Hola Patagonia

di Anna Marchisio e Marco Giovo –
Questo è uno di quei viaggi che progettavamo da tempo, poi per tante ragioni è sempre rimasta solo un’idea fino a quest’anno. Ci incuriosiva l’idea di vedere questi ampi spazi aperti, questa terra dominata dai venti e soprattutto l’imponenza delle Ande. Ho letto molto a riguardo, compreso il famoso ‘In Patagonia’ di Chatwin e non riuscivo ad immaginarmi più di tanto questa parte di mondo. L’organizzazione del viaggio non è stata difficile, gli Argentini sono molto cordiali e disponibili e anche in loco non ci sono state difficoltà di alcun genere.

L’inglese, al di fuori degli addetti ai lavori, non è molto conosciuto, ma lo spagnolo non è difficile da imparare. Muniti del preziosissimo frasario dell’Edt che ci ha fornito qualche rudimento di questa lingua siamo riusciti a cavarcela benissimo comunicando nella loro lingua. Personalmente, quando vado in un posto preferisco essere io a dovermi adattare piuttosto che ostinarmi a parlare italiano e pretendere che siano gli altri a capirci. In fondo gli ospiti siamo noi!. Ad El Calafate ho avuto modo di assistere ad una scena che mi ha parecchio infastidito. Cenando, una sera in un ristorante, entra una coppia sulla cinquantina. Si accomodano ad un tavolo e in tono di voce, nemmeno troppo contenuto la signora inizia a  dire ‘siamo italiani, siamo italiani’ e lo ripete parecchie volte. Il cameriere l’ha  guardata e la sua espressione diceva chiaramente ‘e con questo?’. L’osservazione mi è sembrata decisamente fuori luogo e di pessimo gusto, cosa pretendeva? Che il cameriere stendesse un tappetino rosso sul percorso del suo passaggio? Voleva un trattamento di favore? Che tirassero fuori un interprete dal cilindro? Beh.. a me è sembrato di cattivo gusto questo suo atteggiamento, soprattutto considerato poi che si è espressa rigorosamente in italiano pretendendo che il cameriere, che o aveva una scarsa propensione per le lingue o lo faceva di proposito, capisse alla lettera le sue istruzioni. Condivido pienamente l’atteggiamento del cameriere, avrei fatto lo stesso.

Comunque ribadisco, lo spagnolo è meno difficile di quello che si può pensare e i nostri sforzi per comunicare nella loro lingua sono sempre ben accolti.

Abbiamo anche avuto il ‘piacere’ di sperimentare la guida in Argentina. Beh.. abbiamo avuto modo di verificare che il codice stradale gli argentini lo usano solo per tenere in piano le gambe del tavolo perché ci pare proprio che nessuno si sia preso la briga di andare oltre alla lettura dell’indice.

Auto che sorpassano macchine ferme in centro strada per svoltare a sinistra, uso di frecce solo quando si ricordano, gente che mette fuori il braccino per segnalare una svolta, limiti di velocità ignorati,  per non parlare degli incroci dove la logica non è di casa, non si può dire che passi chi ha la precedenza e nemmeno il più grosso, passa il più furbo e il più veloce per gli altri non resta che aspettare e sperare di riuscire ad infilarsi. Non parliamo poi per i pedoni… non è salutare attraversare senza prima aver scrupolosamente verificato la reale possibilità di arrivare dall’altra parte della strada. Alle nonnine che in Italia si ostinano a camminare sempre dal lato della strada privo del marciapiede, quando dall’altra parte il comune  ne ha costruito uno con tutti i crismi che quasi ci passa un automobile, consiglio vivamente di provare la stessa esperienza in Argentina.

In città, le strade sono quasi tutte a senso unico. Essendo la piantina a scacchiera questo favorisce questo uso massiccio di sensi unici. Per sapere se una strada è a senso unico, poiché non sono segnalati come i nostri sensi unici, oltre alla già collaudata tecnica del vedere ‘in che direzione sono parcheggiate le auto’ è sufficiente guardare, ai lati della strada, il cartello con l’indicazione del nome della via. Sotto sono riportate due frecce (nei due sensi) se la strada è a doppio senso, altrimenti è riportata la freccia nella direzione di marcia della strada. I numeri presenti stanno ad indicare la numerazione civica delle case. E non c’è da spaventarsi per il loro ‘alto’ numero, la prima parte della numerazione ne  indica l’isolato.

Chiedere indicazioni poi è un vero spasso. Non è che si capisce mai bene dove ti vogliano mandare fatto sta che se chiedi l’ubicazione di un albergo ti sentirai rispondere ‘3 isolati dal centro’ indicazione precisa se fosse comprensiva della direzione in cui bisogna andare!

I prezzi, riportati in questo testo, se non diversamente indicato, sono espressi tutti in pesos ($). Vuoi per la crisi del economica del 2000 vuoi per il cambio favorevole (1€ è circa 3,5 Pesos) la Patagonia è una meta piuttosto economica. Gli effetti della crisi si vedono ancora. Non ho mai visto tante macchine così vecchie e così sgangherate, pezzi legati con il fil di ferro, veri e propri catorci. Certo le strade che si ritrovano non concedono certo una vita lunga alle loro auto e nemmeno la loro fantastica guida. E’ così i sobborghi delle cittadine, periferie fatte di baracche e degrado.
Sabato 28 gennaio 2006 Lasciamo Torino imbiancata da una bella nevicata mentre si prepara per l’imminente evento olimpico. Come se non fossero bastati una settimana di scioperi dell’Alitalia e del personale dell’aeroporto di Caselle, quando finalmente il traffico aereo ha ripreso a funzionare regolarmente la neve ha deciso di fare la sua comparsa bloccando il nord Italia!

Sabato mattina, facendo io parte della categoria di persone che aspetta sempre l’ultimo minuto per ogni cosa, preparavo le valigie con un occhio vigile all’esterno. E la neve continuava a cadere copiosamente, perfino gli sms scambiati con una mia collega di Torino, che mi aggiornava in tempo reale della situazione neve nella città non promettevano niente di buono. L’aeroporto comunque era in funzione e questo era ciò che contava.

Arrivati in aeroporto, con molto anticipo effettuiamo immediatamente il check-in. Sebbene con qualche ritardo trascurabile, a parte qualche eccezione, l’aeroporto funzionava normalmente. Ovviamente a noi è toccata un eccezione ed il ritardo prima trascurabile e diventato via via preoccupante, soprattutto alla luce del fatto che il tempo a disposizione a Roma non era molto. Più il tempo passava e più questo si riduceva. Il personale al cancello di imbarco rispondeva vago e talvolta scocciato alle richieste dei passeggeri. Ometto i commenti sul fatto che non era in grado di rispondere alla domande se l’aereo, che doveva arrivare da Roma, era o non era in volo. ‘Dovrebbe’ era la sua risposta… Un aereo non mi sembra un oggettino tanto piccino da passere inosservato! Comunque alla fine l’aereo  arriva e in poco tempo lascia Torino alla medesima ora in cui doveva atterrare a Roma… visto che non esiste il teletrasporto arriviamo a Roma che mancano meno di 10 minuti al decollo del volo per Buenos Aires. Anche se in teoria ci avrebbero aspettato cerchiamo di spostarci il più velocemente possibile. Consegno la mia carta d’imbarco e iniziano i problemi. Qualche fenomeno di addetto ha cancellato la mia prenotazione e ha assegnato il mio posto ad un altro passeggero. Inutile dire che le scuse della responsabile dell’imbarco non ci hanno fatto un baffo, soprattutto il suo tentativo di rimandare la partenza. Argomento assolutamente fuori discussione, considerato che l’errore era loro non vedo perché avrei dovuto rimetterci io. Lei insiste, l’aereo è al completo, ma io non cedo. Discutiamo per parecchio, sono le 22 di sera, siamo stanchi, non abbiamo ancora cenato e questo inghippo ci ha fatto andare su tutte le furie per cui non siamo affatto propensi a rinunciare ad un giorno del nostro viaggio per un errore commesso da un fenomeno di addetto. Alla fine, scende il pilota, e ci propone, sotto la sua responsabilità, di farmi viaggiare nei posti riservati al personale, comunemente detto ‘strapuntino’ o qualcosa del genere. In cambio mi avrebbero rimborsato il biglietto. Così alla fine saliamo sull’aereo e finalmente partiamo.

Domenica 29 gennaio 2006 – Buenos Aires

Dopo un viaggio che è stato meglio di come si era prospettato, a parte l’atterraggio che mi è toccato di sentire una conferenza sulle doti calcistiche di Totti da parte di uno stuart molto ‘romanista’ arriviamo a Buenos Aires dopo 14 ore di volo che sono circa le otto di mattina e il termometro già si avvicina ai trenta gradi.

Come se non bastasse il disagio della sera precedente, la nostra cara compagnia di bandiera ha ben pensato di aggiungere una ciliegina a questa già mal riuscita torta. Ha lasciato i nostri bagagli a Roma. Che dire… è abbastanza normale ‘perdere’ i propri bagagli ma insomma, doveva capitarci tutto con il medesimo volo!?! Comunque visto che già dovevo passare all’ufficio in loco dell’Alitalia per prendere il mio risarcimento, aggiungiamoci anche questo.

L’aeroporto di Ezeiza, da dove partono e arrivano tutti i voli internazionali dista circa 45 km dal centro della città. Le possibilità per raggiungerla sono molteplici, taxi, auto remises, bus. Noi scegliamo il bus della compagnia Manuel Tienda Leon (25$ a persona). Così muniti del nostro solo bagaglio a mano, i due zaini da usare per le nostre escursioni in montagna, ci avviamo in città.

Vuoi perché non siamo abituati a questo caldo, a Torino nevicava e le temperature erano sotto lo zero, vuoi per la stanchezza del viaggio ma camminare per le vie assolate della città e una fatica immane. Di gente in giro, comunque ce n’è poca, sarà perché è domenica sarà perché fa troppo caldo ma la città appare deserta, un po’ come Torino in agosto.

Raggiungiamo velocemente il nostro ostello e ci facciamo una doccia fresca. Facciamo un po’ il punto della situazione e la lista della spesa delle prime necessità. Fortuna che siamo vestiti a strati e che in un momento di ‘sanità mentale’ ho deciso di mettere negli zaini due paia di pantaloni leggeri. Sarebbe stato impossibile portare quelli invernali.

Il cuore di Buenos Aires è la zona denominata microcentro. Percorriamo la via pedonale via Florida ed arriviamo fino alla famosa Plaza De Mayo, conosciuta perché è stata teatro di moltissime proteste e lo è tutt’ora. Su questa piazza si affaccia la altrettanto famosa casa Rosada, dalle cui finestre si affacciavano Peron e la moglie Evita.

Per la via Florida un po’ di vita si anima, i negozi sono aperti ed entrare a vedere la merce è perfino piacevole, visto che sono quasi tutti dotati di aria condizionata. Ristoranti e locali distribuiscono pieghevoli che pubblicizzano cene o spettacoli.

Gironzoliamo così per la città  non tanto come turisti ma come semplici passeggiatori della domenica, arriviamo in Plaza della repubblica dove domina un altro obelisco e ci affacciamo su Av. 9 de Julio la via più larga al mondo, conta infatti 16 corsie e per essere sicuri che la guida non abbia detto una fregnacciata proviamo a contare le corsie. Lo sbalzo termico oltre alla stanchezza del viaggio inizia a farsi sentire, spesso ci fermiamo a riposare su qualche panchina all’ombra di qualche albero, non soffia un filino d’aria manco a pagarla.

Il traffico è poco, e la città sembra dormire. Ogni tanto agli angoli delle strade si vedono dei venditori di spremute d’arancia, con i loro banchetti aspettano fiduciosi i clienti.

Con l’avanzare della sera e il diminuire delle temperature la gente inizia a riempire le vie, ad affollare la strada e Buenos Aires acquista tutta la sua vivacità descritta dalle guide.

Per cena scegliamo di andare in uno dei locali di cui abbiamo ricevuto il pieghevole (El Gaucho – 28,10$) e ci mangiamo la nostra prima bistecca argentina. Spettacolare.

Passeggiamo ancora per la città e poi rientriamo in ostello (V&S Hostel). E’ stata una giornata molto lunga. L’ostello ha un piccolo balcone e un gruppo di ospiti intona canzoni con una chitarra. Per un po’ la cosa è anche piacevole ma poi diventa una lagna e visto che io volevo dormire gli avrei volentieri dato la chitarra sulla capoccia. La pala del ventilatore a soffitto ha girato tutta la notte ma il caldo di Buenos Aires non ci ha fatto rimpiangere di non aver previsto più giorni per questa città. Certo la nostra è stata una ‘toccata e fuga’ ma in questa stagione non può essere altrimenti. Se torneremo in inverno visiteremo meglio questa città.

Pernottamento: V&S Hostel -Viamonte 887 – Buenos Aires – Costo 85$ (doppia con bagno in camera – B&B)
 

Lunedì 30 gennaio 2006 – El Calafate

La sveglia suona presto, il nostro volo è alle 9 circa, quindi non abbiamo molto tempo da perdere. Velocemente facciamo colazione e scendiamo in strada ad attendere l’auto, una remises, che ci porterà dritto all’aeroporto di Ezeiza (costo 45$). Abbiamo tutto il tempo per andare con calma all’aeroporto ma l’autista corre che è una meraviglia. Ci sono i cartelli con i limiti di velocità ma abbiamo l’impressione che li consideri dei semplici numeri che abbelliscono la strada.

All’aeroporto scopriamo tristemente che i nostri bagagli sono ancora a Roma, così ci accordiamo con il personale dell’Alitalia affinché ce li spediscano direttamente in Patagonia. 
Il nostro volo per El Calafate parte puntuale, si tratta di uno dei pochi voli in partenza da Ezeiza, solitamente i voli cosiddetti ‘domestici’ partono tutti all’Aeroparque che è l’altro aeroporto di Buenos Aires. Per poco non lasciamo i nostri averi su una seggiola, Marco alzandosi non si accorge che il marsupio, con il portafoglio è rimasto li; ma un gentilissimo signore si accorge della dimenticanza e ci rincorre per consegnarcelo. Ci mancava solo più questo!

Il volo è tranquillo e arriviamo a El Calafate verso l’ora di pranzo. L’aeroporto di El Calafate è proprio piccolo, ma dotato di tutto quello che serve, è una struttura piuttosto recente in mezzo al nulla ad una quindicina di chilometri dalla città. El Calafate non vanta certo un traffico aereo molto intenso pertanto alle 17 l’aeroporto chiude. Questo significa che domani, sempre se i bagagli arrivano, dovremmo essere qui entro l’orario di chiusura per effettuarne il ritiro.

Il paesaggio che abbiamo intorno ricorda per molti aspetti la Namibia. Mi aspettavo una terra desolata ma non così arida. Se non si guarda in direzione delle Ande la sensazione è proprio quella di un arido paesaggio africano, le tonalità, i colori sono gli stessi, sfumature di giallo fino al marrone, distese terrose con arbusti secchi sparsi qua e la, non so perché ma mi aspetto da un momento all’altro di vedere sbucare una giraffa o un antilope.

