Europa

Arcachon e Bordeaux

di Nigel Mansell –  

Avevamo programmato un viaggio diverso, ma per via di un fastidioso problema al soprassella, abbiamo dovuto rinunciare alle biciclette. Peccato perché era il posto ideale per le due ruote. 

Corriamo diritti fino al mare, poi costeggiamo tutta la Liguria sino a passare la frontiera, con difficoltà in realtà, all’ex controllo di Dogana è tutto bloccato. Riusciamo a uscire e riprendiamo l’autostrada a Mentone. Poi ancora fino a Béziers dove facciamo tappa. Perché il viaggio per noi è già la vacanza.

Non ho capito se ci ha fregato Booking o Ibis, (o ci siamo confusi), ma fatto sta che pensavamo di aver prenotato in centro e invece ci siamo trovati a Villeneuve de Béziers, in realtà un po’ lontanuccio. Ma va bene lo stesso: è il 14 luglio, Festa Nazionale, la Presa della Bastiglia, ecc. ecc. forse è meglio rimanere più defilati. C’è ancora paura ovunque per i recenti scontri, (possiamo ormai chiamarli etnici), tra giovani magrebini di prima, seconda, forse terza generazione, e la Police, scoppiati per l’uccisione da parte di un agente di un giovane francese di origine araba. Pare che la Gendarmerie, polizia a ordinamento militare paragonabile ai nostri Carabinieri, sia più tollerata perché è multietnica, e forse anche perché, proprio come i nostri Carabinieri è più presente nelle periferie piuttosto che nei centri metropolitani, e probabilmente è meno a contatto con le famigerate banlieue, mai integrate e continuo focolaio di disordini. Le autorità temono che si possano ripetere scontri, pertanto sono assolutamente vietati i tradizionali fuochi artificiali.

Qui invece nessuna agitazione o tensione di sorta, passiamo una serata davvero tranquilla, tra il centro storico e la cattedrale di Saint-Nazaire, dalla cui spianata possiamo ammirare la pianura sottostante, quasi fino al mare, (non così lontano), incluso il Pont Vieux. Scopriamo che la cosa migliore è prendere il menù del giorno, sono veramente delle azioni commerciali convenienti, e puoi assaggiare un po’ delle specialità locali, che magari alla carta non avresti scelto per non le conosci. Aspettiamo un po’ più del dovuto, ma non è un problema dobbiamo far passare la serata. Forse per scusarsi del ritardo, non lo capiamo, ci fanno pagare solo un menù, e quando andiamo via, tutto il personale continua a scusarsi. Boh!

Sorvolo riguardo l’Hotel Ibis Budget… però la colazione a buffet non è male, la si consuma in una sorta di giardino dietro l’edificio ricettivo.

Mangiamo i chilometri sulle autostrade francesi. Non posso che confermare la nota impressione: sono carissime e si paga continuamente; gli autogrill sono poi i soliti labirinti, sai come ci entri ma non sai più come uscirne. Mi chiedo, ma non possono venire in Italia a vedere come gestiamo la viabilità e copiarci? Sì ma mi rispondo da solo, in effetti quante cose sbagliate facciamo noi e invece basterebbe che copiassimo dall’estero soluzioni più che collaudate che funzionano benissimo?

Alla guida non è che i francesi siano più disciplinati di noi, ma essendoci frequenti e ben segnalati controlli della velocità, non sgarrano perché sanno che sarebbero certamente puniti. E poi i limiti sono coretti e puntuali, facili da rispettare, non è come da noi che ogni tanto qualche solerte impiegato comunale o dell’Anas piazza qua e là limiti di 10 chilometri all’ora. Poi è logico che nessuno ci fa più caso.

Comunque appena non controllati anche i francesi ne fanno di tutti i colori alla guida, sorpassano a destra, ti tagliano la strada, ecc. ma appena commetto io qualche leggerezza, forse perché scorgono la targa italiana, mi redarguiscono con puntuali colpi di clacson, una signora mi fa anche segno di no con il ditino a tergicristallo.

Quando arriviamo sulla Costa Atlantica di Arcachon, ci avvolge quella note luce lattiginosa, che smussa tutta le ombre, tipica dell’oceano. Fa freschino, non desideravamo altro dopo tutto il caldo che abbiamo patito. Noi stiamo a Le Moulleau-La Jetée, in una palazzina che sembra una vecchia pensione riattata ad appartamenti privati.

