Lisbona 1999

di Alessandra Tonini –
Linate: è presto, molto presto. Il traffico milanese non ha opposto alcuna resistenza al nostro passaggio e, quindi, eccoci arrivati con un’ora d’anticipo.
Cancello di imbarco numero 8.
Il monitor ci segnala che, per motivi a noi sconosciuti, il volo Milano-Lisbona subirà un’intera ora di ritardo.
Attesa raddoppiata. Inizio ufficiale del torneo di scopa. Alessandra vince.
Finalmente si parte. Posti separati sull’aereo ci costringono a 2h40 di rigoroso silenzio, al fianco di alcuni riservatissimi portoghesi.  Fortunatamente il mio posticino vicino al finestrino mi permette di godere dell’impagabile vista del cielo, uno dei più belli che abbia mai visto. La natura ha la capacità di stupire ed affascinare in ogni momento.

H 18.00 ” La compagnia aerea TAP Air Portugal, ringraziandovi di averla scelta, è felice di offrirvi una deliziosa cena a base di torta di spinaci appassita, funghi trifolati freddi, salsiccia di plastica e petto di pollo decisamente cotto: buon appetito, ci auguriamo che tutto sia di vostro gradimento”.
Ringrazio e, ovviamente, avanzo. Attendo digiuna Lisbona.

Eccola!
Finalmente all’orizzonte celeste appare Lisbona, illuminata e sonnecchiante nella nebbia.

Taxista lisboeta.
Arriviamo, non senza difficoltà, in Rua de Texeira dove, ad attenderci, c’è la pensione Globo, che la protagonista del nostro viaggio trasformerà più volte in Congo, per chissà quali questioni fonetiche..
Pensione Globo: luogo dalle lunghe scale, dalle poche finestre e dalle pareti sottilissime. Ma lascerà in ogni caso il suo bel ricordo nei cuori dei suoi ospiti.
Bairro Alto: cuore pulsante della Lisbona notturna. Ecco dove ci troviamo. Vicoli, viuzze, salite mozzafiato, ciottolato, palazzi scrostati ma variopinti di azulejos ancora pieni di fascino. Uscito quasi interamente illeso dal terremoto del 1755: nacque come quartiere dei nobili e dell’alta borghesia, per poi diventare sede dei principali giornali che gli valsero il nome di “quartiere dei giornalisti”. Oggi è appunto il quartiere dei “nottambuli”, grazie al gran numero di ristoranti etnici e locali dove si può ascoltare il fado.
Lo scopriamo subito, gettandoci, seppur stanchi, nella città della notte. Girovagando il nostro sguardo, anzi ad onor del vero, il nostro stomaco ancora poco pratico del luogo, viene irrimediabilmente attratto da un’accattivante insegna luminosa, un posto dove ti senti sempre a casa, dove le differenze sociali, culturali e gastronomiche si annullano: Mc Donald’s. Proprio in quel luogo verrà consumata la nostra prima cena portoghese, ci scusino i lettori.

Questa serata è contraddistinta da una dolcissima temperatura. Cerco di ritrovare le sensazioni nascoste di un mio precedente viaggio a Lisbona, durato troppo poco per conoscerla bene, ma abbastanza per innamorarmene. Un’estate tra treni e caldo, un’estate conclusasi proprio in questa magica città.
E’ inverno, ora che ci penso. Cerco di immaginare come sarà questa stessa serata a Milano, al freddo pungente, forse alla nebbia. Ancora più felice di essere qui.
Bentornata.
Lisbona, una città strana, una città che ti avvolge di atmosfere particolari, decisamente difficili da descrivere, una città da respirare, assaporare, annusare.
La leggenda racconta che il fondatore di Lisbona sia stato Ulisse, mitologico personaggio, incarnazione vivente del desiderio umano di esplorare, conoscere, spingersi oltre i limiti e confini fisici e mentali.
E Lisbona è la città dei navigatori, dei grandi esploratori: Bartolomeo Diaz, Vasco de Gama, Magellano partirono da qui alla volta del nuovo mondo. L’epoca delle grandi scoperte segna un capitolo fondamentale per questa città interamente proiettata verso il mare. Ed interamente caratterizzata dal mare.
Il mare si ritrova nell’aria nostalgica che si respira ovunque, nel sapore del ricordo, della lontananza. Il forte legame che si avverte tra questa città, europea, ed un mondo ben più lontano, richiamato alla mente dal suono della lingua, dalla musica, dai volti della gente.

