L’ultima estate del millennio

di Giorgio Lucchini – 
Quella lunga, calda, ultima estate del Millennio
I giorni passavano nell’ apatia, era una lotta continua trovare degli stimoli per affrontare il mattino dopo. Non si registravano novita’ in nessun campo, e il pensiero che il resto del tempo non potesse cambiare non faceva che aumentare la depressione. Un quadro davvero consolante!
Cominciavo a pensare di essere diventato un gran rompipalle, e forse era vero: non mi andava piu’ bene nulla, e le solite facce, i soliti discorsi, i soliti aperitivi ormai erano indigesti. Tentativi di cambiare la situazione ne avevo fatti molti; ma il solito muro contro cui si infrangevano mi convinceva sempre di piu’ che il destino era segnato (inizio di crisi). Dopo anni di rifiuto, avevo acquistato un PC, buttandomi in rete per trovare quelle cose che non mi cadevano addosso nel reale; risultato, che mi isolavo maggiormente.
Se non fosse stato per qualche visita a Gianni e ai miei nipotini, a prendermi qualche sonora leccata (i miei nipotini sono due Bulldogh, per chi non lo sapesse), sarebbe stato veramente un periodo da taglio di vene.

E arriva finalmente l’ estate; le donne cominciano a girare sempre meno infagottate, la voglia di sole, di qualcosa di nuovo si fa pressante: “Organizziamoci una vacanza!”.
Facile, vero? Fatti i debiti conti e visto che noi poveri single siamo sempre svantaggiati nei confronti dei “normali”, fatto un vasto giro di agenzie, cercato in rete le occasioni “last minute” , disposto anche a pagare il soggiorno a qualche fanciulla; con il solito rifiuto, decido di andarmene da solo nell’ isola di Krk in Croazia.
Partenza alle 4 del mattino caricato come non mai, musica a tutto volume, velocita’ controllata, riflessi pronti. Un caffe’ a meta’ strada e ingrani la prima, la seconda, la terza, la sesta… quella non c’e’ . All’ altezza di Latisana sento un rumore improvviso, e qualcosa di scuro che si perde alle mie spalle; una marea di sensazioni mi passano per la testa accompagnate da parole irripetibili.
Guadagno la corsia di emergenza provando freni, sterzo ecc. controllo tutto… nulla. Mi fermo ad un distributore e spiego la situazione, l’ addetto controlla e non trova nulla di anormale; qualcosa e’ successo ma non si capisce. A questo punto mi rimangono due soluzioni: tornare indietro o andare avanti; scelgo la seconda sperando nella mia buona stella, anche perche’ non potrei sopportare l’ idea di bruciarmi la vacanza.
Riparto prudente, e dopo qualche chilometro alzo la musica e me ne frego.
Passo indenne il confine, anche quello tra Slovenia e Croazia, piove e non ci vedo molto; ma continuo come una macchina da guerra.
Il tempo di cambiare qualche soldo e di sbafarmi una torta di mele poi via, arriviamo finalmente a Opatia; io, la mia Uno e la musica. Dopo aver chiesto qualche indicazione, costeggiando il mare con sempre il timore di essermi perso, arrivo in vista del ponte tra la terraferma e l’isola di Krk. A questo punto vale la pena di ascoltare Emerson Lake & Palmer: a “balla”, arrivo fino all’ estremita’ (a Krk appunto) per scoprire che devo tornare indietro di un 25 chilometri, perche’ il mio albergo e’ a Njivice. Prendiamola con filosofia, e alziamo ancora il volume.
Finalmente parcheggio, scopro l’ hotel: in puro stile dell’ est, prendo possesso della mia stanza, una doccia e mi butto sul letto. Mi ero dimenticato di dire che pioveva ancora.
Neanche il tempo di fumare una sigaretta e vengono a fare la camera; esco sul terrazzo a prendere un po’ di fresco.
Quando la megera mi da il permesso mi ributto a fare un sonnellino.
Mi sveglio dal rumore che fanno i gabbiani, volteggiando sopra il mio terrazzo; li guardo sullo sfondo del cielo grigio, aspettando che mi dicano qualcosa.
Arriva anche l’ora di scoprire cosa mi riserva questo paesino: cerco di farmi bello, e mi butto alla ventura.
L’ impatto non e’ dei migliori: gruppi di Tedeschi di mezz’ eta’, famigliole, bambini, pochi giovani. Prendiamo il coraggio a due mani, e cerchiamo di scoprire questo paesetto. Dopo circa 10 minuti, l’ho girato quasi tutto: la via principale e quelle intorno; decido di fare una pausa facendomi una birra e guardando il passaggio. Una cameriera abbastanza carina, mi serve senza l’ ombra di un sorriso: andiamo bene, non e’ che sia Richard Geere, ma di solito una reazione anche minima la suscito, non fosse altro che per il mio modo di fare. Non deve essere giornata.
Mi concentro sul passaggio: nulla di interessante, se si tolgono le bellezze naturali del posto. Arrivo alla seconda birra, e temporeggio… visto che oltre al vento non cambia nulla, decido di andare in albergo a mangiare qualcosa.
Arrivo nel salone, tipo refettorio dove un cameriere mi assegna il tavolo che dovro’ cuccarmi per tutto il soggiorno: misura appena sufficiente, posizione infame; seminascosto da una colonna subito fuori dalla cucina.