C’è molta, tantissima gente, e altrettante auto. Forse perché è un sabato che segue il 14 luglio e tutti hanno deciso di fare il ponte, così pare davvero che tutta Bordeaux si sia riversata qui. Di italiani invece non ce n’è, forse qualche spagnolo, ma meglio così.

A piedi sino ad Arcachon, certo sarebbe stato meglio in bici, qui è pieno di ciclabili. Ammiriamo ville ed edifici in genere dei primi del novecento, sono favolosi. Sicuramente il turismo è nato nella Belle Époque, spinto dalla ricca borghesia della vicina Bordeaux. Anche D’Annunzio per sfuggire ai debiti contratti in Italia, ci trascorse forzatamente una lunga villeggiatura, gli hanno pure intitolato una via.

Poi di improvviso, come sempre accade in tutte le città, le vie diventano di improvviso ricche e opulente, come se avessimo attraversato una linea invisibile. Grandi palazzoni ora le costeggiano con al pian terreno lussuosi negozi e locali eleganti e affollati, andandosi a sostituire a quelli fatiscenti, con locali pubblici falliti o chiusi per sempre, della periferia.

Il mare di Arcachon non è il massimo, perché è molto all’interno del bacino, ma le spiagge sono ampie e sabbiose e non affollate. Come facciamo di solito, per prima cosa visitiamo l’Ufficio Turistico, che in Francia non delude mai, con persone competenti e disponibili che ti riempiono di dépliant e riferimenti a siti internet esplicativi.

Incredibili le Dune du Pilat. Ci arriviamo da dietro, con il pullman che percorre la costa. Una volta sbarcati perché siamo a fine corsa, a piedi attraversiamo un bosco, riserva protetta, che cresce nella sabbia dietro le dune.

Poi, attraversata la vegetazione, eccole: tre chilometri circa, per almeno cento metri di altezza, di una massa enorme di sabbia, sembra di essere improvvisamente arrivati nel Sahara. Difficile salirci, tanto sono ripide, ma vediamo che c’è una sorta di scaletta, ci arrampichiamo. Euforico, una volta arrivato in cima, mi butto giù a tutta velocità verso l’oceano. Ma poi per risalire, sono dolori. Nella sabbia molto soffice ti affondano i piedi e allora la risalita diventa un’agonia.

Quattro chiacchiere con l’autista di uno dei bus che fa capolinea alle Dune. Qui sono molto più rilassati, tranquilli e disponibili, rispetto ai nostri. Si vede che li pagheranno meglio e hanno più tempo disponibile.

Le Moulleau è carissima: fare la spesa alla sera per poi mangiare a casa, diventa una necessità… ma anche un piacere, è bello rilassarsi, e magari passare direttamente al divano per appisolarsi davanti a incomprensibili film in lingua francese.

Anche oggi quattro passi sino ad Arcachon, che poi i quattro passi sono quattro chilometri… E’ molto rilassante “se promener” al mattino, quando pare che tutto il Bassin d’Arcachon fatichi ancora a risvegliarsi.

Facciamo una seconda colazione, succo di frutta e le loro favolose baguette farcite ad arte. Vediamo se mi ricordo bene, perché abbiamo fatto una scoperta: i francesi chiamano “Panini” le baguette imbottite che non sono dorate e devono essere riscaldate nei loro fornetti, mentre i “Sandwich” dovrebbero essere quelle croccanti e anch’esse traboccanti di ogni ben di dio.

Prendiamo poi la barca sino a Cap Ferret, che rimane esattamente di fronte a noi a Le Moulleau, quindi in pratica torniamo indietro via mare. Una volta scesi attraversiamo la stretta lingua di terra della Presqu’île de Lège-Cap Ferret, e ci portiamo sulla costa oceanica. Ci sarebbe anche un trenino che ti porta direttamente alla spiaggia. Prima un’occhiata alle Dune du Pilat che da qui possiamo ammirare in un colpo d’occhio, nella loro immensità, sono le più grandi d’Europa, e poi ci perdiamo nello spettacolo dell’Oceano. E’ irruento, capriccioso, selvaggio e indomabile. Da Le Moulleau, protetti dalla penisola, non lo si sente assolutamente, né si avverte la sua presenza. C’è un vento molto forte, che scopriamo essere una costante, che crea onde molto alte e pericolose. Le spiagge da questa parte della penisola sono lunghissime, e seppur molto frequentate, appaiano comunque come deserte. Piccoli tratti sono presidiati da gruppi di bagnini che girano sui pick-up per la spiaggia, gli altri sono lasciati alla discrezione di bagnanti con moltissimi avvisi di fare attenzione.