Buonanotte.

Ci rivediamo domani mattina.

Domenica, 03 Gennaio

Buon risveglio! Anche se in realtà la notte è stata tormentata il mio sonno più volte interrotto. Questa mattina un po’ grigia segna il vero inizio del viaggio.

Stazione del Rossio ( in portoghese “grande piazza”), in un edificio neomanuelino, principale punto di passaggio della città. Dopo una frugale colazione in un piccolo bar, ci aspetta un lunghissimo treno: destinazione Sintra, a metà strada tra Lisbona e l’oceano, in passato residenza dei reali portoghesi.
Il treno è comodo ma decisamente lento e, per raggiungere la destinazione, attraversa con calma tutta portoghese i sobborghi di Lisbona. Qui le sensazioni si fanno molto intense, un senso di profonda tristezza: davanti ai miei occhi prendono corpo i contrasti di un paese che ha un’anima così colorata ed è costretto a rinchiuderla in questi quartieri così grigi. Ma non è soltanto questo, è qualcosa di più profondo, qualcosa di più grave che non dovrebbe esistere da nessuna parte, soprattutto in un paese di un continente che si definisce civile, sviluppato, primo mondo.

La costruzione di una baraccopoli.

Arrivati a destinazione.
Sintra è davvero deliziosa, per certi versi mi ricorda i piccoli villaggi inglesi. Inizia la visita: prima il Palazzo Nazionale, poi una scoperta inaspettata, la mostra di F. do Castro, a noi sconosciuto, scrittore portoghese. Mostra allestita in modo realmente apprezzabile.
Dopodiché una lunghissima ed estenuante camminata per raggiungere un Palacio de la Pena che sembra non arrivare mai. Certo è che, fino a quando la nebbia non nasconde tutto, ci ritroviamo a camminare immersi in una natura che, non certo a torto, lord Byron definì da paradiso terrestre.
Salita domata. Palazzo conquistato. E’ buffo, a prima vista non so definire se mi piace, sembra finto, uscito da un cartone animato, dalla mano di un disegnatore di fumetti.
Questo palazzo risale al XIX secolo ed il suo committente – Dom Ferdinando II- voleva un luogo dove si incontrassero elementi architettonici fantastici e provenienti da tutto il mondo. Il lavoro fu affidato ad un architetto tedesco, Baron Eschewge, e direi che il lavoro riuscì perfettamente.
Entro nel palazzo e tutto ad un tratto l’effetto cartone animato scompare e lascia spazio al kitsch più sfrenato. Un grande dubbio mi accompagnerà: mi è piaciuto? Mah..

Torno a Lisbona stanca e spossata. Una nuova notte cala su di me.

Lunedì, 04 Gennaio

Sveglia presto.
Questa mattina in viaggio verso il mare. Anzi, verso l’oceano, per raggiungere il punto più ad ovest d’Europa.

Il treno verso Sintra e da qui la corriera che attraversa un pezzo di entroterra. La corriera si ferma in un piccolissimo paese che cattura la mia attenzione, la piazza principale, i bambini che giocano, un gruppo di anziane signore che chiacchierano sedute fuori dalle porte, le case bianche, i fiori colorati di un viola caldo. Tutto ha un sapore molto mediterraneo, molto Grecia, Spagna, Sicilia..

Arriviamo a Cabo de Roca. Non c’è praticamente nulla: un piccolo ufficio turistico, un bar che vende souvenir, un faro, qualche auto di passaggio e poi c’è lui, che in un solo attimo ti ripaga del viaggio, ti fa dimenticare il resto. La cosa affascinante è che non fa nulla, resta lì e ti guarda, anzi, ti ipnotizza. E non c’è nulla da fare, puoi voltarti, cercare di distogliere lo sguardo ma alla fine ritorni, ti ci immergi, lo ascolti, lo assapori ed un po’ ti ci perdi.
Il fascino della natura e della sua indomabilità è tutto racchiuso in questo scorcio, che mi si apre davanti agli occhi. Questa immensa distesa di blu, un po’ tormentata, agitata; onde furiose che si gettano con forza contro queste rocce millenarie, come a ricordarmi chi comanda, chi vince tra uomo e natura. Ed io, dall’alto di questa lunghissima scogliera, attratta, invaghita. Tracce di uomini restano sui muretti, firme di chi è passato e vuole lasciare il suo segno. Ma la prima donna è lui, e lo sa.

Dopo tale scossone riesco, ovviamente, a perdere a carte.