Il tizio dell’Avis che ci deve consegnare l’auto che abbiamo prenotato è in ritardo. Veramente mi sorge anche il dubbio di non aver capito bene il luogo del noleggio ma alla fine, tutto trafelato arriva. Le ditte di noleggio, in questi aeroporti hanno solamente l’insegna, gli uffici sono in città e anche qui talvolta si limitano ad essere semplici scrivanie nell’ambito di un altro esercizio commerciale (agenzie viaggio). Gli addetti vengono a portarti e a ritirare l’auto all’aeroporto se questo era stato concordato in anticipo. Il nostro addetto è un ragazzo molto giovane, che in un perfetto inglese ci spiega che l’auto da noi prenotata ce la può consegnare solo dopo le 17 e provvisoriamente ce ne assegna un’altra.  Tutto questo, aggiunto al fatto che dobbiamo organizzarci per recuperare, forse, i nostri bagagli ci scombussola un po’ i piani. Avevamo prenotato questa e le successive notti ad El Chalten, che dista 220 km di strada sterrata da El Calafate. Di contro, i chilometri fatti con quest’auto non ci verranno conteggiati (n.d.r. i noleggi in Argentina sono quasi tutti a chilometraggio limitato).

Un po’ stufi di tutte queste disavventure andiamo in città a cercare un locale per fare pranzo e decidere il da farsi. Se non arrivano i nostri bagagli è un casino fare trekking, i miei scarponi sono nelle valigie e non solo quelli, per cui domani è fuori discussione andare a camminare.

El Calafate è una cittadina carina, il suo centro è molto vivace e ricco di esercizi commerciali, fondamentalmente tutto si trova lungo la via principale alberata che attraversa il centro. Il cartello all’ingresso della città la definisce la capitale dei ghiacciai. E’ infatti la città più vicina al famoso ghiacciaio Perito Moreno (circa 80 km) e alla parte meridionale del Parque nacional Los Graciares.  El Calafate si affaccia sulle sponde dell’immenso lago Argentino, circa 1600 kmq, che ne fanno il più grosso lago del paese.

Mentre passeggiamo per la strada principale brulicante di persone e di negozi, mi viene una di quelle pensate che uno si stupisce da solo di averle fatte. Pensata tra l’altro ovvia, perché complicarci la vita ad andare avanti e indietro per queste strade sterrate basta invertire la prenotazione per la notte e modificare leggermente l’itinerario. Così ci rechiamo subito al B&B (Casa de Grillos) dove abbiamo prenotato alcune notti e fortuna nostra, hanno una camera disponibile per la notte. I proprietari sono veramente molto gentili, una coppia di anziani molto cordiale e socievole. La casa del Grillo è una bella casetta in una zona tranquilla fuori dal centro cittadino a pochi passi dalla Laguna Nimez, un’area naturale in cui è possibile osservare gli uccelli nel loro habitat. La nostra camera è molto bella e il bagno è molto spazioso. Non potevamo fare una scelta migliore.

Risolto il problema della notte passiamo alla fase due del piano… telefonare all’hosteria di El Chalten per disdire la prima notte. Impresa non proprio semplice visto che il numero di telefono che mi sono segnata è sbagliato (e ti pareva) e sull’elenco del telefono non si trova il numero. Fortuna che ci sono gli internet cafè e che questa hosteria l’ho rimediata gironzolando per internet. La tizia parla solo spagnolo così con le mie misere conoscenze della lingua cerco di farmi capire, soprattutto cerco di farle capire che non disdico tutta la prenotazione ma solo la prima notte. Continua a ripetermi ‘no problema no problema’, speriamo che abbia capito.

Risolto questo problema pratico passiamo il resto del pomeriggio a gironzolare per la città e a fare qualche shopping, compriamo anche delle cartine utili nei prossimi girmi per le camminate che faremo.

Ci rechiamo anche alla sede della Chalten Travel per prenotare l’escursione in Cile. Alla fine, dopo tanto informarci e tanto pensare, abbiamo deciso di ricorrere ad un escursione di un giorno per visitare il Parque Nacional Torres del Paine in Cile. Il costo dell’escursione è di 186$ a persona. Comprende il viaggio in pullman e la visita guidata al parco. Certo, una cosa da comitiva ma non si può fare diversamente.

Per cena scegliamo un ristorante (La Cocina – 31,50$) lungo la via principale e per rallegrarci ci concediamo anche il dolce, tutto sommato la nostra vacanza è iniziata e anche se abbiamo avuto qualche intoppo per ora siamo riusciti a non farci rovinare la vacanza da tutti questi inconvenienti. Il vento, che ha soffiato incessantemente per tutto il giorno, con il calare del sole è aumentato. L’aria è fresca e si sta bene con la maglia.
 
Pernottamento: Casa de Grillos – Pasaje Las Bandurrias s/n – El Calafate – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)

 
Martedì 31 gennaio 2006 – Glaciar Perito Moreno

Iniziamo subito la giornata con una colazione spettacolare. Marta, la proprietaria del B&B prepara le torte e le marmellate offerte a colazione lei stessa. La torta di mele di questa mattina è semplicemente sublime. Marco è soddisfattissimo della colazione, lui che ama la colazione dolce e non salata dice di avere trovato finalmente un paese che ‘sa fare colazione’. Assaggiamo per la prima volta la marmellata di ‘Calafate’, un frutto che cresce in questa terra. Assomiglia ad un mirtillo, stesso colore e stessa forma, cresce su rovi spinosi ma il sapore è diverso.
Il programma per la giornata prevede la visita al famoso ghiacciaio Perito Moreno, poi, forse recupereremo i bagagli e ci sposteremo a El Chalten per la sera.

Il ghiacciaio dista a 80 km alla città. Per chi non dispone di un auto propria ci sono degli autobus o delle escursioni organizzate. Il tragitto costeggia inizialmente il lago Argentino, maestoso e immenso. Lungo la strada si possono osservare lepri e piccoli rapaci ed altri uccelli, raramente qualche guanaco. Il percorso è in parte asfaltato e in parte sterrato, la parte sterrata è anche oggetto di lavori stradali per cui la percorrenza del tratto di strada è piuttosto noiosa.

Finalmente arriviamo al ghiacciaio… è presto e non c’è ancora tanta gente. Il costo dell’ingresso nel parco è di 30$ a persona.  Il ghiacciaio Perito Moreno più semplicemente glaciar Moreno è forse il solo, così dicono, ghiacciaio al mondo in continuo avanzamento. Nella zona vi sono altri ghiacciai, quali il ghiacciaio Upsula, che sebbene sia più esteso del glaciar Moreno risulta essere meno spettacolare ed il glaciar Onelli, siti nel braccio nord del Lago Argentino. Questi ghiacciai sono raggiungibili sono in barca con gite della durata di una giornata.

Il ghiacciaio, la sua imponenza sono spettacolari. Di tanto in tanto si sentono i tonfi di qualche pezzo che cade nell’acqua. La sua maestosità è impressionante. Ci sono diverse passerelle e livelli di balconate per vedere il ghiaccio che è posto esattamente di fronte allo spettatore. La sua altezza supera i 50 metri e alla base è piuttosto crepacciato. Il ghiaccio che si stacca dal ghiacciaio va ad alimentare le acque dell’immenso lago Argentino.

Ai piedi del ghiacciaio, su una piccola piattaforma di pietra, una mamma volpe con i suoi due cuccioli si godono il sole. Ma pochi si accorgono della sua presenza, il colore mimetico con la pietra e il fatto di trovarsi davanti ad uno spettacolo naturale di così grande maestosità fa si che la sua presenza venga quasi ignorata alla maggior parte dei presenti.

A vedere questo ghiacciaio ci vengono proprio tutti. Basta osservare la variegata presenza umana che c’è. C’è perfino un gruppo di italiane di una nota organizzazione di viaggi. Sedute, con la schiena rivolta al ghiacciaio, si lamentano della scelta di alcuni loro compagni di rimanere più del necessario in questo posto, e progettano di andarsene a cercare un bar, si stanno annoiando. A volte la gente va in giro per il mondo per poter dire di esserci andata, fa una bella fotografia per i parenti e poi tutto il resto non ha importanza. Mi spiace per loro, ma se il loro primo pensiero è di andare al bar piuttosto che rimanere li a godersi questo spettacolo, tanto valeva restarsene a casa a sfogliare un catalogo! Questo non vuol dire che gli italiani siano peggio degli altri, e che gli altri non capisco cosa dicono quindi non posso commentare. Ma questi atteggiamenti mi infastidiscono parecchio, se non ti piace e non ti interessa avevi solo da startene a casa così non affollavi tanto questo posto.

Con l’aumentare delle temperature, verso l’ora di pranzo, le cadute di ghiaccio, giustamente aumentano. Alzando lo sguardo al cielo Marco scova due Condor che volano. Felice come un bambino quando riceve un gioco nuovo, inizia il servizio fotografico ai due volatili, fortuna che abbiamo portato le macchine digitali, altrimenti ci toccava di fare un mutuo dal fotografo per pagarne lo sviluppo!

Nel pomeriggio passiamo a ritirare i bagagli all’aeroporto e ci dirigiamo verso El Chalten. Percorriamo un tratto della famosa ruta 40, la strada che attraversa la Patagonia da sud a nord lungo le Ande. Lungo la strada si incontrano, oltre a dei guanachi anche dei nandù. Sono degli struzzi un po’ più piccoli ma stupidi uguale. Ci sono tantissimi recinti che segnano i confini tra le varie proprietà ed estancie; questi animali ogni tanto trovano un punto di uscita e poi non riescono più a trovare la strada per tornare indietro. Stupidamente infilano la testa tra i fili della recinzione ma non riescono a passare dall’altra parte perché non arrivano a pensare che semplicemente alzando la gamba riuscirebbero a far passare anche il resto del corpo, poveretti! Così ne vediamo parecchi correre affannati lungo i recinti in cerca di un qualche passaggio.

Il territorio è proprio arido e questa zona che ricorda la Namibia in tutto e per tutto, per i suoi colori, i suoi arbusti secchi, conserva un suo fascino particolare. La strada costeggia prima il lago Argentino e poi il lago Viedma. Immense distese di acqua dove le Ande si specchiano.

Qua e la si vedono le indicazioni per qualche Estancia, questi non sono di certo svegliati nel cuore della notte dal rumore prodotto dai vicini che rincasano.

La strada è tutta sterrata, stanno eseguendo dei lavori di asfaltatura che procedono mooooolto lentamente, ma intanto la strada è sterrata e non è nemmeno delle migliori. 

Fortunatamente l’ultimo pezzo di strada, la RP23, è asfaltata. Al bivio carichiamo anche un autostoppista, sono le 18 e considerando che non passano molte macchine, che il vento è molto forte e chissà da quanto, povero, era li in attesa di un passaggio siamo ben contenti di dargli uno strappo. E’ un ragazzo di Milano, com’è piccolo il mondo, è un po’ che è in Argentina così passiamo il resto del viaggio parlando con lui di quello che ha visto o fatto. Davanti a noi il Cerro Torre e il Fitz Roy dominano con tutta la loro imponenza. Forse questi nomi ai più dicono poco ma sono due signore montagne che da sempre hanno affascinato gli alpinisti più capaci.

El Chalten, è un piccolo paese, nato nel 1985 come base per le spedizioni alpinistiche alle due montagne. E’ un paese recente e l’urbanistica lo dimostra. Le sue strade sono sterrate e il traffico è inesistente, sembra un paese del far-west, dove sono i cavalli e i pistoleri? Ci molti bambini che affollano le strade. Bimbi in bicicletta, di corsa, con il pallone, schiamazzi e tante risa; le strade di El Chalten brulicano di bambini.

L’hosteria Lago Viedma è una casupola bianca non lontano dal centro, ma nulla è lontano dal centro. Ci sono poche stanze e sono tutte al piano superiore, gli interni sono tutti in legno e ne fa un ambiente un po’ rustico. La nostra camera è carina, piccolina ma dotata di tutti i confort.

Per cena andiamo in uno dei ristoranti (Pizza Bar Comidas Patagonicus – 40$) presenti in città. Niente menù di carne perché non siamo degli affezionati del genere, ci prendiamo due bei piatti di tagliatelle al pomodoro niente male e ovviamente anche questa sera ci concediamo il dolce. Due passi per il paese che pare proprio un paese d’altri tempi se non fosse per gli internet cafè. Le guide ne fanno un po’ una descrizione che sembra quella di un avamposto di frontiera ma, per il turista, a El Chalten c’è quasi tutto, il supermercato, negozi, internet cafè, manca solo la banca ma qualcuno dice che presto arriverà anche quella.

Pernottamento: Hosteria Lago Viedma – Ricardo Arbilla 71 – El Chalten – Te. (02962) 49389 – 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Mercoledì 1 febbraio 2006 – Laguna Los Tres (El Chalten)

Sveglia presto quest’oggi si cammina! La colazione dell’Hosteria non è niente male anche se la fetta di torta non ha niente a che vedere con quelle preparate da Marta!

Abbiamo in programma di andare a Laguna Los Tres. Quello che abbiamo scelto, infatti, è il miglior percorso per ammirare da distanza ravvicinata il versante orientale del mitico Monte Fitz Roy. Itinerario praticamente privo di difficoltà su sentiero molto battuto ma piuttosto lungo (22 km andata e ritorno con un dislivello di 850 m circa).

Lasciamo la macchina all’imbocco del sentiero nei pressi del campeggio Madsen, e ci incamminiamo, forse è un tantino presto ma in giro non c’è quasi nessuno. Non è molto che siamo in Argentina ma abbiamo già capito che non sono particolarmente mattinieri. L’imbocco del sentiero è comunque ben segnalato da un cartello di legno. Il sentiero subito sale nel bosco portandosi verso nord-ovest. Superato un colletto poco sotto il Cerro Rosado, si traversa fino ad entrare in ampio vallone quasi pianeggiante. Attraversato il bacino si giunge al Campi Base Poincenot nascosto fra i faggi australi. Si supera poi il Rio Blanco su un ponte costruito con un tronco di legno ed in pochi minuti si è al Campo Base Rio Blanco, punto di partenza per le ascensioni alpinistiche nel gruppo del Fitz Roy. In questo campo possono soggiornarvi solo gli alpinisti che effettueranno le ascese al monte Fitz Roy per tutti gli altri c’è il campo Poincenot.

Il percorso diventa quindi più impegnativo e il sentiero sale più ripido e accidentato fino al ripiano dove giace il Lago del Los Tres, ai piedi del ghiacciaio omonimo. Semplicemente fantastico!

Arrivati ci piazziamo in una bella posizione che ci consente di ammirare tutto quanto. Il posto è spettacolare. Le nebbie vanno e vengono dalla punta e ogni tanto si riesce a vederne la sommità della montagna. Il Fitz Roy (m 3405) è anche detta la montagna che fuma proprio per questa sua particolarità di aver spesso la punta celata nella nebbia. Il nome Fitz Roy ovviamente è un nome relativamente recente, dalle popolazioni indigene la montagna è conosciuta come Chalten.

