Europa

Pedalando nelle Fiandre, ma anche in Olanda

di Nigel Mansell

Per andare al nord quest’anno optiamo per una strada diversa, entriamo dal Canton Ticino, per poi infilarci nel Traforo del San Gottardo.
Le strade sono molto più italiane che svizzere di quanto ci aspettassimo, solo per andare da Verbania a Bellinzona ci mettiamo quasi due ore. Poi, l’autostrada non è che sia meglio, si viaggia veramente piano, tra lavori, code e semafori.

Dopo il tunnel, per altro lunghissimo, c’è la sorpresa del Lago dei Quattro Cantoni, che non sembra finire mai, con tutte le sue anse.

E poi ancora tanta autostrada per arrivare finalmente a Strasburgo la nostra tappa intermedia.

Una città così tedesca… ma anche inconfondibilmente francese, da sempre contesa tra le due potenze europee. Come al solito l’Ibis dove scendiamo non delude mai: al centro, economico, pratico e dignitoso. Con un supplemento, dalle nostre finestre al sesto piano, abbiamo la vista sulla Cattedrale. C’è un televisore così grande, ma anche così vicino al letto, che quando a sera mi addormenterò con la tele accesa, mi ridesterò spaventato dalle figure a grandezza umana che scorrono sullo schermo.


Scesi dal sesto piano alla piazzetta sottostante, attraversiamo poi il fiume per poi schivare i veloci e moderni tram. Ora ci si para di fronte la facciata della Cattedrale: è immensa! A una prima occhiata potresti dire che si è arrugginita, tanto è rossa nella sua svettante maestosità gotica. Tanta altezza esterna si traduce poi in una navata che appare quasi bassa, in proporzione a tanto gigantismo. Forse ciò è dovuto al fatto che il progetto nacque come romanico.

In quella che chiamano Grande Isola è limitato un bellissimo centro medioevale con le solite case a graticcio.

Qui si mangia molto grasso e noi non ci tiriamo certo indietro. Ecco allora che piovono nei nostri piatti, crauti e salsicce come non ne abbiamo mai mangiato.

Appena riusciamo a sollevare la testa dai piatti, riusciamo anche a fare due chiacchiere con i vicini di tavolo, una coppia sui sessanta-settanta anni. Forse una coppia recente, nonostante l’età. Lui Fiammingo, lei Caprese; lui appassionato di ciclismo, lei della buona tavola. Lui riflessivo, lei come tutti i campani, iper-espansiva.

Oggi una bella cavalcata con il nostro Dacia Dokker, fino a quando l’oceano ci fermerà, nel punto più a nord della Francia, a Dunkerque.

A Dunkerque, non per mia scelta, ci sono stato quasi tre anni per lavoro e sono passati ormai dieci anni da quando me ne tornai in Italia. Proprio come Kad Merad in Bienvenue chez le Ch’Tis, (Benvenuti al nord, nella versione italiana), ero quasi disperato quando mi sono trovato in questo posto dimenticato, soprattutto dagli stessi francesi, con gente così scostante e stramba. Poi, proprio come l’attore del film, ho finito per amarla questa città.

Ritornarci, dopo così tanto tempo è strano, pensavo che avrei provato delle forti sensazioni e invece niente, quasi nulla. Il tempo è come il vento quando non ha pietà, come lui, piano piano, finisce per smussare e addolcire tutto, anche le montagne. E davvero non so: è quasi come se non ci fossi mai stato qui. Riconosco i luoghi, ma emotivamente non mi toccano. Strano!


Il nostro albergo è nella Cittadelle, dove c’era il fulcro del vecchio grande porto del Nord. Il traffico navale si è spostato un po’ più a sud e qui il porto è ormai quasi del tutto riconvertito in una zona studentesca, ricettiva e residenziale. C’è anche questa Université du Littoral, ma qui d’altronde è tutto “du Littoral”, e in effetti il litorale è quello che identifica la zona, perché nell’entroterra c’è il nulla.

