimo quella di Milano, di cui sembra la copia.
I treni sembrano nuovi, al loro interno sono puliti e dotati di aria condizionata.
Il biglietto ha costi differenti a seconda della zona in cui si é diretti; quest’ultima é facilmente individuabile dalla cartina posta sul vetro della biglietteria. Ad ogni zona é attribuito un colore e ad ogni colore corrisponde un diverso prezzo del biglietto.
Il terminal dei pullman di Caracas si trova vicino alla fermata “La bandera”, che é nella zona gialla; costo del biglietto 350 bolivares.
Fate attenzione a non perdere il biglietto, perché oltre ad assicurarvi l’accesso alla metropolitana, attraverso la sua introduzione negli appositi gate di entrata, vi necessita anche per l’uscita, che é garantita dallo stesso sistema.
In totale da “Capitolio” si devono fare sette fermate, con un cambio di linea a “Plaza Venezuela”.
Di turisti in giro non mi sembra di vederne; con lo zaino in metropolitana ci siamo solo io e Michele; in poco più di 15 minuti arriviamo a “La bandera”.
Usciti dalla metropolitana é molto semplice raggiungere il terminal degli autobus, basta attraversare la strada e andare verso sinistra; il terminal si trova infatti a circa 200 metri, sulla destra.
Se non riuscite ad orientarvi, seguite le persone con i bagagli; sicuramente sono dirette lì !
Giunti al terminal, saliamo tre rampe, attorniati da molte persone che offrono passaggi, taxi, biglietti per ogni destinazione e entriamo nella sala biglietteria, dove si trovano anche diversi bar, telefoni e un posto bancomat funzionante.
Anche qui veniamo “abbordati” da persone che ci chiedono dove siamo diretti e ci spingono verso gli sportelli delle agenzie per cui lavorano; sicuramente ricevono una provvigione per ogni persona che portano e compra il biglietto.
Armarsi di pazienza é importante : prima di acquistare il biglietto chiedete a diverse agenzie e scegliete quello per voi migliore. Ci sono infatti diversi tipi di pullman, dalla “buseta” a quello di linea extra-lusso, con prezzi chiaramente crescenti.
Scegliete in base al vostro budget e alla distanza da compiere : un spostamento breve non necessita della stessa comodità di uno più lungo !
Visto che la nostra meta é Coro, posta ai margini della “Peninsula de Paraguanà”, optiamo per un pullman di linea a 5 stelle. Prezzo : 14.000 bolivares; 7 le ore di viaggio stimate.
Scendiamo a piano terra e solo esibendo il biglietto ci é possibile accedere alle piazzole dove sostano i pullman.
Il nostro, della “Global Express”, é veramente molto bello, nuovo, con aria condizionata, vetri scuri, tv e sedili molto larghi tra loro, che grazie a comodi schienali reclinabili quasi totalmente e a poggia gambe, divengono quasi dei lettini; unici nei, la temperatura imposta dall’aria condizionata, veramente bassa, che costringe a viaggiare col maglione e il ritardo fisiologico con cui parte.
Alle 10.30 lasciamo il terminal di Caracas, che sul muro porta scritto un monito di buon auspicio : “Dios los benediga en este viaje”.
Il viaggio dura poco più di 8 ore; alle 18.45 arriviamo infatti a Coro.
Approfitto subito dei telefoni pubblici della stazione degli autobus per chiamare in Italia e prendo tranquillamente la linea : mamma risponde, Cinzia “non é raggiungibile…”.
Noto subito con gran piacere che il costo della chiamata é nella norma; per un minuto di conversazione si spende infatti intorno ai 600 bolivares.
Prendiamo un taxi e ci facciamo portare alla “Posada el gallo”, che purtroppo non ha camere disponibili; vista da fuori, però sembra molto carina e accogliente.
Chiediamo quindi al tassista di portarci all’Hotel Martin, che risulta anch’esso pieno ! Di fianco c’é l’Hotel Roma, che ha una doppia con bagno disponibile a 8.000 bolivares a notte; purtroppo l’aspetto non é per nulla buono e decidiamo di cercare altrove.
Andiamo così alla ricerca dell’Hotel Capri, che dovrebbe essere in zona, ma di cui non troviamo traccia e finiamo per prendere una camera all’Hotel Intercaribe (ex Hotel Venezia), un tre stelle con la reception ben curata, piscina e camere in stile Motel americano con posto macchina interno.
La camera é bella, con tv e aria condizionata; il costo un pò salato : 25.000 bolivares a notte. Inoltre non accettano i travel cheque e sono costretto a pagare con la carta di credito, visto che in tutta Coro non c’é un posto bancomat da cui si riesca a prelevare.
La sera usciamo e percorriamo verso destra la strada su cui si trova l’Hotel; é una via molto ampia e trafficata, ci sono diversi negozi e locali e sino alle 19.30 anche parecchia gente in giro.
Problemi di sicurezza non ce ne sono, o almeno non li noto, visto che anche le ragazze girano da sole, ma sui locali stendiamo un velo pietoso…
Verso le 20.00 tutto comincia a chiudere, la gente svanisce e di colpo ci troviamo da soli o quasi; resta soltanto il traffico…
I pochi chioschi aperti che incontriamo non ci ispirano più di tanto e finiamo a mangiare nel fast-food di fronte al nostro hotel, una sorta di rosticceria/panetteria, dove ceniamo con un pasticho tutt’altro che delicato per il palato.
Mentre sono seduto a consumare la mia cena, sorseggiando una coca, visto che il fast-food di cui sopra non vende birra, noto la vigilanza del locale; una sorta di Clint Eastwood di colore, in divisa bianca con in mano una pistola a canna mozza !
Per me é una presenza quanto meno poco rassicurante, ma per tutti gli altri credo sia una figura che rientra nella normalità, visto che nessuno si scompone.
Se questa é la vigilanza, chissà cosa saranno mai i ladri ! Comunque é indiscutibile che le inferiate alle finestre, le sbarre a tutti i locali commerciali, le guardie armate all’interno degli stessi, creano un’atmosfera poco tranquilla, almeno per il turista, anche se poi non accade nulla, che giustifichi tale ansia.

13 Gennaio 2002 – Adicora e Los Medanos.
Sveglia di buon mattino per la prima escursione al mare del nostro viaggio; meta stabilita Adicora, posta all’imbocco della penisola di Paragua.
Raggiungiamo a piedi la stazione degli autobus di Coro, fermandoci per una veloce colazione con un cachito e un “café negro”, che solo per aspetto ricorda il nostro espresso.
In dieci minuti di cammino siamo al terminal, da dove, utilizzando un telefono pubblico, telefono a Cinzia, che finalmente riesco a trovare.
Per accedere alla zona da cui partono i pullman é necessario pagare 100 bolivares; il biglietto per lo spostamento si fa invece direttamente sul mezzo che si deve prendere.
Dopo una breve attesa, arriva il nostro bus; saliamo e prendiamo posto. Prima di partire la persona che riscuote i biglietti, passa con un foglio su cui tutti annotano nome, cognome e nr. del documento di identità; sembra una prassi normale, visto che tutti, tranne me e Michele, sanno il numero del loro documento a memoria.
Alle 09.20 il bus lascia il terminal di Coro e si dirige verso Adicora per raggiungere la quale dovremmo percorrere la strada che si sviluppa lungo uno stretto istmo di sabbia, che lega la penisola di Paragua al continente.
Il viaggio dura circa 1 ora ed il paesaggio appare surreale; all’inizio, infatti, subito dopo essere entrati nel parco naturale della Paragua, sulla destra vediamo le famose dune di sabbia, una sorta di mini deserto, che ha dello straordinario.
L’istmo é invece una delusione, soprattutto per le montagne di rifiuti che vi si trovano; praticamente é una discarica a cielo aperto e ciò é veramente un peccato, visto il forte impatto visivo che potrebbe dare.
Quando manca poco a raggiungere Adicora, il bigliettaio passa a riscuotere il prezzo del biglietto. Pago io per me e Michele, in modo da cambiare i 5.000 bolivares che mi ritrovo, ma non ricevo resto ! Ingenuamente penso che me lo darà una volta giunti a destinazione, anche perché 2.500 bolivares a testa appaiono uno sproposito; tuttavia per evitare spiacevoli inconvenienti Michele chiede ad un’altro passeggero quanto costa il biglietto : risposta, 1.000 bolivares !
Giunti ad Adicora, chiedo il resto e correttamente ricevo 3.000 bolivares, ma se non l’avessi fatto, li avrei “persi”, dato che il bigliettaio non avrebbe preso alcuna iniziativa in tal senso; in sostanza “ci ha provato” !
Il pullman ci lascia direttamente sulla spiaggia; questa si sviluppa lungo una baia abbastanza ampia delimitata da un un marciapiede su cui si affacciano ristoranti, locali e negozi.
La sabbia é di colore beige, non molto larga e dotata di gazebo e sedie; c’è molta gente, ma ciò dipende dal fatto che é domenica.
Percorriamo tutto il lungo mare e ci posizioniamo all’estremità opposta da cui siamo arrivati.
L’acqua non é il massimo…, pulita, ma non limpida; il mare é leggermente mosso e la temperatura dell’acqua tiepida e piacevole, soprattutto dopo un pò che si sta al sole.
Ci sono pochissime palme e solo nella parte iniziale della spiaggia, quella più larga; indubbiamente non è la spiaggia caraibica che mi aspettavo di trovare e non nascondo che un pò rimango deluso…, ma poi penso a che giorno é, al freddo che ho lasciato a casa e tutto assume un aspetto diverso.
Adicora non é il paradiso che si immagina, quando si pensa alle spiagge dell’America del Sud, ma anche lei ha il suo fascino.
C’è una leggera brezza, che rende il caldo meno opprimente, ma verso le 13.30 il sole comincia a farsi sentire e anche i venezuelani, che il sabato e la domenica affollano le spiagge, sono tutti all’ombra a sorseggiare un cuba libre.
Anche noi decidiamo di porre fine alla nostra prima esposizione al sole, in modo da evitare scomode scottature e facciamo un giro nel paesino.
Quest’ultimo é molto caratteristico con le sue case basse in stile coloniale olandese, dipinte con vivaci colori pastello.
La fame si fa sentire, così ci fermiamo a mangiare alla “Posada la Carantoña”; é molto carina, pulita e la sala da pranzo ben curata nei particolari.
Prendiamo un pargo, ottimo pesce di colore rosato, che ci viene servito alla griglia con contorno di patate fritte e insalata; é ottimo e abbondante e con quattro birre, spendiamo in totale 8.910 bolivares in due.
Quando usciamo il caldo é opprimente, quindi ripercorriamo a ritroso il lungomare e andiamo a riprendere il bus per tornare a Coro; la nostra intenzione é quella di vedere le famose dune, “los medanos”, che sono l’attrattiva maggiore del Parco Nazionale di Coro, patrimonio dell’umanità.
Giunti a Coro, ci facciamo lasciare all’incrocio prima del terminal, dove c’é un grande distributore della BP; qui sulla strada perpendicolare a quella da cui siamo venuti, aspettiamo la “buseta”, contrassegnata dalla scritta “carabobo”, che porta al Parco Nazionale.
Dopo pochi minuti eccone una; un gesto con la mano per richiedere la fermata e saliamo a bordo.
Il viaggio dura poco più di cinque minuti e ci costa 250 bolivares.
Scesi a destinazione, é necessario percorrere 500 metri a piedi lungo il viale che introduce al parco, quindi dopo una piccola piazza, di fronte a noi vediamo l’entrata del parco.
