La Via degli Dei con i miei tre figli

di Giorgio Roncari
Camminando da Bologna a Firenze
29 agosto / 3 settembre 2022
La Via degli Dei è l’ennesimo viaggio che facciamo in famiglia -una dozzina- ma è il primo che percorriamo tutti e quattro, io e i miei tre figli.

Io, Rubens e Tiziano abbiamo sempre viaggiato in bici, a volte con mio nipote Patrizio e una volta con mio cognato Silvano, io, poi, anche con la mia compagna Michela. L’anno scorso, invece, abbiamo fatto il pezzo finale della Francigena a piedi, da Orvieto a Roma, così ci ha seguito anche Danilo il più vecchio che in bici non va ma in compenso cammina tanto. Però non c’era Tiziano perché era diventato papà e aveva giustamente qualcosa di più importante da fare.

Noi abitiamo sul lago Maggiore in Provincia di Varese, Tiziano invece, per questioni di cuore, si è trasferito a Scandicci, Firenze, e ci incontreremo a Bologna da dove la Via degli Dei comincia.

Questo cammino si chiama così perché tocca quattro località appenniniche che rimandano alle divinità mitologiche: Monte Adone, (bello e dannato); Monte Venere (bella ed erotica); Monzuno (da Junonis o Jovis); Monte Luario, (Lua, da alcuni considerata la moglie di Saturno).

Il percorso collega Bologna a Firenze attraverso strade campestri, sentieri montani, antichi tracciati etrusco-romani come la strada Flaminia Militare romana che passava gli Appennini, e strette mulattiere. Di certo troveremo molte salite.

Chi l’ha fatto ce ne ha parlato bene. Sono circa 130 km che abbiamo previsto di fare in sei giorni con tappe irregolari a seconda di dove riusciremo a trovare da dormire, soprattutto nelle tappe sui monti e tra i boschi dove l’accoglienza è limitata. Un piano di viaggio l’abbiamo tracciato, ma poi vedremo strada facendo.

A me piace pensare che si possa aggiungere un’altra divinità: Nettuno, dio del mare, la statua del quale svetta sia alla partenza in Piazza Grande a Bologna, che all’arrivo in Piazza della Signoria a Firenze.

Il cammino è stato recuperato intorno agli anni novanta da un gruppo di amici bolognesi che hanno cominciato a percorrerlo segnandone il tracciato con due palle gialle fatte con una bomboletta spray, ora è uno dei più frequentati d’Italia. È solo una delle tantissime, oltre trenta, vie organizzate e segnalate esistenti nella penisola che ogni anno aumentano di numero per la gioia degli appassionati di queste avventure sempre di più numerosi.

Come molti cammini ha una credenziale da far timbrare in alcuni dei tanti punti prestabiliti, però, non essendo a sfondo religioso, non dà diritto a nessun attestato, ugualmente a Firenze dovrebbero darci un gadget.

Siamo arrivati a Bologna, scendiamo dal treno e troviamo Tiziano che, proveniente da Firenze, ci aspetta da dieci minuti. Ora siamo tutti insieme, sono le 11, un caffè, due cibarie e possiamo partire. Seguiteci, vi racconteremo il viaggio

1 – SAN LUCA

29 agosto, lunedì km 17,5\ ore 6,25

Dopo mesi e mesi che non pioveva, in questo anno di siccità, sono tre giorni che fa temporali e prevedono così tutta la settimana e ciò non è bene. Ora però c’è il sole anche se con qualche nuvola. Ci incamminiamo verso Piazza Grande per farci fare il primo timbro e dove, di fronte alla Cattedrale di S. Petronio, fa la sua bella figura il Nettuno del Giambologna con il famoso pollice malandrino che, visto da una particolare angolazione, pare la prolunga del fallo.

Passiamo la casa di Lucio Dalla, andiamo a cercare Via Saragozza e poi camminiamo sotto il suo porticato, Bologna è la città che ha più portici al mondo, 62 km. Arriviamo all’Arco del Meloncello dove inizia il lungo porticato che sale al Santuario di San Luca, quasi 4 km il più lungo al mondo, costruito per proteggere i pellegrini dalla pioggia. Le arcate sono 666 come il numero della ‘bestia’; chissà se è un caso o se invece è una cosa voluta per esorcizzare il demonio, come dicono alcuni siti. È ‘monumento dell’umanità’ dell’Unesco.

La salita, dalla quale si domina lo stadio, è ripida e i tanti scalini ci mettono a dura prova. Tolgo dallo zaino le bacchette che sono un aiuto alle mie ginocchia dai menischi delicati. Anche la strada asfaltata che sale parallela di fianco tira di brutto, più volte è stata inserita nel Giro d’Italia o dell’Emilia e vi si svolge un’annuale corsa podistica.

In questo bislungo loggiato qualcuno vuole vederci un serpente di colonne, archi e mattoni al quale la Madonna del santuario schiaccia la testa con un piede. A noi ricorda il Sacro Monte di Varese.

Arriviamo al Santuario di San Luca (280 msm), che è la 1,30 e i km sono già 8. Entriamo nella chiesa in stile barocco. Vi si venera un’icona della Beata Vergine, che, dice la leggenda, sia stata dipinta da S. Luca e portatavi da un pellegrino proveniente da Costantinopoli nel XIII sec. È sempre stato un luogo di grande culto e di numerosi pellegrinaggi. Vorremmo farci fare il timbro ma non arrivano gli addetti.

Ci fermiamo su una panchina a mangiare le nostre focacce ripartendo alle 2,30 sulla strada asfaltata. Dopo un quarto d’ora le indicazioni ci fanno prendere a destra il sentiero dei Bregoli, nel bosco, abbastanza ripido in terra argillosa dura come la pietra; se avesse piovuto sarebbe stata fanghiglia scivolosa e appiccicaticcia. Siamo nel Parco della Chiusa. Incontriamo colonnini con le stazioni della via crucis e un vecchio rifugio antiaereo.

Alla fine della discesa giungiamo alla periferia di Casalecchio di Reno che, con i suoi oltre 36.500 abitanti, è il terzo comune della provincia di Bologna, dopo il capoluogo e Imola. È una città martire della guerra e della resistenza perché bombardata più volte dagli alleati per essere un importante snodo ferrostradale, con centinaia di morti, mentre i tedeschi massacrarono tredici partigiani. Un’altra calamità avvenne la mattina del 6 dicembre 1990 quando un aereo militare in avaria abbandonato dal pilota precipitò su una scuola provocando la morte di undici studentesse e uno studente e oltre ottanta feriti. È la città dell’attrice Laura Betti

Camminiamo per un bel po’ nel Parco della Chiusa, un vasto territorio che prende il nome dalla vicina chiusa sul Reno, di origine medioevale, una delle prime costruite; poi riprendiamo il sentiero argilloso, che per un buon tratto viaggia in piano. Una pianta con appesi foglietti con svariate massime e detti attira la nostra curiosità. Incrociamo qualche camminante e qualche ciclista. Fa caldo.