Nota positiva, che mi servono in fretta e vedo tutta la sala (ci fosse qualcosa da vedere?!). Almeno il cibo e’ buono, e le cameriere gentili.
Era tanto che non andavo in un albergo di questo tipo, e devo dire che e’ molto istruttivo: anche perche’ non avendo di meglio da fare osservavo tutto l’ ambaradan. Sono organizzati in modo da servire tutti nel minor tempo possibile: ci sono un paio di camerieri che non fanno una mazza; cioe’ ti assegnano tavoli infami, le cameriere che chiameremo principali prendono le ordinazioni, e un nugolo di cameriere che chiameremo secondarie, passano con dei grandi carrelli e ti spiattellano il piatto sul tavolo, quando hai finito te lo requisiscono senza darti il tempo di rubarlo. Sul tavolo hai dei bigliettini, che non servono a nulla tanto e’ tutto compreso a parte le bevande, pero’ loro si divertono a strapparli. Le cameriere principali che ti portano anche le bevande, vengono a riscuotere l’ extra che devi pagare subito.
Per fortuna ho intenzione di mangiare spesso fuori in questa settimana, senno penso che potrei fare atti inconsulti.
Mi catapulto all’ esterno alla ricerca di un localino dove passare la serata e mi concedo un espresso in un bar dove c’e’.
Dopo tre giri in lungo e in largo, capisco che la vita notturna e’ l’equivalente di una tombola in parrocchia o peggio.
Mi faccio coraggio: “E’ la prima sera, vedrai che domani sara’ meglio ecc. ecc.”. Dopo il training autogeno mi concedo un Whisky al bar dell’ Hotel: vuoto pneumatico, la barista deve chiedere aiuto a una collega perche’ non conosce l’esatta dose; probabilmente i tedeschi arrivano al massimo alla birra. Riesco a fermarla, prima che mi riempia il bicchiere di ghiaccio e continuo a temporeggiare tanto sono in ferie,di tempo ne ho da regalare.
Alla fine sono costretto ad andarmene, perche’ il bar chiude; tanto i vecchietti sono a nanna. Non ci sono neanche i miei amici gabbiani,e tristemente cerco di addormentarmi.
Il mattino dopo un timido raggio di sole mi fa ben sperare: colazione e poi, munito di un buon libro e della musica, buttiamoci.
Dopo una mezz’oretta passata a leggere su una panchina, il raggio di sole diventa sempre piu’ timido, ancora di piu’, fino a diventare asociale.
Alzo le chiappe, visito tutto quello che mi era rimasto da visitare e sotto le prime gocce di pioggia agguanto un tavolo in un bar: la fauna non e’ migliorata dal giorno prima, anzi. Assaporando un buon fritto di pesce, la depressione che cominciava ad affiorare rimane ad un livello accettabile, tento di familiarizzare con qualcuno del posto senza successo. Decido di recuperare il mio mezzo, e andare a visitare qualche altro paesino: si ripresenta il problema della bambolina (se trovo quello che ogni tanto ci infila degli spilloni… ) arriva un vero nubifragio.
Risultato pomeriggio passato guardando la tv ; meno male che c’e’ il Gran Premio.
Finalmente arriva l’ ora della cena: “qualcosa da fare?! “.
Vestizione: semplice e pratica, ma con un po’ di stile italiano; in mezzo a tutti quei tedeschi non potevamo permetterci di fare brutta figura. Poi mi va di giocare, e vedere cosa succede… speriamo di trovare qualche compagna perche’ giocare da soli non e’ molto divertente. Indosso una delle mie facce migliori e raggiungo la postazione, subito fuori dalla cucina, vicino a una colonna: “Una cosa desolante! ” si vede che molti hanno finito la vacanza, comunque e’ mezzo vuoto. Arriva anche un cameriere, al posto di una cameriera: mi assale una strana sensazione, come una voglia di alzarmi e andarmene via subito, pero’ resisto.
Consumato il pasto, mi butto in “vita” e… faccio la fine della sera prima.
Non riesco a dormire, e passo molto tempo sul terrazzo, guardando la luna e cercando di indovinare che tempo fara’ domani.
Al mattino, a colazione vedo dei nuovi arrivi: c’e’ anche una coppia di ragazze, sorelle deduco, con un bimbo. Si risveglia il mio istinto di caccia, anche perche’ devo trovare qualcosa da fare, visto che il tempo non sembra aver voglia di mettersi al bello.
Visto che di tintarella non se ne parla, giriamoci tutta l’isola.
Maliska, Punat, Krk, Baska, tutti belli, anche se molto simili: un porto, dei vicoli stretti, negozi e bar; sembra quasi di stare sul lago di Garda, anche per la concentrazione di tedeschi. Prima di essere troppo ubriaco per guidare, e visto che si avvicina la sera, decido di tornarmene a casa, oops! in hotel. Preferisco mangiare qualcosa in un ristorante diverso: mi concedo un buon Branzino con del vino locale che, senza offesa, non mi dice molto.
Naturalmente gli altri commensali, sono tutti in coppia, o famiglie: di conoscenze non se ne parla proprio; quando arriva la grappa decido che il giorno dopo, se il sole non si decide a fare la sua comparsa me ne torno a Verona e chi se ne frega.