Lisbona, primo pomeriggio.
Decidiamo di fare una passeggiata, senza impegno e senza meta.
Mi ritrovo di fronte alla Cattedrale -Sé Patriarcal, XII sec- da fuori è bellissima, è esattamente come immagino che fossero le prime chiese cristiane: pietre messe insieme in modo semplice, per creare un posto dove riunirsi per pregare, solo pregare e sentire la presenza di Dio.
Dentro è un po’ cupa, però è così lontana da quelle chiese tutte ori, merletti e barocchismi che riesce a catturare la mia attenzione e tutta la mia simpatia. Questo, secondo me, è il luogo voluto da Dio per riunire i suoi figli.

Dopo la Cattedrale ancora più su, fino a raggiungere un delizioso belvedere, con muretti decorati di azulejos e tanti fiori; e poi ancora più in alto, per vedere quanto in alto si può arrivare.
Il castello di São Jorge, una costruzione vecchissima (risale al secolo I a.C.) recentemente ristrutturata, perfettamente, aggiungerei. Il castello domina interamente la città ed offre una favolosa vista. Qualcosa cattura la mia attenzione: un ponte, che mi ricorda la Danimarca..buffo accostare due paesi così lontani.
Ci addentriamo nel castello: saliamo, scendiamo, saliamo ancora. Ad un tratto arriva una guardia che ci avverte che è ora di chiudere. Ritorniamo verso casa, con sosta in pasticceria.

Doccia. Rigenerante e rilassante.
La cena portoghese vicino a casa, buona ed economica. Unico neo: l’odore di fritto si è incollato alla mia felpa, fedele compagno indesiderato.
Rientro in camera. Perdo nuovamente a carte. Attraverso visibilmente un momento buio, perdo 3 a 5, dovrò rimediare.
Mi attende una notte di sogni, pensieri e strategie.

Martedì, 05 Gennaio

E’ sorprendente.
Mi succede sempre di rimanere a bocca aperta di fronte ad un inaspettato cielo blu, sembra di essere in piena primavera ed è proprio in questa primavera invernale che ha inizio un nuovo giorno di esplorazione cittadina.
Questa mattina voglio passeggiare per l’Alfama, quartiere di grande fascino e tradizione ma, a partire dal XVI sec, povero e, si dice, piuttosto malfamato.

Il suo nome deriva dall’arabo al-Hama, e significa “ai bagni termali”, in riferimento alle terme che vi si trovavano un tempo. Dopo esserci inerpicati per strade ripidissime, raggiungiamo l’Alfama che una guida turistica definirebbe caratteristica, ma io preferisco dire viva, vissuta intensamente, colorata, rumorosa, un po’ sporca, tortuosa. Comunque sia è bella. Bella davvero, nel senso più profondo del termine. Una bellezza strana, che esula dai canoni classici, ma forse per questo è più forte, profonda e reale.
I canarini nelle gabbiette appese quasi ad ogni angolo, i cani distesi a scaldarsi al sole, i negozi da cui escono odori forti, i panni stesi che diffondono un profumo di fresco e pulito.
Proviamo a porci un obiettivo, una meta, anche se in realtà muoio dalla voglia di perdermi tra questi vicoli così assurdi. Obiettivo stabilito: la Feira da Ladra (mercato dei ladri), una sorta di mercatino delle pulci che la mia guida definisce “sgangherato”, con ben poche opportunità di fare affari, ma divertentissimo.

L’atmosfera dell’Alfama è quasi magica, ed in questa sorta di magia mi sento scomparire, non essere un occhio indiscreto, ma mi tramuto in una parte del luogo. E cammino, cammino, cammino. Anzi mi arrampico per queste strette viuzze, per impervie scalinate, attraverso palazzi scrostati e, lentamente, raggiungo la Feira. Sgangherata è sgangherata. Un sole pazzesco mi stordisce e mi accompagna.
Ci sono tante bancarelle, in realtà lenzuola stese per terra, ricche di cianfrusaglie, alcune evidentemente inutili ed inutilizzabili, ma sembra che questi siano particolari di secondaria importanza e ciò che conta davvero è stare qui, se ci scappa l’affare è, in fondo, soltanto un di più.

Lasciata la Feira alle spalle ci caliamo in un’atmosfera completamente diversa: l’Igreja ed il Monastero di S.Vincente.
L’Igreja, la Chiesa cioè, mi lascia, come al solito, un po’ perplessa, a differenza del monastero che è bellissimo e, dopo un po’ di scale, si raggiunge una splendida vista panoramica sulla città, quest’oggi baciata da un sole caldo e contornata da un cielo blu da sogno.