A livello internazionale Dunkerque è famosa soprattutto per l’operazione Dinamo, quando le armate alleate schiacciate nel famoso “cul de sac” dai tedeschi furono salvate da una miriade di imbarcazioni britanniche, soprattutto civili. Noi ci costruimmo un rigassificatore sulla sabbia delle dune. Nella percezione dei francesi, queste che sono le Fiandre francesi, sono una zona disagiata e non molto conosciuta, con gente che viene percepita come molto, molto, particolare. Gente di confine, con una cultura fiamminga, si pensi che fino alla prima guerra si parlava ancora olandese. Da non dimenticare poi che l’eroe locale è Jean Bart, un pirata, forse sì, ha fatto anche il corsaro agli ordini del Re, ma insomma…

Io vivevo a Malo les Bains, una zona residenziale nata dal nulla, merito appunto di questo Monsieur Malo, dopo che la creazione della grande Digue du Mer, meta di innumerevoli balades, aveva sottratto la zona alle acque del Canale della Manica.

Proprio una bella intuizione quella di Gaspard Malo, a cui questa frazione di Dunkerque deve il nome: dopo aver inutilmente tentato con l’agricoltura, quella di dare il via alla costruzione di questo splendido quartiere residenziale.

E Malo è la nostra prima destinazione non appena inforchiamo le biciclette. Attraversiamo il nuovo ponte al limitare sud della spiaggia, dieci anni fa non c’era. E non ci sono più neanche i locali e negozi che ricordavo, e non trovo più gente che vedevo quotidianamente, chissà dove sono finiti… Dieci anni sono tanti…

Sono sempre bellissime le dimore storiche sulla spiaggia, le Maisons Malouines, uniche nel loro genere, perché in confronto, solo pochi chilometri più a nord, sulla costa belga, ci sono solo moderni e mastodontici palazzi.

E anche quando rivedo la mia casa, due isolati all’interno, le sensazioni sono sempre anestetizzate, pensavo che la Saudade mi avrebbe azzannato la milza, invece nulla.

Facciamo anche il bagno. Oggi è caldissimo e il sole splende, cosa non scontata qui e infatti come quando ci sono queste rare giornate assolate, la folla ha invaso la spiaggia.


Ci pedaliamo tutta la diga, nella sua interezza, sino a Liffrenckoucke. Malo è di una bellezza incredibile, la chiamano non per niente la Regina del Nord. Mentre mi dibattevo nei problemi lavorativi che non avevamo assolutamente preventivato, passeggiare su questa diga, al cospetto di questi splendidi edifici, probabilmente mi ha salvato dalla pazzia.

Ma poi risaliamo in sella e continuiamo: vogliamo, e ce la faremo, arrivare sino a La Panne, (De Panne in fiammingo/olandese), appena dopo il confine belga.

Dopo avere lasciato la diga a Liffrenckoucke, seguiamo il tracciato della vecchia ferrovia che collegava De Panne a Dunkerque. Poi Zuydcoote, Bray-Dunes e infine De Panne, dove come la classica coppia di sprovveduti turisti, ci facciamo depredare dei nostri averi per due pentole di cozze alla marinara con le patatine fritte.

Ma del resto, avendo pochissimo mare, sono poi solo una sessantina di chilometri di costa, è una delle zone più turistiche del Belgio. Facendo le dovute proporzioni, questa è come per noi la Riviera dei Fiori.

Torniamo in albergo alle 23,30, essendo così a nord ovest il sole è appena tramontato.

Stamattina faccio un gran casino in albergo, per capire come uscire dal parcheggio sotterraneo solo con le bici, mi avvicino molto alle telecamere a circuito chiuso. Mi stanno spiegando che per ovviare alla mancanza della massa dell’automobile, devo appoggiare in un certo punto un pesante estintore che devo staccare dal muro, ed è questo che sto cercando di osservare nel video: una cosa assurda nella sua macchinosità. Comunque, mentre mi sporgo nell’osservare meglio, mi appoggio con la spalla a un interruttore generale fissato a muro, una sorta di fungo, da pigiare come un pulsante di emergenza antipanico. Inavvertitamente lo schiaccio e improvvisamente si resetta il circuito elettrico generale. Ora ci sono solo sguardi di panico da parte degli impiegati, accorre anche quello che penso sia il Direttore. Approfitto della confusione che si crea per allontanarmi alla chetichella. Non sento risuonare le sirene della Gendarmerie, forse me la sono cavata.