Scrutando con il binocolo scoviamo due alpinisti in parete, non li invidio affatto, viste le nebbie che ogni tanto avvolgono la montagna non penso che stiano patendo troppo il caldo, anzi.

La prima spedizione che arrivò sulla cima del Fitz Roy fu una spedizione francese nel 1951, così ho letto perchè non c’ero! Una delle vette limitrofe al Fitz Roy porta il nome di un francese membro di questa spedizione, un certo Poincenot che sfiga sua è annegato nelle acque del rio Fitz Roy. Dico io la sfortuna, uno scala una montagna del genere dove le probabilità di lasciarci le piume non sono una fantasia e poi che fa… affoga in un rio. Questa è proprio iella!

Man mano che il tempo passa la gente comincia ad arrivare. Mmmhhh non sono molto mattinieri questi Argentini.
Nel pomeriggio riprendiamo la via del ritorno.
Dopo esserci ripuliti per benino usciamo per la cena. Visto che non abbiamo ancora camminato a sufficienza, usciamo a piedi e ci facciamo il giretto del paese.
Dopo aver ben ben guardato da fuori molti ristoranti ritorniamo nel medesimo locale della sera prima. Ci accomodiamo in un’altra parte del locale, ai muri sono appese vecchie fotografie di alpinisti che sono transitati per la città. Ci sono perfino delle foto di Maestri  con i suoi compagni di quella infelice spedizione sul Cerro Torre datata 1959 in cui Egger perse la vita. Avrebbero dovuto essere i primi alpinisti a raggiungere la vetta ma purtroppo non ci sono prove ad avvalere tale tesi visto che la macchina fotografica è caduta assieme ad Egger ed è andata persa, così la sola testimonianza di Maestri non è stata ritenuta valida. Eh.. miiii.. che diffidenza sti alpinisti! Fatto sta che l’argomento per anni fu oggetto di discussioni e ci credo! Nel 1970 Maestri, per porre fine alle chiacchiere una buona volta scalò il Cerro Torre aprendo quella che oggi è conosciuta come la via del compressore. Visto che la salita è una passeggiatina ha pensato bene di aprirsi una via utilizzando dei chiodi ad espansione che infilava (non sarà proprio il termine corretto ma rende l’idea) nelle pareti della montagna aiutandosi con un trapano alimentato da un compressore, da qui il nome ‘vai del compressore’. Oggettino di poco ingombro. Ma invece di togliere ogni dubbio sulle sue reali capacità di aver scalato la vetta ne è venuto fuori un putiferio; c’è infatti chi sostiene che arrivato quasi in cima non abbia comunque superato quella specie di fungo di ghiaccio che sovrasta la vetta. Se si osserva con un binocolo questo fungo lo si riesce a vedere.. impressionante. Tanta fatica per niente, dico io, perché tanto ancora oggi la prima salita certa alla vetta del Cerro Torre è quella compiuta nel 1974 dalla sottoscritta, che allora aveva due anni, e dalla spedizione italiana di Ferrari!! Non ci credete? Problemi vostri!

Pernottamento: Hosteria Lago Viedma – Ricardo Arbilla 71 – El Chalten – Te. (02962) 49389 – www.elchalten.com/lagoviedma – 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)
 
Giovedì 2 febbraio 2006 – Lago Torre (El Chalten)

Anche oggi partenza presto. La nostra destinazione di oggi è il lago Torre nei pressi del campo base De Agostini. Il sentiero da percorrere oggi è poco più corto di quello di ieri ma questa sera dobbiamo andare a El Calafate per cui dopo la camminata, ci aspettano ancora 2 ore buone di macchina per quella strada purgosa.

Partiamo presto per non dover poi correre nel pomeriggio. Contemporaneamente a noi si avvia un comitiva di ragazzi. Secondo Marco sono quelli che fanno un trekking su un ghiacciaio, di cui ne aveva visto la brochures, secondo me no. Trascurando il fatto che sono poco vestiti e solo alcuni hanno degli zainetti che se non sono le borse di Mary Poppins dubito che da  questi possano uscire grosse giacche o maglie, restano comunque le loro scarpe. Ti pare che gente con le scarpe da tennis possa indossare un paio di ramponi? Non si sono mai viste le scarpe da tennis di tela ramponabili!!!

Comunque…  staremo a vedere.
Anche oggi c’è una buona dose di vento, ma è normale per questa terra, per cui tanto vale abituarsi.

Il sentiero inizia dai prati sul lato occidentale del villaggio di El Chalten anche qui un cartello indicatore in legno che ne illustra il percorso. Il sentiero in moderata ascesa attraversa una serie di dossi erbosi ed entra del vallone bagnato dal Rio Fitz Roy, che scorre sulla sinistra piuttosto incassato. Raggiunto un colletto, si raggiunge quindi il primo belvedere sul Cerro Torre. Di tanto in tanto da qualche cespuglio spuntano delle lepri. Troppo simpatiche!

Il sentiero scende fino a avvicinarsi al rio che scorre in un’ampia piana alluvionale. Dopo circa 3-4 ore da El Chalten si raggiunge il Campo Base De Agostini che sorge in un bosco nei pressi della morena del Ghiacciaio Grande. Oltre la morena, prima del ghiacciano, giace il Lago Torre. Altro posto spettacolare. Il Cerro Torre (m 3102)  si erge in fondo al ghiacciaio. Mi chiedo come si possa scalare una montagna del genere. Le sue pareti verticali mi sembrano ripidissime e inaccessibili.

Arrivati a destinazione ci cerchiamo un angolino riparato sulle sponde del lago e ci godiamo la vista del Cerro Torre e delle altre montagne. Intanto arriva anche la nostra comitiva e ahimè aveva ragione Marco. In fila indiana preceduti con un buon distacco da due guide procedono i nostri, ‘aspiranti alpinisti’, muniti di imbrago, che useranno per attraversare il fiume su un ponte tirolese. Visto che ci sfilano tutti davanti Marco, fissato per gli scarponi, passa in rassegna ogni singolo paio di scarpe e divertito commenta ciò che vede. Chiude in gruppo una guida che molto probabilmente intuisce l’origine del divertimento di  Marco, lo guarda con fare ‘rassegnato’ e indicando il gruppo che ha davanti si mette a ridere. Già.. il mondo è bello perché è vario ma chissà quanto è ‘demoralizzante’ per una guida portare a spasso elementi del genere. E’ vero che il trekking che propongono è una cosa alla portata di chiunque ma proprio presentarsi con le scarpe da tennis e senza una giacca od un pile… insomma… un ghiacciaio è sempre un ghiacciaio anche se te lo fanno giusto vedere per un paio di minuti e ti fanno fare due passi sopra tanto per poter dire di aver camminato sul ghiacciaio.

Nel primo pomeriggio riprendiamo la lunga strada del ritorno, non so come mai ma i ritorni sono sempre più lunghi delle andate.

Rientrati in paese prendiamo la nostra macchina e ci mettiamo subito in marcia verso El Calafate che raggiungiamo verso sera. Aleando e Marta, della casa del Grillos, ci accolgono con molto calore come se fossimo parte della famiglia.

Pernottamento: Casa de Grillos – Pasaje Las Bandurrias s/n – El Calafate – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Venerdì 3 febbraio 2006 – Lago Roca (El Calafate)

Questa mattina abbiamo un po’ di cose da fare in città così ci svegliamo in tutta tranquillità e ci rechiamo con calma in centro per sbrigare un po’ di commissioni. Domani andiamo in ‘gita’ in Cile e dobbiamo cambiare i soldi argentini in soldi cileni per pagare l’ingresso del parco. Andiamo quindi all’ufficio del cambio che ci hanno indicato e dopo una lunga coda scopriamo che non hanno soldi in questa valuta, così andiamo in banca, e anche qui dopo una lunga coda arriviamo davanti allo sportello e riusciamo a comperare l’equivalente in valuta cilena per pagare l’ingresso al parco. Così tra una coda e l’altra se ne è andata via buona parte della mattina. Le code in Argentina sono uno spettacolo. Code interminabili, file e file di persone, in coda alla cassa nei supermercati, davanti ai bancomat. Tutti in coda tranquillamente senza nervosismi. Un approccio mooolto diverso dal nostro dove una coda è sinonimo di stress e se ti attardi un tantino quelli dietro si fanno sentire. Le cose più comiche al supermercato. Mettono la spesa sul banco della cassa, che non ha il tappeto scorrevole come le nostre, il cassiere con tutta calma prende pezzo per pezzo e lo passa sopra il lettore. Se poi il cliente ha dimenticato qualcosa, poco male… il cassiere rimane tranquillamente in attesa del cliente che intanto gironzola, con tutta calma, per il supermercato a prendere ciò che manca. Terminata la processione di pezzi davanti al lettore, con tutta calma il cassiere inizia ad imbustare la spesa, fortunatamente aiutato dal cliente. Sistemata la spesa si passa al conto. Il cassiere comunica l’ammontare e il cliente inizia a cercare i soldi. Tutto questo avviene con estrema calma senza il nervosismo di nessuno. Tutti aspettano tranquillamente il proprio turno e nessuno si lamenta, insomma un approccio meno stressato del nostro, anzi proprio per niente. L’ideale sarebbe un sistema intermedio: il nostro è troppo stressato e il loro troppo rilassato.

Vista l’approssimarsi dell’ora di pranzo andiamo a vedere la vicina riserva naturale Laguna Nimes che si trova infatti sulle sponde del lago Argentino. Come tutte le riserve forse è più interessante durante la stagione migratoria degli uccelli ma in ogni caso potrebbe essere interessante farci una visitina. L’ingresso costa 2$. Viene fornita una piccola cartina che il vento ci porta via quasi subito, ma la riserva non è molto grossa e il percorso è unico. Ci sono parecchi rapaci, paperotti di vario genere, ibis. Non siamo ancora riusciti a trovare un libro sugli uccelli di questa zona così per la nostra attività di bird-watching di oggi dobbiamo affidarci alle sole conoscenze ornitologiche di Marco.

Nel pomeriggio invece ci spostiamo nella zona del lago Roca. Percorriamo questa valle e questa strada lungo questo lago. La strada è sterrata e non c’è quasi nessuno. E’ una zona poco battuta dal turismo e a parte qualche estancia non si incontra null’altro. Prendiamo una stradia che porta lungo il lago, ci sono due pescatori e una famiglia che gioca a pallone nel prato.

La vista sul lago e sulle montagne è molto bella, è un posto tranquillo dove concedersi un po’ di relax e fare merenda con la famiglia. Marco non sta troppo bene, gli sbalzi di temperatura gli hanno fatto venire un bel raffreddore, un pomeriggio in completo relax sulle rive del lago è proprio quello che ci vuole. In lontananza un gaucho, a cavallo, raccoglie alcune mucche sparse qua e la e le riporta indietro. Sembra così lontano il resto del mondo con la sua confusione, la sua gente, si sente solamente il sibilo del vento e il rumore dell’acqua del lago mossa dal vento.

Rientriamo per cena percorrendo una strada alternativa, tutta sterrata, che ci porta dritto in centro paese. L’intenzione non era proprio questa ma come già avevamo avuto modo di capire le cartine stradali non sono precisissime, sulla nostra è segnata una strada che non troviamo. Magari è ancora una pista e noi non l’abbiamo riconosciuta come strada o magari non c’è e basta.

In alternativa, se non avessimo dovuto perdere tutta la mattinata in banca si poteva fare l’escursione di un giorno al ghiacciaio Upsula, sarà per un’altra volta.



Per cena andiamo in una pizzeria (La Lechuza – 34$) dove assisto alla fantastica scena descritta all’inizio del mio racconto. La  cena non è male. La pizza è servita su un tagliere di legno, molto caratteristico. Per scegliere il locale della cena, ce ne sono veramente tanti in centro, abbiamo ben ben consultato le nostre fedeli guide per poi scegliere un locale non citato sulle guide.. eh eh

Pernottamento: Casa de Grillos – Pasaje Las Bandurrias s/n – El Calafate – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Sabato 4 febbraio 2006 – P.N. Torre del Paine (Cile)

E’ ancora notte quando ci svegliamo. Vengono a prenderci alle 5 per l’escursione in Cile al parco Torres del Paine.  All’interno di questo parco è presente il massiccio del Paine, un’insieme di montagne, picchi in granito che si ergono dalla steppa Patagonica verso l’alto e dominano il paesaggio. Che dire… sono spettacolari.

Abbiamo un po’ da ridire sull’efficienza di questa metodologia per organizzare le escursioni, comunque… Marta, quando scendiamo a fare colazione, è già in piedi. Veramente una padrona di casa eccezionale. Alle 5 puntuale un auto viene a prelevarci. Ci accompagnano presso un altro hotel, da qui parte un pulmino che facendo il giro della città carica tutti i partecipanti all’escursione. Così lasciamo El Calafate che sono quasi le 6. Non si faceva prima a dare l’appuntamento alle persone tutte da qualche parte così si evitava di perdere tempo inutile con questo servizio di taxi a domicilio? Ma i miei canoni di efficienza e organizzazione mi rendo conto poco si addicono ai ritmi e agli stili di vita sud-americani.

Il viaggio è piuttosto lungo, una sosta in un bar per la colazione e qualche bisognino, poi dritti fino alla frontiera. La strada inizialmente è asfaltata e il piccolo bus corre veloce, nonostante la pioggia, poi diventa sterrata ma il piccolo bus continua a correre veloce. Arriviamo alla frontiera Argentina, una casupola in mezzo al nulla, un freddo, piove e ovviamente c’è il vento. I doganieri lenti controllano i passaporti e timbrano le varie scartoffie. L’aspetto è esattamente quello dei posti di frontiera che si vedono nei vecchi film western, chissà se gli sceneggiatori si sono ispirati a posti del genere!!! Un altro po’ di strada ed eccoci al confine con il Cile e qui un gran caos. Il doganiere è da solo, o meglio a svolgere le pratiche di entrate e uscita dal paese c’è una sola persona, perché effettivamente sono in due, uno che lavora e uno che guarda. Di gente che vuole oltrepassare il confine nei due senti ce n’è proprio tanta, non ci resta che compilare i moduli per l’ingresso e metterci in fila. Dopo il controllo passaporti si passa al controllo sanitario. Non si può portare nel paese nessun tipo di alimento fresco, quale frutta, verdura, carne. Che dire.. abbiamo passato la bellezza di tre ore per riuscire a passare tutti la dogana. A titolo di cronaca per passare con un mezzo proprio occorre fare un ulteriore  fila per il controllo dei documenti della macchina.

Finalmente siamo di nuovo tutti sul bus, un bus diverso perché quello su cui abbiamo viaggiato fino ad ora è rimasto aldilà del confine, un altro bus  con la guida, ci aspettava da questa parte.