Percorriamo nella sabbia un sentiero in salita e superata una piccola collinetta, quello che vedo ha dell’incredibile; di fronte a me c’é il deserto ! Dune altissime di sabbia si susseguono a vista d’occhio.
Il parco ha un’estensione di 92.000 are e sembra veramente di stare nel Sahara; é impressionante, alle mie spalle la più lussureggiante fauna tropicale, di fronte a me, aride dune di sabbia.



14 Gennaio 2002 – Coro, Chichiriviche.
La mattina, prima di lasciare l’hotel, ci rechiamo in banca per cambiare i travel cheque in bolivares. Questa operazione si rivelerà più difficile del previsto; l’unica banca che offre questo servizio a Coro é infatti la “Corp Banca”.
C’è molta gente e siamo costretti a fare la fila anche noi come tutti; le operazioni sono lentissime e mi sembra che la burocrazia assomigli molto a quella italiana.
Michele inoltre non si sente bene e l’aria condizionata della banca non gli giova di sicuro.
Finalmente arriva il nostro turno, ma purtroppo la procedura per la conversione dei travel cheque é lunghissima; prima di tutto ci chiedono i passaporti, poi richiedono l’autorizzazione via telefono all’operazione comunicando il numero dei travel cheque, quindi quando sembra che tutto sia a posto, ci fotografano con una sorta di macchina fotografica fissa che consente di immortalare, oltre al viso di colui che fa l’operazione, anche il passaporto e i documenti per l’operazione bancaria.
A questo punto mi aspetto di ricevere i bolivares, ma invece mi danno un biglietto con un numero e mi dicono di andare alla cassa; qui la coda é ancora più lunga e comincio a perdere la pazienza.
Fortunatamente é il cassiere a chiamarci, ma le sorprese non sono finite; prima di consegnarci i soldi, ci fa infatti apporre l’impronta digitale del pollice su tutte e tre le copie dei documenti bancari, che descrivono l’operazione.
Mai vista una cosa del genere e tutto per 100.000 bolivares, ovvero 150 euro ! Dopo un’ora siamo riusciti a cambiare !
Torniamo in hotel, lasciamo la stanza e prendiamo un taxi per raggiungere il terminal; costo dello spostamento, 1.000 bolivares.
Chiediamo qual’é il primo autobus che porta a Sanare, dove dobbiamo cambiare mezzo per raggiungere Chichiriviche.
Ce ne indicano uno in partenza; saliamo senza chiedere il costo del biglietto e di ciò ci pentiremo in seguito !
L’autobus é quasi pieno e come sempre l’aria condizionata é a temperatura glaciale; prendiamo posto e dopo poco che siamo in viaggio, come prassi, passa l’incaricato per incassare i soldi del biglietto. Ci chiede 15.000 bolivares; lo guardiamo tra lo sbigottito e l’incredulo, poi Michele trova la forza di dire : “no, é troppo !”. A questo punto ce ne chiede 5.000 a testa; sono sempre troppi, ma li paghiamo. In seguito scopriamo, che al massimo il nostro viaggio poteva costare 3.000 bolivares !
Purtroppo l’errore l’abbiamo fatto noi a non chiedere prima e arrabbiarsi dopo é un’inutile spreco di energie nervose; chiedere quanto costa, deve sempre essere la prima preoccupazione, perché dopo i margini di contrattazione saranno ridottissimi.
In circa due ore giungiamo a Sanare; scesi attraversiamo la strada e aspettiamo la buseta per Chichiriviche, che non tarda ad arrivare. Anche su questa ci provano chiedendoci 1.000 bolivares; ne paghiamo 800, ma sono comunque uno sproposito, visto che ai venezuelani vedo pagare 250 : probabilmente non é giornata !
Chichiriviche si trova all’interno del Parco Nazionale di Morrocoy, caratterizzato da una grande laguna e da numerose isolette raggiungibili con le barche.
La strada che porta in città attraversa perpendicolarmente la laguna nella quale scorgo durante il viaggio grossi stormi di fenicotteri rosa.
In circa mezz’ora siamo a Chichiriviche. Il piccolo centro é in ristrutturazione; la strada principale che porta al porto é infatti in costruzione, a prova che il turismo é ormai una costante di questo luogo.
Proprio di fronte allo spiazzo (chiamarlo terminal é un pò azzardato !) dove si fermano i bus ci sono due posade, ma non le consideriamo per niente, anche se dal giardino due signore si sbracciano per suscitare la nostra attenzione.
La nostra prima scelta, dettata dalla consultazione della guida, é la posada gestita da una coppia di italiani. Purtroppo non riusciamo ad orientarci e per qualche minuto rimaniamo spaesati a guardarci intorno; poi Michele, chiede informazioni e non senza fatica riusciamo a scovare la posada in una delle vie interne, parallele alla strada principale.
Troviamo la posada, ma non l’alloggio !
Proseguiamo in cerca di un’altro hotel e ci imbattiamo nell’Hotel Caribana, che Michele si ricorda di aver visto su internet.
L’aspetto é molto bello e per curiosità chiediamo quanto costa una doppia; risposta : 20.000 bolivares a notte.
Saliamo a vedere la camera, che, pur se piccolina, risulta essere molto carina, curata e ben pulita; dotata di Tv via cavo e aria condizionata.
Decidiamo di prenderla, un pò per stanchezza, un pò per poca voglia di girare a cercare altri alloggi; inoltre Michele non si sente troppo in forma e tutto sommato non costa poi così tanto, visto l’ottima qualità offerta.
Il tempo di fare una doccia, che come sempre si trasforma in una sorta di pozione rigeneratrice, e di scoprire che la tv via cavo prende anche RAI Internetional e usciamo alla scoperta della piccola Chichiriviche.
Il centro é in espansione; probabilmente tra qualche anno sarà molto più turistico e organizzato di quanto i miei occhi non lo vedano oggi.
Percorriamo per una ventina di metri la strada di fronte all’Hotel Caribana e raggiungiamo la via principale (quella in costruzione); proprio all’incrocio ci sono dei telefoni con i quali si riesce perfettamente a parlare con l’Italia.
Giriamo a sinistra e scendiamo verso il mare giungendo sino al molo; sui lati della piccola strada ci sono, bar, ristoranti, hotel, e negozi.
Qui mi sembra che la gente sia più abituata alla presenza dei turisti e si sia organizzata per massimizzare il profitto della loro presenza.
Dal molo si vedono i quattro isolotti più vicini : Cajo Muerto, proprio di fronte; Cajo Sal sulla sinistra; Cajo Perazo sulla destra alle spalle di Cajo Muerto e infine il piccolo e deserto Cajo Pelon sempre sulla destra, ma di fianco a Cajo Muerto.
Non sono visibili i più lontani Cajo Borracho e Cajo Sombrero, che dovrebbero essere i più belli; anche gli altri però, seppur dal molo, mi sembrano molto caratteristici e invitanti.
Il neo di Chichiriviche é che non ha spiaggia; la sua fortuna sono i cajos, raggiungibili facilmente con le barche.
Chiaramente ogni spostamento ha un differente costo e la tariffa esposta al molo reca questi prezzi, chiaramente e necessariamente trattabili : – Cajo Muerto, 10.000 bolivares; – Cajo Sal, 10.000 bolivares; – Cajo Perazo, 15.000 bolivares; – Cajo Borracho, 25.000 bolivares; – Cajo Sombrero, 35.000 bolivares.
Il costo, chiaramente, si riferisce alla singola lancia, che può portare al massimo 8 persone; di conseguenza, più si é, meno si spende !
Dopo aver scattato qualche foto ci accomodiamo ai tavolini di un ristorante di fronte al molo, a sinistra della pescheria “El Caney del Mar”; qui prendiamo una birra e una pizza, che risulta dignitosa.
Michele non perde occasione per far pratica con lo spagnolo e in men che non si dica conosciamo il titolare del locale, Enrique Martinez, persona squisita e molto educata e il cameriere Weinar, simpatico e amichevole.
Da loro ricaviamo molte informazioni utili, conferme e qualche dritta per poterci muovere, non solo a Chichiriviche, ma anche nel prosequio del nostro viaggio.
La sera ceniamo in un ristorantino nel vicolo che porta al molo; io prendo un’arepa con cazon (squalo giovane), che risulta essere molto saporita, Michele a causa dei suoi disturbi, si deve invece accontentare di una zuppa di pesce, di cui non resta molto soddisfatto.
Dopo cena ritorniamo dal nostro “amico” Enrique con l’intenzione di prendere un caffè espresso; purtroppo ci dice che non lo fa, ma ci offre una tazzina di quello americano.

15 Gennaio 2002 – Cajo Sombrero.
Ci alziamo presto e andiamo al molo con l’intenzione di farci portare a Cajo Sombrero, ma certamente non a 35.000 bolivares; la nostra speranza é di trovare qualche altra persona che abbia lo stesso nostro programma, per poter dividere con loro il costo della lancia.
Purtroppo i soli turisti in giro siamo noi, quindi quando veniamo avvicinati da un pescatore che ci offre un passaggio, cominciamo a trattare; ci accordiamo così per 23.000 bolivares.
Seguiamo il nostro uomo all’ormeggio del barchito. Ci porta dalla parte sinistra del molo e ci chiede di aspettare davanti a casa sua.
Il motivo al momento non riesco a comprenderlo, ma quando, dopo una decina di minuti, ritorna portando un motore off-shore Yamaca 40 cavalli e una tanica di gasolio, tutto diventa chiaro.
Dopo averlo montato, ci invita a salire sul barchito, che non é poi così nuovo come ci aveva detto e neanche molto grande (8 metri); tuttavia non ne vedo di migliori, ne di più grandi.
Il cielo é coperto e nella direzione di Cajo Sombrero sembra sia prossima la pioggia; il mare é leggermente mosso e c’é una forte brezza, che mi solca il viso.
Chiediamo se ci sia rischio di pioggia; veniamo rassicurati sul contrario : speriamo bene !
Partiamo solcando onde robuste, che spezzate dalla bassa chiglia del barchito generano ingenti spruzzi; abbiamo il vento contro e in pochi minuti, mi ritrovo completamente bagnato.
Costeggiamo Cajo Muerto e il piccolo Cajo Pelon, che praticamente é un isolotto di sola sabbia, quindi prendiamo verso il mare aperto.
Le onde diventano ancora più alte e la lancia, spinta dal piccolo motore, fatica a solcarle e si dondola parecchio.
La costa é sempre alla nostra destra, non troppo lontana, Cajo Sombrero di fronte a noi, ma ancora non visibile.
All’improvviso, il motore cala di giri poiché il gasolio della tanica che si trovava a bordo evidentemente é finito; il pescatore sposta velocemente il sondino di gomma che pesca il combustibile nell’altra tanica, che ha imbarcato al momento della partenza e agisce sulla pompa, ma l’operazione difetta di velocità e il motore, inevitabilmente, si ferma.
I primi tentativi di riavviarlo falliscono miseramente.
Il pescatore si agita e impreca osservando freneticamente la costa e il mare aperto, quasi cercasse a vista qualcuno a cui chiedere aiuto, mentre la lancia, posizionatasi di fianco, subisce completamente l’ardore delle onde, dondolando paurosamente; l’adrenalina inizia a salire.
La preoccupazione viene smorzata dal rumore del motore che riparte, mi distendo per un attimo, ma solo un attimo, visto che al momento di dare gas, il motore nuovamente si spegne.
Questa scena si ripete per tre volte e per tre volte la speranza viene resa vana dal rantolo sordo del carburatore, che non riesce a tenere il minimo.
Anche il pescatore mi appare preoccupato o, per lo meno abbastanza arrabbiato, e nel suo incomprensibile farfugliare carpiamo le parole “…non abbiamo neanche i remi…”.