Non sapevo di riuscire a farmi sentire nelle alte sfere; fatto sta che puntuale, si presenta. Rincuorato da quella presenza, mi faccio una bella colazione, cercando di catturare lo sguardo di una delle due “sorelle” che avevo notato la sera prima: non devo essere il suo tipo, o la mia rete e’ piena di buchi perche’ pur usando il mio sguardo n.25 (riconosciuto dal mondo intero come “assassino”) non mi fila proprio.
Cerchiamo almeno di salvare il salvabile: abbondante spalmata di crema anti ustioni, musica, sigarette, libro e cerchiamo un posto dove arrostirci. Uno spiazzo tra gli scogli mi ispira; non c’e’ ancora nessuno, e mi concedo una sigaretta per rilassarmi, guardando il cielo.
Quando mi alzo per cambiare posizione, il mio sguardo viene attratto irresistibilmente da un bikini turchese, ben riempito da una rossa sui 35. Penso che finalmente qualcuno lassu’ o laggiu’ o a destra o sinistra, si sia deciso a darmi una mano.
Adotto la tattica dell’ intellettuale: prendo il libro, e comincio a leggere, alzando ogni tanto indifferentemente lo sguardo: credo di notare un minimo di interesse, e aspetto l’ occasione buona quando… arrivano i due figli con il marito. ” Ok, abbiamo scherzato, era solo un gioco per passare il tempo, ti sembrava possibile che…?!” tutte queste domande me le rivolgo mentalmente, assieme ad altre sul senso dell’ esistenza e sull’ esistenza di una fortuna o una sfortuna. Visto che non trovo le risposte mi tuffo in acqua e mi concedo una bella nuotata, per risalire devo passare vicino alla famigliola, e mentre sono disteso ad asciugarmi, colgo grazie alle reminiscenze scolastiche, degli accenni e delle ipotesi sull’ origine del mio tatuaggio.
“Ma che si facessero gli affari loro!”
Dopo aver parlato con i gabbiani che continuano a svolazzarmi attorno, per nulla impauriti da quel bipede che ascolta musica e fuma, e prima di trasformarmi, tanto per rimanere in tema, in un würstel; vado a farmi una bella birra fresca e a controllare il passaggio.
Le birre diventano due, e una strana dilatazione del tempo rallenta le lancette del mio orologio. Dato che non siamo in una metropoli, ormai riconosco molte facce, e tanti sono alloggiati nel mio stesso albergo.
Potrei fare qualche mattata, tanto per movimentare il posto, ma ci vorrebbe almeno una scintilla di qualcosa, che non riesco a vedere negli occhi di nessuno qui intorno.
Dopo tre giorni di sole, che almeno mi danno un colorito apprezzabile, arriva l’ ultima sera, e anche la goccia che fa traboccare il vaso. Ormai sono rassegnato ad andare a dormire presto, senza avventure, e senza scambiare una parola con nessuno al di fuori dei gabbiani: prendiamolo come un ritiro spirituale; ma quando mi siedo per l’ ultima volta al mio tavolino e senza neanche chiedermelo, fanno sedere uno, allora cominciano a fumarmi. Domani parto ok, ma almeno la cortesia di chiedere, anche perche’ la persona (e nulla assolutamente da eccepire) e’ di mezz’eta’ con l’ aria leggermente effeminata: anche se mi piacessero gli uomini, andrei a cercarmi qualcosa di meglio!
Mangio velocemente, non senza lanciare il mio sguardo n.77(riconosciuto in tutto il mondo come: “mi capiterai tra le mani un giorno!” ) al cameriere. Tento il tutto per tutto al bar dell’ hotel con tra le mani un bicchiere di whisky, ma neanche la giovane barista viene attratta dal mio fascino. Me ne vado a nanna con le classiche pive nel sacco: vorrei essere gia’ a casa.
Passo l’ultima notte, guardando il mare, che merita veramente.
La mattina parto, senza fare colazione, e per la prima volta in vita mia, sono contento di vedere un poliziotto, alla frontiera, che mi sorride.
Oltre il confine mi rilasso, e arrivo a casa in tempo record.
Ho ancora due giorni liberi, e mi butto per le strade di Verona, piene di turisti, mi inebrio del fatto di essere a “casa”.
Passo a salutare qualche amico e mi preparo a rientrare nella normalita’.



Dopo neanche 20 giorni sono li’ che mi sto preparando per il Tg, e mi passano una telefonata: “Ciao, sono Silvino, ti va’ di venire a fare un filmato in Brasile, 15 giorni, tutto spesato… non ti pagano.” Le mie sinapsi viaggiano alla velocita’ di Hal 9000 e la risposta arriva ancora prima della fine della domanda.
Comincio a camminare a qualche metro da terra, e a pensare che quello che mi infila gli spilloni sia andato in ferie (speriamo lunghe).
“Cazzo, cazzo, cazzo, torniamo in Brazil!”. Mi avvolgono come in un turbine, tutte le emozioni, i ricordi, gli odori i suoni della prima volta che ci sono stato.
Penso sia meglio non farmi misurare la pressione, per non rischiare che qualche medico diligente mi ricoveri.
Riesco a tenere il segreto per un giorno, forse, poi devo dirlo ai miei amici; tutti stati in Brasile, che mi confessano la loro piccola invidia.
Cominciano i preparativi: non lascio nulla al caso; cerco di documentarmi sul posto dove devo andare, faccio ginnastica visto che dovro’ tenermi la camera in spalla per molto tempo, varie ed eventuali.