La guida inizia subito a spiegare il tipo di tour che faremo, le tappe, le regole e informa i presenti che l’ingresso del parco va pagato in contanti ed in valuta cilena. Ed ecco subito qualche manina che si alza dicendo che non aveva i soldi in valuta cilena. Così ulteriore fermata al cambio con annessa arrabbiatura di alcuni dei presenti per questo ulteriore ritardo.

E finalmente si parte. La prima sosta è nei pressi dell’ingresso del parco. Mentre la guida si reca ad espletare tutte le formalità di ingresso noi gironzoliamo per il piazzale e facciamo qualche prima foto di questo massiccio del Torre del Paine. La giornata non è bella, non piove, ma le nuvole avvolgono le montagne. L’ambiente che abbiamo intorno è differente da quello Argentino. E’ più verde, più rigoglioso. Le Ande infatti, fanno da sbarramento per le perturbazioni fermando quindi le stesse aldiquà delle montagne.

La guida fornisce un sacco di informazioni sul luogo, sulla gente, sulla vita in queste zone. Ci fermiamo in più punti a vedere le montagne, il paesaggio. In un parcheggio una volte Patagonica si lascia fotografare; lungo la strada miriade di guanachi. Molti di più di quelli che si vedono in Argentina, ma anche questo lo avevamo letto. Il parco nato nel 1959 aveva tra i suoi obiettivi principali la salvaguarda di questa ed altre specie animali dai cacciatori e bracconieri.

Andiamo a visitare la cascata del Salto Grande molto bella. Poi il lago Pehoe. Non è possibile recarsi al lago Grey perché, spiega la guida, ci sono dei problemi sulla strada o qualcosa del genere legata al transito del minibus. Bella fregatura perché all’agenzia ci avevano detto che si andava proprio li ed era anche li che volevamo andare noi, Sigh!

Infine riprendiamo la via del ritorno. Fortunatamente le frontiere sono meno affollate che all’andata così non perdiamo troppo tempo con le varie formalità e in breve tempo siamo di nuovo sul bus diretti ad El Calafate. Rientriamo in città che sono le 22 ma noi arriviamo al nostro B&B che sono quasi le 23 perchè grazie a questa servizio a domicilio gironzoliamo per la città lasciando chi davanti ad un hotel, chi ad un altro, fintanto che tocca noi. Ovviamente gli ultimi del bus!

Alla casa del Grillo Marta è ancora in piedi. Ci accoglie con la solita gentilezza e disponibilità e ci chiede della nostra giornata. Così davanti ad una bella tazza di mate le raccontiamo della lenta burocrazia cilena e del nostra gita in Cile che ci ha permesso di vedere, anche se in maniera molto furtiva, questo splendido paese che torneremo di certo a visitare con più attenzione e più tempo. Magari faremo anche il famosissimo trekking conosciuto con il nome di  ‘W’, per la sua particolare forma. Chissà…

Pernottamento: Casa de Grillos – Pasaje Las Bandurrias s/n – El Calafate – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Domenica 5 febbraio 2006 – Ushuaia

Il nostro aereo per Ushuaia parte a mezzogiorno, così niente sveglia presto e colazione in tutta calma. Ci attardiamo anche a chiacchierare con Aleandro prima di lasciare la casa del Grillo. Ci racconta un po’ della situazione del paese, economica e politica, della situazione in generale del Sud America e della gente. Mi piace parlare con la gente del posto anche solo per capire come vivono, cosa pensano, chi sono.

Lasciata la casa del Grillo ci fermiamo in città per qualche acquisto e poi ci avviamo all’aeroporto. Facciamo il check-in e paghiamo le tasse aeroportuali (18$) e rimaniamo in attesa dell’addetto dell’Avis anche oggi in ritardo. Non abbiamo superato i chilometri previsti dal contratto quindi non dobbiamo pagare nessun extra. Sta per andarsene quando Marco mi chiama, intanto io ero andata a vedere dei tabelloni in aeroporto, per chiedermi se avevamo pagato già il noleggio quanto avevamo prenotato. Assolutamente no, così richiama l’addetto e glielo facciamo presente. Avremmo potuto fregarcene e andarcene ma non ci pareva corretto nei confronti di questo ragazzo, magari poi glieli scalavano dal suo stipendio. Saldiamo l’auto e ci salutiamo per la seconda volta, ovviamente, lui non fa che ringraziarci, forse gli avrebbero sul serio detratto la cifra dallo stipendio!

Il volo è tranquillo e arriviamo a Ushuaia nel pomeriggio. Il tempo non è un granchè, coperto e freddo ma non mi sembra che qui il tempo sia mai eccessivamente bello.

Ushuaia… ‘la città de la fin del mundo’, ti pareva che anche lei non aveva il suo appellativo, è posta sulle rive del canale di Beagles. Effettivamente è la città più settentrionale del mondo ma non è il caso di ripeterlo in ogni dove. Ushuaia è stata in passato sia sede di prigioni penali argentine che importante base navale. E’ comunque un posto dotato di un fascino particolare.

Qui non abbiamo noleggiato nessuna auto, possiamo spostarci tranquillamente con i mezzi pubblici c’è un servizio e un’organizzazione da far invidia a molti posti.
L’aeroporto si trova su una penisola ed è un tantino più grosso e affollato di quello di El Calafate. Il Nido del Condores dove alloggiamo, offre anche un servizio di trasporto dall’aeroporto fino alla struttura così troviamo un auto pronta ad aspettarci.

Il Nido del Condores un posto particolare, in legno con i pavimenti che scricchiolano, il riscaldamento acceso; veramente i proprietari indossano le maniche corte e tengono il riscaldamento acceso, non farebbero prima a spegnere il riscaldamento e a mettersi una maglia? Non sarebbe più economico?

Usciamo subito alla ricerca di un posto in cui fare merenda, per pranzo abbiamo mangiato un semplice snack. Troviamo una caffetteria niente male, e ci concediamo due cioccolate calde con altrettanti croissant che qui chiamano medialuna. Anche in Argentina, come in Italia, la cioccolata ha i suoi seguaci e i suoi estimatori.

Gironzoliamo per la città, alcuni negozi sono aperti altri sono chiusi, in fin dei conti è anche domenica. Andiamo all’ufficio informazioni e recuperiamo l’orario dei diversi bus per le varie destinazioni, un po’ di informazioni varie e gli indirizzi delle agenzie che organizzano escursioni. Molte di queste sono chiuse ma la Rumbo Sur è aperta. Siamo particolarmente interessati a vedere i castori. L’escursione costa 70$ e comprende il viaggio di andate e ritorno con questo discutibile sistema del servizio a domicilio, la visita e un breve snack per la cena. Prenotiamo e ci indicano come ora di partenza le 19.00.

Ceniamo in un ristorante (Restaurant la Estancia) che fa la parilla. Per 25$ a testa puoi mangiare tutto quello che vuoi. Il cuoco cucina la parilla davanti ai clienti; gli agnelli sono appesi sul braciere in maniera molto coreografica e la carne abbrustolisce sulla griglia. Alle 8 il ristorante apre e noi puntali siamo li. Ciascuno con il proprio piatto si va dal cuoco e si sceglie il pezzo che si vuole. Non siamo dei grandi mangioni così ci limitiamo ad assaggiare un pezzo per tipo, per fino un pezzo di una specie di mostardella. La carne è cotta alla perfezione, tenera e deliziosa. Dopo cena passeggiamo un po’ per la via animata da tanti turisti ma il freddo è piuttosto pungente.

Pernottamento: Nido de Condores – Gobernador Campos 783 – Ushuaia – tel (02901) 437.753 – nidodecondores@speedy.com.ar – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Lunedì 6 febbraio 2006 – P.N. Tierra del Fuego (Ushuaia)

Anche oggi non è una splendida giornata. Non si capisce se pensa solamente di piovere o se ha veramente intenzione di farlo. Fatto sta che non fa affatto caldo per cui abbigliati per benino ci avviamo verso la fermata del bus. Mi aspettavo di vedere delle paline indicanti il nome della compagnia, la direzione ma all’angolo della strada non vedo nulla. Dall’altra parte della strada però notiamo una serie di piccoli bus fermi e un autista che ci fa segno con la mano. Attraversiamo e anche se non era ancora l’ora di partenza delle sua compagnia decide di partire lo stesso, così ci mettiamo subito in moto. Il biglietto, di andata e ritorno (da operarsi quindi con la medesima compagnia) per il parco nazionale Terra del Fuoco costa 20$ e il viaggio dura una mezz’oretta. Si tratta del primo parco nazionale costiero istituito in Argentina. Il suo territorio è molto vasto e comprende non solo la costa, ricca di avifauna. Si possono avvistare condor, albatri, cormorani, gabbiani, starne, vari tipi di oche e anatre, oltre a mammiferi quali volpi e conigli. Noi abbiamo visto solo conigli (molti), cormorani, gabbiani, starne e qualche modello di oche e anatre.

Tornando al nostro viaggio in bus, c’è da dire che questo meccanismo di trasporti pubblici funziona molto bene. Ci sono diverse compagnie che effettuano servizio in questa zona partendo ciascuna ad un orario prestabilito, dal centro di Ushuaia per le varie località del parco nazionale. Così anche senza un auto ci si può spostare tranquillamente senza grosse difficoltà.

Una breve sosta al gate del parco per pagare l’ingresso giornaliero (20$) ed eccoci arrivati a destinazione. Prendiamo subito la direzione del nostro sentiero, vogliamo arrivare sul Cerro Guanaco da cui si dice si goda di un ottima vista. Dubitiamo un po’ sulla qualità della vista considerato che il tempo è proprio brutto e le montagne sono avvolte dalle nebbie. Fa molto freddo, il vento è molto forte e a tratti piove. C’è pochissima gente in giro, ma in compenso ci sono tantissimi conigli, deduciamo che o le volpi non sono troppe o i conigli si riproducono più velocemente di quello che le volpi riescano a papparseli. Da ogni cespuglio si vede spuntare un paio di orecchie, correre un batuffoletto di pelo. Sono veramente adorabili.

Il sentiero inizialmente attraversa il bosco con alcuni tratti di ripida salita. Percorre una lunghezza di 8 km (solo andata). Man mano che aumenta la salita diventa più ripido e talvolta il terreno è scivoloso. Il vento è molto forte ma al riparo nel bosco si riesce a camminare abbastanza bene. Lo scricchiolare, un po’ sinistro, dei tronchi mossi dal vento ha un che di inquietante. Arrivati al limitare del bosco il vento è molto forte. Indossiamo guanti e cappello e proseguiamo ancora per un po’. Fa troppo freddo e il vento soffia molto forte, a tratti piove e alla fine, visto che le nebbie basse ci avrebbero comunque impedito la vista dalla sommità della montagna, decidiamo di lasciar perdere e riprendiamo la via del ritorno. Non mancava più molto ma io ho proprio troppo freddo per proseguire. Scendendo incontriamo una sola persona. Pranziamo sulle rive del lago Roca, seduti su un tronco rovesciato accompagnati dal sibilare del vento e dallo scricchiolare degli alberi. Non incontriamo altra gente. Originali sti Argentini nella scelta dei nomi. Questo è il secondo Lago Roca che vedo in meno di una settimana.

I bus per il ritorno partono vicino alla caffetteria che avrà sicuramente un nome ma sulla piantina non l’hanno scritto. Per il campeggio ogni tanto si vede qualche coniglio correre veloce nel prato, ce ne sono tantissimi e mi diverto a guardarli. Ci sono anche parecchi falchi o qualcosa del genere, che cercano le briciole lasciate dai turisti, uno ha per fino l’ardire di appollaiarsi alla finestra della caffetteria.

Ritornati in città facciamo una scappatine in cioccolatteria a fare merenda e un giro per negozi. Siamo alla disperata ricerca di una guida sui mammiferi e sugli uccelli della Patagonia o del Sud America, dopo tanto girare finalmente una libreria ci consiglia il negozio che fa per noi. Infine rientriamo a casa in attesa dell’escursione serale ai castori. Anche qui vige l’efficentissimo metodo del servizio a domicilio e fortuna che siamo rientrati in anticipo perché l’orario che ci ha dato l’agenzia non era corretto. La tizia del bus è passata la bellezza di 40 minuti prima rispetto all’orario concordato, così abbiamo dovuto preparare l’occorrente e fiondarci fuori per non far aspettare tutti più del necessario.

Dopo aver caricato anche l’ultimo partecipante possiamo tranquillamente avviarci verso il rifugio ad una mezz’ora da Ushuaia in direzione di Tolhuin, sede dell’escursione, che per ovvi motivi, si terrà al crepuscolo. I castori infatti escono la sera per cui le probabilità di vederli sono maggiori. Il rifugio è una casupola in legno che ricorda uno chalet valdostano. Basta guardarsi intorno per vedere che, in questa zona, il castoro la fa da padrone. L’ambiente è proprio il suo, dighe, tronchi rovesciati e rosicchiati. Prima di avviarci per il nostro breve tour nel suo ambiente chi non dispone di un paio di scarpe waterproof viene dotato di un paio di stivali di gomma. Io ho i miei scarponi, ci informiamo sul tipo di giro e il terreno, vorrà dire che ci toccherà di spazzolare gli scarponi ma preferisco le mie scarpe ad un paio di stivali di gomma. Una signora australiana, che non parla una parola di spagnolo, non capisce cosa stia accedendo, così, con il nostro povero inglese le spieghiamo la faccenda delle scarpe. Purtroppo gli organizzatori di quest’escursione non parlano inglese ma solo spagnolo.. sarà un po’ dura per lei.

Il giro ci porta a vedere l’area circostante, colonizzata da una famiglia di castori. Si vedono i segni del suo passaggio, tronchi rosicchiati, dighe, tane abbandonate. Il ragazzo che funge da accompagnatore descrive la vita del castoro, le sue abitudini, il suo habitat. Il gruppo è molto vario, ci sono anche dei ragazzini, la signora australiana chiede un po’ a noi e un po’ ad un ragazzo messicano che parla bene l’inglese di tradurgli quanto viene detto dalla guida.

Infine arriviamo alla zona di attuale colonizzazione della famigliola di castori che conta in tutto cinque soggetti. Ed ecco che ogni tanto qualche elemento fa la sua comparsa. In tutto vediamo tre castori diversi. Nuotano, mangiano, spostano rami, sono in piena attività. Sono fantastici, e dopo tre viaggi in nord America dove non li abbiamo visti nemmeno da lontano e quasi il colmo riuscirci all’estremo opposto di questo continente. I castori, va detto, non sono una specie autoctona per questa zona. Qualche fenomeno li ha introdotti, portandoli dal nord America, e loro hanno trovato un ambiente favorevole e si sono adattati più che bene, forse troppo.

La sera è ormai arrivata da molto e prima che sia troppo buio riprendiamo la via del ritorno, appagati e felici di aver finalmente visto questo simpatico animaletto, in fondo questo è l’unico motivo per cui abbiamo deciso di partecipare a quest’escursione.