L’aperitivo qua è molto caro, e non è come in Italia: siamo abituati troppo bene. Non è previsto che ti portino qualcosa da sgranocchiare con il bere, così ogni volta rimani deluso. Ma lo prendiamo lo stesso, e ci tocca aggiungere delle tapas, che essendo vicino alla Spagna qui sono molto popolari.

Forse ho capito dov’è la villa di D’Annunzio. Non è troppo lontana da dove siamo noi. Ho trovato in rete delle fotografie dell’epoca, si vede il non ancora Vate, in barca e sullo sfondo la Presqu’île di Ferret, proprio lo stesso panorama che ammiro adesso io, quasi cent’anni dopo.

Chissà come sarebbe andata la Storia, se solo il Re avesse dato fiducia prima a lui, invece che poi al Duce… Se solo gli avesse permesso di sfogarsi a fare il Principe Dittatore a Fiume… Se avesse usato lui come deterrente contro i comunisti di cui i Savoia e tutta la borghesia italiana avevano una fottuta paura, invece di far poi finta di spaventarsi per una passeggiata di quattro pagliacci su Roma, e dare l’Italia in mano a quel pallone gonfiato. Di sicuro D’Annunzio non avrebbe mai permesso che ci alleassimo con la Germania Nazista, lui odiava i tedeschi, e forse saremmo rimasti neutrali come fece la Spagna…

Visitiamo la Ville d’Hiver di Arcachon con quei trenini turistici che tanto odio in Italia. In questo caso però, questo stupido trenino, che quando ti siedi sui suoi vagoni ti senti un deficiente e ti viene pure voglia di salutare con la manina quelli a terra, si è rivelato funzionale allo scopo. Una guida registrata, in francese, ci ha raccontato tutta la storia del nucleo storico di questo quartiere molto caratteristico di Arcachon, intanto il trenino faceva su e giù nella collinetta tra le bellissime ville. E poi, questo tour tra le residenze storiche, da soli, a piedi sotto il sole cocente, non lo avremmo mai fatto.

Sul trenino, vedendomi seduto in quei sedili striminziti, un bambino forse notando la mia sensazione di dabbenaggine, mi ha offerto il suo Doudou. E’ una sorta di marionetta in peluche da cui qui tutti i bambini francesi non si separano mai. Ho apprezzato il gesto ma ho dovuto gentilmente declinare il cortese dono.

La voce francese che esce dagli altoparlanti dei vagoni ci spiega. La Ville d’Hiver nacque in antitesi a quella d’estate che era dedicata alla pura villeggiatura estiva, come sviluppo ulteriore del nascente turismo europeo.

Poi va bè, qui poi si sono fatti prendere la mano, e hanno ribattezzato altre zone dell’abitato in Ville de Printemps e d’Autonne.

La Ville d’Hiver in sostanza era un sanatorio diffuso per i malati di TBC, dedicato alle aristocrazie del vecchio mondo e alla ricca borghesia continentale. Gli illustri ammalati venivano ricoverati in queste sontuose abitazioni che chiamarono chalet, così i degenti non erano costretti a sperarsi dai loro affetti e i medici passavano direttamente a casa loro per visitarli.

D’Annunzio si fece appunto un’amante pescando tra gli ospiti che lì si curavano.

Quando torniamo a piedi a Le Moulleau-La Jetée, camminiamo a piedi nudi sul bagnasciuga, è più ventilato e non ti accorgi del sole. La sabbia è più compatta, e non affondando con i piedi, si va più veloci e si fa meno fatica. La marea, dall’escursione comunque modesta, sta risalendo. Tutti sono presi dalla frenesia data dalle onde che li incalzano. I bambini ridono elettrizzati e si immergono in acqua per sfidarle, e i loro papà dietro. C’è una strana eccitazione al salire dell’acqua, che poi riscontreremo ogni sera.

Finalmente Bordeaux. Chissà quante volte l’ho nominata o sentita nominare, per riferirsi a un colore, a un vino… ma sì certamente anche per la splendida città che è.