Non ricordavo quanto fossero antipatici e scostanti i dunkerquois quando ci si mettono, infatti ora mi sovviene di quanto, in particolari circostanze mi apparissero odiosi. Era impossibile averci a che fare per lavoro, così protezionisti e sospettosi; ma invece ottimi compagnoni con i quali travestirsi da carnevale e passare le serate a bere nelle peggiori bettole.

Oggi ci facciamo buona parte della costa delle fiandre in bicicletta, da De Panne sino a Oostende. Avremo sempre il vento contro, anche quando torneremo, perché inspiegabilmente, come se ce lo facesse per dispetto, cambierà verso nel soffiare.

Sono parecchie le località sulla costa, tutte quasi identiche, con spiagge sabbiose infinite, e passeggiate a mare arginate da giganteschi palazzi che spesso raggiungono anche i venti piani. Immagino che siano le seconde case dei ricchi imprenditori dell’entroterra, da Bruxelles non ci vuole neanche un’ora di auto per arrivarci. Tanti i vecchi, spesso non autosufficienti, che arrancano sulla passeggiata. Pare che la zona sia meta soprattutto del turismo locale, le targhe infatti che vedo sulla stragrande maggioranza delle auto, sono sempre le classiche con cifre rosse su sfondo bianco. Pochissimi francesi, solo qualche sparuto tedesco.


Sulle dighe che arginano l’oceano, uguali per tutte le località che attraversiamo, infinite sequenze di locali dove puoi mangiare qualsiasi cosa, a prezzi carissimi per altro, intervallate da bazar dove puoi acquistare i cazzabubboli più assurdi o amenità varie da portarti al mare: cappelli di paglia, occhiali da sole, teli mare, ecc.


Tra i piedi, e nel nostro caso tra le ruote, una selva di bambini che scorrazza in imprevedibili zig-zag o a velocità sostenute, su piccoli mezzi elettrici o a pedali che affittano dai numerosi noleggiatori. Ma poi ci sono pure i loro genitori o gli adulti in genere, che su tandem o auto a pedali, che arrivano a traportare anche otto pedalatori, improvvisano improbabili competizioni. È un miracolo che i tanti vecchi malfermi che descrivevo prima, che si trovano ad arrancare nella zona pedonale, non vengano stirati da questi pirati della strada.


E pure noi in biciletta, abbiamo il nostro da fare per non diventare una palla da bowling tra i birilli e fare strike, di questa variegata piccola folla.

Solo Oostende ha mantenuto parte dei suoi edifici storici, oltre alla solita fila di palazzi schierati di fronte al mare.

Qui tutto parla di Leopoldo II, non si può dimenticare che sia stato il brutale “padrone” del Congo, che amministrò in modo sanguinario.

Nella nostra pedalata verso nord ci accompagnano i numerosi tram che sferragliano sulla costa belga, praticamente dalla Francia all’Olanda, da De Panne a Knokke. Le corse sono numerose e frequenti, e loro, dove i binari si avvicinano al mare, ci sfilano accanto velocissimi, a volte spaventandoci mentre azionano la loro campanella.

Ci diciamo che se saremo stanchi, potremo prenderne uno, (le bici a bordo sono ben accette), di questi convogli che pare siano un’attrazione turistica internazionale.

In una bancarella a Oostende, in uno di quei camion che da noi vendono la porchetta e che si suole chiamare “Il Voncione”, riconosco il Sacro Graal.

Deve essere sicuramente lui. È una coppa dorata che i gestori usano sciattamente per raccogliere le mance. Eh, ma a me non la fanno, io sono infatti un appassionato di storia e miti medioevali. La impugno a due mani e la alzo al cielo chiamando a testimone il divino dell’evento. Una volta raggiunto il massimo della solennità, mi faccio pure scattare una foto che immortali l’istante i cui entro in contatto con un mito senza tempo, a cui pare abbia dato la caccia anche Hitler.

Poi rinsavisco e la rimetto al suo posto, per fortuna nessuno mi ha visto.