A una settimana dalla partenza sono teso come le gomene di Luna Rossa.
Mi arriva finalmente il soggetto, e la cosa comincia a piacermi sempre di piu’.
Passo questo ultimo periodo in una situazione quasi onirica, ormai sono flippato li! Camocim: dai racconti di gente che c’e’ stata qualche tempo fa, e’ un posto ancora sconosciuto con maiali che maialano per la strada, e tutto quello che ci va’ dietro.
La cosa non mi spaventa, e come al solito cerchero’ di lasciare che il poco di buono che c’e’ in me esca a farsi un giro.
Sistemo le cose che servono nel migliore dei modi, e trovo anche il tempo di innamorarmi: mi succede spesso; tornando a casa incontri degli occhi, a volte mi innamoro anche tre volte al giorno.
Mentre continuo a nutrirmi degli sguardi delle passanti, si avvicina il giorno fatidico. Il 16 agosto.
Il tempo di una cena di pesce a casa del Gianni e della Lella, parlando di Bulldogh con degli allevatori bresciani… Bisignano mi sembra, due persone simpatiche, e poi siamo gia’ al 15.
Taxi, treno, navetta, eccoci a Malpensa. “Che bello viaggiare!” penso mentre varco le porte scorrevoli e entro in quell’ universo di suoni e immagini che e’ un aeroporto. Sento Silvino che mi chiama davanti al check in della Varig, non ci vediamo da qualche mese: “Ciao, come va? Sei Pronto? …” .
Prendiamo i nostri biglietti e scopro che non si puo’ fumare, neanche li’. Vabbe’ sul treno niente, nella navetta neanche, faccio la mia scorta di veleno prendendo le ultime cose che mi mancano. Mi spiega il soggetto del filmato, e comincio a pensarci.
Ci rilassiamo parlando del piu’ e del meno come fanno tutti i viaggiatori, guardando le belle ragazze di passaggio.
Arriva l’ ora dell’ imbarco, gesti ormai automatici ma sempre piacevoli, anche perche’ sai che stai per partire per un Viaggio con la v maiuscola, si spera.
La mia “sfortuna” non mi abbandona anche questa volta: le hostess sono bruttine, e per i soliti problemi di budget mi capita ancora la classe turistica.
La cosa non ci toccherebbe piu’ di tanto se non fosse pieno (visto il periodo) di italiani che vanno a “scopare”.
Chiedo scusa ai deboli di stomaco, ma io amo il Brasile e non disdegno la compagnia femminile, pero’ ci sono alcune cose che non sopporto: ” Con i soldi sono capaci tutti”.
Sfruttare la fame, in ogni parte del mondo, mi sembra abbastanza squallido.
Tengo per me’ queste considerazioni aspettando il momento per dirle, sempre conscio che il mercato e’ legato alla domanda e alla offerta. Pero’ … posso tentare di dissociarmi?!.
Tutto questo perche’ le ore in aereo non passano mai, e non potendo neanche fumare, uno passa il tempo come meglio puo’ : filosofeggiando.
Finalmente “landing” : solita coda per il visto e bingo per il controllo bagagli; sono fortunato, luce verde e posso ascoltare con calma la voce della speaker dell’ aeroporto di Fortaleza; e’ una cosa da sballo, una voce cosi’ ti fa’ liquefare. Per fortuna Silvino ha una spugna, e raccoglie i miei resti. Dopo che mi sono risolidificato ci capita una riunione di lavoro, tra capo e collo, con il ministro del turismo dello stato (non di tutto il Brasile): neanche il tempo di farsi una doccia, carichiamo le valigie sull’auto che e’ venuta a prenderci e via al Ministero. Come inizio… .
Cafesinho, ascolto delle cose di cui non so’ molto, faccio la mia dignitosa figura e finalmente a sera, prendo possesso della stanza all’ Hotel Colonial.
Sono in Brazil, finalmente, ancora una volta. Sotto la doccia comincio a rilassarmi e a pensare a tutto quello che mi capitera’ in questo viaggio; le cose nuove che vedro’ le persone nuove che conoscero’, quello che mi capitera’ di imparare: si’ perche’ il “viaggio” lo intendo cosi’ . Prima di annegare riporto i pensieri al centro della carreggiata, trovo un nascondiglio per la telecamera (sono in un albergo di classe, ma … sempre meglio stare in campana), vestizione e aspettiamo l’ora di cena.
Facciamo quattro passi per Fortaleza: la beiramar e’ simile a tutte quelle dei posti turistici; grandi alberghi, grandi palme, sabbia e mare a volonta’.
Mi costringono a recuperare la telecamera, ma c’e’ poca luce e allora ci inerpichiamo su una collina dove si vede tutta la citta’ passando indenni per una favela, lo spettacolo e’ veramente splendido e ci rifocilliamo con una buona cena a base di pesce.
Poi purtroppo a letto presto: domani si parte per Camocim, la nostra meta, e ci aspettano 400 km. di strada.
Colazione, carichiamo il pick up e via.
Comincio a gustarmi il panorama: il centro, poi via via si lascia la citta’, e si sbatte contro la natura. Un nastro d’ asfalto che taglia una vegetazione bassa, qualche villaggio e poi nulla. La strada incomincia a fare dei dossi, e continueranno per quasi tutto il percorso.