E’ il panico ! Do uno sguardo alla costa sulla mia destra e mi ricordo perfettamente di aver pensato : “ce la farò a nuotare sino là ?”.
Tuttavia questo pensiero é durato solo una frazione di secondo, neanche il tempo di averlo concepito, dato che il rumore del motore che ripartiva, l’ha cancellato con un veloce colpo di spugna.
In pochi secondi la lancia acquisisce la posizione migliore per solcare le onde e superato quel tratto di mare, in cui le correnti probabilmente sono più sostenute, in pochi minuti giungiamo in vista di Cajo Sombrero.
E’ difficile spiegare la sensazione che ho nel vedere questa piccola isoletta; é come vedere realizzato di fronte a me, il sogno del luogo, che nella mia mente mi sono costruito, tutte le volte che ho pensato : “…mi piacerebbe mollare tutto e andare su un’isola deserta…”.
La lancia ci lascia sul piccolo molo di legno, dove un pellicano se ne sta appollaiato; ci accordiamo per farci venire a prendere alle 16.30.
La spiaggia é vuota; ci siamo solo noi, anche se si intravedono tra le piccole palme basse alcune tende di campeggiatori.
Per poter accamparsi qui é necessario chiedere un permesso alle autorità del Parco Nazionale di Morrocoy, che richiede alcuni giorni per essere rilasciato.
Camminiamo lungo la baia dirigendoci verso sinistra e superato un piccolo promontorio, troviamo un’altra deliziosa baia a metà della quale stendiamo i nostri teli.
Ecco la fortuna di Chichiriviche, paese mediocre, che ha a pochi minuti di lancia il sogno caraibico più comune.
L’interno dell’isola é verde e ricco di vegetazione; questa sfuma e si attenua nel bianco della spiaggia, formata da sabbia fine e costellata di piccole palme basse, che giungono quasi sino a riva; il mare é di un azzurro tenue, che in pochi metri diventa di un blu profondo.
Di fronte, la vicina costa, ricca di vegetazione e priva di costruzioni, rende l’impatto visivo ancora più forte.
L’acqua ha una temperatura piacevole e già vicino a riva é possibile vedere molti pesci colorati
Il sole rende ancora più vivaci tutti questi colori e il dolce cullare delle onde rende formidabile ogni minuto trascorso qui.
Il tempo scorre lentamente, ma inesorabe giunge l’ora del ritorno; alle 16.30, puntuale, arriva la nostra lancia, che “crudelmente” ci riporta verso Chichiriviche.
Spinti dalle onde in poco più di 20 minuti siamo al molo; paghiamo quanto pattuito e ci accordiamo per il giorno successivo : 6.000 bolivares per andare a Cajo Muerto.
Verso le 18.00 usciamo e facciamo un bel giro perlustrativo di Chichiriviche; noto che c’é tutto e scopro che i negozi e gli hotel sono per la stragrande maggioranza gestiti da italiani.
In uno di questi, che vende souvenir di artigianato locale, troviamo anche le cartoline, le prime che vedo in Venezuela; chiaramente le compro (350 bolivares l’una) e scopro il motivo della loro rarità : vanno pagate anticipatamente !
E’ tutto il giorno che siamo digiuno, quindi per smorzare la fame ci prendiamo un’arepa col cazon; troviamo anche la Polar tercio, quella da 0,33 c.c., che beviamo con grande soddisfazione.
Messo qualcosina nello stomaco continuiamo il nostro giro e percorriamo il lungo mare verso destra; superiamo i due ristoranti che subito si incontrano, dove chiaramente ci invitano a sederci, oltrepassiamo il molo e la capitaneria di porto, giungendo sino al “Ristorante La Marina”, dove entriamo spinti dalla curiosità della presenza del forno a legna.
Una volta seduti, costatato che il forno c’é davvero, ordiniamo una pizza, che risulterà buona, grande, ma un pò troppo carica di mozzarella ! Unico neo del locale : ci portano la Polarcita !
Paghiamo il nostro conto, comprensivo del 10% per il servizio, consuetudine di tutti i ristoranti, che vi evita, o vi obbliga, a seconda del vostro punto di fista, di lasciare la mancia e torniamo in hotel.

16 Gennaio 2002 – Cajo Sal.
Ci alziamo verso le otto e ci avviamo verso il molo; veniamo fermati da un pescatore che ci offre un passaggio per Cajo Sombrero, dicendoci che ha già due persone…, peccato, se solo ci fosse capitato ieri, avremmo risparmiato !
Giunti al molo troviamo il “nostro” pescatore, con cui avevamo il puntello; ci dice di aspettarlo nello stesso posto del giorno prima e dopo 15 minuti ci viene a prendere con una lancia più piccola.
Nel frattempo abbiamo cambiato idea; invece che a Cajo Muerto, che si trova di fronte a noi, gli chiediamo di portarci a Cajo Sal, posto alla nostra sinistra.
Il viaggio dura meno di 5 minuti; ci accordiamo per il ritorno alle 17.30.
Anche Cajo Sal é molto carino, ma avere di fronte la costa con le case a vista, altera l’atmosfera caribana del luogo, ma quando ci si sdraia e si guarda verso l’alto il cielo azzurro tra le palme, tutto riacquista il suo fascino naturale.
La sabbia é molto chiara, le palme alte, l’acqua di un colore verde intenso; se ci si immerge, si va leggermente al largo e ci si girà a guardare l’isola, il quadro che si vede é veramente eccezionale.
Il sole picchia forte e già verso mezzogiorno, mi ritiro all’ombra delle palme, che in seguito lascerò soltanto per fare il bagno.
Verso le 14.00, attanagliati da un languore, trattiamo per un filetto di pesce, che portiamo via a 4.000 bolivares a testa.
Ci viene portato in un bel piatto, con patacones e riso e mangiarlo di fronte al mare, a pochi metri dall’acqua, sotto l’ombra di una palma, mi da una sensazione incredibile, anche perché é il 16 Gennaio !
Alle 17.30 riprendiamo la lancia e rientriamo; anche oggi é stata una giornata niente male.
Prima di andare a cena, ci rechiamo al punto internet di Chichiriviche, che si trova proprio di fronte all’Hotel Caribana; anche questo é gestito da un italiano, tanto per cambiare, e per 1.000 bolivares ci connettiamo per circa un’ora.
Consultiamo il sito della “Gazzetta”, diramiamo la formazione per il fantacalcio, guardiamo la nostra posta elettronica e inviamo qualche e-mail.
Sbrigate le nostre attività telematiche, andiamo a cenera al ristorante “El Caney del Mar”, dove ci facciamo fare un pescado alla griglia, per l’esattezza un pargo da 1/2 kg. a testa.
Purtroppo non rimaniamo troppo soddisfatti di quanto mangiamo, ma forse siamo un pò troppo severi; comunque non avanza niente !
Ci intratteniamo a parlare con Enrique e Weinar per circa un’ora, quindi andiamo a dormire, visto che domani ci sposteremo e sarà sicuramente dura.

17 Gennaio 2002 – Chichiriviche, Valencia, Maracay, P.to Colombia.
La mattina ci alziamo con calma e prima di lasciare la camera, andiamo in banca per prelevare.
Il “Banco Industrial de Venezuela” si trova sulla via principale di Chichiriviche, dopo la panetteria.
La procedura è molto più veloce di quella che abbiamo sperimentato a Coro; ci fanno comunque la foto, ma ci risparmiano l’impronta digitale !
Verso le 10.00 lasciamo il paese con una buseta diretta a Valencia; costo dello spostamento 2.500 bolivares.
Mentre ripercorro la lunga strada dritta che solca la laguna, non posso non ripensare ai due giorni passati; chissà se il Venezuela mi riserverà qualcosa di altrettanto bello.
Dopo una sosta intermedia a Tucacas, alle 12.15 arriviamo a Valencia; il bus ci lascia all’esterno del terminal della città, dove per entrare si devono pagare 200 bolivares.
Se non si hanno le monete, non c’é problema, visto che all’ingresso si possono cambiare.
Prendiamo un’altro autobus per Maracay; lo spostamento é breve, sono solo 50 km e ci costa 1.000 bolivares.
Con stupore noto che prima di salire ci fanno controllare da un addetto del terminal con il “metal detector”; questo tipo di controllo lo subisco solo qui.
In circa un’ora siamo a Maracay, dove come prima cosa ci informiamo sui pullman per Ciudad Bolivar; nostra intenzione é viaggiare di notte per raggiungerla e scopriamo con soddisfazione che ciò sarà possibile.
Sciolto questo dubbio, prendiamo la buseta per Choronì – P.to Colombia.
Il mezzo é veramente pittoresco; si tratta infatti di un vecchio scuolabus americano, la cui targa di fabbrica é ancora presente, personalizzato, non certo in modo sobrio, dal conducente con adesivi e una sorta di stoffa pelosa di colore rosso-blu.
Costo del biglietto 1.900 bolivares per percorrere i 60 km. che separano Maracay da P.to Colombia.
Il viaggio, però, é tutt’altro che breve; dura infatti circa 3 ore, dato che la buseta si deve arrampicare sul massiccio montuoso che domina la costa.
La strada é piena di tornanti, che necessitano, a volte, di due manovre per essere superati, stretta e incredibilmente affascinate, visto che solca la foresta tropicale, che come una spessa coperta ci avvolge letteralmente.
La buseta arranca faticosamente lungo la stretta strada, suonando ad ogni curva.
La vegetazione é eccezionale; bambù, palme, platani e piante tropicali sconosciute alle nostre latitudini sono tutte intorno a noi e culminano in un tripudio di selvaggio e di colori, che tocca tutte le tonalità del verde.
Finalmente la strada inizia a scendere e cominciano a vedersi le prime case, i primi aglomerati; non mancano le posade, alcune delle quali molto carine. Entriamo quindi a Choronì, splendido paesino, fato di case basse e colorate e in poco meno di 5 minuti siamo a P.to Colombia, dove c’é il capolinea della buseta.
Le tre ore del viaggio mi sono letteralmente volate.
P.to Colombia mi appare subito molto carina, ma anche turistica, visto che ovunque ci sono posade e si vedono girare persone chiaramente europee.
Cominciamo a cercare un posto dove dormire e seguendo le indicazioni per Playa Grande, andiamo verso il mare.
La prima posada che incontriamo, “Posada el pueblo”, ci chiede 25.000 bolivares a notte per una doppia con bagno.
Proseguiamo il nostro giro avvicinandoci sempre più al mare e ci imbattiamo, nella “Posada Lemmon Tree”, chiaramente nuova, dove ci chiedono 26.000 bolivares.
Di fronte a questa, veniamo attratti dal muro viola della “Posada el paesano”; qui una doppia con bagno in comune costa 12.000 bolivares.
La camera é poco sfarzosa, spoglia, ma dignitosa; inoltre mi piace molto la sorta di coorte in cui é ricavata, quindi accettiamo e prendiamo possesso della camera.
La posada é gestita dal “paesano” e suo nipote Rolando, molto simpatico e cordiale.
Ha solo 6 camere, tutte con il bagno in comune, uno maschile e uno femminile, poste sulla sinistra, all’interno di una piccola coorte, in cui centralmente c’é una sorta di giardino e sul lato opposto alle camere la cucina, dove Rolando e/o suo nonno preparano qualsiasi cosa si desideri, che può essere consumata tranquillamente, seduti ai tavoli posti di fronte alle camere.
Questo clima familiare, mi piace molto e mi trovo subito a mio agio.
Solo il tempo di sistemare gli zaini in stanza di fare una doccia e di cambiarci e siamo già in giro per P.to Colombia; il paesino é molto carino e sono impaziente di vedere la spiaggia.