Poi il sentiero comincia a salire, a volte sono gradoni, per poi scendere. Passate le 5 giungiamo all’Oasi di S. Gherardo dove c’è una fontanella presa d’assalto da numerosi camminanti, sono un gruppo organizzato intenzionato a fermarsi a Sasso Marconi, qualche km oltre. L’oasi è un’area naturalistica composta da tre o quattro lagozze formatesi dove vi era una cava ai piedi della roccia a perpendicolo come un anfiteatro dove vive il falco pellegrino

Riempiamo le nostre bottiglie e proseguiamo ma non facciamo nemmeno 500 m e giungiamo al B&B Rio Conco che avevamo prenotato da casa per sicurezza, come quello di domani sera dalle parti di Brento. Si tratta di una casa privata semi isolata che affitta le camere, con un ampio giardino con piscina, dove è piazzata anche una yurta, una tenda delle steppe: sarà il nostro ricetto per stanotte.

Ci accolgono Sofia con la mamma Francesca e la piccola Viola di 16 mesi come la nostra Elisa, la figlia di Tiziano. Simpatiche e ospitali. Ci sono già Mattia e Anna Chiara di Treviso anche loro in cammino sulla Via degli Dei, hanno 20 anni, sono solo amici, precisano, l’anno scorso hanno fatto la Francigena da Lucca a Siena, domani arriveranno a Monzuno. Ci rinfreschiamo con una birra.

Non fanno cucina ma Sofia telefona e ordina pizze per tutti noi, poi ci mostra la yurta; come letti due materassini doppi, ci dice che se avessimo freddo ci sono le coperte. Il tempo è bello, avesse piovuto probabilmente la yurta sarebbe stata meno accogliente. Abbiamo tempo e non possiamo non fare un tuffo rigenerante nella piscina, meno Danilo che non ha il costume e ci filma mentre ci divertiamo come bambini. Gabinetti e doccia sono negli spogliatoi poco discosti.

Passiamo poi una piacevole serata coi due ragazzi che parlano volentieri: lui studia lettere moderne e lei fa il conservatorio, flauto dolce, strumento inusuale. Simpatici. Anche gli uomini di casa si son fatti vedere di sfuggita. Francesca ci offre il nocino fatto da lei e così tiriamo tardi a concludere in bellezza questa prima giornata positiva. Prevedevano temporali e invece ha fatto caldo, e gambe e spalle per ora non dicono nulla. Alla fine ci ritiriamo nella nostra Yurta per un’esperienza nuova.

Come prima tappa, che siam partiti tardi, abbiamo fatto 17,5 km camminando 6,30 ore.

2 – IL MONTE ADONE

30 agosto, martedì km 20 \ h 8,30

tot km 37,5 \ ore 14,55

Abbiamo dormito bene sotto la yurta, è stata una buona esperienza. Quando ci alziamo c’è parecchia umidità. Colazione e poi, siccome Tiziano ha una puntura sotto il tallone che gli dà fastidio, Sofia gli regala una pomata che gli fa subito bene.

Partiamo alle 8,15 con il sole. Qualche km su una strada asfaltata secondaria passando un’area dedicata al tiro con l’arco dove sono presenti bersagli e sagome di animali. Poi prendiamo un tranquillo sentiero nel bosco che sale in progressione.

Sbuchiamo ai Prati di Mugnano, una vasta radura con un B&B dove ci raggiunge uno di Cesena in bici che vuole arrivare a Firenze in un giorno; a noi pare una massacrata non tanto per i km quanto per i sentieri impegnativi che si incontrano, ed infatti poco dopo lo vediamo spingere la bici su un viottolo malmesso e con pendenza proibitiva.

Ora siamo nel comune di Sasso Marconi luogo dove Guglielmo Marconi fece i primi esperimenti radio. Nella frazione di Pontecchio aveva una villa ora museo con appresso il mausoleo, sebbene Marconi sia sepolto in S. Croce a Firenze. Prima si chiamava Sasso Bolognese poi in onore dello scienziato cambiò nome. A Sasso, da qualche anno, si tiene la rassegna ‘Marconi Radio Days’ dedicata a linguaggi e tecnologie della comunicazione.

Fin qui la Via degli Dei ha percorso un tratto comune con quella della Lana e della Seta che, più o meno con gli stessi km, porta da Bologna a Prato.

Il sentiero nel bosco, sempre argilloso e compatto, ora si fa impervio fino a sbucare su una strada bianca in terra battuta, dove incontriamo il gruppo visto ieri sera. Viaggiamo un poco in loro compagnia. Parlando con Ariella, di Venezia, una donna più o meno della mia età, vengo a sapere che si tratta di una comitiva organizzata da un tour operator con gente di ogni età che viene da varie regioni anche se i veneti sembrano i più numerosi. Sono in 18 con una responsabile, ci sono un paio di ciechi che si appoggiano ad un famigliare o ad un amico e alcuni ipovedenti fra cui Ariella. Nei tratti più impegnativi tengono la strada asfaltata e hanno tappe già programmate.

Quando fanno una sosta per raggrupparsi, li salutiamo. Non abbiamo un passo spedito, procediamo abbastanza tranquilli perdendoci in foto, considerazioni e qualche bisogno impellente. Più avanti ci superano, velocissime, due teutoniche col fisico da lanciatrici di peso. A una fontanella sono fermi tre marchigiani che, pure loro, ci avevano superati poco prima.

Siamo nel bosco con la strada che sale sempre, del resto dobbiamo avvicinarci alle vette dell’Appennino. Il sole si fa sentire, fa caldo e siamo sudati fradici. A mezzogiorno passiamo il passo di Monte del Frate, segnalato da un cartello su una pianta che dice 530 msm. Abbiamo fatto 11 km. Vorremmo procurarci qualcosa da mangiare ma non c’è nulla se non case isolate. Finalmente, un quarto d’ora dopo incontriamo l’agriturismo ‘Sulla via degli dei’, dove possiamo mettere sotto i denti un buon panino tostato e una coca.

Riprendiamo la marcia dopo un bel tre quarti d’ora, proseguendo su una strada sterrata che abbandoniamo dopo un B&B quando le indicazioni ci fanno prendere, a sinistra, un sentiero di montagna che ci porterà sul Monte Adone e che sale subito ripido se non scosceso.

È un susseguirsi di scalini artificiali, scaloni naturali, rocce, radici; un percorso per escursionisti esperti, difficile, impervio, faticoso e argilloso che le guide sconsigliano di fare in caso di pioggia. Le soste per respirare si succedono, io mi aiuto sempre con le bacchette. Peggio di salire la Chiusarella dalla Rasa.

Questo Adone a cui è dedicato il monte, è la prima divinità che si incontra dalle quali ha preso il nome la via. Dice la mitologia greca che fosse il dio dell’esoterismo nato da un incesto tra il re di Cipro, Cinira, e la figlia Mirra e che in bellezza rivaleggiasse con Apollo tanto da far innamorare follemente di sé Afrodite, quella che i romani chiamavano Venere. Fu ucciso da Ares (Marte), amante geloso della dea e dal suo sangue nacquero gli anemoni.

Dobbiamo arrampicare tre quarti d’ora ma lo spettacolo che ci si presenta è impareggiabile. Si tratta di un piccolo pianoro roccioso a strapiombo, e senza ripari, sulla vallata sottostante con il serpentone dell’autostrada che esce da un tunnel per infilarsi in un altro. Tiziano che soffre di vertigini sta ben attento ad avvicinarsi al bordo dandoci dei matti quando arriviamo a due metri.

Anche qui come su moltissime vette si trova una croce interamente ricoperta da adesivi di associazioni camminatori e scritte. Penso sia il punto più suggestivo del cammino.

