Turismo a passo lento nel Salento

di Marco Brando –
In viaggio da Bari a Lecce via Martina, Novoli e Gagliano: otto ore di «slowtour» in luoghi da sogno
Gagliano di Leuca – Che cosa servirebbe per rilanciare o promuovere il turismo in Puglia? Chiaro: una ferrovia, con relativi treni, che congiunga le zone più belle della regione, come la Valle d’Itria, con i suoi trulli, e il Salento, con il suo mare. Bisognerebbe proprio inventarla. Se non fosse che esiste già: le Ferrovie del Sud Est in Puglia sono all’opera ufficialmente dal 1932, quando fu costituita la società; e alcune tratte esistono addirittura dal 1861. Con 473 chilometri di linee attraversa tutte le province tranne quella di Foggia, collega tre capoluoghi (Lecce, Bari e Taranto) e 85 comuni; in un’area vasta 4.600 chilometri quadrati, dove il punto estremo a Nord è il capoluogo regionale e, a Sud, è Gagliano del Capo, a due passi da Santa Maria di Leuca.  Un patrimonio. Peccato che oggi pochi se ne rendano conto, persino tra i pugliesi (quanti hanno fatto un viaggio lungo e di piacere su quelle carrozze?). Mentre i turisti ne sono tenuti accuratamente all’oscuro, sia dagli operatori privati che da quelli pubblici (leggi: assessorati, tour operator, Apt e via elencando), tranne alcune timidissime sortite. Come se nella laguna veneta si «nascondesse» ai villeggianti che ci sono i vaporetti. E i pendolari che ne fanno uso abitualmente (studenti e lavoratori, per lo più) non sono i più indicati per coglierne il fascino e intravvederne le prospettive turistiche. Per ovviare a queste lacune, si può provare a percorrere trecento chilometri in un giorno sulle mitiche «Fse»: 244 km da Bari a Gagliano di Leuca, con coincidenze a Martina Franca (Taranto) e Novoli (Lecce), in tutto sei ore e 20 minuti di viaggio; altri 66 km da Gagliano a Lecce, sulla linea orientale, in un’ora e mezza. La media oraria di 50 chilometri orari, in grado forse di far innervosire i suddetti pendolari, può invece essere la «formula magica» per sedurre i turisti: dopo il boom dello «slow food» (il «mangiare lento»), potrebbero anche cedere alle tentazioni dello «slow tour», ovvero del «viaggiare con calma».

Appuntamento, dunque, alle 9,40, nella stazione di Bari centrale, ultimo binario (non proprio ben segnalato), diretti a Martina Franca, 78 chilometri. Il treno, un normale convoglio locale con vari vagoni, è quasi pieno di pendolari, anche se il grosso – giunto dalla direzione opposta – è sceso poco prima. Tra un vociare di ragazzi, le tante stazioni (quasi nuove e ben tenute) delle cittadine dell’hinterland si susseguono fino a Conversano. Qui comincia la tratta che potrebbe eccitare qualsiasi turista: inizia un paesaggio unico al mondo, quello annunciato dal primo trullo semicadente e poi da tanti altri, a decine e decine, di tutte le dimensioni, incastonati nella campagna fiorita.
La ferrovia è in salita e il treno arranca. La stazione di Castellana Grotte non è bellissima ma ci stanno lavorando; quella delle Grotte di Castellana, duemila metri dopo, dove non scende nessuno, è solo un marciapiedi in mezzo ai campi ma le famose caverne sono a pochi passi. Dopo Putignano il paesaggio diventa spettacolare, indimenticabile: la Murgia vera, la Valle d’Itria. Ogni tanto il treno s’insinua in gole scavate nella roccia e sbuca su viste mozzafiato. Alberobello ovviamente meriterebbe una sosta, anche se la stazione è piuttosto lontana dal centro storico. Il percorso nella vallata tra Locorotondo e Martina Franca, arroccata a più di 400 metri d’altezza, offre una distesa di trulli a perdita d’occhio, ben tenuti, in un’atmosfera da favola.
A Martina si cambia. La coincidenza verso Lecce ci sarà tra un’oretta: il tempo per fare un’incursione nella bella cittadina. Poi via, alle 12,40, su una vetusta carrozza motorizzata: sembra un pullman d’epoca con le ruote d’acciaio. Ovviamente, come tutti i treni Fse, ha un motore diesel. Si sente persino il rumore del cambio delle marce, mentre il miniconvoglio – carico di studenti – scende, tra continue curve e controcurve, le rampe della ferrovia. Il treno sferraglia sempre lontano dalle strade, in mezzo ad un campagna splendida, vero compendio della «pugliesità». Si sfiora un passaggio a livello, dove una signora vestita di nero è impegnata a manovrarlo a mano. E’ come tutti quelli lungo la strada, in apparenza. Nella stazione di Manduria c’è un ferroviere che sembra uscito da un film neorealista: capelli all’indietro, baffi e fisico alla Amedeo Nazzari, camicia fucsia unta d’olio e di grasso, maniche arrotolate, manovra a raffica una sventagliata di manovelle destinate ai passaggi a livello, poi si occupa personalmente dell’aggancio e dello sgancio di alcuni vagoni.