Pomeriggio all’insegna della cultura portoghese.
Museo degli Azulejos.
Azulejos, dall’arabo al-zuleiq piccola pietra liscia, nato come ornamento dei palazzi nobili e passato, con il tempo, a decorare palazzi borghesi, pubblici edifici, stazioni e giardini. Il Museo ne racchiude una vastissima collezione dall’origine ai giorni nostri e ci mostra l’evoluzione dei disegni e dei colori attraverso i secoli, come siano divenuto da elementi decorativi a veri e propri oggetti di espressione artistica.
Questo viaggio attraverso il tempo è davvero affascinante, il colore blu proveniente dai fiamminghi e dai cinesi predomina e mi conquista. Vorrei tanto, all’uscita, acquistare il poster..ma purtroppo non è in vendita.

Autobus lento ed affollato, direzione Avenida de Liberdade, che, in un certo senso, ricorda i più famosi Champs Elysèes parigini.
In effetti è vero, anche se mi permetto di preferire l’originale francese, dato che questo immenso viale è realmente troppo trafficato e rumoroso.
Non mancano certo angoli degni di nota, come ad esempio la sede del quotidiano “Diario de Noticias” sulla cui facciata si arrampicano alcuni buffi pupazzi “babbo natale”. Inoltre c’è un cinema Tivoli, ed è già la seconda volta che cito la Danimarca.

Cena. Sorta di lotta greco-romana con tre pesci ostici e le loro interiora, lasciate rigorosamente al loro legittimo posto.
Unica consolazione le patate lesse, che fortunatamente non oppongono alcuna resistenza alla mia forchetta.

Pensione Globo: quando mi sdraio a letto, la stanchezza ha il sopravvento.

Mercoledì, 06 Gennaio

Buongiorno Lisbona dal cielo blu.
Anche questa mattina la colazione si consuma nel piccolo bar vicino a casa, tra lisboeti che entrano ed escono prima di iniziare una nuova giornata di lavoro.
Oggi destinazione letteraria, il cimitero di Prasedes (ovvero dei Piaceri) dove è presumibilmente sepolto Fernando Pessoa, di cui vogliamo visitare la casa-museo.

Tram n° 28, attraversa la città fino a raggiungere il quartiere di Estrela. Il cimitero è grandissimo, c’è una mappa indicativa all’ingresso e noi iniziamo la ricerca del poeta. Per i parenti ed amici defunti qui non ci si è limitati ad una lapide, ma sono state costruite vere e proprie casette, come se il senso profondo fosse quello di dare la sensazione di essere a casa anche dopo la vita.
Purtroppo nel nostro girovagare fiducioso dobbiamo prendere lentamente atto che di Pessoa non c’è alcuna traccia, decidendo alla fine di recarci là dove stava quando era vivo.

Colpo di scena. Raggiunta Via Coelho da Rocha un asettico palazzone bianco ci accoglie e si spaccia per la casa di Pessoa. Entriamo e, dopo qualche incomprensione di carattere linguistica, iniziamo a visitarla.
Delusione e perplessità s’impossessano di noi. Bella la biblioteca che si propone come obiettivo di raccogliere tutto ciò che è stato scritto da e su Pessoa e divulgare, oltre che la sua opera, la poesia in generale. Un’ampia raccolta in varie lingue di poesia, saggistica e quant’altro sia stato scritto sul poeta. I suoi libri più famosi, alcune edizioni rare. E’ decisamente un centro culturale di primissimo piano.
La casa. Per quanto riguarda la casa scopriamo che è rimasta, dell’originale, soltanto la facciata, mentre il resto è stato ricostruito da un’architetta italiana, presupponendo che così piacerebbe a Pessoa, o addirittura, sarebbe se fosse ancora vivo.
A noi non è proprio piaciuta, per quanto possa valere; non sono per nulla esperta di architettura, ma l’impronta decisamente, come posso dire, futuristica, poco riesco a collegarla ad un autore così portoghese e di inizio secolo.

Riprendiamo l’autobus, piccola sosta ad Estrela dove c’è chi visita la chiesa -un mastodontico esempio di barocco e neoclassico- e chi, invece, preferisce passeggiare nel parco di fronte, bellissimo e ricchissimo di palme, laghetti e quant’altro. Un tipico esempio di oasi verde nel contesto urbano.