Non è altissimo, 654 msm, ma è il punto più elevato del contrafforto pliocenico, una conformazione di rupi rocciose in pietra arenaria contrassegnata dalla presenza di fossili e conchiglie che si snoda come un baluardo naturale per km. Il pliocene, geologicamente, va da 5 milioni e 300 mila a 2 milioni e 600 mila anni fa circa.

Ci fermiamo per una breve sosta di riposo e intanto facciamo qualche foto e filmatino poi iniziamo la discesa dalla parte opposta verso Brento. Il primo tratto è veramente ripido da prestare molta attenzione per non scivolare, poi si fa più praticabile. Da qui passava la Linea Gotica, lo sbarramento fortificato dai tedeschi durate la guerra per tentare di fermare l’avanzata alleata ed alcuni cartelli indicano i sentieri per raggiungere contrafforti e ruderi ancora visibili.

Giungiamo a Brento alle 3,15. È un paese di poche case, frazione di Monzuno, ma fu già un munito avamposto bizantino. Vi è qualche bar e negozio dove pensavamo di fermarci per bere qualcosa e prendere della pasta da cucinare stasera visto che abbiamo prenotato in un B&B 5 km più avanti, in una località semi isolata, purtroppo sono le 3 e sono tutti chiusi, così, dopo esserci un poco persi via, proseguiamo. Sentiremo la proprietaria del B&B cosa ci consiglierà.

Nuvole minacciose si stanno avvicinando velocemente. Tuona sempre con più insistenza. Ricomincia una lunga salita al 15/20% per superare l’altura di Monterumici dove raggiungiamo il gruppo organizzato, loro prenderanno il pullman per Monzuno. Si mette a piovere e siamo costretti a mettere le mantelline, lavoro non rapido né semplicissimo.

Contemporaneamente ci chiama la proprietaria del B&B, si scusa se dovremo aspettare un poco perché ha avuto un imprevisto col bimbo piccolo che ha dovuto portare dal dottore e non è ancora riuscita a sistemare la camera. La rassicuriamo di non preoccuparsi.

Facciamo neanche mezzo km in discesa, sotto l’acqua e siamo arrivati. Si chiama ‘I falchi pellegrini’, si tratta di una ex chiesa ristrutturata, c’è ancora la campana davanti. Sono le 4,45 e i km 20. Aspettiamo una ventina di minuti che Carlotta riordini la stanza. Anche questo bimbo ha 15 mesi come la nostra Elisa. Per cenare ci rassicura che anch’essa ha una convenzione con una pizzeria nella zona e anche stasera va bene una pizza a domicilio.

Piove tutta la sera e danno acqua anche domani, soprattutto al pomeriggio; speriamo bene. Intanto per domani sera abbiamo prenotato una camera al ‘Rifugio delle guardie’ di Pian di Balestra, un posto sperduto nei boschi dove però fanno cucina. Nel contrafforto Pleocenico

3 – MONZUNO

31 agosto, mercoledì km 22,5 \ h 8,15

tot km 60 \ ore 23,10

Riusciamo a partire dieci minuti prima delle 8 con il cielo coperto, umidità e nebbia. Per un poco seguiamo la provinciale poi prendiamo a sinistra il sentiero della via. Passiamo una sbarra e, per un cartello messo male (corretto a pennarello) che non abbiamo nemmeno visto, sbagliamo strada, facendo mezzo km in discesa prima di renderci conto e tornare.

Proviamo a tenere il sentiero che costeggia la strada asfaltata, ma sono salite togli fiato e discese pesta culo e quindi decidiamo di stare sulla provinciale che del resto non è tanto trafficata. Anche qui un su e giù continuo con la salita in prevalenza, del resto ci stiamo avvicinando agli Appennini.

Si viaggia in mezzo alle colline sempre col clima umido passando alcune frazioncine di Monzuno, primo centro che incontreremo. Alle Selve ci fermiamo per un cappuccio. A Tre Fasci passiamo una casa di riposo con i vicini pompieri. Siamo in campagna elettorale e quel toponimo ci stimola a qualche satira politica. Ai piedi di Monzuno c’è il grande caseggiato di un vecchio ospedale oramai in rovina. In paese ci arrivammo alle 10 con 7 km nelle gambe.

Monzuno deriva il nome da ‘Mons Junonis’, ‘Monte di Giunone’ la dea dal seno prosperoso, protettrice del matrimonio e della famiglia, moglie di Giove il re dell’Olimpo al quale, per motivi forse di prestigio, qui preferiscono associare il nome. È la seconda divinità su questa Via degli Dei.

Conta, con le tante frazioncine, quasi 6.400 abitanti ed è a 621 msm. Ha una storia ragguardevole dato vi passava una delle più frequentate vie di collegamento fra Bologna e Firenze. Intorno al Mille i monaci Vallombrosani edificarono un grande ospedale.

Nell’autunno del 1376 fu combattuta una battaglia nella quale i bolognesi distrussero il suo castello. In seguito fu centro di un notevole feudo, fu sede di un’alta magistratura, di giurisdizione e di vicariato. Anche qui la guerra fu cruenta con bombardamenti alleati che distrussero la frazione di Vado dov’era la ferrovia, e rappresaglie nazifasciste.



Ci fermiamo al primo bar pasticceria per un succo e alcune focacce per il mezzodì. Ci troviamo una donna di una certa età di Biella che sta camminando con la giovane nipote. È un poco eccitata perché ha trovato alberghi e B&B cari e a Olmo, prima di Fiesole, è tutto pieno, ne approfittano, non come a Santiago che lei ha fatto sette volte, anche se è qualche anno che non ci va più. Non sono del tutto d’accordo perché l’ultima volta che ho fatto il Cammino, la quarta, anche là ho trovato che ci marciano parecchio, soprattutto in Galizia. Prevedono anche domani brutto e allora la nipote che, in silenzio si stava medicando una vescica ai piedi, sbotta decisa che se piove, lei non cammina più.

Ripartiamo per Montevenere, sempre sull’asfalto e in salita dura. In località Fontana del mulo, dov’è una sorgente, un operaio che sta verniciando un muro ci spiega la via da seguire. Nel frattempo arriva in direzione contraria un prete con dei ragazzi. Sono di Nomadelfia, la comunità ultra cattolica del grossetano fondata da Don Zeno, dove non esiste il denaro e tutto è in comune. È milanese e conosce i nostri paesi per esserci stato in svariate occasioni. Sono partiti dal santuario di Monte Senario e terminano il loro pellegrinaggio alla Chiesa di Monzuno.

Riprendiamo e poco oltre imbocchiamo una strada bianca che indica Monte Venere. Venere, la dea della bellezza e dell’eros, e libertina la sua parte, è la terza divinità sulla Via.

Camminiamo incontrando numerosi cartelli, insoliti e spiritosi, oggetti strani, pale eoliche e un grande ripetitore radiotelefonico. Le farfalle amoreggiano svolazzando malgrado sia sempre nuvolo. Scorci panoramici si aprono sulle vallate.

Alle 12:30 arriviamo a Le Croci, tre o quattro solidi casolari, una chiesetta dedicata a S. Orsola e dei ruderi. Una volta era un bastione di avvistamento e difesa sulla strada Bologna – Firenze.