A Novoli, dopo 92 km, si cambia. Scendiamo al volo. L’altro treno, per Gagliano, è già pronto con due vagoni: chiediamo al macchinista, affacciato, se è quello giusto. «Lei va proprio a Gagliano Gagliano?», chiede. Beh, sì. Stessa domanda da parte del controllore. Il convoglio, quasi vuoto, s’avvia: s’inoltra nelle penisola salentina verso ovest, in direzione di Nardò e Casarano. La natura qui è più selvaggia, più arida, più rocciosa; più meridionale, se possibile. A Nardò salgono due anziane signore vestite di nero, con le borse della spesa. Saranno le sole a scendere a Gagliano con noi, munite di un gigantesco e altrettanto anziano telefono, col quale chiamano chi le dovrà andare a prendere.



Al capolinea il treno, dopo 6 ore e mezza di viaggio, ha solo tre minuti di ritardo sulla tabella di marcia. In compenso, scopriamo la ragione di quelle domande sulla nostra meta finale. La stazione di Gagliano è lontanissima dal centro del paese, un cartello annuncia due corse di pullman per la costa (ma solo in estate), il bar più vicino è a due chilometri. Però Santa Maria di Leuca è a pochissimi chilometri, su quel mare che durante tutto l’itinerario da Bari non abbiamo mai sfiorato. Dopo un’ora si parte, via Maglie, per Lecce, dove ci attende un Inter City delle Fs diretto a Bari.

Il tour con le Sud Est è finito. Vien da chiedersi cosa potrebbero diventare: se i turisti sapessero della loro esistenza, anche nelle condizioni un po’ rovate in cui sono oggi; se sapessero che in un paio d’ore, attraversando un paesaggio unico, potrebbero essere ad Alberobello o alle grotte di Castellana; se fossero garantiti un minimo di servizi nelle stazioni più importanti (bici a noleggio, un taxi) e qualche convenzione con gli alberghi, i ristoranti e gli agriturismo. Oltre tutto, il viaggio proposto potrebbe essere spezzato i due o tre giorni, fino a Bari e ritorno.
Bello. Però in Puglia si preferisce pensare in grande. Giusto. Col rischio di perdere di vista strutture e risorse che già ci sono. Giorni fa l’assessore regionale al Turismo Marcello Rollo ci ha detto che il suo settore non è un settore bensì «un sistema» e così va affrontato, studiato e rilanciato. Bene. Dato che le Fse, dovranno (o dovrebbero) passare dallo Stato alla Regione, è proprio ora dimostrarlo.

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