Girando in biciletta per il Belgio abbiamo scoperto che esistono dei fantastici distributori automatici di frutta e verdura fresca. Una cosa davvero incredibile. Noi abbiamo preso delle buonissime e freschissime ciliegie, dei duroni penso.

In una delle località che attraversiamo, per una promozione, ci regalano un nuovo prodotto di Starbucks, che stanno spingendo. La tentazione dell’omaggio gratuito è fortissima, ma poi ci viene un incredibile mal di pancia; sarà che è una poltiglia fredda? Oppure è stata la panna associata al caffè? Mai l’avessimo ingurgitato. Mentre ce lo mangiano soddisfatti, ignari delle esplosive conseguenze che avrebbe creato nelle nostre viscere, osserviamo un ragazzo che fa volare un drone, ma non ha fatto i conti con i gabbiani, che lo fanno desistere. Iniziano a emettere versi minacciosi, si raggruppano e iniziano a volare in formazione cercando di abbattere il velivolo.

Del resto, questi uccelli qui al nord si comportano da padroni. Mentre facciamo colazione, un cucciolo con il piumaggio ancora grigio entra addirittura nella sala dell’albergo, curioso e affamato. È grosso quanto un piccolo tacchino, ma l’arcigna cameriera, allertata da quella più giovane, lo scaccia in malo modo con la scopa.

E continuo a perdere l’orientamento, come quando qui ci lavoravo, facevo fatica anche a memorizzare il tragitto dal cantiere alla nostra abitazione. Il mare a nord, i continui bacini e canali che scambi per il mare aperto, non mi hanno mai dato molti riferimenti.

Proprio qui sotto alla nostra camera nella Cittadelle, ricordo che ospite della consueta fiera delle ostriche a ottobre, messo a tappeto dallo champagne che i fornitori facevano gara a offrirmi, mi ero allontanato per assopirmi proprio di una di queste panchine. I colleghi per qualche ora mi diedero per disperso.

Oggi la giornata è quello che è. Come dicono gli indigeni, a Dunkerque puoi vivere tutte le stagioni in una sola giornata: e in effetti… Ieri c’erano più di trenta gradi, oggi ce ne saranno dieci.

Prendiamo la bici e facciamo un giro del vecchio porto. Dopo varie ricerche chiedo a un pescatore che mi conferma. L’ultimo ponte levatoio che ci separava da Dunkerque quando tornavamo dal cantiere, non esiste più. Così non posso raggiungere il Terminal Méthanière percorrendo la diga più esterna come avevo previsto; il giro sulla terra ferma sarebbe troppo lungo. Girovaghiamo allora per Dunkerque e Malo, finché una pioggia battente non ci aggredisce. Ripariamo all’Espadrilles, nostra metà abituale dieci anni fa.

Ma poi non ci resta che tornare in albergo, il tempo non migliora. Prendiamo il Dokker e andiamo a Bergue.

Qui hanno girato il mitico Bienvenue chez les Ch’ti.

Molto caratteristico l’abitato racchiuso tra le mura, con le torri della vecchia abbazia, la piazza con il caratteristico campanile dal suono inconfondibile e il famosissimo ufficio postale, (in realtà normalmente è un ufficio comunale), dove lavorava il protagonista del noto film.

In serata rincontriamo Serge et sa femme. Era un fornitore che anni fa venne anche a trovarmi a Verbania. Lui per me era il gatto, le chat, e il suo socio la volpe, le renard, e io per loro ero il povero Pinocchio. Una bellissima serata, ci capiamo più o meno, ma si sta bene.

Ci siamo presentati nel locale dove ceniamo, bagnati fradici, nonostante avessimo l’ombrello, vittime di quello che sembrava un temporale tropicale.

Un gabbiano si affaccia alla nostra finestra che dà sul porto. Passeggia sul davanzale, impettito e tronfio nella sua pennuta imponenza, infilando la testa dalla finestra di tanto in tanto. Dovrebbe essere un Mouette, qui non è esiste il generico gabbiamo come diremmo noi. Mi hanno spiegato che ce ne sono anche di più grossi che chiamano Grison, appunto perché di colore grigio. Forse vuole, anzi pretende da mangiare, magari è un viziaccio che gli hanno dato i precedenti occupanti della camera.