Più oltre comincia a piovigginare e poi a piovere così dobbiamo mettere le mantelline. In località Collina, un cartello attira la mia curiosità; ricorda la triste storia del giovane Tito, qui morto sotto una bufera di neve nel novembre 1940 mentre si recava a sposarsi in un paese qui vicino.

Prima di arrivare a Madonna dei Fornelli, su una discesa decisa, una coppia di trevigiani, di Conegliano, la terra del prosecco, ci supera di buon passo. Arriviamo che sono le 2 e i km 16,5. Ci rifugiamo sotto la tettoia di un bar chiuso, ci asciughiamo i piedi zuppi, rimettiamo le calze asciutte e, prima delle scarpe, infiliamo due sacchetti da supermercato. Furbata che abbiamo adottato nei nostri tanti raid in bici. Ora possiamo mangiare le nostre focacce.

Madonna dei Fornelli è una frazione del comune di San Benedetto Val di Sambro di 450 anime situata a 798 msm. Il curioso nome gli deriva dal santuario mariano seicentesco e dai fuochi che i tanti carbonai accendevano alle cataste coperte di sabbia per fare carbone.

È una località presa d’assedio dai camminanti prima della lunga tratta appenninica attraverso le montagne e i boschi transitando per il passo della Futa, dove pochissimi sono i posti per passare la notte.

Nel frattempo si schiarisce. Tre quarti d’ora di sosta durante la quale abbiamo prenotato un B&B per domani sera a S. Agata, in Toscana. Un cappuccio per gradire e riprendiamo per Pian di Balestra, la nostra meta, a 5 km. Sarebbero 7 ma siccome ha ripreso a piovigginare, preferiamo tenere l’asfalto, più sicuro, meno difficoltoso e dove passa una macchina ogni mezz’ora.

Da un balcone in alto di una delle ultime case del paese, un grosso cane piscia di sotto; pare una cascata. La strada parte subito in forte salita ma poi si fa più dolce. Ricorda moltissimo quella da Cabiaglio a Brinzio. Prima di arrivare ritorna il sole timidamente.

Giungiamo al ‘Rifugio delle Guardie’ (pare fossero stati finanzieri) al Pian di Balestra, 1.050 msm, che sono le 4,15 e i km 22.5 per un totale di 60 precisi.

Sono due costruzioni, una delle quali fa anche da ristorantino, all’interno in un recinto dove vi è una fontana e un monumento a due partigiani. Ricorda vagamente il Cuvignone. Non c’è nessuno, telefoniamo e ci dicono arriveranno alle 5, nel frattempo possiamo entrare in uno dei rifugi che è aperto e accomodarci in una stanzetta; due letti a castello.

Doccia e bucato perché abbiamo visto uno stendino nella caldaia accesa dove i panni dovrebbero asciugare. Arriva, col cane, Ivan un ragazzo di Paratico sul lago d’Iseo, vicino a Predore il paese di mia mamma. Piazza la tenda, fa la doccia e lava anche il cane fradicio. Passa a salutarlo un ragazzo di Como con la ragazza; metteranno la tenda più avanti nel bosco.

Poi giunge Andrea il padrone del rifugio, bolognese simpatico, accompagnato dall’aiutante che chiama Sceriffo, guineano. Arriva anche Carlo, un altro ragazzo di Pordenone, tranquillo, è stanco morto, ha fatto 30 km con uno zaino pesantissimo. È salito sul Monte Adone e nello scendere è scivolato sul fango. Ha qualche fiacca ai piedi è gli passo una spilla per bucarla. Siccome non c’era campo non ha sentito le chiamate della mamma preoccupata.

Mangiamo tutti insieme alle 7. Andrea ha cucinato gramigna con salsiccia, una pasta corta e curva, e poi umido. Con la sua irresistibile scivolata romagnola ci racconta della Via che ha avuto, grazie anche al covid, un’impennata di praticanti, quest’anno oltre 30.000, dicono le statistiche, il che ne fa il cammino più frequentato d’Italia, dopo la Francigena che, però, la stragrande maggioranza fa a tratti.

Intanto arriva ancora una coppia di mezza età friulana di Gemona, han fatto 40 km, si fermano direttamente a cena. Si chiacchera ci si racconta e si scambiano sensazioni e battute. Telefonate a spizzichi e mozzichi perché c’è poco campo e poi a letto. Domani il passo della Futa.

Cartelli e oggetti strani e curiosi

4 – IL PASSO DELLA FUTA

1° settembre, giovedì km 28 \ h 10,40

tot km 88 \ ore 33,50

Ci alziamo abbastanza presto, recuperiamo i nostri panni non tutti asciutti soprattutto quelli non tecnici (io dimentico una maglietta), prepariamo gli zaini, facciamo colazione con Andrea che ci assicura che al Passo della Futa, c’è un bar ristorante per fare scorta di cibo.

Salutiamo Carlo e Ivan che deve ancora smontare la tenda e partiamo: sono le 8,20. Il cielo è coperto, c’è nebbia e una bella umidità, del resto stanotte ha piovuto forte e non prevedono buono. Oggi tappa di oltre 25 km. Un chilometro di strada di montagna e arriviamo al confine tra Emilia e Toscana, tra le province di Bologna e Firenze, segnalato da un colonnino. Poco oltre troviamo l’antica cava di sassi romana.

Più oltre camminiamo sulle pendici del Monte Luario. Si tratta della quarta località dedicata ad una divinità, Lua dea minore romana che, bene bene, quali mansioni avesse non sono riuscito a capirlo, qualcuno dice fosse la consorte di Saturno, Tito Livio scrive che a lei erano consacrate le armi dei nemici sconfitti.

Dopo tre quarti d’ora incontriamo l’antica Via Flaminia Militare, strada romana che si snodava da Bologna ad Arezzo voluta dal console Caio Flaminio nel 187 a. C. come dicono guide e pannelli. È stata riscoperta da due ricercatori bolognesi verso la fine dello scorso millennio dopo quasi trenta anni di ricerche. I tratti saltuari che noi passiamo non sono più lungi di 100/200 m. Chissà se un giorno a qualcuno salterà in mente di cercare anche la leggendaria via romana che passava da Cuvio, il mio paese.

Siamo sempre su una carraia in terra battuta dal buon fondo con qualche pozzanghera, a oltre 1.000 msm, tra prati e boschi con nuvole e nebbia che non ci lasciano. Passiamo il Capannone, un grosso cascinale nel prato segnalato come punto di ristoro con fontana ma che ci pare disabitato. Poi Pian degli Ossi dal curioso nome il quale, pare, derivi dal fatto di esservi stata un’antica fornace romana della quale rimanevano solo gli scarti bianchi scambiati dalla gente per ossi.

Poco oltre veniamo raggiunti dalla coppia di Gemona con la quale camminiamo insieme per un tratto, fino al Passo del Passeggiere dove noi facciamo una breve sosta. Questa località, ricorda la guida, segna la metà del percorso della Via degli Dei. Il luogo è segnalato dal pilastrino di Merone che era un antico pellegrino di ritorno dal santuario di Boccadirio, dalle parti di Roncobilaccio, il quale fu miracolato da quella Madonna e, gettate le stampelle, riprese a camminare. Deve essere importante questo santuario di Boccadirio perché troveremo riferimenti anche più avanti. Dal punto dove siamo una deviazione porta al poco discosto agriturismo omonimo.