Il centro è tutto pedonabile o percorribile in bicicletta, (ahimè). Il traffico è praticamente assente, se non fosse per i servizi necessari al funzionamento della città. Peraltro se ne occupano quasi esclusivamente mezzi elettrici. Infatti ci sono anche moltissime bici elettriche e con quelle ci fanno di tutto. Arrivano anche a trasportare piccoli cassonetti dell’immondizia. C’è anche un rasta, che con un velocipede elettrico e un grande carrello a rimorchio, come reca la scritta sulla fiancata, si occupa di piccoli traslochi. E’ infatti intento in uno di questi déménagement che lo vediamo sfrecciare tra le vie del centro storico.

Le chiese gotiche, che io trovo l’apice dell’architettura religiosa, sono come al solito uno spettacolo. Lo è anche il largo e placido fiume, la Gironda, che oggi, (o forse è sempre così), appare marrone dal fango. All’interno di quelle che forse dovevano essere le mura, ci sono decine di negozi e locali molto interessanti e caratteristici. Certo, ci sono anche le immancabili panetterie e pasticcerie, non si sa dove troveremo la forza per restarne distanti.

Qui la specialità sono i cannelés bordelais, piccoli dolcetti dall’impasto profumato di vaniglia e rum e dalla consistenza unica: croccanti all’esterno e morbidi all’interno. Cerco di farmi spiegare come si fanno, in teoria dovrebbe essere abbastanza semplice, ma poi dimentico tutto perché non sono appassionato di cucina, e non son neanche perché l’ho chiesto. Ne facciamo comunque una scorpacciata, si trovano anche ad Arcachon. In realtà preferiamo les Dunes Blanches tipiche di Cap Ferret che però si trovano in vari negozi, ad Arcachon, Le Moullet e anche qui a Bordeaux. Questi piccoli bignè pare siano di recentissima invenzione, si parla del 2007. Vengono realizzati al momento, a ciclo continuo nei riconoscibili negozi rivestiti in legno verniciato di azzurro. Una volta in bocca ti sorprende la loro sfoglia croccante farcita con una crema leggera e impalpabile, pare panna montata. Quasi impossibile non fiondarsi dentro questi negozietti il cui profumo riesce ad attirarti da lontano.

Le vigne arrivano quasi in città. Evitiamo l’itinerario enologico, non sono entrato in questa moda-ossessione, tra un po’ anche l’ultimo dei narigiat, quello che potrebbe frequentare solo il Mac Donald, pretenderà che il tavernello gli sia servito unicamente in un decanter per poterne apprezzare le qualità; tanto prima o poi finiranno per mescerlo anche nei fast-food. Il vino, al momento, per me rimane vino. Gli do il posto e l’importanza che gli ho sempre visto dare dai miei.

Ma non possiamo che perderci nello scattare fotografie ai giochi d’acqua e specchi del Mirroir d’Eau proprio davanti al municipio.

L’oceano ci è mancato, corriamo a rivederlo alla Plage du Grand Crohot, la spiaggia di Lège-Cap-Ferret. Ci divertiamo a saltare le onde dell’oceano che sono sempre molto alte. Poi ci riposiamo in spiaggia, sino a quando, come ogni sera, nonostante il sole sia sempre alto, il vento sempre presente, inizia a diventare gelido.

E’ morta Jane Birkin e tutta la Francia si è lasciata andare a una nostalgia inconsolabile. Ovunque, ma soprattutto in televisione, non si fa che parlare di lei e di Gaingsbourg. Mi pare però che si rimpianga la persona che era negli anni settanta e non la donna che era diventata e che faceva vita ritirata in Normandia. Io adoro sua figlia, Charlotte: ottima attrice.

Facciamo il sentiero dell’alfabeto o via delle dune, in tutto saranno 17 chilometri. Si arriva fino in fondo alla penisola di Cap Ferret, e poi per forza dobbiamo tornare indietro, per prendere la barca e ritraversare per Le Moulleau. Il sentiero percorre la punta finale, quella che si protende nell’oceano, parallela alle Dune du Pilat, la particolarità è che è costellato da quadri esplicativi in ordine alfabetico. Illustrano la storia e l’attualità della Presqu’île di Ferret e del Bassin di Arcachon formato dalla striscia di terra che argina l’oceano. Le maree, i venti e certamente anche l’uomo stanno erodendo la penisola. La punta è ora inaccessibile, perché si teme la progressiva erosione della costa. Infatti a lato della punta, verso l’oceano, nella splendida Plage de l’Horizon dove facciamo il bagno e riposiamo, si possono vedere gli effetti di questa erosione. I bunker in cemento armato costruiti dai tedeschi negli anni quaranta dello scorso secolo, per proteggersi da una possibile invasione alleata, sono stati ormai scalzati alle fondamenta dall’oceano. Ora giacciono quasi capovolti sul bagnasciuga e sembra che le onde se li possano prendere per portarseli al largo.

