di Giorgio Geraci –
Chi di noi non ha mai sognato, fin da piccolo, di vivere su un albero? E chi non ha mai immaginato, studiando gli uomini primitivi, di vivere su una palafitta?
Chi non ha nel cassetto dei sogni un viaggio avventuroso verso mondi fantastici?
Quante avventure abbiamo sognato, e quanti viaggi abbiamo sperato di fare da adulti! Poi, con il tempo, abbiamo imparato a distinguere i viaggi possibili da quelli impossibili.
Questa distinzione ci ha permesso di metterne da parte alcuni, quelli assolutamente impossibili, ma a pensarne e progettarne altri, possibili.
Nel mio cassetto dei sogni è rimasto, classificato ormai come impossibile, quello sognato per tanti anni, in motocicletta, fin su a Capo Nord, dopo seimila chilometri.
Qualcuno di voi lo ha già fatto, e, se così fosse, si riceva tutta la mia invidia.
Per me, adesso, è passato il tempo.
Il desiderio di correre in lungo ed in largo per il mondo alla ricerca di una caverna o alla scoperta di un impervio sentiero, ma anche di un semplice paesaggio, ci ha portato negli anni ad affrontare viaggi particolari e gratificanti per il nostro desiderio di conoscenza.
La voglia di conoscere è la guida della nostra vita.
E’ all’interno del nostro percorso di vita che andiamo intrecciando i fili della conoscenza, delle relazioni con cui costruiamo la trama, simile ad un fiume, su cui viene trasportata la nostra esistenza. I fiumi sono stati e sono ancora oggi una via di comunicazione tra le genti e la realizzazione di una fitta rete di canali ha avuto il suo sviluppo più importante nell’Europa centrale. Qui, la lunghezza degli itinerari per il trasporto delle merci e l’orografia del terreno, hanno reso logica la costruzione di collegamenti per permettere di raggiungere con facilità ogni località del vecchio continente, costituendo così una via di trasporto molto comoda e suggestiva.
Ai nostri giorni alcuni corsi d’acqua sono ancora, almeno in parte, usati per il trasporto di merci. Accanto a quest’attività primaria se ne è sviluppata un’altra, molto particolare, che consiste nel turismo. La barca derivata da quella commerciale, si è via via evoluta, fino a assumere l’aspetto di una specie di roulotte galleggiante. Forme che farebbero arricciare il naso ai velisti, ma che bene si adattano alle esigenze di una navigazione in acque tranquille come quelle dei canali.
Le barche fluviali, chiamate house boat nel mondo anglosassone e peniche in quello francese, permettono un’ottimizzazione dello spazio, impensabile in una barca a vela. Molto comodi e spaziosi, questi scafi viaggiano alla velocità di circa 4 – 5 nodi. Molto semplici da gestire, possono essere condotti senza nessun tipo di patente. La navigazione è suggestiva e avviene con una un’immersione totale nella natura. A prima vista monotona, la navigazione lungo i canali è invece ricca di appuntamenti: il passaggio delle dighe, la sosta nei paesi più suggestivi, la possibilità di poter raggiungere anche mete vicine con biciclette e motorini presi a noleggio alla partenza, rende il tutto dinamico e interessante.
Questo tipo di crociera offre anzitutto il contatto con la natura e con le tracce della storia, attraverso un tragitto scandito dal fascino particolare della lenta navigazione fluviale. Realizza un avvincente equilibrio tra la voglia di natura, di soste culturali e gastronomiche e il fascino del viaggio sull’acqua. Le giornate trascorrono in modo piacevole con continue e improvvise scoperte. Scegliere di fare una vacanza in house -boat è come decidere finalmente di imboccare l’uscita dell’autostrada prima di essere arrivati a destinazione e provare a scoprire le stradine nascoste che fiancheggiano campagne, paesaggi, città ed atmosfere fino ad allora solo sospettati.
Senza fretta, senza scadenze, senza obblighi. Senza traffico soprattutto.
Significa scegliere di assecondare i propri interessi e rallentare finalmente i ritmi, guardare il mondo da una nuova prospettiva e scoprirne gli angoli più nascosti.