Per raggiungere Playa Grande é necessario guadare il piccolo fiume, che costeggia il lato destro di P.to Colombia e alla cui foce é stato ricavato il molo.
Prima di giungere al mare si trova un ponte che consente comodamente di andare dall’altro lato del fiume, ma l’acqua é talmente bassa che si potrebbe passare a piedi. Qui inizia la strada che porta a Playa Grande.
Sulla destra si trovano, uno di fila all’altro alcuni piccoli ristoranti (uno dei quali gestito dallo stesso Rolando), che sono aperti solo durante il fine settimana, quando arrivano molte persone dalle città limitrofe per passare il week-end.
Percorsi 300/400 metri si arriva alla spiaggia, al cui ingresso sorge un ristorante abbastanza grande con tavoli all’aperto; quest’ultimo é sempre attivo e ogni volta che si passa, se non si é interessati a mangiare, bisogna rifiutare gli inviti dei camerieri, che tentano sempre di guadagnare un cliente.
Playa Grande è veramente eccezionale; finalmente una spiaggia caraibica a tutti gli effetti ! Ecco quello che si immagina quando si pensa al Sud America !
Costituita da una lunga baia di sabbia dorata, delimitata ai suoi lati da due massicci rocciosi, Playa Grande offre un colpo d’occhio spettacolare, con l’imponente vegetazione delle montagne che ha a ridosso e grazie alle altissime palme che ne caratterizzano tutto il perimetro.
La sabbia ha un colore beige brillante, che diventa più scuro sull’arenile bagnato dalle onde; il mare, di un verde tenue a riva e di un blu intenso al largo, é sempre leggermente mosso a causa del vento che senza sosta soffia verso terra.
Il rumore dei cavalloni che si susseguono regolarmente è una fantastica colonna sonora, anche se al lungo andare stressa un pò !
L’acqua ha una temperatura piacevole, ma le correnti sono molto forti e pericolose.
Lasciamo la spiaggia alle 17.45, ma prima di rientrare in paese, proviamo a chiamare casa dai telefoni che si trovano subito dopo il ristorante, ma non sono abilitati al servizio internazionale e il loro messaggio é chiaro : “servicio prohibido” !
Oltre il ponte ci sono altri 4 apparecchi, ma anche con questi non ci va meglio; la linea infatti riusciamo a prenderla, ma dall’altra parte non ci sentono e dopo alcuni tentativi andati a vuoto, rinunciamo.
Torniamo alla posada, dove, dopo esserci fatti una doccia, rimaniamo chiusi fuori dalla stanza; cose che capitano se lasci la chiave dentro e fai chiudere la porta ! Fortunatamente la chiave è sulla panca posta a ridosso della piccola finestra, così Michele e Rolando, armati di specchio e gancio, la recuperano come due perfetti ladri : a questo punto posso andare a vestirmi !
Decidiamo di mangiare qualcosa approfittando della cucina di Rolando e mai scelta fu più azzeccata; anche se la cucina e gli strumenti sono bruttini da vedere, il nostro “cuoco” venezuelano ci prepara un’ottima “empanada chipi-chipi” (con le vongole).
Mentre attendiamo il nostro spuntino, sorseggiando una polar, entra nel giardino della posada un ragazzo di colore, che per come si muove dovrebbe essere di casa, portando con se due tonnetti. In seguito scopriremo che é il cognato di Rolando.
Devo ammettere che rimango un pò turbato da come pulisce i due pesci : sul pavimento della posada !
L’imbarazzo è cancellato dall’arrivo delle empanade, che oltre all’aspetto, hanno anche un ottimo sapore.
Rimaniamo così soddisfatti che ci facciamo fare anche un’arepa con i calamari, con la quale un’altra polarcita é d’obbligo !
Nell’attesa parliamo con il nonno di Rolando, il “paesano” e apprendiamo che il mare di P.to Colombia è molto pescoso, ma i pescatori devono allontanarsi parecchio dalla costa.
Ci racconta anche che lui ricava dal fegato del tiburon un olio terapeutico, che cura l’asma.
Ce ne mostra una bottiglia; il contenuto é di colore marrone e ha un odore terribile, di pesce marcio !
Ci spiega che per ottenerlo é necessario che il fegato del tiburon sia bianco; se é nero, non é adatto alla produzione dell’olio.
Il fegato migliore è quello del tiburon cornuto, che consente di ricavare molte bottiglie di questo “medicinale”.
Dopo cena usciamo e facciamo un giro per il centro di P.to Colombia; i locali e i ristoranti sono tutti aperti, ma miseramente vuoti, visto che in giro ci sono solo i pochi turisti presenti, che si ritrovano inevitabilmente sul lungo mare.
Quest’ultimo è ben curato e la sera ci sono diversi venditori di collanine e braccialetti per tutti i gusti.
Incontriamo e conosciamo un ragazzo italiano, Michele di Bologna, con il quale scambiamo due chiacchere.
E’ alla fine del suo lungo viaggio che in due mesi l’ha portato in Ecuador, Bolivia, Perù, Colombia ed infine in Venezuela.
Dalle sue parole percepisco che non é poi così contento dei luoghi che ha visto e, come in seguito ammetterà anche lui, mi pare che sia rimasto impressionato favorevolmente, solo dal Perù.
Del Venezuela non parla sicuramente bene soprattutto per il costo eccessivo, rispetto agli altri paesi che ha visitato, per i posti che ha visto e per la mancanza di divertimento…
In alcune cose, le mie impressioni sono le stesse, ma sono solo pochi giorni che mi trovo qui e tutto dovrà essere rivisto alla fine del viaggio; solo allora avrò una percezione completa del luogo che ho visitato e potrò dare un giudizio globale sicuramente più obiettivo.
In questo momento non mi sento ne di salvare, ne di gettare nulla di quello che ho portato con me dai giorni scorsi; tutto sommato, però il mio giudizio é molto positivo…, ma forse quest’ultimo é dettato dalla grande voglia di scoprire, vedere, provare, che mi anima e per adesso quello che il Venezuela mi ha riservato, é sicuramente fantastico…

18 Gennaio 2002 – P.to Colombia e Choronì.
Ci alziamo presto, dopo una notte tranquilla in cui grazie alla zanzariera, che mi sono portato dietro, ho potuto dormire senza essere preda dei moschitos; devo ammettere che sono molto meno di quelli che mi aspettavo, ma per rovinarti il sonno anche solo uno é “bastante” !
Facciamo colazione alla posada, dove Rolando ci prepara un ottimo “criollo” (piatto con uovo fritto, fagioli neri, formaggio e due arepa piccole, il tutto accompagnato da caffè nero all’americana).
La posada é quasi piena e solo una camera singola é ancora disponibile.
Il cielo é leggermente coperto, quindi ne approfittiamo per andarcene un in giro alla scoperta del luogo in cui ci troviamo.
Rolando ci ha detto, che é possibile raggiungere la cima del promontorio che sovrasta il molo, dove é posta una croce e che da lì si vede tutta P.to Colombia.
Per raggiungere il posto basta oltrepassare il ponte che porta alla strada per Playa Grande e prendere il sentiero a sinistra, che costeggia il fiume, dove sono ormeggiate le barche dei pescatori.
Il cammino é leggermente ostacolato, ma fattibile e dopo una cinquantina di metri iniziano gli scalini, che conducono alla “Cruz”; da qui, in effetti, si ha un’ottima visuale su P.to Colombia.
Scattata qualche foto, torniamo sui nostri passi e, dopo aver provato inutilmente a chiamare casa, visto il perdurare delle nubi, ci dirigiamo a piedi verso Choronì.
Seguiamo la strada che ha fatto la buseta e che costeggia il fiume; il paesaggio é incredibile !
Altissimi gruppi di bambù, palme e una vegetazione con tutte le tonalità del verde si sviluppa su entrambi i lati della strada; mai visto niente del genere.
Choronì dista solo 3 km. da P.to Colombia e in breve tempo entriamo nel grazioso paesino, costituito interamente da piccole case basse, coloniali dipinte con sgargianti colori pastello.
Nella piazza della chiesa, di fronte alla prefettura ci sono altri due telefoni pubblici; provo a chiamare, ma il risultato é lo stesso di quelli che si trovano a P.to Colombia.
Il cielo torna sereno, quindi dopo la classica polarcita, torniamo verso P.to Colombia e raggiungiamo Playa Grande; sotto il sole, mi appare ancora più bella di quanto mi era sembrata il giorno prima.
Ad impressionarmi sono soprattutto le alte palme che la delimitano e il colore della sabbia; anche l’incredibile vegetazione delle montagne circostanti contribuisce a dipingere un quadro bello ed inusuale per i miei occhi, che mi rimarrà sicuramente nel cuore insieme alle altre immagini di questo viaggio, che si sta rivelando una fantastica esperienza.
Verso le 17.00 ritorniamo alla posada, non prima di aver fatto un’ulteriore tentativo di comunicare con casa, che si rivela nuovamente inutile; speriamo solo che i nostri genitori, comunicando fra loro, capiscano che le telefonate senza risposta sono le nostre.
Dopo la doccia, chiediamo a Rolando se ci può cucinare per cena del pesce.
La risposta é significativa : apre il frigo e ci mostra, quello che ha; scegliamo il bonito, visto che non l’abbiamo ancora assaggiato.
Per aspettare l’ora di cena andiamo sul “malecon”, dove tra contrattazioni e acquisti di collanine giungiamo trascorriamo un’oretta.
Ritorniamo alla posada, dove conosciamo Cecilia, la nonna di Rolando, che ci cucinerà il bonito.
Il piatto si rivelerà abbondante, con due bei tranci di pesce.
Il bonito é molto simile al tonno, come aspetto, ma il sapore é più vicino al pesce spada, con una carne molto saporita.
Assaggiamo anche un’altro pesce, che Rolando e i suoi parenti hanno cucinato per loro, il cataco, che é molto simile al nostro sarago.
Ci vorrebbe un buon caffè espresso per concludere degnamente questa cena, ma qui non sanno neanche cos’é il caffè all’italiana e ci dobbiamo accontentare del solito caffè lungo !
Nel frattempo inizia a piovere, ma la temperatura non cala di un grado.
La pioggia dura poco, così verso le 20.30 usciamo aspettandoci di trovare in giro un pò più di movimento, visto che è venerdì e i turisti locali del week-end dovrebbero essere già qui !
Il paese in effetti sembra più vivo, anche se forse la mia auto-convinzione di ciò, può aver influito su questo giudizio, soprattutto sul “malecon”; qui oltre ai soliti venditori di collanine, alcuni ragazzi del luogo si esibiscono con tamburi in canti tribali, di chiaro stampo africano.
Ritroviamo Michele di Bologna con il quale, con piacere, beviamo una polarcita e conosciamo altri quattro ragazzi di Rimini, che si avvalgono di una guida di eccezione; uno di loro, infatti, ha sposato una venezuelana e conosce molto bene il paese, o almeno così dice.
Chiaramente chiediamo informazioni sul Salto Angel, dove ci apprestiamo ad andare e purtroppo veniamo un pò disillusi su quanto riguarda i costi; dalle informazioni ricavate su internet, ci aspettavamo di pagare sui 200 $ per l’escursione, ma lui ci dice, che é un preventivo molto economico !
Al momento ci resto male, dato che non ho alcuna intenzione di spendere di più di quanto preventivato, ma poi a mente fredda, mi dico, anzi ci diciamo : “ma chi ha detto che quello che ci é stato detto sia la verità ?”; solo giunti a Ciudad Bolivar sapremo realmente se avremo la possibilità di vedere il famoso salto Angel e non prima.