Quando riprendiamo, poco oltre, ci sorpassa Ivan il bresciano a passo da atleta col suo cane. Ora è un sentiero nel bosco che sale duro duro fino alle Banditacce. In meno di 2 km siamo saliti di 180 m. Si tratta del punto più alto del percorso, 1.200 msm, segnalato da un cartello e una campanella appesa ad una pianta. Sono le 10,30 e i km 6. Ci raggiunge Carlo carico del suo pesante zaino col quale facciamo una foto di rito sulla Cima Coppi.

Lui ha prenotato un alberghetto a Firenzuola, 12 km ai piedi della Futa, pensava fosse più vicino, comunque gli hanno assicurato che lo verranno a prendere in auto al passo. Camminiamo con lui che finora è sempre stato solo e la solitudine a lungo andare si fa pesante. Le vesciche gli danno fastidio ma oggi pomeriggio si riposerà. Parliamo del più e del meno e del fatto che lui si è fatto preparare un panino da Andrea del rifugio di Pian Balestra. La strada ora scende ripida e spacca le ginocchia e indolenzisce la punta dei piedi. Ogni tanto incontriamo resti dell’antica strada romana. Quasi due ore e siamo al Passo della Futa, abbiamo fatto 11 km.

Arriviamo al Cimitero di guerra tedesco e mentre Carlo attende la navetta, noi entriamo a visitarlo. È vastissimo, posto su un’altura verde, senza fiori, vi sono sepolte, sotto un’infinità di lastroni in sasso che ne ricordano il nome, oltre 30.000 salme di soldati tedeschi morti nella II guerra mondiale sulla Linea Gotica. È il più grande dei dodici cimiteri militari tedeschi in Italia e fu inaugurato nel 1969.

A dominare i gradoni a spirale, un mausoleo triangolare a punta che dovrebbe simboleggiare una scheggia di bomba con altre lapidi apposte a memoria dei numerosi reparti che parteciparono agli scontri. Lo visitiamo in silenzio come invitano i cartelli. Leggiamo qualche nome: Hans, Heinrich, Franz, Wilhelm, Fritz… Quanti giovani morti per un’ideale di supremazia certamente non condiviso da tutti. Tra i loculi si aggira una coppia di anziani tedeschi, che cerchino qualcuno?

Ci siamo presi il tempo che ci voleva e poi, salutato Carlo che ancora aspetta, andiamo a cercare il ristorante bar. Bisogna deviare 500 m ma, con sorpresa e disappunto, troviamo che è chiuso per ferie. Uno seduto davanti ci dice che a 2 km ce n’è un altro, peccato che non sia sul percorso. Facciamo un rapido calcolo dei viveri; un panino Tiziano, due barrette Rubens, una banana io, due biscotti Danilo. Ce li faremo bastare. Carlo aveva pensato di rifornirsi al rifugio prima di partire, cosa che noi, quattro cervelli, non abbiamo minimamente considerato.

Lo storico Passo della Futa, a 900 msm, è; con la Cisa, uno dei valichi più trafficati dell’Appennino tosco-emiliano, è percorso dalla ex SS 65 omonima che andava da Firenze a Bologna per oltre 100 km; nel ’60 l’autostrada che passa nelle sue viscere ha ridotto la sua rilevanza viaria. Fu uno dei capisaldi della Linea Gotica.

Alla fine del ‘900, per una ventina di anni, fu l’arrivo di una cronoscalata dedicata a Nencini vinta da grandi nomi tra i quali Saronni e Moser. Era luogo di passaggio anche della Mille Miglia e del Giro automobilistico del Mugello; grandi lastre in bronzo ricordano le bici, le auto e il pilota Giulio Masetti da Bagnano, toscano di Vinci.

Mi incuriosisce e informatomi, verrò a sapere che trovò la morte in un incidente nel 1926 alla Targa Florio da lui vinta due volte; era popolare ai suoi tempi anche perché, rifiutato come pilota dalla Mercedes, per puntiglio ne comprò una e la colorò di rosso, che allora era il colore delle auto italiane, vincendo più corse. La nostra sosta è durata tre quarti d’ora. Ora dobbiamo affrontare la salita del Monte Gazzàro, 4 km tirati come ci aveva avvertiti Andrea.

Prende a piovigginare e per un po’ dobbiamo mettere le mantelline. Quando spiove, anche per interrompere la salita, ci fermiamo a mangiucchiare le nostre poche derrate, dividendole da buoni ‘fratelli’ e intanto prenotiamo un B&B prima di Olmo, per domani sera, Come affermava la biellese agitata incontrata a Monzuno, pare tutto occupato, questo è una casa isolata sulla provinciale, dovremmo arrivare per le 6,30 e ordinare una pizza subito perché i padroni devono andare via; non il massimo ma va beh, così è l’avventura.

La salita al Monte Gazzàro è davvero dura, ad un certo punto troviamo un bivio: per vetta è sentiero EE (per escursionisti esperti) l’altro che tiene la quota e ci gira intorno è più abbordabile e decidiamo per quest’ultimo. Chi ha fatto la vetta ci dirà d’aver dovuto poi scendere passando roccioni a picco attaccati alla corda predisposta.

Dal Gazzàro la strada scende ma è un continuo su e giù. Camminiamo per km e km nel bosco dove abbondano faggi, senza vedere nulla, qualche radura, qualche fontana magari asciutta con la siccità di quest’anno e qualche scorcio panoramico sul lago artificiale Bilancino.

Alle 3,45 giungiamo in località Osteria Bruciata, una radura con un monumentino, i cartelli indicano 2h,30 a S. Agata, la nostra meta. Chissà perché danno sempre indicazioni in tempo, che è soggettivo e non invece in km dove uno si regola meglio in base al proprio passo. Fra le varie località dal nome strano incontrate oggi, questa è senz’altro la più insolita. Dice la leggenda che i proprietari di questa antica osteria nel bosco, ammazzassero qualche ospite per sfamare altri viandanti che vi sostavano.

Camminiamo nel bosco ancora per km, in discesa, con qualche salitella, sulle alte pendici di quella sorta di catena montuosa. Passiamo i ruderi di Riarsiccio, forse un ronco o una fornace, alcune deviazioni per agriturismi, poi la discesa prende a farsi più decisa, la strada diventa a volte una palestra per esperti con scaloni di roccia da scendere con prudenza anche per via degli zaini in spalla.

Incontriamo, che sale, un giovane romano, Federico, col quale scambiamo due parole; sta facendo la Via al contrario come altri già incontrati, vuole arrivare all’Osteria Bruciata e piazzare la tenda, ci sembra un poco temerario dormire lì anche perché animali ce ne sono anche se di giorno non si fanno vedere. Ci chiede se c’è acqua e noi rispondiamo di aver visto le segnalazioni di una fonte. Domani sera altri camminanti ci diranno di averlo incontrato mentre piazzava la tenda e di avergli dato la loro razione di acqua perché la fonte era asciutta.

Non arriviamo mai, le 6 sono passate da un bel po’, ad un bivio teniamo per S. Agata, forse è giusto o forse è una deviazione per farci passare da un agriturismo dove troviamo il cancello chiuso con una scaletta in pioli sistemata per superare la recinzione. Più avanti ce ne sarà un’altra per uscire. Passiamo anche una piccola frazioncina disabitata e malmessa. Alle prime case di S. Agata ci chiama il B&B. Ci dice di aspettare sua moglie davanti alla chiesa. Troviamo la chiesa, aspettiamo ma ci rendiamo conto che non si riferiva a quella ma all’altra che è in paese, un paio di km più sotto. Arriviamo alle 7 dopo 28 km, stanchi e affamati.