Potrebbe essere la pubblicita’ di uno pneumatico: arrivi sopra un dosso, e vedi gli altri… fino all’ orizzonte.
Naturalmente e’ pericoloso, specialmente di notte perche’ puoi trovarti all’ improvviso davanti un ostacolo.
A noi succede. E mi viene freddo: un vecchio caracollante (ubriaco, o fuso), per fortuna la prontezza di riflessi di Ugo riesce a evitare il fattaccio. Pero’ dopo qualche chilometro ci fermiamo a bere qualcosa.
Sono due giorni che non fumo, perche’ ho finito le sigarette, e non sono riuscito a cambiare valuta. A questo punto perdo una delle ennesime buone occasioni per smettere; mi faccio comprare un pacchetto di sigarette realizzando di essere un Tossico.
Esco a fumare con gusto la mia dose e mi scappa l’occhio su una costruzione: si sente un vociare di bimbi; e’ una scuola, e quella e’ l’ora della ricreazione.
Agli sfortunati che non hanno mai potuto vedere dei bimbi brasiliani consiglio di passare di li’, a quell’ora. Io non sono un pedofilo preferisco le bimbe… cresciute, ma non resisto alla tentazione di accendere la camera e rubare, quei sorrisi e quegli sguardi che mettono il buonumore.
Rinfrancati riprendiamo il viaggio, fermandoci ogni tanto per riprendere qualche lagoa che merita. Riusciamo anche a perderci in un paesino, cercando delle vecchie case che non ci sono piu’. Ad un certo punto guardo l’ orologio, e anche il contachilometri, perche’ mi si para davanti un paesaggio … colombiano, e non possiamo aver fatto tanta strada.
Un binario ci accompagna lungo la via principale; sono le ultime propaggini della ferrovia del Ceara’, che arrivava fino a Sobral.
Lungo i lati della strada una moltitudine di persona, cammina, cazzeggia, accompagnata da sbuffi di fumo che non si capisce da dove arrivi.
Visi da Indio, abiti sgargianti, baracche da film.
Qualche chilometro dopo mi scappa l’occhio su uno stagno, pieno di cavalli.
“Vuoi che ci fermiamo?” domanda qualcuno.
“Ci mancherebbe!” esce dalla mia bocca; immagini che non vedrai, piu’ a patto di passare ancora di li’ e essere abbastanza fortunato.
Non avevo mai visto una cosa simile: un colore verde che predomina; quel verde… tropicale, e una decina di cavalli dorati, che tranquilli brucano qualcosa, raccontandosi delle barzellette. Si’ perche’ ogni tanto qualcuno di loro ride, e camminando fanno dei grossi cerchi nell’acqua, che lentamente spariscono.
Risalgo in auto con un groppo alla gola, fino alla prossima fermata: una laguna dove delle ragazze, lavano i panni, e dei bimbi si tuffano dai sassi. Non a distanze irraggiungibili, basterebbe togliersi i pantaloni e buttarsi, o buttarsi e basta.
Faccio il mio lavoro, e cerco di farlo bene, perche’ ne vale la pena.
Alla fine arriviamo a Camocim. L’ impatto e’ piacevole, a patto che ti piacciano certi paesaggi: un lungomare, o beiramar, o lungoceano, come piu’ vi piace. Gli urubu’ (avvoltoi) che ci hanno seguito lungo tutta la strada, che si fanno portare dal vento. Che non manca. Il sole c’e’ e si fa sentire, e mentre prendo possesso della mia stanza, all’ hotel Marhilha, penso che a volte sono proprio fortunato ad esserci.
Dopo un paio d’ore di ristoro al bordo della piscina, qualcuno mi comunica che c’e’ un briefing, mi sembra di essere in un gulag, ma accetto.
Programma di lavorazione….abbastanza elastico, visti i tempi brasiliani. Aspetto con curiosita’ il momento in cui mi faranno vedere le …. attrici.
Scegliamo qualche paio di occhi, accompagnati da una figura degna e ci aggiorniamo al mattino dopo.
Sveglia ore sei, e immagini di supporto.
Io ci sono, Silvino un poco meno. Difatti, invidiando un gruppo di turisti di Verona, che se ne vanno in giro, parto con Ugo, tra l’altro una simpaticissima e efficiente persona; in scorrerie lungo la costa.
Penso di essere abbastanza bravo, forse un po’ geniale, e alla fine riesco a cogliere delle immagini degne, di questo nome.
Poi’ ci molliamo, e con Silvino, andiamo al mercato…. sembra che la camera non pesi mai. Tante domande si affacciano alla mia mente: ” sei scemo, sei scemo, sei scemo, o… semplicemente ti piace quello che vedi?”
Penso di riuscire a cogliere il meglio: la bimba con al nonna che le fa ripassare la grammatica, il negozietto del lotto, l’uomo con il latte, il bevitore. Quello dei granchi…. ci accorgiamo che il tempo passa e nessuno ci infastidisce, a parte una donna che non vuole essere ripresa e fa una caciara, tutto fila liscio.
Ci sono vari modi di portare la Camera; quello che preferisco e’ accarezzarla (me l’ ha insegnato un vecchio regista … anzi quello mi ha insegnato il senso del ritmo, un’ altro diceva : “scopatela quella Camera!” ) e’ il modo migliore per fare delle belle immagini.
Non ti accorgi piu’ di averla in spalla, e non ti muovi col fare di quelli che… :”io sono la televisione!”.