Nella peggiore delle ipotesi, dirotteremo il nostro interesse su tour meno costosi, anche se mi scoccierebbe non poco arrivare così vicino alla cascata più alta al mondo e non poterla vedere.
Chiediamo anche del parco nazionale di Mochima e anche questo ci viene ridimensionato…; a questo punto decido che le impressioni di questo individuo non possono influenzarmi, anche perché ho capito qual’é il suo unico interesse…, le donne !
Il suo consiglio è di andare alle isole Los Roques, quindi passare il fine settimana a Merida ! Bel programmino, non c’é che dire, ma quanto costa ? e quanto del vero Venezuela c’é in tutto questo ? Molto meglio continuare a seguire la nostra tabella di marcia, che ci consentirà di vedere e apprezzare questo bellissimo paese.

19 Gennaio 2002 – P.to Colombia, Maracay, Ciudad Bolivar.
Ci alziamo presto e preparati gli zaini, li lasciamo alla posada (in cucina), liberando la camera nr.3 !
Andiamo in spiaggia e già dai primi passi verso Playa grande, mi rendo conto che c’è molta più gente dei giorni scorsi : il week-end é iniziato !
La strada che porta alla spiaggia é percorsa da molte macchine e altre se ne vedono parcheggiate; sono comparsi molti più ombrelloni, le persone sono tantissime e c’é addirittura il bagnino che vigila sui bagnati !
Ci spostiamo chiaramente verso destra, oltre la fine degli ombrelloni, sistemandoci in un posto meno affollato e più tranquillo.
Tuttavia la gente continua ad arrivare e ben presto anche la parte di spiaggia non attrezzata si popola di persone.
Verso le 14.30 lasciamo Playa Grande e ci fermiamo per mangiare al ristorante di Rolando, posto all’inizio della strada che porta alla spiaggia, prima del ponte; pranzo con enpanada al queso e polarcita.
Rientriamo alla posada e dopo una doccia siamo pronti per la partenza, non prima di aver conosciuto una nuova ospite della posada, una ragazza brasiliana, con cui parliamo di Costarica e Brasile.
Visto che è presto e Rolando é rientrato, ne approfitto per farmi preparare un “coco frio”, ovvero il succo del cocco non ancora maturo.
Particolare é la sua preparazione; con il macete viene praticato un foro sulla noce di cocco, da cui con la cannuccia se ne beve il succo. Il sapore é buono e il liquido dissetante.
Salutiamo nuovamente Rolando e raggiungiamo la fermata degli autobus di P.to Colombia; qui ci mettiamo in fila ad attendere la buseta che ci riporterà a Maracay.
L’ultima parte intorno alle 17.30, ma è necessario giungere alla fermata un pò prima, visto che le persone che la prendono sono diverse e se non si riesce a salire si é costretti ad utilizzare il taxi,che é molto più costoso.
Siamo tra i primi in fila e riusciamo a salire senza problemi sulla buseta, che lascia P.to Colombia alle 17.35; prezzo del biglietto 2.200 bolivares.
Il viaggio é molto più movimentato a causa del traffico sulla strada che porta a Maracay, dove giungiamo alle 19.30.
Qui acquistiamo un biglietto per Ciudad Bolivar con la compagnia “Los Llanos” per 14.000 bolivares; il pullman arriva in orario e parte come previsto alle 21.30 !
Come sempre l’aria condizionata é al massimo e dentro sembra di stare in un frigorifero; inoltre i posti che vi assegnano con il biglietto, raramente corrispondono a quelli che vi danno sul pullman e bisogna essere un pò elastici nell’accettare la collocazione offerta.
Assistiamo infatti ad una animata discussione tra l’autista ed una coppia, che protesta perché al posto indicato sul loro biglietto é seduta una ragazza con un enorme pupazzo di “titti” al suo fianco…; la discussione, dai toni accesi, va avanti per diverso tempo e riprende alla prima fermata in programma, sino a che alla coppia non viene assegnato un nuovo posto, migliore (a loro dire) di quello precedente.

20 Gennaio 2002 – Ciudad Bolivar, Canaima.
Alle 05.50 arriviamo a Ciudad Bolivar.
Usciamo dal terminal cittadino e proviamo a telefonare dai telefoni all’angolo della strada.
Miracolosamente Michele prende la linea e parla con Dino, a cui spiega i problemi che abbiamo incontrato a telefonare; successivamente dallo stesso telefono, provo io, ma non riesco a comunicare con l’Italia.
Decidiamo quindi di raggiungere il centro : dobbiamo infatti andare all’Hotel Caracas, per informarci sul costo del tour al Salto Angel.
La fermate della buseta, che porta al “Paseo”, ovvero la via che costeggia il fiume Orinoco, si trova sulla strada a destra rispetto all’uscita del terminal; costo del tragitto, 200 bolivares. Tempo di percorrenza, 10 minuti, a meno che non facciate come noi, che un pò addormentati, non abbiamo chiesto all’autista di lasciarci a destinazione, facendoci così due volte il giro !
Finalmente scendiamo davanti all’Hotel Caracas : sono le 06.45. In giro non c’é quasi nessuno e trovatomi sul Paseo, mi sembra di essere tornato indietro di 100 anni !
Purtroppo tutto é molto malandato e sporco e non mi entusiasma più di tanto.
Alle 07.00 entriamo all’Hotel Caracas, dove con grande stupore e contentezza scopriamo che il tour per il Salto Angel costa 200 $ per tre giorni, due notti, più 8.000 bolivares per l’accesso al Parco nazionale di Canaima, da pagare direttamente in loco; non credo alle mie orecchie, sono contento e soddisfatto.
Chiediamo quando é in programma la partenza del primo tour e scopriamo, che alle 08.00 ne parte uno ! Manca solo mezz’ora, ma non abbiamo dubbi, andiamo anche noi !
Paghiamo con i travell cheque rimasti e ci prepariamo.
Dato che lo zaino può essere lasciato al deposito bagagli dell’Hotel, allestisco solo lo zainetto; prendo due magliette, una delle quali a manica lunga, il k-way, le calze, mutande, un asciugamano, il repellente per le zanzare e il necessario per lavarmi.
Potrebbe sembrare poca roba, ma é sufficiente, visto che ho indosso il costume, che risulterà utilissimo, e i pantaloni lunghi; unico cosa utile non pervenuta, le ciabatte !
Il primo tratto di viaggio si svolge con l’immancabile buseta, ma tranquilli sono solo 4 ore ! Circa a metà viaggio, si sosta in un area di servizio, dove prendiamo un café negro, molto, ma molto forte, che ci sveglia definitivamente.
La buseta copre lo spostamento da Ciudad Bolivar a La Paragua, piccolo villaggio fatiscente, dove c’é, esclusivamente, un minuscolo aeroporto, da dove prendiamo un “cessna”, che in circa 20 minuti, ci porta a Canaima.
Mi permetto di spendere alcune righe sul volo che ho fatto, il primo con un aereo così piccolo…
Scesi all’aeroporto, mi ricordo di aver pensato : “quanti rottami di aereo, ma dove saranno quelli che dobbiamo prendere ?”, non ce ne erano altri !!!
Terrificante é la parola che rende meglio il mio stato d’animo…; tuttavia colto da raptus, appena chiamano quattro persone, con Michele mi faccio avanti e saliamo con due ragazzi canadesi sul primo “cessna”, pilotato dal capitano Jose F. Madriz, un incrocio tra il capitano Stubin di “Love Boat” e Sammy Davis Junior !
Il “cessna” ha i suoi annetti e li dimostra tutti; i sedili sono infatti sfondati, i vetri offuscati e le cuffie del capitano vengono tenute insieme dal nastro adesivo per pacchi…
Nonostante tutto questo, l’aereo decolla e atterra a Canaima senza problemi, se si eccettuano i numerosi vuoti d’area !
Giunti a Canaima, bisogna pagare il biglietto di ingresso al parco : costo, già noto, 8.000 bolivares.
Quindi si viene portati al proprio campo base; il nostro era quello della “Tiuna Tour”, la migliore per quello che riguarda il rapporto qualità, prezzo.
Qui mi sento in dovere di fare una precisazione importante : state bene attenti ai pacchetti viaggio che acquistate e diffidate dalle imitazioni !
Se volete essere sicuri di acquisire un tour al Salto Angel qualitativamente ottimo, rivolgetevi esclusivamente all’Hotel Caracas; non fidatevi di altre persone o agenzie, che vi offrono cose che poi non troverete, come lance singole, servizi migliori, ecc., magari a prezzi molto più alti.
Un tour al Salto Angel di tre giorni, due notti, con spostamenti, guide e pasti dalla partenza all’arrivo può costare dai 200 ai 350 $ a seconda della compagnia a cui ci si affida e del luogo da cui si viene. A Canaima ci sono solo tre compagnie che gestiscono i tour al Salto Angel : la “Tiuna Tour”, la “Canaima Tour” e la “Bernal Tour”.
L’Hotel Caracas, ve li può vendere tutti e tre; chiaramente la differenza sta nel prezzo.
La migliore come rapporto qualità-prezzo é la “Tiuna Tour”, che con 200 $ offre un buonissimo servizio.
Sappiate inoltre che i tour si acquistano esclusivamente all’interno dell’Hotel Caracas; se vi avvicinano alla stazione degli autobus dicendo di essere operatori, mostrando tesserini e/o biglietti da visita dell’Hotel e cercano di vendervi il tour, non fidatevi, perdereste i vostri soldi !
Andate direttamente all’Hotel Caracas e comprate il vostro tour da Francisco, sarete sicuri di trovarvi bene.
Torniamo ora a Canaima. Al campo base della Tiuna Tour ci viene subito servito il pranzo, quindi si viene assegnati alle guide.
In genere i gruppi sono formati da otto persone, il massimo che possono portare le lance e ad ogni gruppo é affidata una guida. Queste ultime sono molto professionali, parlano correttamente diverse lingue, tra cui l’italiano, e hanno contribuito in modo determinante a rendere il tour al Salto Angel indimenticabile; le nostre erano Joe e Francisco, due ragazzi preparati, simpatici e squisiti.
Prima di partire é necessario chiudere il proprio zaino in un sacco nero dell’immondizia, che vi viene fornito al campo, in modo che non si bagni durante il viaggio in lancia; anche per la macchina fotografica vi viene dato un piccolo sacchetto, prendetene due, vi torneranno comodi !
Vi consiglio di indossare il costume, i sandali e di portare con voi il k-way; tenete invece le scarpe (chiaramente e rigorosamente da ginnastica o meglio ancora da treking) con lo zaino all’asciutto, per la sera ed i giorni successivi.
Verso le due si parte per l’avventura. Con la propria guida si sale sulla lancia e si vanno a vedere i piccoli salti presenti nella laguna di Canaima, che sono nell’ordine : Ocaima, Golondrina, Wadaima, Hacha, Sapo, Sapito e Ara.
Dopo essere passati con la lancia di fronte ai primi quattro, si torna a terra e si prosegue a piedi alla volta dei restanti quattro.
Seguendo il sentiero, passiamo sotto il salto Sapo e andiamo a fare il bagno ai piedi del salto Sapito. Questo, probabilmente, é un privilegio di chi come me é stato in Venezuela a Gennaio, nella stagione secca; in estate infatti, con i fiumi gonfi, dubito che ciò sia possibile.
I salti sono magnifici e l’acqua é molto scura, sembra quasi te o coca-cola; non é fredda come pensavo fosse e farci il bagno é piacevole.
La natura circostante é incredibile; distese sconfinate di verde, molto simili alle scenografie di “Jurassic ParK”, da cui emergono maestosi i tepui, dall’inconfondibile forma rettangolare.