Rientrati al rifugio la tavola è pronta per la cena. Così, passiamo il resto della serata chiacchierando con la signora australiana e il ragazzo messicano, li resto degli ospiti, fa un po’ vita a se chiacchierando in spagnolo. Infine alle 22 il piccolo pulmino arriva per riportarci in città.

Pernottamento: Nido de Condores – Gobernador Campos 783 – Ushuaia – tel (02901) 437.753 – nidodecondores@speedy.com.ar – 105$ (doppia con bagno in camera – B&B)
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Martedì 7 febbraio 2006 – P.N. Tierra del Fuego (Ushuaia)

Oggi li tempo è peggio di ieri, come siamo stati fortunati! Il nostro aereo parte solo in serata e quindi abbiamo tutto il giorno per conoscere ancora questi posti. Il nostro programma originale prevedeva di andare con la seggiovia fino al ghiacciaio Martial e di qui fare un breve giro nella zona, ma il tempo è brutto e il ghiacciaio è avvolto nella nebbia.

In alternativa propongo a Marco di andare a percorrere quel tanto decantato sentiero lungo la costa nel parco nazionale della Terra del Fuoco: senda costera. Il primo che osa ancora venirmi a decantare la bellezza di questo sentiero si riceve una scarpa sul naso. Certo se paragonato a una passeggiata in centro sotto i portici è fantastico ma se paragonato al sentiero per il Cerro Torre o il Fitz Roy.. gente questi sono panorami!!! Prendiamo il solito bus, con il medesimo autista di ieri e scendiamo esattamente alla partenza del sentiero. Inizialmente passa nel bosco per poi uscire e costeggiare la costa per un lungo tratto, in tutto sono 6,5 km.

L’ambiente è particolare, soprattutto lungo la costa, ma il sentiero è uno strazio. Fango, fango e ancora fango. Ci imbrattiamo da far schifo. La giornata e grigia e questi posti hanno un che di malinconico e triste. Incontriamo qualche persona ma non sono molti coloro che si sono avventurati su questo sentiero. Oltrepassiamo anche un campeggio, non ci sono molte tende e non stento a crederlo, con questo tempo non mi passerebbe nemmeno nell’anticamera del cervello di montare una tenda in questo bel terreno molliccio e di dormire tutta la notte raggomitolata nel mio sacco a pelo mentre la pioggia inzuppa ben bene la mia tenda e tutto quello che gli arriva a tiro.

Devo dire che quando raggiungiamo la strada asfaltata siamo veramente contenti, tutto quello camminare nel fango alla fine ci ha snervato non poco, il paesaggio è carino, ma nulla di più. Niente di così eccezionale come descrive la guida, belle vedute sul canale ma da qui a chiamarle vedute ‘mozzafiato’.

Aspettiamo il bus per il ritorno lungo la strada, la caffetteria non è lontana ma questo sistema funziona così. Quando vedi arrivare il bus lo fermi e se c’è posto ti fa salire, gli fai vedere il tuo bel bigliettino di andata e ritorno e il gioco è fatto.

Tornati in città ci comperiamo una bella fetta di crostata per merenda, facicamo qualche passo in centro e lungo la baia per poi andare a recuperare le nostre valigie e con un auto remises (10$) raggiungiamo velocemente il piccolo aeroporto di Ushuaia.

Al check-in ci informano di un ritardo di 2 ore sull’orario di partenza e ci forniscono un biglietto per andare ad usufruire di uno spuntino in attesa del volo, non come a Torino che abbiamo aspettato più di due ore un volo e non ci hanno nemmeno offerto una caramellina nonostante fosse ora di cena!

Il volo è piuttosto perturbato, i forti venti sballottano per benino il velivolo e anche la fase di atterraggio è piuttosto dondolante, fortuna che io scendo a Trelew e non devo proseguire come altri fino a Buenos Aires. Quasi tutti gli aerei che attraversano il paese da nord a sud e viceversa, partendo o arrivando nella capitale prevedono una fermata intermedia con scambio di passeggeri. Chi prosegue non scende.

Che dire dell’aeroporto di Trelew? Altro esempio di aeroporto microscopico, c’è un vento fortissimo ma caldo, molto caldo. Un altro bello sbalzo di temperatura! E’ mezzanotte ed è tutto chiuso, le uniche anime in aeroporto sono i viaggiatori da e per questo volo e coloro che, per qualche motivo, devono ricevere i nuovi arrivati. Visto che siamo due ore in ritardo, io resto ad aspettare i bagagli mentre Marco va a sbrigare le pratiche con il tizio dell’Avis che chissà da quanto è li che ci aspetta. Ovviamente niente ufficio in aeroporto, le modalità sono le stesse, sono venuti a portarci direttamente l’auto in aeroporto. L’auto è un po’ più grossa della precedente ma non si può dire messa meglio. Il tipo ci fa uno strano discorso sul fatto che possiamo, se vogliamo, cambiarla il giorno dopo. Non ne capiamo il senso e poi non vogliamo perdere un’altra mattinata per recuperare un’altra macchina, se questa funziona va bene lo stesso. Ci spiega velocemente la strada per raggiungere il nostro hotel e ci avviamo. Si trova in centro a Trelew, sarà perché è quasi l’una ma in centro non c’è anima viva. Troviamo abbastanza facilmente il nostro hotel, parcheggiamo ed entriamo. Il tizio casca dalle nuvole, a lui non risulta nessuna prenotazione, gli mostro le mie mail scambiate con il suo collega e lui tutto candido mi dice che il collega molto probabilmente non ha segnato nulla sul loro registro. Bei pasticcioni… comunque ha una stanza libera anche se non è come quella che avevamo chiesto noi. Vista l’ora e visto tutto il resto decidiamo di prendere la stanza anche se, dopo posti come la casa del Grillo questa camera è proprio squallida e malandata.

Pernottamento: Cheltum Hotel – Avda. H. Yrigoyen 1385 – trelew – tel (02965)431066 – www.cheltumhotel.com.ar – 78$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Mercoledì 8 febbraio 2006 – Punta Tombo

Mi svegliano le voci della gente in corridoio, sono circa le sei. La stanza ha una piccola finestrella che abbiamo aperto per il troppo caldo e cosa ci vedo sbucare? Una testolina di un gattone nero che guarda dentro alla stanza. La colazione è di gran lunga superiore allo stile trasandato dell’albergo. Guardando meglio il suo salone, l’ingresso, la receptions, non sarebbe malaccio ma come tutte le cose in Argentina ha avuto qualche anno di splendore e poi lo hanno lasciato andare. Mi da l’impressione che questo sia un po’ lo stile, come direbbe un mio vicino di casa ‘nessuna ambizione’, lasciano che le cose vengano segnate dal tempo senza fare nulla per mantenere lo splendore iniziale.

Partiamo subito dopo colazione alla volta di Punta Tombo per la visita della famosa colonia di pinguini di Magellano che conta più di mezzo milione di pinguini nidificanti in questa zona. Punta Tombo si trova a 110 km da Trelew che si è auto-battezzata capitale dei pinguini. Se non si era ancora capito ogni città è capitale di qualcosa!

La nostra cartina segnala una strada che collega quella asfaltata, la RN 3 (ruta national) alla RP 1 (ruta provincial) quella sterrata, che ci avrebbe ridotto il percorso da fare su sterrato. Dico ci avrebbe perché nonostante la cartina segni questa bella strada di fatto non esiste ancora, è ancora in fase di costruzione. Così con tanta rabbia e con l’ennesima prova che le cartine sono un po’ troppo approssimative dobbiamo percorrere tutta la strada indietro fino al bivio per Rawson per prendere la RP 1, questa lunga strada sterrata. Ogni tanto qualche armadillo ci attraversa la strada ma sono troppo veloci per riuscire ad immortalarli con la macchina fotografica. Così arriviamo alla pinguineria che è già mattina inoltrata. Paghiamo i biglietti (20$) e prendiamo due panini per il pranzo e poi via verso i pinguini. I pinguini di Magellano sono alti, gli adulti s’intende, circa 45 cm e pensano intorno ai 4-5 kg. Nidificano in questa area e costruiscono il proprio nido sulla terra ferma anche fino a 800 metri dalla costa. L’area è stata istituita riserva naturale nel 1979 per preservare i pinguini, la fauna e anche la flora presente in questa zona. Questa di punta Tombo è comunque la più grande colonia continentale di pinguini di Magellano.

Mamma mia… già prima di raggiungere il parcheggio abbiamo un accenno di quello che sarà questa visita. Pinguini che passeggiano tranquillamente lungo la strada incuranti della gente e delle auto. Premetto che stravedo letteralmente per questi adorabili animaletti è anche se non è la prima volta che ho l’occasione di vederli nel loro ambiente naturale questo per me è sempre un grande momento.

Sono proprio dappertutto. Ovunque ti giri ne vedi spuntare uno. Trotterellano tranquillamente tra le auto e i bus nel parcheggio, verso la spiaggia, in mezzo ad un branco di guanachi che pascola tranquillamente. Mi diverto un sacco a vederli tutti allineati sulla spiagga in attesa delle onde per fare il bagnetto, qualche giovane è al suo primo impatto con il mare e il dilemma mi tuffo non mi tuffo è al centro dei suoi pensieri m poi arriva un onda enorme et voilà tutti in mare!

Per evitare che la gente vada ovunque è stato tracciato una sorta di percorso o zona in cui si può gironzolare. I pinguini sono tantissimi. E’ uno spasso girare tra di loro, fermarsi a guardarli, fotografarli, osservarli. Sono buffi con il loro camminare ciondolante. Mi inchino alla loro altezza e ci osserviamo un po’ più da vicino. Bisogna fare attenzione perché hanno la tendenza a beccare ma se uno non li infastidisce loro non sono affatto turbati da tutta questa gente e se ti avvicini ad osservali si fermano un attimo ad osservarti e poi incuranti riprendono a pulirsi le piume.

Come dice la guida è meglio trovarsi in questa zona quando non ci sono le folle dei turisti che arrivano in bus. Ad un certo punto sono arrivati qualcosa come 8 pullman di quelli modello gran turismo della Costa crociere e anche se numericamente erano ancora superiori i pinguini, il caos ed il rumore prodotto da tutte queste persone superava ampiamente quello prodotto da tutti questi pinguini.

Non avendo noi nessuna fretta e impegni di nessun genere, ce ne stiamo tranquilli e beati ad osservare i pinguini, facciamo pranzo, ci rilassiamo e intanto le comitive se ne vanno. Sembra di rinascere, poche persone sparse lungo il percorso.

A metà del pomeriggio, anche se a malincuore salutiamo i nostri nuovi amici e riprendiamo la nostra strada.

Consultiamo velocemente la cartina e decidiamo di fare tappa a Gaiman. Gaiman si trova 17 km ad ovest di Trelew lungo la RN25. Si tratta di un piccolo paese di origine gallese. Il nome Giaiman non è di origine gallese ma dato dagli indigeni che passavano l’inverno in queste zone prima dell’arrivo dei gallesi e significa qualcosa come ‘punta di freccia o di pietra’. I gallesi arrivarono più tardi e si insediarono in queste terre. La città  vanta quindi una lunga tradizione gallese e lo testimoniano le case da tè presenti in città.

Scegliamo l’hotel Unelem. Il posto è stato di recente rinnovato ed è molto carino. La nostra camera è molto spaziosa. Prima di cena facciamo due passi per il paese. Pochissima gente in giro. C’è un internet cafè con anche dei telefoni, così ne approfittiamo per telefonare a casa e fare gli auguri di compleanno alla mamma di Marco. In questa zona il mio telefonino non prende ma è comunque molto più economico usare questi telefoni che pagare il roaming del cellulare. In ogni caso per ora ha carpito il segnale solo a Ushuaia (a dover di cronaca serve comunque un telefono tri-band).

Ceniamo nel ristorante dell’hotel dove un cameriere molto attempato di serve la cena con tutti  i crismi del galateo. Non so perché ma mi ricorda un vecchio maggiordomo inglese. Stile e formalismo impeccabile, peccato per la stanghetta degli occhiali aggiustata con il nastro adesivo che fa perdere un po’ di stile.

Mangiamo degli ottimi cannelloni e un bel assaggio di dolci, visto che noi eravamo molto indecisi su quale dessert scegliere, lui, gentilmente ci ha proposto un bel misto di dolci ivi inclusa la torta di Gaiman per eccellenza, ovviamente fatti dalla sua signora che è la cuoca dell’hotel. Ci tengono sempre a farti sapere quando le cose le fanno con le loro manine.

La tradizione gallese di questo paese e quindi il rito del tè la fanno da padroni e anche in questo hotel noto che ci sono tante teiere tutte dotate di un copri teiera fatto all’uncinetto. Le trovo divertenti anche se un po’ pacchiane. Mi sembrano comunque cose di altri tempi. Fortuna che non c’è mia mamma, altrimenti avrebbe copiato l’idea e tutta la famiglia sarebbe stata dotata di ‘abito’ per teiera all’uncinetto!!!

Pernottamento: Hotel Restaurant Unelem – Avda. E. Tello y 9 de Julio – Gaiman – Tel. (02965) 491663 – 98$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Giovedì 9 febbraio 2006 – El Bolson

Dopo una buona colazione con pane burro e marmellata e una bella fettina di dolce fatto in casa partiamo alla volta delle Ande. La strada che ci separa dalle montagne è molta così ci mettiamo subito in macchina, fortunatamente è asfaltata. Non ci sono molti posti tappa da fare e a detta della cartina la strada, la RN25, attraversa una landa piuttosto desolata. Equipaggiati di tutto il necessario e con il pieno alla macchina partiamo per la nostra strada.

Che dire del percorso… ampi spazi aperti. Di molto caratteristici sono i passaggi della strada nei pressi della valle de las Ruinas dove la strada costeggia in parte il fiume che presenta, sulle sue rive una vegetazione verde e rigogliosa per poi arrivare nella valle Paso de Los Indios dove la strada passa tra alte conformazioni rocciose di un rosso particolare.

Il traffico è pressoché inesistente, ogni tanto si incontra qualche macchina, si vede qualche estancia in lontananza ma per il resto è tutto desolato. 

L’autoradio della macchina non riceve nessuna stazione, ogni tanto ci fermiamo per sgranchirci un po’ le gambe. Sulla strada ci sono leprotti appiattiti e tantissimi rapaci che, appollaiati sui pali dei recinti aspettano la loro preda. Durante una sosta, non abbiamo fatto a tempo a scendere dalla macchina che tre avvoltoio stavano volando in cerchio sulle nostre teste. E calma ragazzi… non è ancora ora di fare merenda con i nostri resti!!!

Ad un certo punto lasciamo la RN 25 per proseguire sulla NR62 dove poi incontreremo e proseguiremo sulla famosa RN40, la strada della Patagonia che in questa zona fortunatamente è asfaltata.