Alla fine arriviamo all’appuntamento con il cast, davanti a un bar che avevamo visto il giorno prima. Situazione: c’e’ Marinho che canta e suona; e’ un vecchio cantore, di quelli che trovi per le strade, ha un viso che parla da solo e “toca il violon” molto bene. Purtroppo a noi serve solo il video, ma ho ancora delle registrazioni del provino…
Tutti i ragazzi lo stanno ad ascoltare in questa situazione sudamericana; perfetta.
Riesco a cogliere delle belle espressioni e dei begli occhi.
Sono soddisfatto e finalmente torniamo in hotel, per un poco di riposo.
Fino adesso posti diversi non li ho visti, pero’ Camocim, come paesino, non e’ male.
Carne, Cerveza, una Sobremesa, e poi relax in piscina, fino ad un’ ora decente; purtroppo, a parte le ragazze del cast non c’e’ nulla di azzannabile, e quelle del cast non si toccano!
Mi consolo con una buona nuotata, e un favoloso succo di maracuja: diventata ormai la mia droga personale.
Nel giardino, c’e’ una voliera con vari tipi di uccelli e una tartaruga. Ci sono un paio di volatili che sembrano dei cartoni animati: continuano a saltellare e a farsi dispetti stando in bilico su delle zampette lunghe e sottili, che ti domandi come facciano a sorreggerli.
Chiedo al giardiniere che sembra sceso dall’albero da poco tempo, che tipo di uccello sia; mi risponde con un enigmatico : ” Passero!”.
Rimango a guardarli giocare per un bel poco, finche’ viene l’ora di andare a fare delle prove in un posto meraviglioso, Macejo’ : 4 case in riva al mare, vicino ad una laguna di acqua dolce. Una baracca dove si puo’ bere e mangiare, in cui lavora Jamaica, un tipo abbastanza particolare, stile rasta che mi ricorda Bahia.
Facciamo le benedette prove, accompagnati da un tramonto da cartolina, accompagnato da qualche buona birra.
Al ritorno, naturalmente io sono nel cassone del Pick up; posto privilegiato se dovete beccarvi una ventina di chilometri guardando il paesaggio, che si va’ via via scurendo. Catturo tutto quello che posso di quell’esperienza: i colori, gli odori, il paese che si avvicina con le sue luci fioche che si intravedono in lontananza.
Passando tra le vie puoi cogliere il modo di vivere di questa gente: tutte le case, anche quelle piu’ povere hanno il televisore acceso, qualche bimbo gioca con gli amici, seduto sulla porta di casa, delle ragazze spettegolano su un muretto. Una vita semplice, che noi presi dalle mille cose che ci vengono offerte abbiamo perso.
Portiamo a casa le bimbe, tra gli sguardi incuriositi della gente che vede queste strane persone, che si muovono parlano e ridono in modo strano, poi si rituffano nelle loro normali occupazioni.
Quella notte dormo bene, come sempre del resto quando sono in Brazil.
Mi sveglio solo al canto del gallo che deve avere l’ orologio biologico non molto preciso, infatti canta la prima volta alle 2; vado a fumarmi una sigaretta in giardino guardando il cielo stellato, cominciano a venirmi strani pensieri…. e cerco di riaddormentarmi.
Sveglia alle 7 e colazione di quelle da sballo: l’immancabile succo di maracuja, caffe’ frutta a non finire e anche perche’ e’ buono succo di acerola, che ha dieci volte il contenuto di vitamina c delle arance.
Ipervitaminizzato, sono pronto ad affrontare la giornata, che e’ molto impegnativa: andiamo nell’ isola di fronte per realizzare un mucchio di roba, il che vuol dire corse in Buggy, arrampicate ecc.
Una abbondante spalmata di crema protettiva per non cuocersi troppo, e via! Attraversiamo il Coraeau’ su una balsa dove ci stanno a malapena le auto e sembriamo quasi una cosa seria, quando il convoglio si riunisce: 5 Buggy, scorta di acqua, una decina di persone… Ben Hur al confronto era una piccola produzione!
Oltre la prima duna cose inimmaginabili, una piccola oasi di quelle da film, palme, ponticelli di legno immersi nella vegetazione: la natura che ti assale in tutte le sue manifestazioni; e chi torna in Italia?!
Ma bisogna lavorare, mi affidano al mio “Bugheiro” personale: Gilson, il migliore e naturalmente pazzo come un cavallo.
Riprendere da una Dune Buggy in corsa non e’ una delle cose piu’ semplici, e diciamo che solo qualcuno abbastanza incosciente puo’ arrischiarsi a farlo senza le attrezzature adeguate, ma sono li’ per quello e un poco di rischio non mi e’ mai dispiaciuto. Mi legano come un salame al roll bar , e sperando di non capottare ci lanciamo all’ inseguimento delle auto con le comparse; non mi ricordo se ho pregato qualche volta, ero troppo preso a tenermi attaccato e a girare, pero’ quando mi hanno slegato e l’ adrenalina era scesa a livelli normali, mi sono reso conto che forse mi era andata bene.