Ripresa la lancia, risaliamo il fiume Carrao per circa tre ore, non senza difficoltà; l’acqua bassa infatti, costringe il timoniere a spostarsi a destra e a sinistra del fiume per evitare le pietre.
La forma arrotondata della chiglia delle lance permette alle stesse di passare eventualmente indenne sulle rocce ma ne diminuisce la stabilità, quindi tutti sono chiamati a bilanciare il peso in modo da evitare che la lancia si capovolga.
In pochi minuti, ci si trova bagnati, perché le sponde della lancia sono basse e sovente si viene investiti dagli schizzi della prua; mettersi il più indietro possibile, vi renderà molto meno umido il viaggio.
Intorno alle 17.00 giungiamo al campo base intermedio della “Tiuna Tour”, dove passeremo la notte.
Il campo é ben organizzato, dotato di docce e servizi igienici e ad ognuno é assegnata un’amaca dove dormire !
Di fronte alle amache ci sono i tavoli dove vengono consumati i pasti, di buona qualità, ma non certo di abbondante quantità.
Oltre i tavoli c’é un piccolo prato con un sentiero, alla fine del quale si trova un tranquillo affluente del più ampio e agitato fiume Carrao; qui é possibile in alternativa alla doccia, lavarsi. E’ un’esperienza particolare, che vi consiglio di provare.
Il nostro gruppo é abbastanza omogeneo per età ed é formato da 15 elementi : oltre a me e Michele, unici italiani, ci sono Lisa e Russel americani di Washington D.C., Morten norvegese di Oslo, Tien signore di mezza età australiano, in seguito soprannominato “l’uomo ovunque” due canadesi, cinque inglesi, una coppia di coniugi tedeschi e due signore venezuelane.
Con Lisa e Russel leghiamo in modo particolare, anche perché Lisa avendo studiato un anno all’università di Bologna parla abbastanza bene l’italiano; anche con Morten comunichiamo abbastanza, ma in spagnolo.
Dopo la cena le guide ci spiegano cosa ci aspetterà il giorno dopo e il solo pensare a cosa faremo mi elettrizza; speriamo solo che sia una bella giornata.
Non resta che andare a riposare, ma dormire sull’amaca non é così semplice come si crede, soprattutto se non lo si é mai fatto; fortunatamente Michele ne ha ben due a casa e le ho già collaudate !
Inoltre mi ricordo perfettamente le dritte che mi ha dato e le metto subito in pratica. Sistemo la coperta che ci hanno fornitomi sul fondo dell’amaca come un lenzuolo, in modo da ripararmi dall’umidità che sale dal terreno, quindi mi posiziono in diagonale, così da non dormire con la schiena curva e con i lembi della coperta mi copro. Chiaramente sono vestito con calze, pantaloni lunghi e maglietta a maniche lunghe, visto che la sera la temperatura scende parecchio, rispetto al giorno.
In men che non si dica sono nel mondo dei sogni…
21 Gennaio 2002 – Salto Angel.
Durante la notte piove…; mi sveglio più volte e dopo le cinque non riprendo più sonno.
Alle 06.15 albeggia ed in pochi secondi é subito giorno; lentamente tutti si alzano e dopo la colazione siamo pronti per l’avventura.
La giornata é serena, il fiume é alto; condizioni perfette che ci consentono di abbassare ad un’ora e mezza il tempo del nostro spostamento con la lancia.
Se non avesse piovuto, come spesso accade nella stagione secca, ci sarebbe voluto molto più tempo : circa 4 ore ci confida Francisco.
Risaliamo il rio Carrao, sino ad incontrare il rio Chorun, nelle cui acque proseguiamo il nostro viaggio. La canoa fila veloce e a tratti si inclina paurosamente a causa dei repentini spostamenti verso destra e verso sinistra, che si rendono necessari per evitare le secche; é un’avventura nell’avventura !
Gli schizzi sono molto frequenti e copiosi, tanto che a volte sembrano vere e proprie secchiate d’acqua.
Indosso il K-way, come consigliato dalle stesse guide, una maglietta ed il costume, ma ho commesso un grosso errore; mi sono infatti messo le scarpe da tennis, che ormai sono inzuppate d’acqua !
Grossa stupidaggine, visto che si asciugheranno dopo giorni !
Consiglio utile : negli spostamenti in canoa, indossare sempre i sandali e portare le scarpe in un sacchetto di plastica; così facendo resteranno asciutte e potrete usarle tranquillamente per l’escursione e per i giorni successivi !
Anche la macchina fotografica é ben protetta in un doppio sacchetto di plastica; perdere le foto di questo viaggio sarebbe imperdonabile.
Lo scenario che mi circonda é incredibile; bello, selvaggio, incontaminato e affascinate. L’acqua del fiume ha un colore particolarissimo; sembra infatti tè, talmente é ambrata. Causa di ciò é il tannino contenuto nelle piante circostanti.
Dopo circa un’ora e mezza di lancia giungiamo al secondo campo base, dove al termine dell’escursione torneremo a mangiare; abbandoniamo le lance e lasciato il superfluo, proseguiamo l’escursione a piedi.
Tuttavia, tra le fronde degli alberi, da lontano, é già possibile vederlo. Maestoso, di fronte a noi si staglia il Salto Angel; un filo d’acqua ininterrotto, che si lancia dallo “Auyan Tepui”. Quasi mille metri di cascata…, la più alta al mondo.
L’ascesa sino ai piedi della cascata dura circa un’altra ora e mezza e si sviluppa completamente all’interno della foresta tropicale, seguendo uno stretto sentiero, costellato di radici e rocce, che forniscono dei gradini naturali, tanto comodi, quanto scivolosi.
La vegetazione che mi circonda é impressionante. La foresta é viva, sembra quasi che respiri, ne percepisci la presenza, la forza, la purezza; mi avvolge completamente e dopo pochi passi, la luce si attenua e il cielo svanisce tra le sue fronde.
Durante la prima ora di cammino il sentiero é agevole e di media pendenza; poi, però, nell’ultimo tratto, diviene ripido e impervio e i venti minuti finali dell’ascesa, per raggiungere il “mirador”, sono abbastanza impegnativi. E’ il preludio al clou della giornata…
Improvvisamente, infatti, usciti dalla boscaglia mi ritrovo di fronte a sua maestà il Salto Angel (in lingua locale, “kerepakupai mero”).
Non mi sono mai sentito così piccolo in vita mia…; é imponente, maestoso, immenso nel suo chilometro di salto.
Durante la stagione secca é costituito esclusivamente da una sola colonna d’acqua, ma in quella delle piogge, é formato da 14 grandi e 6 piccole e l’accesso al “mirador” é molto difficile e disagevole, visto che si viene letteralmente investiti dalla brezza generata dalla cascata.
Le foto che ho fatto non renderanno mai giustizia a questo prodigio della natura, che porta il nome del pilota inglese Jimmy Angel; riguardandole, mi rendo conto che la macchina fotografica, questa volta, non é stata in grado di ritrarre la bellezza di questo colosso; per riuscire a spiegare l’emozione che mi ha dato trovarmi lì, dovrei essere così bravo da descrivere la fatica, gli odori, i rumori, il clima e mille altre peculiarità, che hanno reso questa esperienza unica e indimenticabile.
Le emozioni non sono però finite qui; la stagione secca, infatti, ci riserva un’altro privilegio.
Torniamo sui nostri passi e scendiamo un poco, sino a giungere ad un laghetto, formato dall’acqua della cascata nel punto in cui si trasforma in ruscello e prosegue la sua discesa verso il rio Chorun. Qui é possibile fare il bagno…, ai piedi del Salto Angel !
Da questo punto di vista mi sembra ancora più affascinante; se lo si guarda per qualche minuto, ci si rende conto che non é una semplice cascata, visto che sotto l’effetto del vento, il suo aspetto cambia continuamente.
La discesa sembra molto più breve della salita, ma porta via un’oretta; giungiamo infatti alle 13.45 al campo, dove molto volentieri consumo il pranzo.
Verso le 15.00 riprendiamo la lancia e con un terzo in meno del tempo, raggiungiamo Aonda, dove passeremo nuovamente la notte.
Trascorro le ultime ore del pomeriggio al sole, che alle 17.30 sparisce. Ripeto l’esperienza del giorno prima, che mi é molto piaciuta e invece di usare le docce, mi lavo nelle acque del fiume.
La cena non si fa attendere molto e devo dire che l’accolgo con entusiasmo, vista la fame…; la cucina si conferma buona, ma la quantità é appena sufficiente !
Intorno alle 22.00, dopo esserci intrattenuti a parlare con Lisa, Russel, Tien e la coppia di tedeschi, dai quali apprendiamo, che Zanzibar é fattibile anche con il solo volo, raggiungo la mia amaca e buona notte a tutti…

22 Gennaio 2002 – Canaima, Ciudad Bolivar.
Sveglia alle 06.30 dopo una notte umida e freddina, colazione e partenza per il ritorno a Canaima.
Riprendiamo le lance e percorriamo a ritroso il rio Carrao; la lancia fila via veloce, favorita dalla corrente e in poco meno di un’ora e mezza siamo a destinazione.
Piccola passeggiata, costeggiando la laguna e la spiaggia di Canaima, quindi, dopo aver attraversato il villaggio della Canaima tour, Francisco ci accompagna all’aeroporto, dove scopriamo che il nostro rientro é fissato con il volo delle 14.30; sono solo le 11.30 !
Raggiungiamo il villaggio della Tiuna Tour, dove fatta una bella doccia, ci mettiamo pazientemente in attesa.
Fortunatamente non siamo soli; con noi ci sono infatti anche Lisa e Russel e coloro che hanno optato per il tour di 4 giorni.
Purtroppo per loro a Canaima c’é ben poco da fare e da vedere e il giorno aggiuntivo é più un supplizio, che un piacere; inoltre il cibo non é compreso !
Alle 12.45 pranziamo e facciamo una piacevole, quanto terrificante scoperta ! Lisa e Russel, a cui siamo abbinati per il viaggio di ritorno, sono venuti direttamente da Ciudad Bolivar in aereo, quindi, presumibilmente, anche il ritorno sarà uguale : mi aspetta un’ora di cessna !
Sono contento, perché evito le quattro ore di buseta, ma al tempo stesso preoccupato di come sopporterò l’ora di volo.
Alle 15.00 ci portano sulla pista, dove con piacere noto che il cessna é in condizioni molto migliori di quello che mi ha portato a Canaima da La Paragua; anche il capitano, sembra più serio e affidabile, anche se il pretesto per giustificare il ritardo di trenta minuti é un tantino allarmante : si é rotto un sacco di cemento durante l’atterraggio !
Il viaggio di ritorno si rivela tranquillo, anche se attraversiamo diversi nuvoloni carichi di pioggia; riesco anche ad addormentarmi.
Alle 16.00 atterriamo a Ciudad Bolivar, dove ci congediamo da Lisa e Russel.
Provo a chiamare casa dai telefoni dell’aeroporto, ma non si riesce a prendere la linea.
Un ragazzo peruviano che lavora per un’agenzia di viaggio, mi consiglia di chiamare da un telefono a pagamento; prendo la linea, ma la comunicazione è molto disturbata.
Usciti dall’aeroporto saliamo su una buseta per raggiungere il paseo, ma sbagliamo direzione. Quando ci accorgiamo di allontanarci dal centro scendiamo e per tornare l’Hotel Caracas, siamo costretti a prendere un taxi.
Sul paseo c’é moltissima gente; la città sembra molto viva, ma é solo la prima impressione !