È una vacanza adatta a tutti. Agli avventurosi e agli abitudinari.
A chi non disfa mai le valige e a chi non le fa mai.
Basta scegliere l’itinerario più adatto alle proprie esigenze, tra i mille possibili, e scivolare a filo d’acqua verso una vacanza indimenticabile.
Il fiume, una delle tante metafore della vita, un luogo tanto vivo e tanto discreto.
Il fiume non ha bisogno di dimostrare che è vivo: lui lo è, e lo sa!
E la sua vita scorre lenta, di una lentezza che, percorrendolo, sembra di stare ” fermi dentro il fiume, dentro la lentezza e dentro la vita “.
Lentezza non come impedimento, ma come possibilità di.guardarsi attorno, di sentire il proprio corpo, di sentire i profumi, i suoni, di attendere che sia il proprio turno per superare le chiuse, un passaggio obbligato, che interrompe ad arte il corso del fiume.
Le chiuse, il sale della navigazione fluviale, recita uno slogan.
Le chiuse di un fiume permettono di fermarsi, ad intervalli irregolari, e pensare “ciò che sta accadendo”, da dove arrivi, dove stai andando, riguardare le mappe fluviali, ripensare le mappe mentali.
La lentezza permette di scoprire i dettagli, di cogliere le sfumature, di guardare e finalmente vedere.
La lentezza permette di pensare, riflettere, porsi domande, chiedersi perché.
La lentezza ed i perché sono elementi che nella nostra vita abbiamo reso marginali ma per i quali diventa saltuariamente necessario recuperarne centralità e dignità.
La lentezza ci regala la “dimensione del tempo ” , di quel tempo soggettivo, individuale, personale, unico.dimenticato.
Insieme al “nostro tempo” abbiamo smarrito, dimenticandoli, i nostri ” perché “.
E’come se ci avessero detto, in un momento imprecisato della nostra vita ( quando? dove eravamo? ) che abbiamo bisogno di correre, sempre, ad ogni costo, altrimenti restiamo.indietro.
Ma indietro rispetto a cosa od a chi? E soprattutto, verso dove stiamo correndo?
Questo viaggio lo abbiamo preparato lentamente, come per prepararci già mentalmente alla nuova scansione del tempo, “il tempo fluviale”.
Abbiamo scelto di fare l’esperienza house boat in Francia. L’idea era di approfittare della vicinanza per immergerci, a conclusione della navigazione, nella tanto amata Parigi.
Quando abbiamo avuto tutto pronto ci siamo dati appuntamento, per la partenza, in una piccola cittadina, Meaux, a pochi chilometri da Paris.
Meaux è uno dei principali porti fluviali della Marne ( in italiano Marna), grosso affluente della Senna, che serpeggia in mezzo alle vigne della regione dello Champagne.
Ci siamo ritrovati, un sabato mattina di agosto, per iniziare insieme un viaggio che ci facesse lentamente apprezzare il piacere di vivere una nuova esperienza di vita comunitaria.
Su una barca, lungo il fiume e tra gli alberi.
La Marne, fiume francese del bacino parigino, nasce sull’altopiano di Langres, a Balesmes-sur-Marne e si getta nella Senna a Charenton-le-Pont dopo aver attraversato alcune cittadine importanti come Château-Thierry, Châlons-sur-Marne ed Epernay, la capitale delle caves (le cantine) dello champagne, insieme a Reims.
Le più grandi cantine dello Champagne sono proprio qui, e sono uno spettacolo da non perdere. Noi non lo abbiamo perso.
E’ stato come entrare nelle tombe dei faraoni, grotte lunghe e scavate su un terreno argilloso e calcareo dove sono conservate, con un ordine “profondamente” ossessivo, milioni di ettolitri di spumeggiante liquido ricco di bollicine.
Lo champagne è prodotto in questa zona per legge fin dal 22 luglio 1927, e rappresenta il territorio viticolo più settentrionale della Francia, nelle zone delle montagne di Reims.