Cambiamo” Location”, e arriviamo sulla riva del fiume dove ci aspettano dei veri cangaceiros, nei costumi tradizionali; cosa tranquilla da riprendere penserete. Invece oltre alle cose normali, mi viene in mente di farmeli passare da una parte e dall’altra al galoppo: solo quando li ho visti arrivare e ho sentito la terra addosso, ho capito che a volte dovrei tenere la bocca chiusa, comunque il santo degli operatori non doveva essere distratto quella volta, e a parte un paio di graffi non e’ successo nulla e l’immagine era ok.
Altro cambio di situazione; una casa di contadini, in un agrumeto, non c’e nulla di falso, in una cucina, quasi all’aperto una donna sta preparando l’immancabile fajolada, un bambino seminudo le sta’ vicino e alla vista delle nostre attrici quasi si mette a piangere; e dire che sono carine, ma lui probabilmente e’ abituato a molta, molta calma.
Poi fuori, a cogliere qualche arancia e devo dire che suono buonissime; un gusto diverso dalle nostre ma buone.
Ormai sono completamente preso da quei luoghi, da quello che sto’ facendo, e non mi accorgo del tempo che passa, mi sento in sintonia con la natura che c’e’ intorno e non sento neanche la fatica. Pero’ si e’ fatto tardi ed e’ giusto fare una pausa per mangiare. Gilson e i suoi, ci conducono in un’altra lagoa di acqua dolce; inutile dire che e’ bella e dopo aver messo al sicuro la camera, mi concedo una sana nuotata anche per pulirmi dal fango e da altro che mi si era attaccato addosso. E non era poco, a giudicare dalle risate degli altri, dopo la prima immersione; rimesso a nuovo mi concedo una allegra colazione in allegra compagnia: camarao, cerveza, e naturalmente arroz. Non ci si puo’ lamentare: una vista … che paradisiaca sarebbe poco, un contorno di belle ragazze, il sole che ti scalda il cuore…. la prossima vita nasco ricco, giuro!
Poi risaliamo sui Buggy, e ancora corse sulla spiaggia, in acqua, fino ad arrivare in un’ altra laguna, dove c’e’ una piantagione di cocco.
Ormai comincio a sentimi parte di quella terra, vengo strappato dai miei pensieri, e anche dal posto perche’ bisogna tornare a casa.
Ritorno, rilassante, con Gilson, che finge di perdere la strada e alla fine frena a mezzo metro da uno strapiombo: ha rischiato un paio di pugni sulla testa.
Per finire in bellezza si buca una gomma, e mi marchio a fuoco con lo scappamento.
Sotto la doccia, canticchiando non posso fare a meno di pensare, che finalmente c’era stata una giornata degna di essere chiamata tale.
Stasera dovrebbe esserci una festa, dovro’ fare qualche immagine lo stesso ma finalmente un poco di vita.
Come al solito l’organizzazione vacilla, e andiamo a controllare la “location”.
Il posto non e’ proprio il piu’ adatto, pero’ e’ genuino. C’e’ poca luce e dubito si riuscire a fare qualcosa.
Torniamo in hotel, preoccupati.
Vuoi vedere che salta tutto?
Alla fine decidiamo di andarci, partiamo con le ragazze, e naturalmente io finisco nel cassone del solito pick-up assieme alla scorta: si’ perche’ ci hanno dato anche la scorta, per le ragazze; il posto non e’ diciamo di prima classe e qualche ubriaco fastidioso, si puo’ trovare.
Arriviamo, e fuori sembra una festa di paese, ci fanno entrare e realizzo subito che non e’ possibile girare.
Ugo, non ci crede, e allora gli faccio guardare in camera, e conveniamo che sembra di vedere Saigon dopo che gli Americani, se ne erano andati.
Risaliamo in auto torniamo in hotel e congediamo la scorta, serata fallimentare, sotto tutti i punti di vista.
Finisco la serata a bere con i camerieri e ad ascoltare Regis (o Rogerio? : sono gemelli!) suonare la chitarra.
Terzultimo giorno di riprese: sveglia alle 6. Come al solito le “attrici” arrivano in ritardo, del resto sono Brasiliane, andiamo a Maceio’ per girare alcune scene e succede il fattaccio: finito di girare lasciamo libere le attrici di scorrazzare per la sabbia con il Dune buggy e ci concediamo quattro calci al pallone con dei bambini del villaggio, scoprendo che le sigarette fanno veramente male. Mentre siamo ansimanti appoggiati a un muretto arriva una spaventata, che ci spiega che Claudia (la piu’ deficiente) e’ caduta e si e’ fatta male.
Ci precipitiamo e la vediamo distesa sulla sabbia, immobile che si lamenta. Dal racconto non sembrerebbe grave, ma non si sa’ mai, e allora con le dovute precauzioni la carichiamo sul cassone del pick up, e via verso l’ospedale, Con gli Urubu’ che svolazzano intorno.
Arriviamo dopo una mezzora di sterrato e subito si forma un capannello di persone: ormai siamo convinti che non sia nulla di grave ma molta scena, visto che provo anche a farle il solletico sotto i piedi, e ride… quindi.Ormai siamo in piena telenovela, e allora facciamo anche i portantini visto che non se ne vedono.
Non ero mai stato in un ospedale in Brazil e devo dire che ci voleva: spero di non farmi male perche’ avrei un poco di timore a esserci ricoverato. Dopo la radiografia e una punturina di antidolorifico, la bimba si rimette in piedi, e ce ne possiamo tornare in albergo, tranquillizzati.