In autostrada verso Anversa. La nostra permanenza nelle Fiandre Francesi è terminata. Alla stazione di servizio mi parlano in italiano. È un rumeno quello che mi sta apostrofando nella mia lingua, dalla sua enorme Mercedes, con la targa inglese. Mi dice che ha lavorato anche in Italia, a Bologna, ma è evaso dagli arresti domiciliari.

Facciamo una lunga sosta ad Anversa, nella città dei diamanti depredati ai poveri congolesi. Città maestosa e sontuosa, con palazzoni severi e altezzosi.

In Belgio e nei Paesi Bassi si va davvero piano in autostrada, ci sono moltissimi tratti dove non puoi superare i cento all’ora, ma tutti rispettano i limiti. Qui non ci sono gli enormi SUV e le Audi nere, che ti fanno i fari per chiedere strada.

Il nostro appartamento olandese è modernissimo, situato, penso, in un quartiere studentesco, nella primissima periferia a nord di Amsterdam. Ci sono moltissime piste ciclabili, in pochi prendono l’auto. I tracciati praticamente ti consentono di andare ovunque su piste dedicate. Non devi curarti di auto e camion, ma quello sì, dei numerosi ciclisti che hanno pochissima pazienza con i turisti e sfrecciano a velocità sorprendenti. Nei gironi successivi rischiamo due volte di schiantarci con altrettanti indiavolati ciclisti, per fortuna che non capiamo gli insulti in olandese.

Ceniamo davanti a un coffee shop del centro, da dove esce fumo da ogni apertura, anche dalle finestre del piano superiore. Praticamente sto fumando pure io.

Un’integralista islamica, completamente coperta dal velo, si sta facendo un selfie: potrebbe essere chiunque nelle foto, a che pro?

Circondati e sospinti dal flusso di biciclette giriamo per Amsterdam. Al mattino da casa nostra passiamo tra modernissimi complessi penso adibiti a uffici di multinazionali. Poi quando raggiungiamo il centro storico, sono tanti gli ex edifici portuali riconvertiti ad abitazioni. Attraversiamo ponti e passerelle, per superare tutti questi canali che concentricamente raggiungono ogni luogo della città. Finalmente al centro, sono poi solo tre o quattro chilometri da casa nostra, ci accoglie ovunque l’odore dell’erba, sembra che qui non si faccia altro che fumare.

Oggi ci spingiamo verso la costa a sud, per visitare quella che sembra la nostra laguna veneta quando degrada verso il delta del Po. È tutto un cantiere, stanno strappando ulteriori terreni edificabili alle dune e al mare. Sembra abbiano una grande urgenza di rispondere a una forte richiesta abitativa. La costa, dove è ancora selvaggia, è uguale a quella fiamminga, con la vegetazione spontanea che cresce sulla sabbia, stabilizzando le numerose dune.

Per fortuna hanno un certo stile nel costruire, i grandi edifici nella loro modernità richiamano comunque, nei materiali e nelle forme, i vecchi stock.

E poi si torna sempre a girare per Amsterdam. Se ne vedono di tutti i colori ed etnie, su tutto tantissimi giovani, alla ricerca di erba.

È un problema fermarsi per osservare la città perché non si sa letteralmente dove appoggiare la bici, ce ne sono ovunque. Ma poi scopriamo l’esistenza di uno splendido posteggio sotterraneo, solo per bicilette, custodito da personale gentilissimo e completamente gratuito per i turisti.

Pur avendo un lungo passato, Amsterdam ha saputo guardare avanti, creando delle vere autostrade per le biciclette, che portano dentro la città permettendo di visitarla senza il pericolo di venire schiacciati da qualche mezzo.

Ci sono poi anche piste che portano fuori, nella campagna intorno ad Amsterdam, con arditi ponti solo ciclabili, che scavalcano i numerosi corsi d’acqua. Ce ne sono anche di enormi, solcati da lunghissime navi oceaniche.