Ma tutta la penisola è in pericolo, e di conseguenza pure Arcachon. Si cerca quindi di consolidarla, soprattutto aiutando e favorendo la diffusione e la crescita della vegetazione. Per questo motivo enormi tratti della penisola non sono accessibili, si spera così di fermare l’erosione, che pare sia iniziata alla fine dell’ottocento, proprio quando il turismo ha iniziato a scoprire questa zona. Da lembo di sabbia demaniale la penisola e il bacino sono stati pian piano lottizzati e ora sono costellati da splendide costruzioni, ville e cabanne per la coltivazione delle ostriche o per l’osservazione degli uccelli, soprattutto quelli migratori, che pare facciano tappa qui, nel corso del loro lungo viaggio.

A Le-Moulleau facciamo vita da pensionati… vorrei dire. Ma a quelli di oggi, chi sta loro dietro? Ormai sono più attivi dei giovani, e tra pastiglie multivitaminiche, gerovital, creme per le articolazioni e pillole blu, hanno creato dei mostri iperattivi ai quali è impossibile tenere testa.

No, noi andiamo a letto presto, e ci svegliamo altrettanto presto, non più tardi delle sette. Subito scendo a prendere le brioches e i pains au chocolat. D’altronde la vita notturna di Le Moulleau è minimale e si svolge tutta in una via, tra l’altro molto corta, che inizia ai piedi della chiesa Notre Dame, su di una collinetta, e finisce alla Jettée. Si parla poi di due o tre locali, tra l’altro carissimi, dove un aperitivo, (come detto senza niente da mangiare), può arrivare a costarti anche 20 Euro.

Devo sempre precisare alla gente di parlarmi in francese, quando sentono che siamo stranieri a volte virano sull’inglese, che con la loro pronuncia diventa incomprensibile.

In questi giorni alla televisione francese, che guardiamo sempre alla mattina mentre facciamo colazione e alla sera mentre ceniamo, non si è fatto che parlare della “canicule”. Stranamente, avrei pensato il contrario, i toni sono molto più allarmisti di quelli italiani. Noi per fortuna, qui sull’Atlantico, grazie all’onnipresente brezza oceanica, siamo stati veramente bene.

Per il ritorno prendiamo la via del nord e ci fermiamo ad Annecy. Avevo qui dei lontani parenti, dei cugini di mio nonno, ma non so più che fine abbiano fatto, sicuramente saranno ormai morti, e con la loro progenie non ci siamo tenuti in contatto. Li chiamavamo Zozo e Ida, di più non so. Arrivavano ogni anno dai miei nonni con la loro imponente R25 dai fari gialli e ci portavano lo zucchero in zollette, introvabile ai tempi in Italia e la mostarda, che poi era la nostra senape.

Ho sempre sognato di visitare Annecy, soprattutto quando mi capitava di incrociare in rete le immagini del Palazzo dell’Isola. E Vanessa ha davvero pescato un Jolly, ha trovato una camera proprio lì di fronte, nell’Hotel Savoie. Molto, molto particolare, basti dire che l’entrata è condivisa con l’attigua chiesa di San Francesco.

Che poi… ma ai Savoia è davvero convenuto mollare questa bellissima regione ai piedi delle Alpi, per prendersi l’Italia? Secondo me, decisamente no!

Leggo che ancora a fine ottocento Torino era la capitale della Savoia e per questo aveva spedito in regalo alla città di Annecy una coppia di cigni in regalo.

Se la Storia non avesse seguito questo corso, forse al giorno d’oggi avremmo una sorta di Svizzera Savoiarda, con la Savoia appunto, il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Sardegna e forse pure Nizza e Mentone. E sempre forse, i Savoia regnerebbero ancora.