E’ qui che riposano degli champagnes rinomati per la potenza, la struttura e la nobiltà e che possiedono un seducente bouquet fruttato ed un’elevata morbidezza derivante dal vitigno principale che è il pinot meunier.
E’ in questo territorio che viviamo la nostra vacanza, per ubriacarci di natura.
La house boat sono davvero case galleggianti, comode ed attrezzate.
Nelle nostre ci sono un angolo cucina con tutti gli utensili necessari, un soggiorno con angolo pranzo con divanetti e sedie pieghevoli, due cabine con piccoli armadi e cassapanche, il bagno con lavabo, w.c. chimico e doccia. Abbiamo scelto di noleggiare due biciclette per barca che si riveleranno utilissime, oltre la loro funzione ludica.
Tutte le peniche, così come la nostra, sono fornite di riscaldamento, acqua corrente calda e fredda erogata da un serbatoio sufficiente per un consumo giornaliero. Il rifornimento di acqua non potabile si può fare nei vari porti oppure presso le numerose chiuse (ecluse, in francese) che si incontrano lungo il percorso.
L’elettricità è solitamente a basso voltaggio, la velocità massima a cui sono tarati i motori, alimentati a gasolio, di tre nodi.
Tutte le barche sono coperte da un’assicurazione relativa alla responsabilità civile per danni all’imbarcazione o a terzi. La franchigia dell’assicurazione corrisponde all’importo della cauzione da versare all’arrivo, variabile secondo i tipi di barca che si decida di prendere a noleggio.
Noi abbiamo fatto prenotazione e tutto quanto bisognava per l’organizzazione via internet, con un’agenzia di Milano che si occupa di noleggio barche per la navigazione fluviale.
Attenti e puntuali in ogni informazione, ci hanno permesso di avere chiaro, già prima di partire, quanto sarebbe successo.
Salvo gli imprevisti (che non ci sono stati!) per i quali non sono ancora attrezzati come si legge su una loro brochure.
A Parigi siamo arrivati in aereo, in una giornata di agosto in cui, mentre da noi in Sicilia si registravano 35 gradi all’ombra, al Charles De Gaulle piove, e si apprezza la frescura classica di una giornata d’inizio autunno.
In Europa, nella Francia del Nord, è usuale questo clima autunnale fin dai primi di agosto. Noi eravamo preparati ed il nostro equipaggiamento è stato organizzato di conseguenza.
K-way con imbottitura, felpe, cappellino (per il sole ma anche per il freddo), scarpe da barca ma anche da trekking, costume da bagno, telo da bagno, occhiali da sole, coltello multiuso, bussola, radio ricetrasmittente, radiolina FM, dispositivi vari per ascoltare musica, macchina fotografica, Guida Verde del Touring e tanti libri.
Il viaggio si snoda su settanta kilometri da Meaux a Epernay, tra le tre regioni che attraversa in questa zona della Francia il fiume La Marne: l’Ile de France, la regione della Piccardie e dello Champagne. Il soggiorno è previsto da sabato a sabato, una settimana.
La Francia, ricca di corsi d’acqua e fiumi, possiede una rete di circa 8500 km, tra canali e fiumi, che servono per la navigazione commerciale, ma che, a bordo di una peniche, può essere scoperta nel modo più autentico, al ritmo del passaggio delle chiuse.
Siamo in dodici, otto adulti e quattro ragazzini tra i nove ed i 13 anni. Quindi due barche.
I due battelli che abbiamo noleggiato sono del tipo Riviera 920, con sei posti letto ciascuno.
Le istruzioni per l’uso ci vengono fornite in loco, assolutamente in francese, ed in appena dieci minuti ci vede tutti trasformati in ottimi marinai.
I ragazzini sono eccitatissimi, ma anche noi adulti non disdegniamo la gioia e l’entusiasmo per questa slow vacanza che ci apprestiamo a vivere.
Si parte, dopo avere deciso gli equipaggi ed avere “traslocato” i bagagli sulle, per i prossimi sette giorni, nostre case.
Tra i bagagli al seguito c’è’ un grosso zaino con spaghetti ed affini.
Si parte finalmente che è già tardo pomeriggio.