Decidiamo di dormire all’Hotel Caracas, dove per una doppia spendiamo 7.000 bolivares; chiaramente le stanze sono consone alla spesa : usare il termine squallido é infatti un eufemismo !
La camera é buia, calda e con scarafaggi inclusi…; il bagno, senza porta, lascia molto a desiderare.
Bisogna davvero dire, che l’Hotel Caracas é ottimo, esclusivamente, come punto di riferimento per acquistare il tour al Salto Angel o, con la “Expediciones Dearuna”, i tour di 2/3/4 giorni nella Gran Sabana. Per quello che riguarda il pernottamento, stendiamo un velo pietoso; tuttavia, se dovete fermarvi solo una notte, il prezzo, così basso, lo rende interessante.
A Ciudad Bolivar l’umidità é impressionante; fa veramente molto caldo…
Quando usciamo, la gente comincia a diradarsi e dopo le 19.30 in giro non si vede più nessuno.
Percorriamo il Paseo per cercare un posto dove mangiare, ma quelli che vedo sono veramente poco invitanti. Nessuno di quelli in cui entro, mi fa una buona impressione, anzi mi sembrano tutti sporchi e improvvisati.
In generale tutta la città mi appare sporca e squallida, ma sarei poco obiettivo se non aggiungessi, che ho visto solo il paseo…; tuttavia, a mio modesto parere, se riuscite a non fermarvi, é la miglior cosa !
Anche qui i bancomat non ci consentono di prelevare con la carta di credito e l’unico modo di ottenere soldi é farsi fare un anticipo di contante; per fare questo, però, é necessario che la banca sia aperta !
Riusciamo a mangiare in un bar sul paseo a 500/600 metri a sinistra, uscendo dall’Hotel Caracas; il locale é molto carino e caratteristico, ma la qualità e quantità del cibo, appena sufficiente.
Sono abbastanza nervoso e devo ammettere che Ciudad Bolivar é il luogo più brutto che ho visto sino a questo momento in Venezuela; pensare che la guida ne parlava tanto bene…
Facciamo ritorno all’Hotel Caracas, dove sorseggiando l’immancabile polarcità, ci intratteniamo a parlare con Francisco, uno degli operatori da cui é possibile acquistare i vari tour. Ci chiede di scrivere qualcosa sul guest-book del Tour del Salto Angel e non ho difficoltà a farlo, visto che da questo punto di vista, e mi ripeto, mi sono trovato benissimo.
Facciamo conoscenza con Toni, un simpatico napoletano, che come noi, é in giro per il Venezuela con la moglie e il figlio di 2 anni.

23 Gennaio 2002 – Ciudad Bolivar, P.to La Cruz, Santa Fe.
La notte di Ciudad Bolivar é caratterizzata da un caldo umido opprimente e devo ammettere che dormo proprio male. Forse, però, molto dipende anche dalla pessima considerazione che ho maturato sulla stanza del Caracas !
Appena svegli ci rechiamo in banca per prelevare del contante. Andiamo al Banco de Venezuela, che si trova su una perpendicolare del Paseo, fatti trecento metri a sinistra usciti dall’hotel.
Apertura prevista per le 08.30; prendiamo quindi un café negro nel bar di fronte e poi ci mettiamo in coda con tutti gli altri.
Qui ci risparmiano la foto, ma la procedura per poter prendere 100.000 bolivares (equivalente di circa 150 euro) ci ruba comunque mezz’ora.
Pagata la stanza, usciamo dal Caracas, attraversiamo la strada e prendiamo la buseta per il terminal; in circa venti minuti siamo a destinazione.
Alle 10.00 arriva il pullman per P.to la Cruz, che quindici minuti dopo ci consente di lasciarci alle spalle la squallida Ciudad Bolivar. Costo del biglietto, 5.000 bolivares.
Verso le 14.30 arriviamo a Barcellona; da qui a P.to la Cruz la strada é breve, ma un inconveniente é in agguato : la superstrada é infatti interrotta a causa di una manifestazione !
Il pullman prende quindi una strada alternativa, ma comprensibilmente, c’é molto traffico, così per percorrere un tratto di pochi chilometri, ci impieghiamo più di un’ora ! Alle 15.47 entriamo nel Terminal di P.to la Cruz.
Per arrivare a Santa Fe, manca ancora uno spostamento, che é possibile fare con i “por puestos”, ovvero, furgoni da 10/12 posti, che partono solo quando sono pieni.
Si trovano facilmente, visto che sono parcheggiati lungo la strada, di fronte all’entrata del termianl.
Ci sono anche i telefoni della Cantv, quelli che funzionano molto raramente, almeno per ciò che riguarda il collegamento internazionale; provo quindi a chiamare e miracolosamente, riesco a parlare con l’Italia.
Verso le 17.00 il “por puestos” lascia P.to la Cruz e in circa 45 minuti raggiunge Santa Fe; costo dello spostamento 1.000 bolivares.
P.to la Cruz non mi fa una buona impressione, ma questo é soltanto un giudizio dato a pelle; in seguito scoprirò, per bocca di altre persone, che non avevo sbagliato per niente : é molto cara, rispetto al resto del Venezuela e brutta.
La strada che porta a Santa Fe, costeggia il litorale, che per il primo tratto non é per nulla invitante, visto che ci sono i cementifici e delle grosse navi ormeggiate al largo.
Abbandonata P.to la Cruz, però, il paesaggio ritorna particolarissimo e sotto di noi si susseguono piccole baie con graziose spiagge, tra le quali intravediamo Playa Colorada.
Giunti a Santa Fe il “por puestos” ci lascia quasi sulla spiaggia, dove si trovano le uniche posade del paese.
Leggendo la guida, abbiamo deciso di andare alla “Posada Bahia del Mar”, ma ci facciamo traviare da una signora che era sul “por puestos” con noi, che ci consiglia la “Posada Cafè del Mar”, la prima che si incontra sulla spiaggia, che fa anche da ristorante, dove lavora.
La stanza costa 8.000 bolivares e la prendiamo; é piccola e buia, ma pulita con un bagno spazioso, ma spartano.
Le stanze si trovano sul retro del ristorante e la posada ha due piani; a pianterreno, ci sono le stanze con letti singoli, meno curate e più economiche, al primo piano, le stanze con letti matrimoniali e al secondo una sorta di veranda con alcune vecchie sedie e due amache, dove comprata una bottiglia di ron e di coca, ci facciamo un bel cuba libre come aperitivo.
I tavoli del ristorante sono direttamente sulla sabbia della spiaggia, sotto un pergolato, di fronte al mare; l’atmosfera é molto bella, soprattutto, se penso che é fine Gennaio !
La sera ceniamo proprio qui, in maglietta, con i piedi nella sabbia; del resto non ci sono alternative, visto che a Santa Fe oltre a questo c’é solo un’altro ristorante, posto all’inizio della spiaggia, che però ha prezzi molto più alti.
La cucina si rivela ottima : prendiamo delle seppie all’aglio il cui sughetto é gustosissimo e ci invita all’italianissima “scarpetta” e un filetto di sierra alla plancia, dall’aspetto e dal sapore molto simile al pesce spada. Il tutto, chiaramente accompagnato da alcune polarsite ! Costo del tutto : 8.800 bolivares.
Mentre siamo al tavolo, sulla spiaggia rivediamo Toni, il napoletano conosciuto a Ciudad Bolivar, che ci dice di essere alla posada “Bahia del Mar”, di cui ci parla benissimo e ci invita a passarlo a trovare; chiaramente, anche per curiosità di vedere a cosa abbiamo rinunciato, dopo cena andiamo.
Seguiamo la spiaggia e dopo trecento metri troviamo la posada; gestita da una signora francese, l’impatto é subito molto positivo.
Attraverso un cancello, si passa infatti, dalla sabbia ad un grazioso giardino, ben curato. A destra, sotto un pergolato, c’é la cucina comune, due frigo e un gran tavolo a disposizione; ai pali di legno, che costituiscono il pergolato, penzolano due amache, che fanno molto ambiente. A sinistra c’é una doccia, dove ripulirsi della sabbia, rientrando dalla spiaggia e di fronte alcune sedie in pelle e due piccoli tavolini bassi.
Domandiamo se hanno una camera e visto che la risposta é affermativa, chiediamo di poterla vedere.
Le stanze si trovano, oltre che sul giardino, anche sul retro. Attraversiamo un piccolo corridoio e usciamo in un cortile; qui c’é un secondo edificio, che fa sempre parte della posada, dove a piano terra, c’é la lavanderia, al primo piano, altre due stanze.
Sono veramente molto carine, pulite, ben curate e nella loro essenzialità, graziosamente arredate.
La decisione può essere soltanto una : l’indomani verremo a prendere possesso della camera !

24 Gennaio 2002 – Santa Fe.
Ci alziamo di buon ora e lasciamo “El Cafè del Mar” per andare a prendere la stanza libera della posada “Bahia del Mar”; fortunatamente, nessun altro é arrivato nella notte, ne prima di noi la mattina, così la troviamo libera e per 10.000 bolivares a giorno, la prendiamo.
Nostra intenzione per la giornata é quella di fare il tour, organizzato dal proprietario del “Cafè del Mar” alle piccole isole Caracas.
Purtroppo, siamo solo io e Michele a voler fare l’escursione, e per solo due persone la barca non si muove; minimo “sindacale”, quattro elementi !
Nell’inutile attesa, conosciamo Sandro, un simpaticissimo ragazzo Argentino, con origini siciliane, ospite del “Cafè del Mar”, con cui passiamo il resto della giornata sulla spiaggia di Santa Fe.
Quest’ultima é abbastanza lunga, di sabbia beige e sufficientemente pulita; ci sono poche palme, ma in compenso su di essa si susseguono le posade.
C’é anche il telefono della “CanTv”, che Michele di Bologna, conosciuto a P.to Colombia, ci ha assicurato funzionare anche per le chiamate internazionali, ma nonostante provi diverse volte, non riesco a prendere la linea.
Sotto la posada “Sietes Delfines”, c’é un piccolo bar, che ha dei tavolini sulla spiaggia; chiaramente non possiamo, non approfittarne per sorseggiare una polarcita e conosciamo Giuseppe e Paola dell’Isola d’Elba.
Anche loro stanno girando il Venezuela, ma a differenza di me e Michele che ormai ci stiamo avviando a terminare la nostra avventura, Paola e Giuseppe hanno di fronte a loro ancora molti giorni, che spenderanno all’ Isla Margherita e a le fantastiche isole Los Roques.
Non sarei sincero se non ammettessi di invidiarli un pò, ma purtroppo il tempo a nostra disposizione era limitato e tutto sommato, sono contento delle scelte che abbiamo fatto.
Inevitabilmente il discorso cade sulle reciproche impressioni del paese e in generale sia noi, che loro abbiamo maturato la stessa idea del Venezuela : chiaramente positiva.
Parlare la propria lingua a volte può far piacere e il tempo scorre via senza che neanche ci si renda conto. Il tramonto così non tarda ad arrivare e obiettivamente, chiude una giornata molto tranquilla.
Tornati alla posada, la signora ci comunica che ci sono altri due ragazzi che vogliono unirsi a noi per l’escursione alle isole Arapo, Arapito e la piscina; la cosa ci fa molto piacere, visto che potremo tirare un pò sul prezzo e risparmiare qualcosina, che non é mai una brutta cosa !
Prima di raggiungere il “Café del Mar”, dove ceneremo in compagnia di Sandro, ci fermiamo a casa di William, il pescatore, che ci porterà a fare l’escursione, e Michele riesce nell’impresa di tirare sul prezzo : per il nostro “gruppo”, il costo sarà di 3.500 bolivares !