Il primo incontro con un po’ di gente lo facciamo alla stazione di servizio di Tecka. Un bel via vai di gente anche perché non ce ne sono altre quindi…

I km percorsi e da percorrere sono così tanti che quasi come un miraggio si scruta sempre l’orizzonte per vedere le montagne spuntare.

La nostra destinazione per oggi è El Bolson . Che sia stata la capitale della civiltà Hippy ancora lo si vede, sono cresciuti ma sempre hippy sono restati.  E’ stata la prima città in Argentina a definirsi ‘zona denuclearizzata e comune ecologico’. Fuori da un supermercato due donne con tanto di fascetta sulla fronte e abiti stile ‘figli dei fiori’, con le loro bimbe scalze salgono su un pk-up che ha visto tempi migliori, molto migliori.

Il centro è tutto un fermento e un brulicare di persone, stanno smontando le bancarelle del mercatino, ma la città è proprio presa d’assalto dai turisti.

Facciamo una scappatina all’ufficio informazioni per vedere di trovare qualche notizia su qualche sentiero da percorrere a piedi. La tizia con cui parliamo non ha ben chiare le idee su cosa sia un sentiero ma riesce comunque a venderci una cartina con alcuni sentieri tracciati. Non eravamo abituati a tutta questa confusione e a tutta questa gente, soprattutto, El Bolson, ci sembra un posto di villeggiatura per famiglie visto che passeggini e carrozzine abbondano decisamente.

Per cena scegliamo un locare sulla via principale (Calabaza – 37$), ci incuriosisce la milanese di calabaza ma quando scopriamo che si tratta della milanese non di carne ma di zucca ripieghiamo su due bei piatti di ravioli al burro. Non sono male anche se la pasta è un po’ troppo anemica, è molto bianca, non è di certo pasta all’uovo.

Pernottiamo invece in un hotel abbastanza nuovo in periferia della città (80$ (doppia con bagno in camera – B&B).

Venerdì 10 febbraio 2006 – Rifugio Piltriquitron (El Bolson)

Nonostante alle sette siamo pronti a fare colazione le operazioni per la colazione sono moooolto lente, solita flemma sudamericana, ma noi abbiamo fretta. Il sole è già alto e qui scalda anche parecchio,  e noi abbiamo da percorrere un bel sentierino a piedi e andare ancora fino a Bariloche. L’addetto alla colazione fa letteralmente venire sonno. Ho tempo a tornare in camera, preparare tutta la roba che lui non ha ancora portato il latte, forse deve ancora mungerlo.

Lasciato l’hotel e percorriamo la strada 258 in direzione sud e imbocchiamo la non molto bella strada sterrata nei presi di Villa Turismo che, dopo 13 chilometri ci porta al parcheggio dove lasciamo l’auto per prendere il sentiero che ci condurrà al Rifugio Piltriquitron e da qui, se uno a voglia, fino al Cerro Piltriquitron. Il sentiero fortunatamente passa nel bosco perché il sole è già altro e sta già scaldando parecchio. Arriviamo prima al bosco Tallado; si tratta di un bosco dove i tronchi sono stati intagliati per realizzare delle sculture, molto carine e originali. Da qui si prosegue ancora un po’ e si arriva al rifugio: una costruzione in legno che gode di un buon panorama. Ci sono due cani, un gatto che dorme sotto un cespuglio e due cavalli che pascolano all’ombra. I gestori, due ragazzi giovani stanno trafficando nella casa adiacente al rifugio. La tranquillità e la pace del luogo e rotta solo dalla musica trasmessa dalla radio del rifugio. Un vero peccato.

Dal rifugio si prosegue, su un ripido sentiero che costeggia uno skilift in disuso, verso il Cerro Piltriquitron. Questa zona, ad est di El Bolson è molto caratteristica della Camarca Andina.

Il vento è presente solo in cresta ed è caldo. Una condizione diversa rispetto a quelle che abbiamo vissuto fino ad oggi.

Non arriviamo fino in punta del cerro perché il tempo stringe, ma pranziamo su un bel cucuzzolo che ci offre una piacevole vista sul El Bolson e le montagne di fronte, in fondo era quello che volevamo vedere, un panorama superbo.

El Bolson è la cittadina più vicino al parque nacional Lago Puelo, dista infatti 15 km dalla città. Il lago Puelo è un bel lago azzurro, noi ne possiamo vedere un pezzo dalla sommità del cucuzzolo che abbiamo scelto.

Scendendo incontriamo parecchia gente che sale verso il rifugio. Fa molto caldo, il terreno è molto secco e polveroso e mi viene in mente un libro che ho letto sulla Patagonia che si intitola ‘Polvere nelle scarpe’, di bello aveva giusto il titolo. El Bolson segna anche il confine della Patagonia e questo significa che finiscono qui i benefit economici legati a questa terra, come la benzina venduta a prezzi scontati.

Ci sono molti posti di blocco fuori dai paesi. La polizia ferma tutte le auto, di solito ti chiedono da dove provieni e dove stai andando, controllano i passaporti e ti augurano buon viaggio. Sulla guida avevo letto che avevano atteggiamenti altezzosi e autoritari, che potevano chiedere soldi. Niente di tutto questo. Sono sempre stati gentilissimi e cortesi. Una cosa curiosa e che nessuno ci ha mai chiesto i documenti dell’auto o la patente di guida.

Arriviamo a San Carlo di Bariloche sul tardo pomeriggio. Bariloche è una città molto estesa. Il primo impatto con questa città e con la sua periferia degradata, baracche, baraccopoli varie, case malandate, strade polverose e sterrate. Il centro invece è un fiorente groviglio di strade, negozi e alberghi. E’ molto caotica e affollata per cui decidiamo di andare a cercare un albergo fuori città. Oltre tutto il parcheggio in città è tutto a pagamento e non è nemmeno troppo economico visti i loro standard.

Prendiamo così la strada lungo il lago che porta al Cerro Campanario e  visioniamo un po’ di grandi alberghi ma vorremmo trovare qualcosa tipo un B&B o un’hosteria, un posto senza troppa confusione. Così ci imbattiamo con l’Hosteria del Cuore. Siamo un po’ dubbiosi se entrare o meno, sembra un posto un po’ troppo caratteristico e lussuoso per il nostro portafoglio e invece ce lo possiamo permettere. La proprietaria, è una signora romana che da anni vive in Argentina. Ci mostra la nostra camera e ci racconta qualcosa sulla città. E’ strano come in questi giorni abbiamo sempre parlato con lei, dell’Italia, dell’Argentina e alla fine siamo andati via senza conoscere il suo nome. L’Hosteria è veramente adorabile, caratteristica, pulica e ben tenuta. La nostra camera è bellissima, la zona, anche se vicina alla strada principale, è molto tranquilla, ottima scelta anche questa!

Sistemata la nostra roba andiamo in città. San Carlo de Bariloche è una cittadina turistica molto prestigiosa, lo si vede dal target dei suoi ristoranti, dei suoi alberghi e dagli innumerevoli negozi. Vanta la fortuna di poter avere non solo una stagione turistica estiva piuttosto varia ma anche una stagione invernale per via delle innumerevoli piste presenti nella zona. Sebbene le sue piste di sci invernali non siano le più belle del Sud America, la mondanità di Bariloche attira moltissimi turisti che non vogliono praticare solo sci, ma rilassarsi nelle innumerevoli case da tè o ciccolaterie, attardarsi nei ristoranti e magari fare le ore piccole in una delle tante discoteche… insomma… diciamolo.. la Cortina d’Ampezzo Argentina.

Per i turisti estivi ci sono molte alternative, dagli innumerevoli trekking per chi ama cimentarsi in questo sport, alle brevi passeggiatine alla portata di tutti, salite sui monti in seggiovia che qui chiamano aerosilla, e tanto sole e tanta acqua in riva ai laghi, tra cui il lago Nahuel Huapi che da anche il nome al parco nazionale presente nella zona. Le acque dei laghi, sebbene siano laghi alpini in estate presentano una temperatura tale per cui è possibile fare il bagno.

Noi siamo qui per fare trekking così andiamo alla sede del CAI locale per avere qualche informazioni sui sentieri e poi ci diamo anche noi allo shopping in attesa che arrivi l’ora di cena. Questa sera siamo intenzionati a mangiare la trota patagonica così scegliamo un locale (La parilla de Julian) che ha questo piatto nel suo menù e proseguiamo la serata visitando uno dei tanti negozi di cioccolato presenti in città. Mamma mia che negozio, da far crepare d’invidia le migliori cioccolaterie in Italia!

Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar – 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Sabato 11 febbraio 2006 – Rifugio Lopez (S.C. di Bariloche)

Sveglia presto, colazione e poi via verso la nostra meta della giornata. Il rifugio Lopez. Dal centro di S. C. de Bariloche si costeggia verso ovest il Lago Nahuel Huapi, poco oltre la teleferica per il Cerro Campanario si svolta e si attraversa il Lago Moreno che poi si costeggia. Nei pressi di una netta curva verso destra appare l’indicazione verso sinistra per il Rifugio Lopez che però trascuriamo per parcheggiare poche centinaia di metri a destra nei pressi del rio Lopez dove parte il sentiero (pannello indicatore in legno). Lasciamo quindi la macchina, tutta da sola.

Il sentiero, quasi sempre nel bosco, sale ripidissimo costeggiando l’incassato corso d’acqua fino a raggiungere la pista (sterrata) di servizio del rifugio che termina a 15-20 minuti di percorso dal rifugio. Ogni tanto il sentiero esce dal folto del bosco e offre panorami mozzafiato sul lago Moreno e sulle montagne intorno.

La giornata è molto calda e non c’è nemmeno un filettino di vento fresco che ci sarebbe stato proprio bene. In certi punti il sentiero è proprio assolato e mi sembra quasi di sciogliere al sole. Il terreno è molto sabbioso e camminando si solleva un bel polverone.

Ad un certo punto il sentiero incontro una pista forestale, come detto, e si prosegue su questa per un pezzetto per poi tornare su un sentiero che conduce al rifuglio. Siamo quasi arrivati al rifugio che veniamo superati da un mezzo 4×4 con a bordo alcune persone. Se uno non ha voglia di camminare può pagare questo servizio offerto dal rifugio che ti scorazza fino alla fine dei questa strada in fuoristrada, così da fare a piedi ne rimane proprio poco. Beh… visto che fino ad esso abbiamo mantenuto la prima posizione assoluta e ci da parecchio fastidio che questi scendano qua tutti belli riposati e se ne arrivino per prima su al rifugio acceleriamo il passo. Non dobbiamo nemmeno accelerare molto perché la mia velocità da lumaca morta, come la chiama Marco, è molto al di sopra della velocità delle tre persone che sono arrivate. Così arriviamo al rifugio per primi. Mi sistemo su un bel sasso di fronte al rifugio mentre Marco decide di proseguire per raggiungere la vetta del Cerro Lopez.

Piano piano iniziano ad arrivare anche altre persone, alcune visibilmente stanche per aver percorso l’intero sentiero altre invece, nonostante siano stanche e stravolte si capisce chiaramente che hanno usufruito del passaggio in fuoristrada. Personalmente mi danno sempre un po’ fastidio queste cose, perché alla fine non è chi ne ha bisogno ad usufruirne ma i pigracci e i pigracci per quel che mi riguarda possono anche starsene a casa.

Un gruppetto di tre persone tra cui una bimbetta di circa 6 anni si incamminano anche loro in direzione del Cerro Lopez. Marco scendendo li incontra e io con il binocolo ho modo di osservarli trafficare in mezzo a rocce e neve. Dopo aver ben bene rischiato di scivolare e tentennato sul da farsi riprendono la strada della discesa ma e mai possibile che la gente debba sempre cacciarsi in certe situazioni. Se una cosa la sai fare la fai ma se non la sai fare non ci porti una bimbetta con il rischio che oltre a farti male tu se ne faccia anche lei! Gli incoscienti ci sono ovunque!

Nel pomeriggio rientriamo e dopo una bella doccia e sistemati all’Hosteria del Cuore andiamo in città. Devo andare a cambiare il cinturino del mio orologio che si è rotto. Marco è molto divertito perché vuole proprio vedere come faccio a farmi capire dall’orologiaio. Trovo un negozietto in un vicolo piccolo piccolo pieno zeppo di orologi, anche a cucù. Dentro una coppia di anziani serve i clienti. Alla facciaccia di Marco riesco a farmi capire bene e la signora inizia a tirare fuori scatole e scatole di cinturini per trovare quello della misura del mio orologio. Trovata la misura io ne scelgo uno bordeaux, lo prende e con fare dispiaciuto mi fa presente che quello li, rispetto agli altri che mi mostrava, costava un po’ di più. Le chiedo il prezzo e lei, sempre con fare dispiaciuto, mi dice che costa 8 pesos. Aggiudicato! Se penso che l’ultima volta che l’ho cambiato in Italia ne ho spesi 10 di euro, ci sarebbe da prenderne qualcuno di scorta!

Per cena volevamo andare a mangiare la parilla, ma visto che qui il fuso orario per la cena non è sincronizzato  con il nostro  ripieghiamo su un ristorante che fa pasta e pizza (Como pizza e pasta – 31$). Ovviamente ci siamo solo noi. Ci scegliamo un bel tavolo davanti alla vetrata e ordiniamo la nostra pizza. Non riusciamo a capire un ingrediente della pizza che vorremmo scegliere. La cameriera tenta invano di farcelo capire, sul nostro vocabolario tascabile non lo troviamo; alla fine va in cucina e ce lo porta a vedere: basilico. Ah.. ora capiamo perché continuava ad insistere con il pomodoro e la salsa.

Sono da poco passate le otto, in tutto il resto del nostro viaggio non abbiamo avuto problemi di sorta con questo orario, i locali a quest’ora brulicavano di persone, qui quelli già aperti sono deserti.

Quando siamo entrati nel locali c’era un sottofondo musicale inglese ma dopo poco ecco qua la voce della Pausini, non è che mi esalti molto ma ci siamo ascoltati tutto l’album mentre cenavamo. Siamo quasi alla fine del dolce quando la proprietaria viene a farci vedere la luna che sta sorgendo dalle acque del lago Nahuel Huapi e in tutto il suo splendore riflette la luce sulle acque del lago. Un bello spettacolo. Lasciamo comunque il locale che è ancora deserto.. Boh.. ma questi a che ora fanno cena!?!?! In compenso le vie del centro sono affollate di turisti, e piene di vita.

Più tardi, mentre torniamo in albergo, passiamo davanti al locale dove abbiamo cenato, è pieno di gente. Guardo l’orologio e sono le 11 passate, ma gli pare l’ora di cenare!!!

Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar – 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Domenica 12 febbraio 2006 – lago Schmoll, lago Tonchek e rifugio Frey (S.C. de Bariloche)

Facciamo colazione con calma intanto il giro che vogliamo fare questa mattina è subordinato all’apertura delle seggiovie. Così poco prima delle 10 siamo in coda davanti alla biglietteria delle funivie di Villa Cathedral, dobbiamo anche compilare un apposito registro dove sono da registrarsi tutti coloro che intendono percorrere questi sentieri.