Al pomeriggio andiamo a visitare e naturalmente filmare, una cooperativa formata da abitanti della favela, che realizzano prodotti artigianali, e anche una buona marmellata di Gojaba che non ho potuto non acquistare per regalarla agli amici.Questa cooperativa viene tenuta in piedi da una ricca signora,che avra’ pure i suoi interessi… pero’ non mi sembra stia facendo una cosa malvagia; mantiene anche un coro di bimbi, sempre della favela, che andremo a sentire il giorno dopo nella tenuta di un pezzo grosso.
Non contenti, io e Silvino ci facciamo un giro per vedere se c’e’ qualcosa da filmare: si vede che la fortuna ha deciso di non abbandonarci, perche’ in mezzo alla strada troviamo un gruppo di ragazzi che si stanno esercitando nella Capoeira; torniamo soddisfatti in albergo.
Arriva anche l’ ultimo giorno di riprese, e mentre aspettiamo come al solito le attrici conosciamo un bimbo, che gironzola li’ intorno, gli faccio guardare nella telecamera, e Silvino gli chiede qual’ e’ il sogno della sua vita: “Avere una bicicletta! ” e’ la risposta. Non l’ abbiamo piu’ visto, senno credo che l’ avremmo acquistata; non capita tutti i giorni di poter fare avverare un sogno.
Ultime immagini al tramonto, con un primissimo piano di Tricia sul barcone con lo sfondo del sole; devo dire che e’ molto carina e …. troppo giovane.
Con un poco di tristezza, salutiamo le nostre “attrici”: abbiamo davanti un paio di giorni di cazzeggio, prima di tornare a Fortaleza.
Li occupiamo rilassandoci e scorrazzando col bugghy: uno ha anche tentato di fregarci, staccando lo spinterogeno, naturalmente non c’era nessuno, e alla fine avrebbe riparato il guasto guadagnandoci qualcosa.
Solo che dopo una mezz’oretta, visto che non siamo proprio a digiuno di motori abbiamo scoperto l’ inghippo e l’abbiamo lasciato con un palmo di naso.
Arriviamo a Fortaleza, di sera , e ci fermiamo al Colonial. Serata tranquilla, domani dobbiamo fare le ultime riprese.
Difatti ci incamminiamo sul beiramar, a succhiare ancora un poco di immagini a questo sole: gente in spiaggia, ragazze sculettanti e quelle scene da spiaggia tropicale che solo in Brazil trovi.
Alla sera vengono a recuperarci, per una serata di… vita; del resto fino ad ora non ho fatto altro che lavorare e sinceramente non mi dispiace.
Facciamo i turisti doc e ci beviamo le nostre belle caipirinhe, fino a finire in una specie di discoteca, dove ci sono un mucchio di ragazze.
Dopo un poco mi presentano Denise: parla un poco di Italiano, e passiamo una bella serata che si conclude nel migliore dei modi…
Il giorno dopo non ce la faccio a rivederla, perche’ si inventano delle riprese a un concorso di miss in un paesino vicino. La mia testa e’ da un’ altra parte, pero’ riesco a cogliere l’atmosfera, che e’ molto simile a certi concorsi che si svolgono da noi, con le miss un poco sui generis. La differenza e’ che qui’ il sorriso e’ diverso, almeno mi sembra.
Ultimo giorno prima della partenza, ci concediamo qualche acquisto per gli amici, e l’ immancabile maracuja. Alla sera mi butto alla ricerca di Denise ma non ho fortuna, e un poco incazzato riprendo la strada per l’ albergo dove bevo l’ ultima birra guardando la piscina vuota, dove si riflette la luce della luna. Lo sguardo del portiere di notte mi convince che e’ l’ora di andare a dormire.
Appena sveglio le telefono, e la invito a mangiare qualcosa; accetta.
Mentre mi racconta la sua storia, non posso fare a meno di pensare quanto e’ diversa la vita per noi turisti che ci fermiamo per qualche tempo e con i soldi in tasca. L’ importante e’ esserne consapevoli, e cercare di capire sempre qualcosa.
Quando la accompagno al taxi mi passa quella poca voglia di partire che avevo: probabilmente non la rivedro’ mai piu’ ; meglio ricordarsi il suo profumo e i suoi occhi nelle fredde notti d’ inverno. Salendo la scaletta dell’ aereo ho qualche difficolta’ a ordinare ai miei piedi di muoversi, ma il buonsenso accompagnato da qualche spinta ha la meglio e mi ritrovo al mio posto con la cintura allacciata.
Volo tristissimo, condito dai racconti ad alta voce dei soliti “fighi”.
Riusciamo a perderci a Fiumicino, e a recuperare all’ ultimo momento le nostre valige: siamo riusciti a coinvolgere perfino la guardia di Finanza, che ci fa passare per un corridoio riservato. Atterraggio a Verona, e mentre Silvino recupera l’ auto i pensieri corrono al lavoro che mi aspetta, alle solite cose.
Solo adesso che ho finito di montare il video e lo rivedo, decido di scrivere questo racconto, forse l’ultimo di viaggio. Non so’ cosa mi attiri cosi’ del Brazil: forse in una vita precedente ero Portoghese, oppure un Nativo, so’ solo che devo tornarci ancora , conoscerlo meglio e… continuare a rispettarlo. Accontentandomi per adesso dei ricordi e delle sensazioni che mi rimangono di quella Lunga ultima estate del millennio.

Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati in Brasile

 

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