Decidiamo di fermarci subito, dopo appena un chilometro, per passare la prima notte in house boat.
Attracchiamo con discreta maestria ad una banchina di uno spazio attrezzato per i diportisti, subito fuori il paese di Meaux.
La spaghettata è d’obbligo, ma si beve francese, un fresco vinello delle campagne locali acquistato in un piccolo negozietto subito di fronte l’attracco.
Finita la cena, sistemata la cucina, si resta sul ponte a chiacchierare e finire le bottiglie di vino. Nessuno di noi fuma, ma io, ex fumatore incallito ed amante del tabacco francese, sentivo il profumo delle Gauloises fin dentro le narici. Allucinazioni olfattive o qualcuno nelle vicinanze fumava? I ragazzi, sfiniti si addormentano tra sonore risate e gridolini di gioia.
La notte passa tranquilla.
E’ cominciata così la nostra slow vacanza in terra di Francia.
In realtà tutte le notti di questo viaggio sono finite quasi sempre così, chiacchierando e bevendo vinelli vari, assolutamente francesi.
Poteva cambiare il menù, e nel tempo lo abbiamo adattato al mondo contadino francese che andavamo scoprendo, ma gli spaghetti, quelli, finivano per essere sempre presenti, insieme alla pizza.
Erano una costante di tutte le cittadine che abbiamo incontrato sul nostro percorso questi piccoli locali che vendono pizza a taglio, tipo “fast pizza” , e, particolare che ci ha colpito, tutti gestiti da arabi.
La Ferté-sous-Jouarre è la nostra seconda tappa. Siamo restati lì a pernottare dopo una giornata di viaggio continuo. Gli aironi, le chiatte che ci incrociano, le anatre che ci seguono, il freddo che ci fa restare per buona parte della navigazione dentro il living, la musica francese della stazione fm che riusciamo a prendere, le lunghe conversazioni e gli scambi di battute via ricetrasmittente con l’altra barca . La prima giornata passa così. Ci piace lasciarci trasportare dalla corrente ed in certi momenti lasciamo spento il motore per vedere che effetto fa “il silenzio del fiume”. Ma i ragazzini non ci stanno per molto ed allora musica “giovane” e motore a regime.
Nel frattempo abbiamo sperimentato il passaggio di due chiuse. Che esperienza sensazionale, e che lavoro da marinai “veri” che ci tocca fare!
Descrivere la chiusa ed il suo passaggio non è semplice, almeno per me. Ci provo a descrivere tutta l’operazione ben sapendo che qualsiasi descrizione di esperienza non vale l’esperienza stessa. Il passaggio della chiusa ha un fascino tutto particolare. Uno squillo di trombetta per annunciarsi e l’eclusier, il guardiano della chiusa, si mette all’opera per manovrare le manovelle che fanno affluire o defluire l’acqua prima dell’apertura dei due portoni. L’entrata è sempre emozionante, per la delicatezza della manovra, per il lancio di gomene verso le bitte e la rapida salita di un membro dell’equipaggio lungo una scaletta di ferro incastonata nelle umide pareti di pietra. L’operazione dura alcuni minuti. E’ una delle attività che danno fascino alla navigazione fluviale. E’ come se per un momento si entrasse in una ulteriore nuova dimensione. La chiusa è indispensabile per salire o scendere di quota all’interno dello stesso fiume. Quando si sale, la chiusa a valle è aperta e quella a monte è chiusa. La persona dell’equipaggio che scende a terra e cammina sulla banchina seguendo l’incedere lento della barca diventa in quel momento la tua guida. Quando si entra nello spazio d’acqua tra le due paratie che “tengono l’acqua” si passano le cime di ormeggio alla persona che sta a terra qualche metro più in alto rispetto alla barca. Viene chiusa la paratia a valle e si immette acqua con una lenta apertura della chiusa a monte. L’acqua sale di livello e porta in alto la barca alla stessa quota del canale a monte. Finita l’operazione viene aperta la chiusa a monte. La persona scesa a terra può risalire in barca e riprendere la navigazione con gli altri. La navigazione riprende attraversando la chiusa a monte. Quando invece si deve scendere di quota l’intera operazione è, ovviamente, invertita.