In quest’area ci sono tantissimi impianti di risalita, ma ad eccezione di quello che stiamo per prendere noi, gli altri sono aperti solo nella stagione invernale. Si tratta, infatti, di un complesso sciistico molto frequentato in inverno data anche la sua ravvicinata distanza a Bariloche (20 km).

Prendiamo prima una cabinovia e poi una seggiovia che ci lascia poco sotto il Rifugio Lynch (costo cabinovia  e seggiovia 24$ (solo andata)).

Prima di percorrere il sentiero  che abbiamo scelto è importanza recarsi presso il locale ufficio del CAI per verificare l’innevamento e lo stato del sentiero. Effettivamente è un bel sentiero ma con la neve potrebbe diventare un tantino impegnativo e non alla portata di tutti.

Il sentiero è spettacolare, offre delle viste spettacolari sui valloni e sulle montagne. Inizialmente procede in direzione sud-ovest prima attraversando le brulle creste di queste montagne che fanno parte della catena del Cerro Cathedral. Le viste sulla sottostante valle dell’Arroyo Rucaco sono molto belle. In lontananza si possono ammirare i ghiaccia del monte Tronador che andremo a vedere domani. Il sentiero si tiene sempre leggermente al di sotto della cresta, passando sotto all’imponente Cerro Cathedral. Passa in mezzo a pietraie e talvolta occorre usare entrambe le mani per spostarsi visto che il sentiero è per così dire scavato nella roccia. Comunque è uno dei più bei sentieri che abbiamo percorso in Argentina.

Arriviamo sul colle della Roca Inclinada da dove comincia la discesa e da dove vediamo per la prima volta l’immenso vallone da cui dovremo discendere. Attraversiamo un leggero nevaio per scendere al bellissimo lago Schmoll, contornato dalle rocce e dalle montagne. Un breve sosta con annesso bagno dei piedini nelle acque del lago. Per essere un lago alpino la sua acqua non è per niente fredda, è perfino piacevole stare a mollo con l’acqua fino alle caviglie, ci sono addirittura delle persone in costume che nuotano nelle sue acque.

Riprendiamo la discesa passando dinnanzi al lago Tonchek per arrivare al rifugio Frey. La vista del Torre Piramidal che domina il vallone è stupenda. Ci sono parecchi tende lungo il lago e parecchia gente che si rilassa con un bagno nel lago, oltre ad a qualche paperotto che si gode il sole. Posto veramente strepitoso!
Dal Rifugio Frey al parcheggio dove abbiamo lasciato la macchina ci separano 12 km. Mi viene male a pensarci e tutto il giorno che cammino e non ho ancora finito. Così visto che non è nemmeno tanto presto ci incamminiamo lungo il sentiero di discesa. Il sentiero consente la vista di un altro vallone, poi si addentra nel bosco per poi attraversare una zona, a mezza costa, da cui si può ammirare il lago Gutierez.  Molto strana come vegetazione, questa zona, sembrano canne di bambù. Il sentiero dal Rifugio fino alla macchina è stato proprio lungo.Sono più che convinta che chi ha disegnato questo sentiero ce l’aveva con i trekker. E’ un continuo sali scendi e non arrivi mai.

Arriviamo alla nostra macchina che sono da poco passate le 19 per cui questa sera possiamo andare a mangiare la parilla tranquillamente, non dovremmo avere problemi con l’orario di apertura dei ristoranti.

Più tardi lasciamo l’hosteria del Cuore non prima di aver chiacchierato un po’ con il marito della proprietaria, un argentino che parla un italiano perfetto. Così entriamo nel ristorante (La Parilla de Julian) che sono passate da un pezzo le nove. Nel locale ci sono solo pochi tavoli occupati, ci accomodiamo e ordiniamo la parilla. E’ un po’ meno coreografica rispetto a quella di Ushuaia, ma lo chef è lo stesso davanti alla sua griglia che seleziona i pezzi da cuocere secondo i menù ordinati dal cliente. Noi abbiamo scelto una parilla solo a base di carne, la loro ricetta ‘completa’ prevede anche le interiora e vari altri pezzettini che non mi ispirano affatto. Man mano che i diversi tipi di carne che compongono il piatto sono pronti il cuoco ce li porta direttamente al tavolo e li sistema su un tagliere di legno. Inizia ad uscirci già dalle orecchie quando finalmente ci annuncia che quello è l’ultimo pezzo. E con sollievo che tentiamo di finire anche quest’ultimo pezzo quanto il cuoco se ne arriva con un pezzetto nuovo dicendoci che c’era ancora questo. Ci chiede se vogliamo fare il bis di qualche pezzo ma siamo più che sazi. Ma nonostante questo…. Zot… che ci rifila un altro pezzetto. Usciamo dal ristorante con la pancia letteralmente in mano… abbiamo mangiato troppo. Facciamo due passi per la città e lungo le rive del lago per vedere di smaltire tutta questa mangiata.

Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar – 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Lunedì 13 febbraio 2006 – Monte Tronador (S.C. di Bariloche)

A colazione Marco mi racconta che ha sognato tutta la notte il cuoco di ieri sera che continuava a portagli carne da mangiare.. un incubo. Mi confessa che per un po’ non vuol sentir parlare di carne, qualsiasi cosa ma non carne. Ah ah ah ha…

Oggi andiamo a visitare una zona del parque nacional Nahuel Huapi: la zona che circonda il monte Tronador dove alla base di questo imponente monte (m 3554) si erge il Ventisquero negro, ossia il ghiacciaio nero. L’ingresso al parco costa 12$.

In auto oltrepassiamo passa la zona di Pampa Linda, dove c’è una casetta del parco e proseguiamo fino alla fine della strada per arrivare così l’area alla base del monte Tronador (m 3554). Per arrivare qui  si percorrere una lunga strada sterrata che per un bel pezzo fiancheggia il lago Mascardi. Questa strada è a corsia unica pertanto sono stabili degli orari in cui si può salire e degli orari in cui si può scendere, questo perché la strada in alcuni punti è proprio stretta.

Un lago di origine glaciale scaturisce dal Ventisquero negro, nelle sue acque nere ci vedono piccoli iceberg galleggiare. Come dice il nome è proprio un ghiacciaio nero, le sue acque sono decisamente scure.

Arrivati a destinazione lasciamo l’auto nei pressi del rifugio e ci incamminiamo verso un sentiero che abbiamo trovato descritto non so dove visto che tornata a casa non sono più riuscita a recuperare i riferimenti di questo percorso. Dobbiamo attraversare il fiume e il letto dello stesso si è molto ampliato e spostato tantè che l’inizio del sentiero è sommerso dalla acqua, per riuscire a passare siamo costretti a fare gli equilibristi su ampi tronchi caduti. Il sentiero sale, quindi alla destra orografica del fiume, e sale abbastanza ripidamente; di tanto in tanto ci sono enormi tronchi da scavalcare o raggirare. Il panorama che si gode dalla sommità è molto bello ma nulla di chè. Si vede il ghiacciaio e la cascata presente in fondo al vallone.

A differenza di altri posti qui ci sono un sacco di mosche fastidiosissime, così riprendiamo la strada della discesa e andiamo a mangiare sulle panchine nei pressi del rifugio all’ombra degli alberi.

Nel pomeriggio riprendiamo la strada del ritorno facendo qualche sosta qua e la per qualche bella foto della zona e per osservare con calma il paesaggio.

Torniamo a cena nel medesimo ristorante dove abbiamo preso la pizza due sere fa. Ovviamente ci siamo di nuovo solo noi due e questa volta ci fanno ascoltare l’album di Ramazzotti. Quando siamo entrati la musica era diversa ma poco dopo, voilà un po’ di musica nostrana. Apprezziamo il loro gesto. Questa sera ordiniamo la pasta, Marco delle penne io dei ravioli. Buonissimi, non hanno nulla da invidiare a quelli di casa nostra. In ogni caso il cuoco, viene a salutarci quando paghiamo il conto e vuole sapere com’era la sua pasta, e ci regalano anche qualche cartolina della zona.

Peccato che domani ce ne andiamo, avevamo trovato dei nuovi amici.

Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar – 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Martedì 14 febbraio 2006 – Esquel

Oggi è san Valentino e nemmeno ci avevamo pensato. Quando si è in vacanza il calendario non ha importanza. Da fare e da vedere nella zona ce ne sarebbe ancora tanto, si potrebbe percorrere la strada dei sette laghi fino alla città di San Martin de los Andes ma il tempo a nostra disposizione comincia a scarseggiare e quindi bisogna prendere la via del ritorno.

E’ doveroso, prima di lasciare la città, fare un’ultima visita al carino centro di Bariloche con i suoi edifici in legno e in pietra. Ci sono alcuni cani San Bernardo sparpagliati per la piazza non a caso ma da furbi proprietari che consentono di fare qualche suggestivo scatto con i cani sullo sfondo della piazza in cambio, ovviamente, di soldi.

Ci fermiamo per il pranzo a El Bolson e per valutare se fermarci ancora un giorno, vorremmo percorrere ancora un sentiero da queste parti, ma dopo essere stati al locale ufficio del CAI che ci informa che da anni nessuno traccia più il sentiero che avevamo scelto riprendiamo l’auto e ci dirigiamo verso Esquel. C’erano altre possibilità e altri sentieri, ma cominciamo a sentire il peso della stanchezza di questo viaggio per cui vorremmo percorrere un sentiero non troppo lungo, non abbiamo più voglia di fare scarpinate da 20 km ma nemmeno passeggiatine di un’oretta. Ma la via di mezzo sembra non esserci. In questi ultimi giorni ha fatto anche tanto caldo, la gentile proprietaria dell’Hosteria del Cuore ci aveva detto che quest’anno era un annata particolarmente calda e noi stiamo incominciando a sentire nostalgia del nostro freddo invernale.

Ci spostiamo così ad Esquel, cittadina che è stata fondata agli inizi del XX secolo ed è ora il principale centro commerciale e mercato di bestiame della regione del Chubut. Di fatto è un posto tranquillo che può essere usato come base per visitare il non lontano parco nazionale Los Alerces. Una curiosità, il nome della città deriva da un termine indigeno che significa ‘palude’ o ‘luogo di cardi’ Quest’ultimo nome lo trovo piuttosto divertente!

Per pernottare troviamo una struttura simile ad un motel, così prenotiamo una camera qui, poi andiamo in centro al paese a fare un giro. Non è che sia un granchè. Ci sono dei viali alberati con degli enormi alerci. Passiamo all’ufficio informazioni per vedere quelle che sono le possibilità della zona. Arrivando abbiamo adocchiato una montagna che sovrasta la città con una croce in punta, chiediamo notizie all’ufficio informazioni. Beh…non capiamo bene le ragioni ma questa signora ci fa intendere che anche se esiste una strada che ci va fino in punta e che da lassù si gode una bella vista non pubblicizzano il posto così la gente non ci va. Tentiamo invano di trovare la strada che sale a questo monte ma girare tra le vie dissestate della parte più trasandata di Esquel non è facile. Le strade sono brutte, la gente è per strada, bimbi e cani che tagliano improvvisamente la strada, cianfrusaglie e rottami sparsi qua e là. Dopo un po’ di tentativi lasciamo stare, se non vogliono che ci andiamo non ci andiamo ma che modo strano di fare!

Esquel è anche la stazione di partenza del famoso treno Tonquita, che non sono riuscita a vedere. La strada costeggia la ferrovia ma non mi è mai capitato di incontrare il treno in movimento. La Tonchita è un treno a vapore che viaggiava alla fantastica velocità dei 30 all’ora portando i passeggeri da Esquel a El Maiten. Oggi lo si può prendere come attrazione turistica sempre ad Esquel per arrivare a Nahuel Pan e fare ritorno in bus. C’è comunque ancora un servizio passeggero tra Esquel ed El Maiten  che ci impiega la bellezza di nove ore.

La scelta del tipo di camera si è rilevata vincente e il posto è piuttosto tranquillo. La nostra macchina è polverosa da far schifo così approfittiamo di questo enorme cortile per dare una ripulitine ai vetri e spazzolare i nostri scarponi, sono talmente polverosi che non si riesce a capire qual’era il loro colore originale. Ad un certo punto vediamo la proprietaria del motel venirci incontro e visto che tra una cosa e l’altra abbiamo fatto un bel pasticcetto nel cortile con l’acqua temiamo che stia venendo a farci il tombino, così io me la filo e lascio Marco li fuori ad affrontare le ire della signora. Ma lei è venuta semplicemente per indicarci una gomma attaccata ad un rubinetto che se volevamo potevamo usare per lavare la macchina. Ci mancherebbe, non laviamo nemmeno le nostre di auto a casa figurati quelle a noleggio.

Per cena andiamo in una pizzeria (Don Pipo – 18,50$) in centro, anche qui ci sono problemi di fuso orario così alle 8 siamo i soli a cenare nel locale ma non ho nessuna voglia di aspettare. Dopo cena passeggiamo per il paese dove i negozi sono ancora aperti, l’orario di chiusura segna le 22. Non è malaccio quest’idea di chiudere più tardi consente di fare shopping anche dopo cena. Mi chiedo se è un’abitudine riservata ai luoghi turistici o è un’abitudine dell’Argentina. In ogni caso non sono tutti aperti, molto probabilmente ognuno fa, giustamente, come gli pare.

Pernottamento: Hostal la Hoya – Av. Ameghino y Libertat – Esquel – tel (02945) 451697 – 110$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Mercoledì 15 febbraio 2006 – Puerto Madryn

Saliamo in macchina consapevoli del lungo viaggio che ci aspetta, ovviamente non essendo trascorso molto tempo da quando siamo passati di qui grosse novità non ce ne sono, avremmo potuto rientrare a Buenos Aires con un volo da Bariloche ma non siamo riusciti a far quadrare le date e l’itinerario.

Arriviamo a Puerto Madryn nel pomeriggio. Si tratta di una città sulla costa presa d’assalto dai turisti durante questo periodo dell’anno. Le sue vie principali brulicano di ristoranti, negozi e locali. La spiaggia è piena di persone, c’è il vento ma in questa zona è caldo.

Puerto Madryn ha comunque una posizione favorevole situata in una insenatura del Golfo Nuevo. Fu fondata da coloni gallesi nel 1886, si vede che non a tutti era piaciuta Gaiman. Ah ah! .Puerto Madryn è il secondo porto del paese per quanto riguarda la pesca ed è anche sede della prima fonderia di alluminio Argentina. Gli stabilimenti ci sono e si vedono bene, non sono di certo a basso impatto ambientale.

Scegliamo un albergo su una via laterale non lontano dal centro dotato di parcheggio perché a Puerto Madryn in parcheggio è tutto a pagamento, e non solo in prossimità del centro.