Sant’Agata di Mugello deve il nome all’importante Pieve omonima che ne ha fatto nei secoli un centro importante. Funzionava una manifattura di tabacchi, si può visitare il museo di Vita artigiana e contadina con personaggi del posto in cartapesta, una raccolta d’arte sacra e un’esposizione archeologica. È una frazione di Scarperia e San Piero, comune di 12.000 ab. sorto nel 2014 dalla fusione dei due precedenti municipi.

Benedetta ci sta aspettando e ci porta nel suo B&B: ‘Mafalda e Luna’ come i suoi cani. Ci raggiunge il marito Duilio, sono gentili ma prolissi nello spiegarci come funziona l’ambiente. Lui, pelato, è in forma, giovanile, lei meno e più in carne. Volevamo cenare nell’osteria del paese ma siccome la ragazza ha un poco stortato il naso per l’ora che saremmo giunti, dietro suggerimento della donna la ordiniamo a domicilio. Abitano nell’appartamento sotto e lui ci assicura che poi verrà col whisky come digestivo. Ed infatti, dopo un buon piatto di tortelli del Mugello, specialità locale, arriva e comincia a raccontarci mille cose, che era carabiniere ed ora è in pensione, mentre la moglie lavora in una scuola, non hanno figli e allora si son presi i cani.

Ci dice che più di una volta ha dovuto recuperare camminanti in difficoltà o che si eran persi sulla montagna, anche d’inverno con la neve e anche lui conferma che sono diventati numerosi. Nei boschi vivono tanti animali, cervi, caprioli, cinghiali e anche lupi, e pensiamo a Federico il romano incontrato poche ore fa. Dice cose interessanti da ascoltare se non fosse che noi abbiamo camminato quasi 11 ore e siamo stanchi morti. Parla e bevi, riusciamo ad andare a letto alle 11.

Prima e dopo la Futa

5 – SAN PIERO A SIEVE

2 settembre, venerdì km 24,5 \ h 9,40

tot km 112,5 \ ore 43,30

Questa mattina il tempo è bello e si prospetta una bella sudata. Colazione, ultimi saluti a Duilio che ci mostra un album di foto con parecchi camminanti che ha ospitato, anche noi scambiamo una nostra foto e poi partiamo: sono le 8,30. I segnali indicano la strada bianca per Gabbiano immersa nella campagna del Mugello con mosche moleste a infastidirci. 5 km e arriviamo a Gabbiano, un paesino di quattro case, quattro cascine e la chiesa parrocchiale puntellata.

Poco oltre ci raggiungono Serena e Mauro due giovani di Roma – ma lui è di origini lucane – si sono conosciuti un mese fa e stanno facendo le prove di coppia. Lei è molto espansiva lui più chiuso. Viaggiamo con loro parlando del più e del meno fino a S. Piero a Sieve dove ci fermiamo a un bar per dissetarci perché, come previsto, siamo sudati fradici, e prendere quattro focacce per mezzodì. Sono le 10,30 e i km 8.

San Piero a Sieve è una grossa borgata di origini etrusche, importante fin dal Medioevo per via del ponte sul fiume Sieve, eletta residenza di campagna dai Medici ai quali la popolazione fu sempre fedele. Numerose le ville nobiliari e anche la fortezza medicea su un colle dove è ambientata la leggenda del basilisco Regolo, un animale mitologico metà gallo e metà serpente, il quale affascinava e concupiva le fanciulle del borgo. Numerose le statue nelle piazze e nelle vie. Vi è anche una salsamenteria, i moderni salumieri e gastronomi, e mi salta in mente l’insegna di Cuvio.

I cartelli ci indirizzano su un’altra strada bianca in salita ripida con numerosi tornanti che facciamo assieme ai ragazzi romani. Il sole è a picco e a ogni tornante ci spostiamo dal lato ombreggiato.

Alla 1 arriviamo a Trebbio: 13 km. Ci troviamo, seduti su una panchina davanti a una chiesetta, due amici: Alessandro di Monza e Lorenzo, mi pare, di Lecco, quest’ultimo ci dice che fa il sacrestano, porta in spalla uno zaino di 25 kg e, come noi, ha fatto il Cammino di Santiago in bici. Mentre i brianzoli e anche i romani riprendono, noi sostiamo solo per perder tempo, e leggere qualche nota storica, mangeremo più avanti.

A Trebbio, minuscola borgata su un colle, sorge una stupenda villa medicea opera del XV sec di Michelozzo. Si vuole che fosse la prima residenza che i Medici costruirono fuori da Firenze, e lo fecero in questo fazzoletto di Mugello che pare fosse la loro terra d’origine. La villa, privata, è patrimonio Dell’Unesco ed è visitabile.

Riprendiamo su questa strada sterrata che ora comincia a scendere. Ad un piccolo punto di ristoro volante organizzato da un agriturismo, incontriamo una veneziana sulla cinquantina che sta facendo la Via al contrario. Bella presenza e dinamica, è partita da Fiesole, dice che in senso inverso la segnalazione non è così precisa ed è facile sbagliare strada come è capitato a lei, ci avvisa che per un bel po’ non ci saranno più fontane.

Alle 2,30 arriviamo a Tagliaferro, un’altra frazioncina di quattro case con a fianco la ferrovia. Troviamo i due romani seduti su un marciapiede che stanno mangiando i loro panini e così facciamo anche noi. Non abbiamo più acqua, e la fontana che c’è qui è asciutta.

Pare non ci abiti nessuno, nemmeno all’ostello. Da una finestra aperta al primo piano sento musica, chiamo e si affaccia un uomo, gli chiediamo per piacere dell’acqua e lui ce la dà, anche ai romani. Loro ci dicono che hanno prenotato alla Locanda di Bivigliano, alberghetto a conduzione familiare che i miei figli conoscono per esserci stati alcune volte. Decidiamo di fare anche noi cosi. C’è posto e allora disdiciamo il B&B di Olmo.

Riprendiamo e ora torna la salita, sempre così, sicuro che in cima ci sarà la discesa. Pochi chilometri e i romani, che si erano attardati, ci raggiungono. Serena, sempre loquace, ci racconta che lavora in posta e il suo mental coach, (motivatore, in posta pare ne abbiano bisogno) era direttore sportivo del Parma, Fabrizio Festa, che sia quello che abbiamo conosciuto sulla Francigena sei anni fa? Mauro ha vissuto a Torino e faceva il posteggiatore allo stadio della squadra della Juve quando si allenava, ha conosciuto vari giocatori: Buffon, Del Piero Chiellini ecc. e ci dice qualche aneddoto.

La salita tosta continua parecchio. I 20 km li tocchiamo in località Belvedere, sono le 16,30. Bivigliano non deve essere lontano, è fuori dalla Via perciò dobbiamo raggiungerlo con la provinciale. Poco oltre passiamo davanti alla Badia del Buonsollazzo.

Si tratta di un imponente complesso benedettino sorto nell’anno Mille il cui nome significa ‘bono solatium’ ossia ‘ben soleggiata’ e non quello che pensano tutti, noi e voi compresi. Gli ultimi frati sono stati i camaldolesi i quali, alla fine del millennio, la vendettero a privati ed ora versa in stato di semiabbandono.