Spesso non c’è fila in attesa, e tranne che in una occasione in cui abbiamo aspettato più di un’ora per attraversare, in genere l’operazione di entrata ed uscita dalla chiusa non durava più di venti minuti. Qualche difficoltà inizialmente l’abbiamo incontrata, tra semafori, spazi ristretti e segnaletica tecnica ed in francese . ma i guardiani delle chiuse sono sempre stati graziosi e premurosi nel farci sentire a nostro agio con spiegazioni e offerte di ortaggi o piccoli souvenir di loro produzione.
Spesso i custodi della chiusa vivevano nella casa adiacente ed in molte occasioni abbiamo trovato giovani coppie con bimbi piccoli che facevano questo lavoro. Vita bucolica assicurata, con un contatto continuo con i viaggiatori del fiume.
Il primo contatto con la città avviene il secondo giorno, la città è Château-Thierry. La fermata in questa cittadina è d’obbligo, e poi siamo nella regione della Piccardia, una delle regioni che La Marme attraversa soltanto per un tratto piccolissimo.
Nel frattempo avevamo sfilato davanti a tanti piccoli centri rurali : Mary-sur-Marne, Saacy-sur-Marne, Châtillon-sur-Marne ,Tours-sour-Marne e tanti altri di cui la memoria non mi restituisce i nomi.
Château-Thierry è un comune francese di circa 15.000 abitanti situato nel dipartimento dell’Aisne della regione della Piccardia. La Piccardia (in francese Picardie), è una regione della Francia settentrionale suddivisa in tre dipartimenti e il suo capoluogo è Amiens
L’etimologia del termine Piccardia non è né geografica né storica. La parola apparve nel 1248, derivata dalla parola “picard”, vale a dire “piocheur”, “scavatore”. I parigini chiamavano “scavatori” tutti gli agricoltori che vivevano a nord della zona ricoperta da foreste del Senlisis e del Valois . Chateau è la patria di uno scrittore che tutti abbiamo amato da giovani:
Jean de La Fontaine (Château-Thierry, 8 luglio 1621 – Parigi, 13 aprile 1695) l’autore di tante celebri favole sul mondo aniamale. Intelligente e sensibile sognatore, con le sue favole – scritte con raffinata semplicità ma considerate capolavori della letteratura francese – fece coraggiosamente parlare gli animali come mai nessuno aveva fatto prima d’allora. In tal modo riuscì a evidenziare e ad ironizzare sui punti deboli del potere.
Visitiamo la città ed il museo dedicato a La Fontaine, un piccolo scorcio di foresta assolutamente artificiale ci lascia parecchio sconcertati, viste le foreste “vere” dentro cui è immersa tutta la regione.
Il traffico non è sicuramente quello di una grande città ma è già sufficiente per farci rimpiangere il fiume e la sua silenziosa calma. Restiamo tutto il giorno, facciamo provviste, respiriamo la francia.
Si parte il giorno dopo sotto una incessante pioggerellina. A Trapani non si respira con i trenta gradi all’ombra. Noi facciamo la scorta di fresco per il ritorno.
La prora è posta in direzione Epernay, dove arriviamo in tarda serata. Le più grandi caves di conservazione dello champagne ci attendono.
Qui resteremo due giorni per visitare oltre le cantine anche la vicina Reims dove andremo in treno.
Esaltante trovarsi dinanzi a montagne di bottiglie di champagne che, chiuse dalla penombra e coperte dalla polvere degli anni stanno lì come statue, in attesa, in muta attesa. Saranno fonte di gioia per tante persone, ma per potere rispondere alle aspettative devono restare buone buone, al buio a “fermentare”. Forse è per questo che quando si stappa il tappo di rigoroso sughero lo champagne esce così velocemente .
Altro elemento preminente delle cantine è il clima uniforme e tendente al fresco e l’odore di “chiuso”, di muffa di . fermentazione, caratteristico, particolare, intenso.
