Marocco zaino in spalla!

di Osvaldo Forastelli –
Il mio viaggio verso le terre del Marocco ha inizio sabato 26 febbraio, in una calda giornata invernale. Abbandonato il centro di Madrid, dove ho soggiornato per un giorno, con la comoda ed efficentissima metro raggiungo il Terminal 4 dell’ aeroporto Barajas. Arrivato in aeroporto, raggiungo il piano superiore e dato un’ occhiata ai voli in partenza, mi sorge un dubbio: dov’ è il mio volo per Marrakech? Non esiste, cosi come non esistono compagnie low cost ma solo voli di linea.

Ecco, lo sapevo, la Ryanair ha sicuramente base nel Terminal 1-2-3. Come ho fatto a dimenticarmene? Pazienza, rifaccio il biglietto metro da due euro per fare due stazioni prima di essere al Terminal1. Con il mio pesante bagaglio m’ avvio al gate 28, distante una decina di minuti di cammino dall’ ingresso. Quanto è grande Barajas… Arrivato al gate mi svacco in attesa dell’ imbarco, che avverà qualche ora più tardi. Mi levo scarpe ( mond dieu…), maglia e polo, fa un caldo assurdo e sto sudorando a dismisura! Quando finalmente giungono le hostess ed il gate apre, mi prende un colpo: controllano i bagagli a mano, le misure, onde evitare persone che abbiano con se sull’ aereo valige troppo spaziose o comunque fuori dalle misure consentite. Cavolo, il mio zaino è un baule, ha assunto forme stranissime per via del carico. Sono allarmato, inizio a togliere tutto il possibile dal suo interno, a spostare di qua, di la, indosso una maglia in più ( sono vestito come un esquimese, peccato per gli oltre 25 gradi che mi fanno sembrar ridicolo…).

Alcuni viaggiatori sono costretti a pagare una sovrattassa di 35 euro a causa delle dimensioni delle loro valige, davvero ‘esorbitanti’. Converso con un giovane belga, che sorride a veder le persone rimbalzate alla cassa. Io, invece, rido un poco meno…La giovane hostess passa accanto ad ognuno di noi, osserva il bagaglio a mano e poi, a seconda della sua impressione, lo misura con uno di quei terribili aggeggi in dotazione della Ryan. Quando s’ avvicina il mio turno inizio a sudare freddo, dovrei essere al limite. Eccola, s’ avvicina: osserva il mio bagaglio, una veloce occhiatina per poi passare al setaccio dello zaino della ragazza alle mie spalle ( vestita come se fosse su una spiaggia delle Maldive: al confronto pare prendiamo voli opposti…invece! ). Sono salvo, e felicemente m’ imbarco prendendo posizione sull’ aereo, rigorosamente accanto al finestrino. Partiamo con qualche minuto di ritardo, dovuto a questa serie di controlli, e dopo circa tre ore di volo siamo nel cielo sopra la città marocchina di Marrakech. Prima di atterrare però l’ aviomobile compie tre giri sulla città. Probabilmente l’ aeroporto era sovraffollato, ed aver ritardato la partenza ha creato qualche problema di ‘traffico’. Atterro a Marrakech quando ormai sono le ore sette ed il sole sta lentamente scomparendo dietro l’ orizzonte, lasciando intravedere un bellissimo cielo. M’ avvio verso l’ uscita ma prima devo ancora sottostare ai controlli di dogana, e dopo una ventina di minuti in coda ad attendere il mio turno, posso finalmente lasciare all’ addetto il mio passaporto e il piccolo questionario che si è obbligati di compilare. Meno di venti minuti d’ attesa e il visto d’ ingresso viene posto sulle pagine del mio passaporto, aprendomi cosi le porte al Marocco!