Mangiare fuori è molto caro, così ci organizziamo nel supermercato vicino alla nostra abitazione per mangiare a casa. È un Albert Heijn, quelli con la scritta azzurra, ce ne sono tantissimi qui, risolvono spesso la nostra domanda di cibo, quando andiamo in crisi di fame per il troppo pedalare. Bisogna però fare attenzione quando ci si entra tutti accaldati, la temperatura è glaciale. In più, per mantenere la frutta e la verdura freschissima, usano vaporizzare dall’alto acqua ad una temperatura prossima allo zero.

Nel coffee shop, proprio a fianco del supermercato, dopo aver fatto la spesa, ci compriamo una canna già confezionata.

Dopo cena, perché nell’appartamento non si può fumare, scendiamo nel posteggio e ce la fumiamo: a me provoca solo una botta di sonnolenza.

Tutto qui è bello, preciso e ordinato. Sembra di stare in Svizzera, ma con meno rompicoglioni.

La lingua è incomprensibile, quindi anche i cartelli e gli avvisi sono illeggibili. Poi, noi, con l’inglese ce la caviamo peggio: speriamo di non ficcarci nei guai…

Sotto questi cieli sconfinati, che sembra ti possano schiacciare, tanto sono immensi e non regolati da montagne peraltro inesistenti, che arrivano a lambire i prati verdissimi, perennemente spettinati da un vento che profuma di mare, sembra proprio di pedalare dentro un quadro di Van Gogh.

Oggi visitiamo la costa e i polder a nord ovest di Amsterdam. Bastano pochi minuti di ciclabile dal centro, per ritrovarsi immersi nella natura fatta di una miriade di canali e una campagna verdissima.

Unico neo, mi sembra di aver capito che è concesso alle moto e scooter fino a 50 cc. e alle microcar pari cilindrata, di percorrere le ciclabili. Il loro sfrecciare rumoroso è davvero l’unica cosa che può infrangere questo idillio.

Nei prati pascolano insieme, come nell’Eden, mucche, pecore e capre, nonché innumerevoli anatre. I pennuti, qui è vietato cacciarli, stazionano oziosi nell’erba, a volte razzolando o semplicemente si guardano intorno, non temono assolutamente gli uomini. Ma comunque in genere gli uccelli regnano indisturbati, non è poi così strano se un airone ti taglia la strada, mentre passeggia affabilmente.

Guardo spesso il mio Ultra Watch perché frequentemente, come già accadeva nelle Fiandre, mi piace verificare che ci troviamo sotto il livello del mare. Tocchiamo anche punte di -3.

A Durgerdam, dopo una delle nostre seconde colazioni, consumata in una sorta di rurale albergo-ristorante, ci coglie un improvviso, ma in effetti ampiamente annunciato, piovasco. Provvidenzialmente ci ripariamo sotto una pensilina dell’autobus. La condividiamo con una distinta signora sulla settantina, dai lunghi capelli grigi e un vistoso rossetto. Pedala in un elegante tailleur blu, giacca e pantaloni. Per nulla turbata dall’imprevisto meteorologico, ha estratto dalle borse della bici il suo pranzo, e ora con forchetta e la schiena dritta, si sta cibando mentre legge un libro.

Appena la pioggia rallenta risaliamo in sella e raggiungiamo gli altri paesi della costa, Ultram, Monnickendam e Volendam. Graziosissimi paesi di pescatori, ora votatisi al turismo.

Tiriamo sino a Zaanse Schans per vedere i mulini a vento.


Poi prendiamo un tragetto per attraversare l’immenso canale che ci separa da casa nostra. Sorprendentemente, noi che ci preoccupavamo di dove acquistare il biglietto, scopriamo che il passaggio è gratuito.

Ci concediamo un aperitivo prima di fare la spesa. Qui ci aggancia Ivo, una guida turistica che conosce molto bene l’italiano e la nostra cultura, presente e passata. Conosce anche le cose più futili dell’Italia, e ci intrattiene con l’imitazione di Crozza che a sua volta imita Vincenzo De Luca, il governatore della Campania. È loquacissimo, forse per via di tutto l’alcol che ha in corpo. Allora mi sdebito per tutte le indicazioni e dritte che gli estorciamo. Senza nessuna fatica si lascia offrire un’altra birra come quella che si sta bevendo. E non smette più di parlare, spaziando dalla situazione politica italiana, al calcio, ai musei di Amsterdam, ecc.