Lo champagne è uno dei pochi vini ai quali sia stato attribuito un inventore, l’abate benedettino Dom Pérignon, anche se esistono varie versioni sulla sua origine. I vini della regione della Champagne erano conosciuti fin dal medioevo; venivano prodotti principalmente dai monaci delle numerose abbazie presenti nella regione, che lo usavano come vino da messa. Ma anche i regnanti francesi apprezzavano molto questi vini, fini e leggeri, tanto da offrirli in segno di omaggio agli altri regnanti europei. Si trattava però principalmente di vini fermi, quindi senza spuma, e rossi. Le guerre ed i saccheggi, che nel 1600 devastarono la regione, causarono la distruzione e l’abbandono delle abbazie e dei conventi, e quindi il decadimento delle annesse vigne. Intorno al 1670 Pierre Pérignon, giovane frate benedettino, giunse all’abbazia d’Hautvillers, vicino ad Épernay, con l’incarico di tesoriere; egli trovò il convento, e le vigne, in uno stato di totale abbandono e si adoperò per rimetterle in sesto. Il suo lavoro fu indirizzato principalmente alla produzione del vino; da perfezionista qual era, si applicò alla selezione delle uve migliori (la sua scelta cadde sul pinot noir), al privilegiare i terreni più vocati alla produzione, ad affinare le tecniche del taglio dei vini (assemblaggio di uve dello stesso tipo provenienti da zone diverse), ed a preferire una spremitura dolce per ottenere un mosto chiaro anche se da uve a bacca nera (tutte tecniche caratteristiche, ancora oggi, della produzione dello champagne). Rimane il dubbio sulla genesi della trasformazione del vino fermo in vino spumante.
Una versione afferma che lo champagne sia nato casualmente per errore durante il processo di vinificazione di alcuni vini bianchi; tale errore avrebbe causato lo scoppio di alcune bottiglie poste ad affinare in cantina e quindi portato alla scoperta, da parte dell’abate, della “presa di spuma”.
Un’altra versione afferma che l’abate, per rendere più gradevole il vino prodotto, vi aggiungesse in primavera dei fiori di pesco e dello zucchero, tappando successivamente la bottiglia con tappi di legno di forma tronco-conica; allo stappare della bottiglia si produceva della spuma.
Un’ulteriore versione afferma che i viticultori che usavano vinificare le uve di pinot si fossero resi conto che il vino ottenuto invecchiava male nelle botti, per cui decisero di imbottigliarlo subito dopo la fermentazione; nelle bottiglie questo vino conservava efficacemente gli aromi, ma aveva il difetto di diventare naturalmente spumante, il che comportava lo scoppio di molte bottiglie.
Quale che sia la versione, l’abate arrivò alla conclusione che la spuma fosse dovuta ad una rifermentazione (dovuta o ad errori nella vinificazione o all’aggiunta di lieviti – contenuti nei fiori di pesco – e di zucchero) del vino, con conseguente produzione di anidride carbonica.
A questo punto, resosi conto della gradevolezza del vino “spumante”, decise di perfezionarne la produzione.
Messe da parte le versioni più o meno romanzate, i veri grandi meriti di Dom Pérignon nell’evoluzione della tecnica di produzione dello champagne furono quelli di definire il vitigno più adatto (il pinot noir), di applicare metodicamente la tecnica dell’assemblaggio e di sostituire i tappi di legno a forma tronco-conica, usati fino ad allora, con tappi di sughero, ancorati al collo della bottiglia per mezzo di una gabbietta metallica.
Da quel momento in poi anche altri proprietari di vigne della zona iniziarono a produrre il vino seguendo le indicazioni dell’abate ed i nuovi produttori contribuirono all’affinamento ed al miglioramento della tecnica di produzione dello champagne. Ad esempio il problema della formazione di un deposito nelle bottiglie durante la permanenza in cantina per la seconda fermentazione (la cosiddetta feccia) fu risolto dai tecnici dell’azienda di Barbe Nicole Ponsardin, vedova Clicquot (la famosa “Veuve Clicquot”); essi idearono le pupitres (strutture a “V” rovesciata costituite da due tavole di legno incernierate su un lato e dotate di fori in cui inserire i colli delle bottiglie) e misero a punto il remuage sur pupitres, tecnica che consentiva di effettuare la separazione dei lieviti dal vino, dando così allo champagne la limpidezza che lo caratterizza.