Sono molto emozionata. In viaggio verso Belèm, dove vedrò il punto esatto da dove Vasco de Gama partì alla volta delle Indie. Insomma, il punto di partenza della scoperta, qualunque essa sia, è un punto fondamentale per lo sviluppo di un paese, di una società, di un mondo. I miei sogni, la mia passione per il viaggio sono profondamente legati all’importanza della scoperta, del nuovo, della diversità. Questo spinge l’uomo ad andare oltre, ad uscire dai confini della propria esistenza ed addentrarsi in universi nuovi e sconosciuti. E’ il desiderio di conoscenza, di superarsi, di mettersi alla prova. E’ qualcosa che alberga in noi, nella nostra anima e che tutti abbiamo, solo che spesso lo lasciamo scemare, presi da altro, da occupazioni quotidiane, dalla vita che ci chiede di essere stabili.

“La nostra destinazione non è mai un luogo,
ma un nuovo modo di vedere le cose” Henry Miller

E’ per me un momento importante.
Attraverso Lisbona. Curiosa, incredula, perché oggi sembra di essere in piena primavera, il calore del sole, il colore del cielo. Mi sento così lontana dal freddo, dal grigio dell’inverno milanese.

Mercoledì 06 Gennaio 1999- Lisbona, quartiere di Belèm – temperatura atmosferica 18° C.

Scesi dal tram mi sembra di essere approdata su un villaggio della costa inglese, le case e le finestre tipiche anglosassoni: probabilmente è solo che i posti “marini” si ricordano molto tra loro. Dopo aver mangiato, entriamo nel Monastero dos Jeronimos, costruito nel lontano secolo XVI grazie al denaro proveniente dal commercio del pepe e delle spezie con l’India, un vero e proprio omaggio alle scoperte.
Proseguiamo anche noi in questo scenario di esplorazione.
Centro culturale di Belèm, costruzione decisamente moderna, inaugurato nel 1990, ospita, tra le varie manifestazioni ed esposizioni temporanee, il Museo del Design.
Raggiungiamo la Torre di Belèm. Monumento in gotico portoghese, manuelino per la precisione, si tratta di una vera e propria fortezza immersa nel fiume Tejo -Tago- , che oggi ha ovviamente perso la sua funzione originaria ed è divenuta un simbolo importante per la città, bellissima e di forte impatto visivo. Inoltre è possibile visitarla, fino a raggiungerne la cima e godere così della splendida vista sul fiume, ed oltre.

Dopo Belèm ci attende la cultura vera e propria; il Museo di Arte Antica dove, oltre a numerosi capolavori europei, alcuni italiani. Raffaello, Piero della Francesca, Cesare da Sesto. Per quanto mi riguarda ad incantarmi ci pensa Bosch con la sua splendida opera “Le Tentazioni di Sant’Antonio”

Desidero tornare verso casa, ho davvero voglia di arrampicarmi, si fa per dire, sull’Elevador di Santa Justa per godere di Lisbona al tramonto, ma gli autobus sono affollatissimi e non riusciamo a salire. Ci vorrà molta perseveranza e pazienza, ma alla fine riusciamo ad incastrarci in un autobus e raggiungere l’Elevador.
Dall’esterno ricorda la Tour Eiffel, sia per fattura sia per il materiale usato per la costruzione, al punto che in molti hanno pensato che fosse un’opera dello stesso architetto. Certamente colui che lo costruì aveva ben in mente Parigi e la sua torre, presumibilmente si tratta di un vero e proprio discepolo di Eiffel. L’Elevador è alto 32 metri ed un tempo, prima del terremoto, serviva da vero raccordo tra due quartieri -Baixa e Bairro Alto- risparmiando così la fatica di dover superare il gran dislivello a piedi.
Quando funzionava da ascensore, si scendeva di fronte all’Igreja do Carmo che ora, dopo il 1755, è in disuso e completamente priva del tetto. L’Elevador, al momento, svolge esclusivamente la funzione di belvedere, a causa dei lavori di ristrutturazione dei palazzi intorno che, al momento, non permettono di ristabilirne la vecchia utilità.
Certo la vista è spettacolare, soprattutto ora che è sera e, lentamente, si accendono tutte le luci di Lisbona: davanti alla Cattedrale, dentro al Castello. Atmosfera magica.