Mi sembra un po’ di essere tornata bambina quando con i miei si andava al mare per le vacanze estive. Ci sono tante famiglie con i bambini che affollano il lungo mare o lungo oceano, chissà come si chiama. Ci sono dei parchi giochi e uno di quei materassi elastici che piacciono tanto ai pargoletti. La spiaggia è affollata, il mare, per via del vento, è un tantino mosso, ma Puerto Madryin ha proprio l’aria della cittadina di mare presa d’assalto dai vacanzieri da spiaggia. Un classico paese  turistico di mare, come ce ne sono tanti da noi.

La città comunque è grande sulla via lungo il mare ci sono certe case e certe ville di un lusso impressionante, per non parlare di certi alberghi.

Tra le altre cose fatte oggi abbiamo anche comperato del mate. Siamo andati al supermercato dove, un’intera corsia era dedicata a quest’erba, quale scegliere? Aromatizzate, normali, ce n’era per tutti i gusti e tutte le forme:  sfuso e in bustina. Insomma che scelgo io che l’ho assaggiato giusto una volta e ora ne volevo un po’ da portare a casa da distribuire agli amici e parenti. Una scelta casuale non mi pare buona, quello con la carta più colorata.. nemmeno… la scelta va per le lunghe e Marco si impazientisce.. ad un certo punto una signora arriva, ne arraffa tre confezioni di un tipo e le mette nel carrello! Benissimo… operiamo la stessa scelta, se ne prende tre pacchi tanto schifoso non dovrà essere. Detto fatto.

E’ chiamato Mate l’infusione che si prepara con le foglie di quest’erba Mate, originaria del Sud America. Il procedimento è simile a quello del comune tè: l’erba Mate viene essiccata, tagliata e sminuzzata.

Gli  Argentini e coloro che vogliono rispettare la tradizione, come il nostro amico Luca devono questa infusione calda utilizzando una cannuccia di metallo denominata bombilla. L’erba viene messa in un piccolo recipiente chiamato mate e sopra ci viene versata l’acqua calda.

Questa tradizione in uso presso gli indios è stata appresa e fatta propria dai colonizzatori spagnoli e portoghesi. In seguito fu adottata come bibita tradizionale dei gaucho in molte aree del Sud America, quali Argentina, Paraguay, Uruguay e lungo tutta la cordigliera delle Ande.

In Argentina bere il mate è un rito quotidiano ed è molto comune vedere in giro gente con il mate che succhiano dalla bombilla. Un po’ una mania dico io, ma di quelle manie che non danno fastidio a nessuno e mantengono vivo il folclore e le tradizioni di un popolo.

Personalmente non mi esalta, un po’ amaretto per i miei gusti. Io però non ho provato la versione più folcloristica della cosa ma quella che loro definiscono ‘Mate cocido’, ossia funziona esattamente come il te, si fa l’infuso nella tazza con la bustina.

E dopo queste belle notizie sul mate torniamo a Puerto Madryn.

L’aria, per via del vento, è fresca così ci illudiamo di non dover soffrire di caldo sta notte Il nostro hotel non è dotato di aria condizionata e a dirla tutta non mi piace dormire con l’aria condizionata accesa ma la nostra camera, nonostante la finestra spalancata resta comunque piuttosto calda.

Pernottamento: hotel Carrera – marcos A. Zar 844 – Tel 802965) 450759 – 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Giovedì 16 febbraio 2006 – Peninsula Valdes

Dopo una bella colazione ci mettiamo in macchina in direzione della peninsula Valdes. Posto stra descritto dalle guide. E’ famoso per il suo paesaggio e per le colonie di leoni ed elefanti marini che stazionano sulle sue coste e soprattutto, per le balene franche australi. Ma questa è un’altra storia perché le balene stazionano in queste acque nel mese di novembre per cui… ho qualcuna si è sbagliata a leggere il calendario oppure noi non le vedremo. Oltre a questi animali si possono incontrare guanachi, nandù, altri uccelli marini e non raramente anche le orche.

La Peninsula Valdes sostengono sia una delle più belle riserve faunistiche dell’America del sud… esagerati…. Gran parte della superficie di questa riserva è proprietà di estancie che ci allevano le pecore, infatti oltre alla fauna sopra citata ci sono anche tante pecore!

L’ingresso alla penisola costa 35$. Poco dopo il gate c’è un centro informativo dove si possono reperire un po’ di informazioni sulla penisola, sulla fauna locale e dov’è conservato anche uno scheletro di balena. Oggettino leggermente ingombrante. C’è anche una torre dalla cui sommità si vede l’immensa distesa di questa penisola. Che dire?i Il paesaggio è desolato, arido e secco e i colori sono tutte tonalità di giallo e marrone, che c’avranno poi da mangiare ste povere pecore, vedessero i verdi prati dei nostri alpeggi creperebbero di invidia.

Per prima cosa facciamo un salto a Puerto Piramides. Mi ricorda un paesetto di pescatori. Non c’è molta vita in giro, forse il grosso dei turisti staziona in paese in novembre, quando ci sono anche tutte le escursioni in barca per avvistare le balene. Infatti le gite in mare per l’avvistamento delle balene partono tutte dal molo di questo paesino.

La nostra prima tappa è punta Piramides vicino al paese. Qui c’è una colonia di leoni marini. Se ne stanno tutti beatamente a sonnechiare al sole. Un maschio solitario fa un po’ di scena ma nessuno lo considera. Alcuni piccoli tentano di giocare con le loro mamme che stanche dormono al sole.

Ci spostiamo poi verso punta Delgada dove c’è un faro, ma è in una  zona privata, è stato costruito un hotel per cui non si può entrare se non si usufruisce dell’hotel o del ristorante. C’è anche un area pubblica ma in questo momento è chiusa a causa di smottamenti sul terreno.

Tappa successiva Punta Cantor. La strada costeggia la costa e il paesaggio è un po’ più vario. Il vento è molto forte se non si fa attenzione si porta via la portiera della nostra povera macchina. Qui possiamo ammirare nuovamente gli adorabili pinguini di Magellano. Non ce ne sono tanti come a Punta Tombo ma un numero sufficiente per profumare l’aria. Ovviamente perdiamo un sacco di tempo dietro ai pinguini. Sempre in quest’area ci sono anche gli elefanti marini. Imponenti. Sono stesi al sole e sembrano enormi. Non si vedono da vicino ma da un promontorio che sovrasta la spiaggia. Peccato. C’è anche una guardia della riserva e una piccola casupola con i dettagli degli avvistamenti. L’altro ieri era stata vista un’orca, oggi un bel niente. Scrutiamo un po’ il mare con il binocolo ma non siamo così fortunati.

Ultima tappa della giornata Punta Norte. E qui troviamo solo dei leoni marini. Potrebbero esserci anche degli elefanti ma oggi non si sono visti.

Per la cena scegliamo il ristorante di un hotel (Hotel Yanco Vale – 25$). A servire ai tavoli c’è anche un bambino di circa otto-dieci anni, un po’ rotondino ma molto volenteroso. Si affanna a destra e a sinistra a pulire tavoli, portare piatti, prendere ordinazioni. E’ uno spettacolo vederlo trafficare tant’è che prima di andare via gli lasciamo anche un po’ di mancia, in fondo se l’è meritata tutta.

Pernottamento: hotel Carrera – marcos A. Zar 844 – Tel 802965) 450759 – www.hotelcarrera.com.ar – 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Venerdì 17 febbraio 2006 – Puerto Madryn

Ormai la vacanza sta per finire.. ci siamo presi una giornata di tregua per riposarci. Avremo potuto fare tante cose ma un giorno di relax a bighellonare in giro senza fretta ci vuole proprio. Ci svegliamo con calma, prepariamo la nostra roba e ce ne andiamo in giro per Puerto Madryn. Prendiamo due panini per il pranzo che andiamo a mangiarceli nella zona di El Doradillo a nord di Puerto Madryn in direzione della Penissula Valdes. E’ una zona di spiagge che si raggiunge percorrendo la ruta 42, una strada sterrata molto larga che costeggia la costa. E’ un area municipale protetta e c’è anche un centro, con una torre, per avvistare le balene, ma è tutto chiuso. L’accesso a questa zona è gratuito, anche durante la stagione di avvistamento delle balene. A El Doradillo non c’è molta gente, qualche tenda accampata qua e la e qualche persona sulla spiaggia. Oggi il vento è anche molto forte, forse per questo stazionare in spiaggia non è molto piacevole. C’è l’alta marea e il mare copre in parte le spiagge. 

Nel pomeriggio andiamo a vedere una riserva naturale dove c’è una colonia di leoni marini: l’area naturale di Punta Loma. Si trova poco a sud di Puerto Madryn subito dopo una zona di alte dune sabbiose. L’ingresso costa 10$ ci sono due specie di balconate che consentono la visione degli animali Dobbiamo però aspettare la bassa marea che liberi la spiaggia dall’acqua. Con il scendere del livello del mare i leoni marini pian piano arrivano dal mare e vanno a guadagnarsi il loro posto al sole. In mare si vedono di tanto in tanto emergere i testini degli animali, ma il più delle volte ci accorgiamo dell’arrivo di un animale quando è quasi giunto in spiaggia.

Più tardi torniamo a Trelew e ne approfittiamo per prendere possesso della nostra camera e per gironzolare per la città. La camera che ci hanno riservato sta volta è migliore della precedente, aveva ragione Marco che ha voluto dargli fiducia e confermare la prenotazione. Ovviamente anche questa ha visto tempi migliori ma per lo meno è più decorosa e decente di quella della settimana scorsa.

Trelew benché conservi alcuni edifici storici oggi è soprattutto una importante centro commerciale. Nasce nel 1886 come nodo ferroviario e deve il suo nome a una fusione e storpiatura di due parole gallesi. Se non si era capito i gallesi in questa zona l’hanno fatta da padroni.

Visitiamo la parte centrale della città quindi la Plaza Indipendenza e le sue vie laterali e la famosa av. Fontana. Raggiungiamo Plaza del Centenario e ci portiamo fino al Parco ricreativo Laguna Cacique Chiquichiano. E’ carino il parco, ci sono le panchine colorate, la banchina sul lago, ma è completamente deserto. Sembra tutto relativamente recente non capisco se non è ancora stato usato oppure se è stato costruito ma nessuno se lo fila e allora come spesso avviene in questo paese lasciano che le cose vadano alla deriva da sole. Ci sarebbe anche una specie di chiosco ma è chiuso, se fosse mai stato aperto o meno non si capisce. Qualche seggiola sparsa qua e la ma nulla di più che faccia pensare che un giorno aprirà.

Passiamo un po’ di tempo a rilassarci su una panchina. E’ un peccato che non ci siano nessuno. E’ un bel posto ed è anche parecchio tranquillo ed è soprattutto un angolo verde in questa arida zona.

La città è vivace,  siamo in pieno carnevale  ed è animata da gente in maschera. Un tratto della via principale (av. Fontana) è stata chiusa per consentire i festeggiamenti. Stanno allestendo un palco e più tardi la musica a tutto volume e la gente festosa riempirà la via.

Pernottamento: Cheltum Hotel – Avda. H. Yrigoyen 1385 – trelew – tel (02965)431066 – www.cheltumhotel.com.ar – 78$ (doppia con bagno in camera – B&B)

Sabato 18 febbraio 2006 – Trelew

Mi sveglio molto presto non perché non ho sonno o per via del caldo, ma perché quella della stanza di sopra ha deciso di telefonare stando alla finestra in modo tale che tutto l’isolato possa deliziare della sua conversazione. Accidenti ai telefonini!!!! Non so che le sia preso fatto sta che mi tocca di ascoltare tutte le molteplici telefonate alla ricerca di una stanza d’albergo per una signorina sola (mi colpisce questo suo modo di definirsi.. signorina e poi sola.. chissà che cosa vuol far intendere) che abbia il televisore e che sia disponibile subito. Ieri sera l’abbiamo sentita litigare con qualcuno, magari è il fidanzato che l’ha scaricata e ci credo, sono le 5 del mattino e questa già rompe! La fortuna ogni tanto ci assiste e la tizia finalmente trova la camera, dopo un po’ sentiamo la porta sbattere e sappiamo che si può riprendere a dormire!

Non abbiamo più molto da dormire perché comunque alle 8 dobbiamo essere in aeroporto. Lasciamo l’auto e questa volta  ci tocca di pagare un extra per i chilometri che abbiamo percorso in eccesso rispetto a quelli concordati ma nulla di più rispetto a quello che avevo preventivato. Tanto per curiosità ho controllato il libretto della macchina per scoprire che era stata immatricolata meno di 12 mesi prima. Mamma mia, a guardarla da fuori non si sarebbe certo detto. Tra bolli, ammaccature e righettine varie la carrozzeria sembra molto più vecchia. Oltre tutto la portiera del lato del guidatore ha un spiffero che sembra di andare in moto. Beh.. ho un po’ esagerato ma lo spiffero c’è. Forse è stata forzata o chissà.

L’aeroporto di Trelew è piccino, e visto con la luce del sole è anche più accogliente. Un negozietto di souvenir, un bar e poco più, facciamo subito il check-in e paghiamo la tassa aeroportuale nell’apposito ufficio (6,05$).

Il volo fino a Buenos Aires è tranquillo. Da qui, per raggiungere Ezeiza decidiamo di prendere un auto remisis (Remises Universo – 64$). Avremmo potuto anche prendere un bus, ce ne sono che collegano i due aeroporti, ma la differenza di costo non è molto e l’auto è più comoda.

E così inizia la trafila del check-in, delle tasse aeroportuali (55,44$), controllo passaporti, imbarco, code e attese e adios Argentina, forse un giorno torneremo!

Una nota curiosa del volo aereo e che il personale all’andata era tutto maschile mentre ora, al rientro, sono tutte donne. Brutto da dirsi ma il popolo maschile se l’è cavata meglio. Più professionale. Insomma… a qualcuna di queste care hostess qualcuno dovrebbe spiegare che è poco professionale scorazzare per i corridoi dell’aereo, in fase di discesa canticchiando ‘”che bello si scende che bello si va giù” o servire i pasti alle persone dicendo alla collega di fronte “non vedo l’ora di andare a casa per farmi una doccia perché sono tutta sudata”. E che cavoli… un po’ di professionalità… siete pur sempre delle signore!!!!

  Domenica 19 febbraio 2006

E’ così è finito il nostro viaggio. Atterriamo a Torino imbiancata dalla neve. Eravamo partiti con la neve e torniamo con la neve, dopo il caldo degli ultimi giorni ci sembra quasi un sollievo mettere guanti e sciarpa. L’evento olimpico è al clou, la città è vestita a festa e per noi, che abbiamo lasciato una Torino sonnolenta con la lenta macchina dei giochi che si stava avviando, è quasi una sorpresa ritrovarla con il suo vestito migliore, allegra, brulicante di gente, di vita e di colori e la Patagonia con i sui colori con la sua gente ci sembra nostalgicamente così lontana.

Argentina 3° edizione – EDT (Lonely Planet) – Ed. in Italiano
Trekking in Patagonia 1° edizione – EDT (Lonely Planet) – Ed. in Italiano
Argentina Cile 1° edizione – Rough guides – Avallardi viaggi

Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati in Argentina

 

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