Il metodo champenoise di produzione dello champagne comincia con la scelta delle uve e poi dei mosti migliori, dopo una prima fermentazione viene aggiunta una miscela di zucchero e lieviti e il vino è imbottigliato e chiuso ermeticamente cosicché all’interno della bottiglia avviene una seconda fermentazione, durante la quale i sedimenti, che si formano al tappo grazie alla posizione inclinata delle bottiglie e ad uno scuotimento, sono eliminati insieme al tappo con l’operazione detta “dégorgement”. La minima quantità che va persa durante questa operazione viene rimpiazzata con una soluzione di zucchero in champagne e la bottiglia è di nuovo ermeticamente chiusa.
La maggiore o minore concentrazione di zucchero usata determina le diverse classificazioni di “doux” (amabile),”demisec” (semisecco),”sec” (secco) e “brut” (grezzo o lordo).
Di tutto questo ne abbiamo avuto una chiara consapevolezza ed una esaltazione momentanea del nostro umore! Bella esperienza e soprattutto frizzante.
La calma del viaggio fluviale, la calma della fermentazione dello champagne, il silenzio della campagna francese, il silenzio delle cantine, ci stiamo proprio disintossicando dalla frenesia della vita quotidiana fatta di rumori, corse continue . penso che come metodo antistress vada consigliato con l’immersione fino al midollo nella natura, nella sua placida serenità.
Dobbiamo riadattarci alla luce dopo avere passato molte ore dentro le cantine, al buio. E’ pomeriggio, i negozi sono ancora aperti, andiamo in giro a fare la spesa per la sera. Questa sera si mangia francese a base di formaggi, tanti tipi, tante forme, tanti colori e tutto rigorosamente innaffiato da champagne! E vorrei vedere !
Il giorno dopo si va in treno a Reims. Dopo, di pomeriggio, riprenderemo la via del ritorno verso Meaux. Tre giorni per andare, settanta chilometri, soltanto settanta chilometri, e tre giorni per tornare. Intanto godiamoci il tepore della giornata, la prima veramente estiva che ci accompagna nella vista di questa che è una delle più importanti città della Francia.
Il nome di Reims è di origine celtica del ceppo belga dei Remi.
I Romani la chiamavano Durocortorum, e Cesare, nel 57 a.C. la creò capitale della Gallia conquistata. Fu sede vescovile e gli arcivescovi di Reims esercitarono funzioni importanti nella storia di Francia.
Nella cattedrale costruita sul luogo dove fu battezzato, dall’arcivescovo san Remigio, il re dei dei Franchi Clodoveo, vennero celebrate le incoronazioni di tutti i re di Francia dal 987 quando il conte di Parigi Ugo Capeto fu incoronato re di Francia iniziando la dinastia dei Capetingi all’incoronazione nel 1825 di Carlo X.
La santa guerriera Giovanna d’Arco, dopo la vittoria di Orléans e la liberazione del re che era stato rinchiuso a Bourges, il 17 luglio 1429 accompagnò Carlo VII a Reims per la cerimonia d’incoronazione, ma fu sorpresa e catturata dai Borgognoni, giudicata per eresia e condannata al rogo. Nella prima guerra mondiale Reims fu bombardata ininterrottamente dalle artiglierie tedesche per quattro anni ed ebbe l’80% degli edifici distrutti o danneggiati, cattedrale compresa, ma ricostruita immediatamente. Anche la seconda guerra mondiale arrecò a Reims gravi danni.
Il 7 maggio 1945 vi fu firmata la resa della Germania agli Alleati. Subito ci infiliamo nel traffico della grande città, e seguendo delle chiarissime indicazioni dalla Gare de Reims arrivamo tout de suite alla antica cattedrale dedicata a Notre dame. La chiesa, gotica del XIII secolo con la stupenda facciata con molte decorazioni scultoree, ha un grande rosone del diametro di 12 metri e tre ricchi portali. Una lunghissima fila di visitatori in attesa di entrare ci permettono di sentirci per la prima volta “turisti”. La giornata è caldissima, eravamo stati risparmiati fino ad ora dal caldo estivo, non l’avevamo chiaro che fosse ancora estate, agosto.