Quando ormai disperiamo di liberarci da lui e non trovando un modo educato per congedarlo, è invece Ivo a sorprenderci. Improvvisamente ci saluta sbrigativamente e con fare frettoloso si allontana. Mah!

Annoto, perché è divertentissimo per me: Vanessa è terrorizzata dai tram, che in città sono numerosi e ti sfiorano senza diminuire assolutamente la velocità.

Da non credere per noi italiani, nei locali ci sono i cartelli che dicono che non vogliono i contanti, ma accettano solo le carte di credito.

Per via di questa lingua barbara, non si riesce a memorizzare il nome delle località, sono tutti nomi assurdi e impronunciabili, tra qualche giorno non saprò più riferire dove sono stato, e meglio che mi annoti le cose, sempre se riesco a scrivere questi nomi apparentemente fatti solo di consonanti.

Ogni tanto per Amsterdam si incontra qualcuno che ci è rimasto sotto con gli acidi. Allora li vedi gridare in giro per le vie, qualcuno anche in italiano.

Pedaliamo nelle solite interminabili ciclabili verso Haarlem. Una splendida cittadina anch’essa costruita sui canali. Considerando che New York è stata fondata dagli Olandesi con il nome di New Amsterdam, può essere allora che questa cittadina abbia dato il nome al quartiere di Manhattan.

Poi verso l’oceano, a Zandvoort dove possiamo godere di una giornata di mare, finalmente completamente soleggiata. Io la conoscevo esclusivamente per il circuito di Formula 1. Ma ora mi sovviene che girano delle foto di Anna Frank, pochi giorni prima di essere deportata, proprio qui sulla spiaggia di Zandvoort.

Il mare di Zandvoort è sorprendentemente caldo, a luglio in Sardegna ho trovato l’acqua anche più fredda.

In generale, a una vista superficiale, gli olandesi mi paiono una popolazione serena che ha raggiunto un buon equilibrio tra modernità, rispetto della natura e conservazione e preservazione del loro passato. Qui ad Amsterdam la sensazione è quella di un continuo e inarrestabile sviluppo, soprattutto edilizio. Il confronto con i vicini belgi, che mi sono sembrati vecchi e statici, è assolutamente a vantaggio degli olandesi. Poi sei i francesi ci fanno le barzellette sui belgi, ci sarà anche un motivo.

Le città sono tutte verdissime e i canali onnipresenti sono sempre molto puliti. Unico neo l’immondizia, sembra che ad Amsterdam nessuno la raccolga, ce n’è sempre moltissima in giro.

Mi pare poi che il tenore di vita qui sia assolutamente superiore al nostro. I ragazzi sono ragazzi come in tutte le parti del mondo, e anche qui mi pare se la spassino. Ma quello che mi ha colpito sono le persone mature e anziane, sono tutti molto dignitosi e indipendenti, generalmente di bel aspetto, dagli sguardi aperti e sereni, senza la paura dell’altro e lo stress che leggi negli occhi delle persone che vivono nelle grandi città italiane. Saranno le droghe libere?

E poi sono tutti sportivi, pochi sono in sovrappeso e capita spesso di vederli anche con un libro in mano.

Non sono mai stato in Germania e nutrivo molte aspettative, generate soprattutto dai comuni stereotipi che noi tutti attribuiamo ai tedeschi e poi traduciamo in infiniti aneddoti, dove essenzialmente il Germanico è quello preciso, marziale e inflessibile.

Ci fermiamo al primo autogrill che incontriamo dopo la frontiera con l’Olanda. L’impatto con la Germania è pessimo. Nessuno parla in inglese, e non ci tengono a farsi capire, continuando a parlare in tedesco. All’interno regna la confusione e non c’è una scritta bilingue che ci possa aiutare a districarci nella scelta del cibo. Per fortuna ci viene in soccorso una donna di origine calabrese che serve al banco.