Bivigliano è uno di quei paesi, diciamo, di supporto alla Via, ovvero, che sono leggermente fuori dal tragitto ufficiale, ma che hanno infrastrutture turistiche e quindi sono di riferimento per molti. Da Buonsollazzo la si raggiunge in discesa tenendo la provinciale. I romani vanno avanti e li sentiamo discutere tra di loro; prime verifiche di coppia. Noi procediamo flemmaticamente, allungandoci sulla strada, prima di Bivigliano c’è sempre un’altra curva. Alle prime case, io e Danilo che siamo gli ultimi, vediamo al bordo della strada una famiglia di cinghiali e cinghialotti intenti a brucare l’erba e raspare la cotica. Avevamo già visto sul percorso prati arati ma gli animali non li avevamo ancora incontrati.

Arriviamo alla Locanda di Bivigliano alle 18 dopo 24,5 km. Ci danno una stanza con un matrimoniale e un castello. C’è molta gente facciamo qualche conoscenza, Teo e Nico e altri di tutte le regioni e nazioni, e rivediamo il sacrestano con l’amico.

Ceniamo con i romani e due donne, Veronica, giovane di Calcio (BG) che fa la psicologa a Genova e Gloria, veronese, che ha lasciato a casa marito e due figli grandi, si sono incontrate qui il primo giorno e hanno camminato insieme. Si ride, ci si racconta, si scambiano sensazioni ed esperienze, c’è la soddisfazione di avercela fatta e un po’ di nostalgia che domani finisce l’avventura e così questa sera spendiamo qualcosa in più; domani sera, sicuro, saremo da Lorenzo con Teresa, i genitori di Sara, che è un’ottima cuoca, e alfine potremo rivedere e coccolare la piccola Elisa.

Camminando nel Mugello

6 – FIESOLE

3 settembre, sabato km 23 \ h 8,45

tot km 135,5 \ ore 52,15

Ultima tappa con arrivo a Firenze in Piazza della Signoria, più di venti km. Partiamo alle 8,15 con il cielo coperto e le previsioni danno pioggia da mezzogiorno in avanti. Bivigliano è una frazione di 800 ab. del comune di Vaglia, rinomata come stazione turistica ed è il paese d’origine dei Ginori, quelli della ceramica, i quali vi fecero ereggere una grandiosa villa con immenso parco.

Uscendo dal paese rivediamo i cinghiali intenti a ‘ispezionare’ il parco giochi del paese. Altri camminanti scendono direttamente la provinciale, noi, più ligi, prendiamo il sentiero in salita per Montesenario e un’oretta dopo arriviamo sulla provinciale per il Santuario che spunta in cima all’altura. Si tratta di uno dei più importanti dell’intera Toscana fondato da sette santi servi di Maria nel Duecento, ricordati da una croce. Possedeva un’antica farmacia ora trasformata in distilleria dove i frati producono un rinomato liquore di abete bianco. Benedetto XV ha elevato la chiesa a basilica.

Ci sarebbe da fare un km di salita in senso contrario, ma siccome ha cominciato a piovigginare e siamo obbligati a mettere le mantelline, decidiamo di rinunciare e di proseguire sulla provinciale che del resto qui è il percorso ufficiale. Siamo ancora a 700 msm. Una macchina si ferma e un uomo visibilmente dispiaciuto ci dice che ha perso il ‘canino’ e se per caso l’abbiamo visto. Dopo l’ennesima curva, scorgiamo in lontananza Firenze in basso.

Ad un certo punto la Via entra nel bosco per salire le vette attorno a noi, è sicuramente impegnativa e allora, visto l’acqua, teniamo la provinciale parallela, un poco più corta, senza su e giù e neanche tanto transitata. Camminiamo decisi sotto una leggera pioggerellina fresca, non sentiamo più neanche il peso degli zaini.

Alle 10, dopo 6 km, arriviamo ai limitari di Olmo, frazione di Fiesole, un altro di quei paesi d’appoggio, dove ci fermiamo a un bar ristorante per scaldarci con un cappuccio. Siamo scesi a 500 msm. Le scarpe sono inzuppate ma continuiamo. Ora è la strada dei Bosconi, anche qui poco traffico

Torre di Buiano, quattro case dove ancora si eleva una torre guelfa del Quattrocento vicina a una rinomata trattoria dove ha avuto modo di cenare anche Tiziano (il nostro, non il pittore). Sant’Ilario Montereggi, antica pieve ora rimodernata già citata nel IX sec.

Passo dopo passo Fiesole si avvicina. Ora viaggiamo tra tanti campi di olive. Ogni tanto vediamo tronchi d’alberi scolpiti artisticamente. Le scarpe ‘quacquano’. Il sobborgo di Baccano, alla periferia di Fiesole dalle alte case a ridosso della strada. Passando salutiamo le due donne di ieri sera che si son fermate alla Casa del Popolo per mangiare qualcosa.

Infine arriviamo nella piazza di Fiesole, sono 12,45 e i km 15,5. Avevamo pensato di fermarci sotto il loggiato del municipio ad asciugarci i piedi ma c’è un matrimonio e invitati eleganti, ci defiliamo allora un poco più in là. Usiamo sempre il metodo dei sacchetti di plastica.

Sistemati alla meno peggio, ci rifugiamo in un baretto preso d’assalto da turisti, a mangiare quattro panini. Quando ripartiamo, alle 14, il cielo si è aperto e il sole splendente comincia a cacciare caldo.

Fiesole, 14.000 ab., su un colle che domina Firenze, è una delle località più esclusive della provincia di Firenze. Città etrusca, centro romano del quale ancora si vede il teatro e altre numerose vestigia; nelle sue vicinanze fu combattuta una battaglia tra Goti e romani di Stilicone. Distrutta dai fiorentini nel Mille, sarà poi luogo strategico di questi ultimi che ne eressero le possenti mura.

Importante il Convento di S. Domenico dove lavorò parecchio Frate Angelico. Nell’altro grande convento, quello di S. Francesco, si trova l’organo Mascioni ‘opus 514’, e i Mascioni organari son di Cuvio. La piazza è dominata dallo snello campanile merlato della cattedrale. Famosissima l’Estate Fiesolana, festival dedicato a musica, teatro, cinema, il più vecchio d’Italia. La leggenda narra che Fiesole sia stato fondato da Atlante, toh! un altro dio, il sesto.

Scendiamo dalla via Vecchia fiesolana che domina Firenze adagiata nella grande piana che ruba l’occhio e non possiamo non fotografarla.

La strada scende sempre dritta e ripida fino al Mugnone, e poi passo dopo passo, metro dopo metro, km dopo km, arriviamo in Piazza Duomo affollata come sempre.

Sara ci fa sapere che sta arrivando con suo papà ed Elisa, vuole immortalare il nostro arrivo in Piazza della Signoria dove c’è il ‘biancone’ ossia il Nettuno di Bartolomeo Ammannati, massiccia scultura in forma manierista. In attesa gironzoliamo la città, Santa Maria Novella Piazza Repubblica, la fontana del porcellino, Via dei Calzaiuoli e alle 4,30 arriviamo in Piazza della Signoria anch’essa affollata di turisti e qualche camminante: 22,5 km

Sara, la piccola Elisa e Lorenzo il su babbo ci aspettano. Baci, abbracci, foto.