Ma oltre per la storia la cattedrale di Reims è famosa anche per le vetrate firmate da Marc Chagall il quale sosteneva che per lui “una vetrata è una parete trasparente posta fra il mio cuore e il cuore del mondo” . Mi fermo qui. Il resto è stato il viaggio del ritorno alla base, il ritorno a Meaux, la riconsegna delle barche ed il supplemento Parigi. Tre giorni a Parigi, liberi da tutti i possibili vincoli ma con la voglia per alcuni di noi di visitare qualcosa in particolare. La mia scelta era di tipo architettonico, con il desiderio di visitare il “nuovo” quartiere della Défense.
E’ un quartiere composto da grattacieli di uffici, condomini e centri commerciali, che sorge su parte dei comuni di Nanterre, Courbevoie e Puteaux (tutti nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine), ad ovest di Parigi.
La Défense prende il nome dalla statua de “La Défense de Paris” (“La Difesa di Parigi”), che venne costruita nel 1883 per commemorare i soldati che avevano difeso Parigi durante la guerra franco-prussiana. Il nome della zona provoca talvolta confusione negli stranieri, che suppongono abbia qualcosa a che fare con l’esercito.
Nel settembre 1958, l’Établissement public pour l’aménagement de La Défense (EPAD, traducibile in “Istituto pubblico per la sistemazione de La Défense”) venne creato dallo stato per gestire e creare il quartiere. La Défense iniziò a prendere forma: i primi edifici (dei quali il primissimo fu quello della ESSO) vennero costruiti ed iniziarono a rimpiazzare fabbriche, baracche e anche alcune fattorie. Il Centre des nouvelles industries et technologies (CNIT, “Centro delle nuove industrie e tecnologie”) venne costruito e messo in funzione nel 1958. Questi grattacieli di “prima generazione” erano tutti identici e limitati ad una altezza di 100 metri. Nel 1966 la Torre Nobel fu il primo palazzo di uffici costruito nell’area.
Nei primi anni 1970, in risposta ad una grande richiesta, cominciarono ad apparire gli edifici della “seconda generazione”. Sfortunatamente la crisi economica del 1973 quasi fermò ogni progresso. Nel rilanciare la costruzione, le torri di “terza generazione” vennero costruite gia nei primi anni 1980. Il più grande centro commerciale d’Europa (all’epoca), il Quatre Temps (“Quattro Tempi”), venne creato nel 1981. Nel 1982 l’EPAD lanciò il concorso Tête Défense per trovare un monumento che completasse l’Axe historique (“Asse storico”), il che portò alla fine alla costruzione dell’Arco de La Défense all’estremità occidentale del quartiere. Nello stesso periodo vennero costruiti degli alberghi, venne ristrutturato il CNIT, e la linea 1 della metropolitana venne prolungata fino a La Défense (il prolungamento entrò in servizio nel 1992), rendendo l’area ancor più facilmente accessibile dal resto della città.
Oggi, La Défense è il più grande centro direzionale di tutta Europa.
Il grattacielo più grande appartiene alla Total ed è stato costruito nel 1985. Con i suoi 187 metri di altezza, per 48 piani, è il secondo edificio più alto dell’area di Parigi dopo la torre di Montparnasse.
Siamo così ritornati alla vita urbana, con il suo traffico, i tanti turisti, il caldo afoso di Parigi, preludio al caldo scirocco di casa nostra. Due giorni a Parigi volano andando a zonzo, senza meta, a guardare vetrine, centri commerciali, a respirare l’aria di Parigi sulle note della canzone di Maurice Chevalier che di Parigi fu un valente cantore. Si ritorna a casa, rieccoci Trapani, non abbiamo sentito la tua mancanza, forse perché sapevamo che era una vacanza?
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Salve posso avere nome dell AG di Milano??? Grazie