Questa sera cena da ‘O Capuciño, consigliato dalla guida. Ammetto di non esserne proprio entusiasta, ma temo di essere l’unica.
Dopo andiamo a bere un tè ed un bicchiere di Porto nel locale preferito da Pessoa – la Brasileira- che risale agli anni ’20, mentre lui, seduto alle nostre spalle, ci osserva.

Buona notte.

Giovedì, 07 Gennaio

Questo è l’ultimo giorno Lisbona adorata.
Decidiamo di visitare il Museo della Città, per capirti meglio, forse, per approfondire questo rapporto che sta diventando fraterno. Le tue origini, i tuoi fondatori, la tua crescita.

Facciamo i turisti?
Tram 28, ancora lui, e giro per la città, tra i quartieri attraversati nei giorni scorsi, tra le vette conquistate a fatica, arrampicandoci, perdendoci, ritrovandoci. Riecco l’Alfama, riecco i suoi vicoli. I bambini -pazzi- si appendono al tram e, nelle curve più strette, hai l’impressione che finiranno contro i muri, e invece no, saldi al loro tram, ti sorridono con i capelli al vento, fieri della loro azione fuori di testa, consapevoli di stupirti. Turista che non sei altro.

E se turisti deve essere, turisti sia.

Lisbona, ci riconosci? Siamo quelli che ti hanno attraversato, sviscerata, amata per giorni interi. Ed ora eccoci qui, entriamo ed usciamo dai negozi, cercando disperatamente di prendere ricordi di te, per poterli portare a casa, perché ci possano riscaldare il cuore una volta ritornati lontano.
Azulejos per mamma alda. Le piaceranno da matti, già lo immagino. Entro titubante in un serissimo negozio di antiquariato. Certo potrei portarne via qualcuno dai muri -ops..- ma qui si vendono veri oggetti d’arte. E’ un posto magico ed il suo proprietario mi racconta, a metà tra un inglese scolastico ed un italiano appena accennato, l’origine e la storia di alcuni dei suoi amatissimi azulejos.
Non so quale prendere.
La decisione ardua è alla fine presa. Ho scelto ad istinto, e sono riuscita a colpire tre azulejos di tre secoli diversi. Sono fiera di me.
Ovviamente, dopo negozio di dischi. Qui mi astengo dall’acquistare.

Libreria. La tentazione è fortissima, unico freno è la lingua sconosciuta, ed allora compro delle cartoline stranissime, raffigurano Lisbona vista da un disegnatore direi giapponese. Linee geometriche nere, definite ma non troppo.

Questa sera scopriamo, a pochi passi da casa, un ristorante -Alfala- dove consumo una cena da favola, e mi domando dove si fosse nascosto nei giorni scorsi, mentre lottavo inesorabilmente con baccalà lessi e pesci di ogni fattura.
Una cena del genere ti lascia una sorta di serenità addosso, una notte felice mi aspetta, anche se un po’ di malinconia. E’ l’ultima.

Venerdì, 08 Gennaio

Partenza.
Almeno ci proviamo.
Ovvero, proviamo a perdere l’aereo. Qualcuno, distrattamente, ricorda un orario diverso da quello reale, ma non scoprirò mai se la distrazione è voluta.
Costretta a catapultarmi giù dall’autobus, corro attraverso l’aeroporto con il mio carico di borsone e zaino, la spalla che urla ed le gambe che cedono ogni istante.

Incredibilmente sopravvissuta agli ultimi eventi, mi ritrovo finalmente adagiata sul mio comodo sedile, posto ancora di fianco al finestrino. E dire che non sono per niente raccomandata. Giuro.

In volo verso casa.
Ricordo che un tempo ero contenta di ritornare, sentivo che era naturale, un’esigenza quasi fisiologica. Partire e poi ritornare.
Logica. Ora mi sembra tutto un po’ diverso. Non so dire cosa sia cambiato, cosa abbia alterato il meccanismo di fondo di quella logica. Ora tutto assume sfumature diverse, più indefinite e di difficile lettura.
Questa volta sto tornando a malincuore. So di doverlo fare, ma non è quello che desidero.
Ad accogliermi so che ci sarà la nebbia.
Ma ci sarà anche casa, nel senso profondo del termine. Mi consolo così.

“Fino a quando saprò che
la mia Contea è sempre
qui, comoda e sicura,
girovagare ed errare
sarà per me più facile,
conscio che in una
parte del mondo c’è
un appoggio stabile e
saldo che mi attende,
anche se non dovessi
mettervi mai più piede.”
J.Ronald

Arrivederci Lisbona.

Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati a Lisbona

 

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