Alla sera, su una panchina, aspettiamo che si faccia notte, abbiamo paura che tutta la gente che passa sotto il nostro albergo, diretta verso il centro storico, non ci faccia dormire. Dobbiamo per forza tenere aperte le finestre, che danno una fantastica vista sulla piazza, perché siamo all’ultimo piano, sotto il tetto, e abbiamo trovato la camera in vero abbastanza calda; non c’è un impianto di condizionamento che possa migliorare la situazione.

Dei vecchi, come spesso fanno qui in Francia, improvvisano una partita di Petanque proprio sul lungo lago dove passeggia la gente. Non prestano poi molta attenzione ai passanti e bocciano al volo le sfere avversarie, non curandosi delle caviglie dei turisti.

Nell’isoletta sul lago, fitta di alberi, a ridosso della passeggiata, proiettano l’immagine di una casa degli spettri, veramente suggestiva e realistica.

Andiamo finalmente a dormire anche se qui nel centro di Annecy, invece che le 23,00 sembra mezzogiorno: proprio nessuno vuole andare a letto. Nonostante i nostri timori, il brusio e il chiacchiericcio di fondo che arriva su fino alle nostre finestre del secondo piano, non ci disturba ma ci culla meravigliosamente sino all’oblio.

Ci svegliamo molto presto, le vie e la piazza intorno al Palazzo dell’Isola sono completamente vuote. Solo i camion della nettezza urbana e quelli delle consegne si aggirano solitari, e i loro rumori rimbombano tra i palazzi.

Chiedo al concierge dell’albergo, un anziano e compassato uomo di colore, che sembra Morgan Freeman, notizie dell’albergo dove stiamo soggiornando. Non si fa pregare.

Era un vecchio monastero requisito durante la Rivoluzione Francese insieme all’annessa chiesa intitolata a San Francesco di Sales, una sorta di popstar in passato qui in Savoia e nella vicina Svizzera Romanda. Poi con la Restaurazione la chiesa è stata donata direttamente al Vaticano, qui si ritrovano i fedeli italiani di Annecy. Tuttora viene celebrata la messa in lingua italiana che viene gestita direttamente dal Papato. Suppongo che anche l’albergo abbia seguito più o meno lo stesso destino, perché il Freeman ci dice che non è possibile fare modifiche alla struttura, senza, certamente, un’autorizzazione governativa essendo un palazzo storico, ma occorre anche quella diretta di San Pietro in Roma.

Ma c’era anche un altro famoso monastero proprio nel mezzo del centro storico, che venne poi trasformato in una manifattura che divenne la più importante di Savoia, che sfruttava l’acqua del canale: è ancora visibile la condotta di prelievo.

Decidiamo di rientrare in Italia dal Piccolo San Bernardo, per evitare le code del Monte Bianco e soprattutto risparmiare i 52,00 Euro del pedaggio.

Costeggiamo tutto il Lago di Annecy fino a fondo lago, ammirando anche il Castello di Duingt. Poi tiriamo dritto sino a Bourg-Saint-Maurice dove iniziamo inevitabilmente a salire per raggiungere il Passo.

Quando arriviamo in cima, non posso nascondere una certa delusione. L’Ospizio che accoglie i viandanti, rispetto a quello del Gran San Bernardo è molto più dimesso, sarà per quello che questo l’hanno chiamato il Piccolo?

Visitando il museo, non posso non pensare a quando vigliaccamente, nel 1940, le truppe italiane cercarono di sfondare la frontiera di una Francia ormai in ginocchio. Il crapone diceva di aver bisogno di qualche morto per sedersi al tavolo delle trattative, ma le nostre truppe, impreparate e mal armate, furono comunque ricacciate indietro.

Avrebbe dovuto parteciparvi anche mio nonno, ma arrivato ad Aosta fu congedato perché aveva il padre che viveva in Francia.

Come potemmo attaccare un paese che ci è così affine, fatto di moltissima gente di origine italiana, con così tanti scambi di lavoro e culturali?

Che schifo che è la guerra e tutta la propaganda che l’accompagna per costringere gli uomini a battersi!

Scendiamo in un’Aosta infuocata… mangiamo… due passi… e torniamo a casa.

La vacanza è over.

In totale abbiamo percorso 2.610 chilometri, spendendo tra gasolio e autostrada 428,74 Euro. Abbiamo poi speso moltissimo in ristoranti e bar, molto nei due alberghi in cui abbiamo fatto tappa, nella norma invece per la casa di Le Moullet.

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Marco

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