di Antonella Alfano –
Benvenuti a Buenos Aires, benvenuti in Argentina. Un tuffo nel passato, terra di italiani partiti tra la fine dell’800 e i primi decenni del secolo scorso. Angoli di città e facce che il tempo sembra aver congelato in un presente che è il nostro passato remoto. Italia più in Argentina che in Italia. Cammini tra le strade dritte di Buenos Aires e i volti che incontri sono familiari e rassicuranti, quelli di parenti lontani che vivono dall’altro capo del mondo.
Argentina bella, selvaggia e indomita. Come Eva Peron, Cristina Kirchner, le madri di Plaza de Mayo. L’Argentina è delle donne che vedi camminare in città o sedute sotto i portici in sperduti paesi di quattro case nella pampa o sulle Ande. Folte capigliature sciolte, sguardo fiero senza trucco e abbigliamento demodé. Dietro loro tre, quattro o cinque figli, commuove la leggerezza e la semplicità di gesti che abbiamo dimenticato e non fanno più parte della nostra cultura. Se sbirci nelle case scopri appesi alle pareti i ritratti in bianco e nero degli antenati arrivati in America a bordo di bastimenti partiti da Napoli e Genova 100 anni fa.
A distanza di un secolo, a bordo di un confortevole aereo, siamo arrivati a Buenos Aires una calda mattina di gennaio. Anno 2012. Ettore, Antonella, Giulio (5anni) e Gaia (3). Viaggiare con i nostri figli è una esperienza unica: la meraviglia nei loro occhi è essa stessa viaggio. Non esistono nazioni o confini solo voci diverse: Capetown come Parigi o Budapest. I bambini non hanno bisogno di parlare la stessa lingua, giocano e si capiscono.
Buenos Aires è una città che offre molto a dei giovani viaggiatori: parchi bellissimi, musei a tema, numerose aree gioco e gelati deliziosi. E se si decide di visitare la città a bordo dei pittoreschi autobus c’è sempre un posto riservato a un bambino e ad un anziano. Naturalmente, come tutte le grandi metropoli vive di confusione e traffico. Le strade più larghe del mondo, come l’avenida 9 de Julio composta da 16 corsie, in pieno centro, si riempiono nelle ore di punta di migliaia di macchine, modelli che in Europa non vedi da decenni: simca, renault 4 cavalli e numerose fiat. Palio, Siena, Linea, Duna e ancora in circolazione le vecchie 600, fiat 128 e 127. Anche le insegne dei negozi ti riportano indietro. Sembra che ti scorra davanti l’elenco dei nomi dei compagni di scuola: Cavallaro, Decola, Sandroni, Moretti, Ottonelli, Bertalot, Oliva, Colombo, Gallo… Un amarcord che ti riempie il cuore di tenerezza.
Questa città dall’aria decadente ti apre le braccia e ti accoglie come una vecchia zia. Le rughe le donano un aspetto vissuto e fiero. Ogni solco racconta del suo passato. A volte con orgoglio, a volte con vergogna.
Giulio e Gaia hanno amato gli animali del parco zoologico e le piante dell’orto botanico, oggi dimora di una folta colonia di gatti. Hanno corso nei vialetti del giardino giapponese, e tra le radici dei secolari ficus in Piazza San Martin. Si sono stupiti davanti agli oggetti di antiquariato nel mercato di piazza Dorrego a San Telmo e hanno cercato la tomba di Evita nel cimitero di Recoleta. Si sono persi tra le stanze della Casa Rosada e hanno mangiato carne e fettine di milanese tutti i giorni. La sera si sono divertiti nei piccoli parchi chiusi di Palermo vjeco e ballato il tango in una milonga a Belgrano. E poi ancora al museo dei bambini di Abasto e a quello della scienza di Recoleta. Toccato l’erba dello stadio di calcio del Boca e persi tra le case in lamiera colorata di Caminito. La città d’estate, tutta per noi. Due settimane. Troppo poco tempo per sviscerarne i segreti più profondi, ma abbastanza per assaporare il piacere di vivere come un portegno.
Presa una macchina in affitto abbiamo cominciato l’avventura verso terre sconosciute e leggendarie. Attraversato la Pampa: mille chilometri di strada tutta dritta, tagliata come una retta su di un foglio bianco. Distese immense abitate da mandrie di vacche e cavalli, e campi a perdita di vista coltivati con la soia. Un infinito viaggio fatto di continui blocchi di polizia e di pochi paesi. Pochi e brutti, con la sola eccezione di una cittadina congelata nel tempo e simbolo dell’orgoglio gaucho, Sant’Antonio de Areco: strade polverose, il fiume in secca, vecchi saloon dall’atmosfera western, un fernet e di nuovo in viaggio verso la capitale argentina del vino: Mendoza. Regione di vigneti all’ombra della cima più alta dell’emisfero occidentale: Aconcagua (mt. 6959). Aspra, arida, insormontabile, croce e delizia per gli escursionisti di tutto il mondo. Commuove il piccolo cimitero degli alpinisti. In tanti hanno provato a scalare le ripide vette del cerro più alto della cordigliera delle Ande, in pochi sono riusciti a tornare con la vittoria in tasca. Un paesaggio straordinario che ci ha svelato segreti e tesori impareggiabili che solo la natura riesce a creare, come il Puente de Los Incas, una formazione rocciosa sopra il rio Las Cuevas. Per i nostri figli rimangono insuperabili le terme di Chacheuta, una serie di piscine (alcune naturali), all’interno di un canyon sulla precordigliera andina. Relax totale all’ombra delle Ande.
To be continued…