Ci facciamo dare il documento della Via visto che abbiamo riempito di timbri la credenziale, poi ci perdiamo per le vie della città. Riusciamo a salutare i due romani arrivati un’ora dopo di noi. Telefoniamo a Carlo il giovane friulano che avevamo lasciato al Passo della Futa. Anche lui è arrivato; stamattina era partito da Tagliaferro ma giunto a Fiesole ha preferito prendere il bus perché le vesciche lo martoriavano troppo. Ora non ci resta che prendere il trenino che ci porterà a Scandicci dove vive Tiziano.

L’avventura è finita e le zanzare han finito di massacrarci. Cosa possiamo aggiungere ancora? Si, che è stata pesante ma non siamo particolarmente stanchi, nemmeno Tiziano che non era allenato e poi che la gente si meravigliava di vedere camminare una famiglia intera e un poco ci invidiava.

Abbiamo trovato una curiosità a riguardo del Biancone ossia che satiri, tritoni e nereidi che adornano la fontana, sono del Giambologna la qual cosa lo mette in stretta relazione col Nettuno di Bologna.

Ho scoperto anche come si chiama quella tendenza del cervello umano nel vedere forme, oggetti, luoghi e volti consueti nelle cose che ci circondano, come capitava sovente a noi: si dice ‘pareidolia’, termine meno difficile di quanto sembri, basta rapportarlo al fatto che ‘mi pare’.

E se proprio vi può incuriosire quanto abbiamo speso, vi possiamo dire che a noi tre, che abbiamo anche il B&B sulle colline di Scandicci per due notti e il treno del ritorno, è costato 65 € giornalmente a testa.

ELISA

4\5 settembre

Come previsto la serata l’abbiamo passata a casa dei genitori di Sara e sua mamma ci ha fatto trovare una di quelle cene che solo lei sa preparare con una gran scelta di pietanze e contorni, c’era anche il lampredotto, la trippa in umido alla fiorentina della quale sono ghiotto.

Il giorno dopo Tiziano e Sara ci hanno accompagnato a visitare Prato. Coi suoi 200.000 ab è la seconda città più popolosa della Toscana ed era anche la più popolosa non capoluogo d’Italia. È forse per questo motivo che nel ’92 venne elevata a capoluogo di una provincia di per sé inconcepibile, più grande solo di quella amputata di Trieste, con soli 7 comuni, a soli 21 km da Firenze.

Qui, terra da secoli famosa per la produzione tessile e di stoffe, vi è la maggior densità di cinesi in Italia. È anche la culla dei cantucci, i tipici biscotti toscani, qui creati nel medioevo. È attraversata dal Bisenzio citato da Dante e D’Annunzio.

Il Duomo racchiude opere di Giovanni Pisano, affreschi di Filippo Lippi pratese, e Paolo Uccello. Esternamente si può ammirare il pulpito di Donatello dal quale, l’8 settembre, viene esposto il Sacro Cingolo, ossia la cintura della Madonna portata per la città solennemente in un corteo storico.

Imponente il Castello dell’Imperatore o Castello Svevo, voluto nel Milleduecento da Federico II, lo ‘Stupor Mundi’. Altissimo il campanile della Chiesa di S. Bartolomeo che si vede da lontano con colonnato a tre ordini sulla sommità ricostruito dopo la guerra.

Di Prato sono Curzio Malaparte e Sem Benelli scrittori, Clara Calamai il primo seno nudo del cinema italiano, Giustino Durano attore, Gaetano Bresci colui che uccise Re Umberto I, Paolo Rossi calciatore e, non poteva mancare nella terra del tessile, uno stilista, Enrico Coveri.

Girando le strade e le piazze della città abbiamo fatto a gara a spupazzarci Elisa Ha imparato a camminare e trotterella contenta di qua e di là.

In serata siamo andati in una pizzeria a Riffredi, la zona dove abita Valentina, amica di Rubens e abbiamo passato una bella serata.

Lunedì ci siamo goduti ancora un poco Elisa che poi chissà quando la rivedremo. Ora siamo in treno e siamo quasi arrivati a casa. L’anno venturo vedremo che cammino o via o strada fare, ce ne sono tante.

Una cosa mi resta da dire e so già che anche voi mi prenderete in giro come han fatto i miei scagnozzi: anche quest’anno ho perso gli occhiali da vista.

ALTRI DIARI DI VIAGGIO

‘VIAGGIO IN TERRASANTA’, memorie di un pellegrinaggio, agosto 2009.

[consultabile sul sito

‘SANTIAGO: IL MIO CAMMINO IN BICI’, 2-15 agosto 2011. [consultabile sul sito http://www.ilcamminodisantiago.com/diariodigiorgioagosto2011/#_]

‘UN PO IN BICI’, una lunga pedalata sul grande fiume, 25-30 aprile 2012.

[consultabile sul sito http://www.markos.it/quaderni/poinbici.htm]

‘SANTIAGO UN ALTRO CAMMINO’,

1000 km in bici sul Cammino del Nord, 2-17 giugno 2013.

‘VIA CLAUDIA AUGUSTA’,

la strada Romana dal Danubio al Po in bici, 25 aprile-1° maggio 2014.

[consultabile sul sito http //www.facebook.com/ViaClaudiaAugusta2014]

‘ANCORA UN PO IN BICI’, pedalando sul Po verso il Monviso 8-11 aprile 2015.

[consultabile sul sito https://www.markos.it/viaggi/in-bici-lungo-fiume-po/]

‘VIAGGIO NEGLI STATES’,

appunti alla rinfusa di una vacanza in Florida 12-27 settembre 2015.

‘LAGHI E FIUMI DI LOMBARDIA IN BICI’, 8-11 settembre 2015.

‘CAPODANNO 2016 A PARIGI’, 30 dicembre 2015-4 gennaio 2016.

‘BARCELLONA’, 30 aprile – 3 maggio 2016.

‘IN VIA FRANCIGENA CUM BIROTA’, in bici a Roma, 2-12 giugno 2016

[consultabile sul sito:

‘LA CICLOVIA DEI DUE MARI’, da Bordeaux a Sète, 10-19 luglio 2017

‘A SANTIAGO SUL CAMMINO DELL’EBRO’,

(partendo in bici e finendo da turisti dal 14-28 settembre 2017)

DA S. RITA A S. RITA, UNA PEDALATA INFINITA’, 9-19 giugno 2018

‘APPUNTI AMERICANI’, note veloci di un viaggio in Florida, 3-7 ottobre 2018

‘PRAGA’, 8 – 10 giugno 2019

‘L’ADDA IN BICI’, e un po di più, 14-21 luglio 2019

‘A SANTIAGO PER FINIRE UN CAMMINO’, da Leon a Muxìa, 6-16 ottobre 2019

A FIRENZE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS’,

Cuvio – Scandicci in bici, 24-31 agosto 2020

‘SULLE STRADE DEI LITTA’,

Pedalata sportivo – culturale nei paesi dei Litta,18 – 22 luglio 2021

IN VIA FRANCIGENA PEDIBUS CALCANTIBUS

Da Orvieto a Roma, 22 – 30 agosto 2022

BUDAPEST, 2 -4 giugno 2022

giorgio.roncari@virgilio.itandreas.delorenzi@gmail.com

LA CREDENZIALE

Via degli Dei

Il racconto del viaggio di Giorgio Roncari “La via degli Dei” è disponibile per il download in formato Pdf

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