In generale non c’è quell’ordine e pulizia teutonica che ti aspetteresti. In autostrada, nelle corsie e a lato della carreggiata, l’erba cresce in modo selvaggio e ci sono continui lavori sulla carreggiata. A dire il vero questi tedeschi mi sembrano più o meno come noi, solo con un peggiore gusto nel vestire.

Facciamo tappa a Francoforte sul Meno, capitale finanziaria della Germania che si suol dire sia la locomotiva d’Europa. Quindi da qui passano le decisioni economiche di tutta Europa se non di buona parte del mondo.

Francoforte fu quasi completamente distrutta nella Seconda Guerra mondiale dalla RAF. Nel centro storico qualche antica costruzione è sopravvissuta, sennò è stata rifatta. Oggi si ammira un bellissimo contrasto tra i grattacieli di vetro e acciaio e le antiche vestigia con la cattedrale gotica.


In piazza, quattro gatti, ci sono più poliziotti a sorvegliarli, manifestano per la causa palestinese. Sono soprattutto persone di origine araba. I tedeschi non sarebbero credibili dopo che proprio qui a Francoforte hanno dato fuoco alle sinagoghe e fatto sparire migliaia di ebrei. Come peraltro non siamo credibili noi che istituimmo le leggi razziali e dichiarammo guerra al mondo intero. Ma del resto ci si dimentica sempre velocemente del passato scomodo per rifarsi una verginità a cui poi, a chi fa comodo, colpevolmente fa finta di credere. Proprio come quando il nostro Presidente della Repubblica da dei nazisti ai russi, noi che un’ottantina di fa invademmo l’Ucraina. Eh no, gli alpini non furono delle vittime nella Campagna di Russia, ma degli invasori.

Purtroppo, i centri di queste città europee finiscono tutti per assomigliarsi, con la solita sfilza di negozi in franchising, perfettamente uguali ovunque, dal centro commerciale di periferia a quello storico di qualsiasi capitale europea.

Non si può che mangiare alla tedesca, o così realizziamo noi. Ci sediamo in uno di quei locali che nella struttura e nell’arredamento richiamano la Germania del secolo scorso, non c’è che l’imbarazzo della scelta, ce ne sono parecchi.

Poi un improvviso acquazzone ci costringe a riparare all’interno del locale, gli ombrelloni non bastano a contenere questa copiosa precipitazione: ma ormai ci manca solo il dolce. Devo dire che la birra è ottima, come potrebbe non esserlo! I prezzi sono quasi italiani, notevolmente inferiori a quelli olandesi.

Al momento di pagare con la carta, il cameriere mi estorce la mancia, 10% in più. Me lo chiede gentilmente, (strana usanza tedesca), come potrei dirgli di no, siamo in ferie.

Mentre scrivo questi appunti nella lobby dell’albergo dove ci servono la colazione tra il bar e la reception, un asiatico consuma la sua colazione emettendo disgustosi suoni; è difficile concentrarsi in queste condizioni. Ci sono molti altri asiatici in questo che sembra un business hotel, per fortuna sono più educati di questo che ho a fianco.

E poi ci restano da fare gli ultimi chilometri per tornare in Italia. Nei bagni degli autogrill, tedeschi e svizzeri, curiosi gadget, come la “Travel Pussy”. Vane mi dice che in quello delle donne ci sono i vibratori.

Di nuovo lo stesso casino per attraversare il San Gottardo, questa volta anche peggio, perché si sono tamponati degli autobus. Ma dal lato economico è sicuramente meglio evitare il più possibile le autostrade italiane e francesi, sono carissime!

Che dire, i nostri connazionali ci daranno dei folli per essere andati in ferie nelle spiagge delle Fiandre e dell’Olanda… e poi chiederanno, ma perché in Belgio c’è il mare?

Comunque il Nord Europa si conferma il paradiso delle bicilette, la viabilità olandese poi, è proprio stata progettata dando priorità agli spostamenti in bicicletta.

Ma poi, come si può dire a priori che l’Italia è il paese più bello del mondo, o altre frasi fatte del genere, ogni tanto non si mette il naso fuori di casa per fare i dovuti confronti?

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Marco

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