25 Gennaio 2002 – Arapo, Arapito e “la piscina”.
Sveglia di buon mattino e come prima cosa, spesa al mercato, visto che per l’intera giornata saremo fuori.
Sulla spiaggia incontriamo Morten, che è arrivato nella notte e anche lui si unisce a noi per l’escursione.
Provo nuovamente a chiamare casa, visto che dobbiamo confermare il volo di ritorno, ma il telefono della spiaggia non funziona. Proviamo quindi dall’altro apparecchio disponibile a Santa Fe, posto nel centro del paese, sulla strada, che porta alla carrettera, di fronte alla chiesa.
Dopo una breve coda, riesco a chiamare casa e affido a Roberta l’onere di confermare il volo; chiamo anche Cinzia e anche con lei non ci sono problemi di comunicazione : meno male !
Ritorniamo alla posada a recuperare gli altri componenti del gruppo e alle 10.00 ci rechiamo da William. A noi si sono aggiunti altri quattro ragazzi : una coppia francese e una italiana.
Dopo un breve colloquio, in cui William mette in chiaro che il gruppo raccolto da Michele pagherà 3.500 bolivares, come da accordi, mentre i nuovi arrivati 5.000, come da lui richiesto normalmente, lasciamo Santa Fe alla volta della piccola isola di Arapo.
La giornata é splendida, il mare tranquillo, e la barca di William fila via veloce, costeggiando la costa.
All’improvviso avvistiamo un branco di delfini, William dirige la barca verso di loro e per qualche minuto abbiamo l’opportunità di vederli da vicino, in libertà.
Sono fantastici, perfetti nei movimenti; solcano le onde eleganti e veloci e poi emergono in sincrono, mostrando per un breve istante la pinna dorsale.
Lasciamo a malincuore questi splendidi animali, i miei preferiti, e riprendiamo il nostro viaggio.
William ferma la barca tra l’isola di Arapo e Arapito, proprio di fronte ad un’altro minuscolo isolotto, su cui è presente una costruzione apparentemente disabitata da anni : questo luogo viene chiamato “la piscina” e qui facciamo il bagno.
L’acqua é limpida e chiarissima, e sul fondale é possibile vedere il corallo. Indosso la maschera e comincio a scrutare il fondale; é bellissimo, ricco di vita e di colori, non vorrei più uscire da questo piccolo gioiellino della natura, ma il nostro tour non finisce qui, purtroppo…
Risaliamo a bordo e ci rimettiamo in marcia; circumnavighiamo un piccolo scoglio roccioso su sui sono appollaiati moltissimi cormorani e rondini di mare, quindi William indirizza la prua verso la piccola isola Arapito e ci lascia sulla spiaggia; ci accordiamo per essere ripresi nel pomeriggio.
Stranamente vuole essere pagato subito e non al rientro a Santa Fe e, pur fidandomi del nostro pescatore, verso i miei 3.500 bolivares, con qualche remora !
L’isoletta é molto carina, con una piccola spiaggia di sabbia chiara e diverse palme a garantire riparo dal sole, che picchia non poco; ci sono anche due grosse iguane, che non sembrano affatto intimorite dalla nostra presenza.
L’acqua é di un azzurro intenso e il fondale è ricco di piccoli scogli, tra i quali nuotano moltissimi pesci colorati; sembra un acquario naturale.
Resto a mollo con la maschera per molto tempo, anche perché verso riva le onde accumulano una quantità impressionante di coralli e madrepore.
Sembra tutto normale, ma sono convinto, che tra qualche giorno, ripensandoci, sarà incredibile riflettere su dove mi trovavo !
Alle 15.30 William ritorna a prenderci; é un pò presto purtroppo, ma lo sbaglio è stato nostro a non aver indicato un’ora precisa per il rientro.
Il ritorno mi sembra molto più veloce dell’andata e in poco più di mezz’ora giungiamo sulla spiaggia di Santa Fe, da dove siamo partiti in mattinata.
Il sole è ancora alto, quindi ci prendiamo una fresca polarcita da Julio ai “Sietes Delfini”
Michele ne approfitta per chiedre quali siano le marche migliori di “ron” e Julio ci fornisci tre nomi sicuri : “Pampero Anniversario”, “Selecto” e “1860”, affermando però che il primo é il migliore in assoluto, da bere liscio.
Ci indica anche che possiamo trovare un negozio che vende liquori, dove comprarlo, situato all’icrocio con la carretera, che porta a P.to la Cruz.
Visto che é ancora presto, ne approfittiamo; torniamo infatti alla posada, ci cambiamo e ci dirigiamo sulla carrettera.
Prendiamo la scorciatoia che si trova alla fine della spiaggia, poche centinaia di metri a sinistra della posada e ripercorriamo a ritroso la carrettera verso l’incrocio con la strada che porta alla spiaggia.
Ecco la vera Santa Fe, non certo quella delle posade o del centro a ridosso della stessa; quella che vediamo è la parte vera, povera, spoglia e squallida…
Case in lamiera senza pavimento, bambini semi nudi che giocano con nulla, sporcizia e degrado; anche questo é il Venezuela, povertà e indigenza.
Dopo una camminata di dieci minuti arriviamo all’incrocio e di fronte al piccolo spiazzo dove sostano le busete e i por puestos, troviamo la distilleria.
Compro il Pampero Anniversario” e lo pago 5.000 bolivares; alla distilleria vicino al mercato ce ne avevano chiesti 6.500 !
Al momento mi sembra caro, ma fra qualche giorno in aeroporto cambierò idea, visto che lo vendono a 30 dollari !
Incontriamo l’autista del por puestos con cui siamo arrivati qui a Santa Fe e gli chiediamo a che ora parte il primo viaggio della mattina : ci conferma che già alle 05.00, “salgono” a P.to la Cruz.
La cosa ci rallegra e tranquillizza; potremo infatti sfruttare anche l’ultimo giorno a nostra disposizione e lasciare Santa Fe il 27 mattina per raggiungere Caracas.
Fatta la nostra spesa, scendiamo lungo la strada che conduce alla spiaggia di Santa Fe e noto che a differenza della zona ad essa adiacente, qui ci sono moltissime persone; il paese é vivo e frenetico.
Arrivati a ridosso della spiaggia, nella zona del mercato, la gente svanisce e si cominciano a vedere solo i pochi turisti presenti; incontriamo infatti Morten e Sandro seduti al Cafè del Mar !
Portiamo il “ron” alla posada, quindi raggiungiamo i nostri due compagni di viaggio per la cena.
Pazzesco, due italiani, un norvegese e un argentino, che comunicano tra loro fra spagnolo e inglese.
Dopo cena io e Michele andiamo a farci una polarcita nel barettino di fronte al mercato; qui i turisti non vengono volentieri di sera e infatti ci siamo solo noi due insieme alle persone del posto. Tutto appare tranquillo e per nulla pericoloso; beviamo la nostra birra e rientrimo alla posada : domani è il nostro ultimo giorno !
26 Gennaio 2002 – Playa Colorada.
Come sempre ci alziamo presto e dopo aver preso un pò di caffè alla posada ci rechiamo al mercato per comprare qualcosa per la giornata, che abbiamo intenzione di trascorrere a Playa Colorada.
Ne approfittiamo anche per telefonare a casa ed avere conferma che tutto sia a posto per il volo, ma non troviamo nessuno.
Al mercato compro anche un CD di merenge, ma il mio interlocutore non mi da margini per contrattare e finisco per pagarlo 2.000 bolivares.
Come abitudine prendo un litro di acqua (500 bolivares) e completo la colazione con una sorta di bombolone al formaggio, molto buono, che mi costa 350 bolivares (prosciutto e formaggio, 400 bolivares).
Recuperiamo Morten e prendiamo il por puestos per Playa Colorada : costo del viaggio 500 bolivares. Sandro non viene con noi, perché é rosso come un “camarones” !
Il tragitto sino a Playa Colorada é assai breve, circa 15 minuti e prima di giungervi abbiamo la fortuna di osservarla dall’alto della strada; appare molto carina, con la sua sabbia di un beige brillante e molto intenso e le alte palme a ridosso.
L’acqua é di un verde tenue e diventa subito profonda; ci sono vari locali a ridosso della spiaggia, dove poter bere e mangiare spendendo relativamente poco.
Purtroppo é sabato e oltre che pittoresca, Playa Colorada si rivela anche abbastanza affollata.
Incontriamo Paola e Giuseppe e con piacere passiamo il pomeriggio insieme a loro.
Alle 17.00 rientriamo a Santa Fe e riprovo a chiamare casa; questa volta trovo mamma, che mi ribadisce che il volo é confermato. Chiaramente, chiamo anche Cinzia.
Lasciamo la strada e prendiamo la spiaggia, ma prima di andare alla posada, ci beviamo l’ultima polarsita da Julio ai “Sietes Delfines” godendoci il tramonto : fantastico !
La sera ceniamo con tutti gli altri al “Cafè del Mar” : l’ultimo giorno é finito !
27 Gennaio 2002 – Santa Fe, P.to La Cruz, Caracas, partenza.
Ci svegliamo alle 05.15 e completato l’affardellamento dello zaino, lasciamo la posada “Baia del Mar”
In poco meno di 15 minuti attraversiamo la piccola Santa Fe che ancora dorme e raggiungiamo l’incrocio con la carrettera, dove troviamo subito un por puestos in partenza per P.to la Cruz; in un’ora e al prezzo di 1.000 bolivares raggiungiamo il terminal.
Qui prendiamo il primo pullman per Caracas della compagnia Los Llanos, che parte alle 07.30; costo del biglietto 10.000 bolivares.
Come al solito é bello e comodo, ma l’aria condizionata porta la temperatura interna a 4 C° !
Parte in orario e dopo una sosta, circa a metà del viaggio in una sorta di autogrill del luogo, tra l’altro caro come il fuoco, alle 12.45, giunge a Caracas.
Dal terminal in pochi minuti, percorrendo a ritroso la strada che già avevamo fatto 16 giorni prima, raggiungiamo la vicina fermata della metropolitana : “La bandera”.
Acquistiamo il biglietto, zona gialla, a 350 bolivares e dopo aver cambiato treno a “Plaza Venezuela” per prendere la linea, che va verso Pro Patria, scendiamo a “Gato Negro”.
La metropolitana conferma la buona impressione che mi aveva fatto al mio arrivo : é pulita, sicura, nuova, funzionale e architettonicamente uguale a quella di Milano.
Usciti, si trovano subito i pullman, che portano all’aeroporto; il costo del biglietto è di 2.500 bolivares e in poco meno di mezz’ora si giunge a Maquetia e si viene lasciati di fronte all’entrata dei voli internazionali.
Facciamo subito il check-in e scopriamo con piacere che il nostro biglietto comprende la tassa di espatrio, che bisogna corrispondere alla propria partenza dal Venezuela; tuttavia tale tassa é aumentata e di conseguenza, corrispondiamo solo la differenza : 11.000 bolivares (tale tassa dipende dal numero di giorni che ci si trattiene, per un periodo di 16 giorni, l’importo era di circa 24 dollari).
Spendiamo gli ultimi bolivares in aeroporto, dove non riusciamo a trovare i francobolli per le cartoline, che partiranno così dall’Italia !
In proposito vi consiglio di cercare appena possibile un Correos, ovvero un ufficio postale se volete inviarle dal Venezuela, altrimenti farete la mia fine !
Alle 16.55 ci imbarchiamo, molto mestamente e prendiamo posto sul nostro volo Alitalia, che in poco più di 8 ore e 30 minuti, ci riporta alla normalità di casa…, sino al prossimo viaggio !

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