…Marrakech tra magia e realtà…

L’ aeroporto della città è piuttosto piccolo ed una volta all’ aria aperta inizio a cercare di capire come muovermi. Al centro informazioni dell’ aeroporto una giovane m’ aveva informato che è attivo un servizio bus che collega il centro Marrakech all’ aeroporto. Ma quando domando ad un addetto-taxi, mi sento rispondere: ‘no, nesun bus per Marrakech’. Lo mollo immediatamente, falso impostore. Raggiungo un giovane che come il sottoscritto ha un grande zaino sulle spalle. Tra viaggiatori ci si capisce, ci si aiuta, come in poche altre situazioni di vita. E infatti m’ informa che a poco dovrebbe sopraggiungere un bus diretto a Djemaa el-Fna. Pochi istanti di attesa, ed ecco il bus arrivare e che per una modica cifra mi consegna al cuore pulsante di Marrakech, la piazza che ha saputo attirare gli sguardi e gli interessi di migliaia di persone a questo mondo, dai Beatles ai Rolling Stones. Le vie della città sono affollatissime, il traffico nelle strade è fuori da ogni norma e regola: macchine pre-guerra, motorini che sfrecciano ovunque, calessi e asini…è una festa, tutti sono diretti al cuore della città, in quella piazza che nel corso dei decenni ha saputo mantenere inalterato il suo fascino e il suo carisma. Il bus sosta davanti ai giardini Arset el Bikl e lentamente, mischiandomi alla folla, cammino verso Jemaa el Fna attirato dal rumore dei tamburi e dalla musica Gnaoua. La piazza è vestita a festa, migliaia di persone passeggiano avanti e indietro mentre auto e motorini sfrecciano a tutta velocità tra i passanti. Dove andare? Consulto la mappa della mia Lonely Planet, giusto per capire come osservare la cartina. M’ avvio verso la zona dove ha inizio il souk di Marrakech, sbagliano ovviamente direzione. Ritorno sui miei passi e intravisto il caffè Argana ( diventato punto di riferimento nei giorni a venire ) lentamente procedo verso il souk Laksour. Il mio albergo sorge a pochi minuti dal cuore di Jemaa el-Fna, nella medina di Marrakech, ma scovarlo in questo dedalo di viette è impresa assai difficile.

Cammino e cammino, e quando mi risolvo a domandare informazioni ad un giovane che si appresta a chiudere la sua bottega, questi mi fa cenno di seguirlo. ‘E il negozio, lo lasci incostudito?’ mi verrebbe da domandarli…Seguo, titubante, questo omone grande e grosso in un labirinto di vicoli. Gira a destra gira a sinistra e poi ancora a sinistra. Viette silenziose, affascinanti, illuminate da una fioca luce che intriga anche l’ animo più fermo. Dopo qualche minuto di passo, ecco finalmente davanti a me la porta dell’ Equity Point. Che grazia! Saluto cortesemente questo giovane, che si è impegnato ad aiutarmi quando avrebbe potuto semplicemente indicarmi la via e poi lasciarmi nelle mani della fortuna. Svolte le pratiche di assegnazione della camera per la nottata, vengo a conoscenza che il giorno seguente avrà vita il tour che tanto desideravo ( da come avevo avuto modo di vedere su internet ): gole del Todra, del Dadès e deserto del Sahara, per una tre giorni all’ insegna dell’ avventura. L’ albergo è di una bellezza unica: un piccolo riad con piscina al suo interno, dotato di tutti i confort possibili ed immaginabili. Sono più tranquillo e sereno, arrivare la notte in una città a me sconosciuta, con uno stile di vita completamente diverso da quello occidentale e senza una vera e propria mappa della città, mi aveva inquietato un poco. Ora che finalmente sono davanti al mio letto, a svuotare il pesante bagaglio, la mia apprensione svanisce. Pochi minuti e sono pronto ad immergermi nella musica di Djemaa el-Fna, a vivere con questa gente e in mezzo a loro, a mischiarmi tra la folla lasciandomi allietare da ogni particolare e curiosità.
Vago a caso in questo dedalo di vicoli scuri e silenziosi, che portano la mente ad un lontano passato. Imbocco rue Mouassine, più affollata, che porta dritto al cuore pulsante di Marrakech. Mentre m’ avvicino sempre più alla piazza, lungo la stradina il rumore dei tamburi s’ ode sempre più forte nell’ aria, mentre sono avvolto dai profumi che si levano da Djemaa el-Fna. E poi, d’ improvviso, aprirsi davanti a me un grandissima festa, migliaia di persone che vanno avanti e indietro alla ricerca di qualche attrazione suggestiva, mentre gli occidentali osservano dall’ alto dei caffè la folla rumorosa. Rimango per alcuni istanti sbigottito, come preso da un vortice che m’ impedisce di muovermi, di comprendere la situazione. Sono abbagliato da tale visione. Djemaa el-Fna è musica, spettacoli, profumi: è sito patrimonio dell’ Unesco. Mi lascio preda delle emozioni e dell’ istinto, vago a caso nella grande piazza, m’ aggrego alle mille persone che osservano lo spettacolo del momento, ora un concerto di musica gnaoua, ora una commedia, ora un incontro di boxe…e tutt’ attorno, mille donne che sedute su seggiole rendono le mani di giovani donne opere d’ arte con i tatuaggi all’ hennè. Poi lentamente, avvolto da mille pensieri, come inebriato da mille emozioni, da questo mondo al primo impatto cosi distante dal mio, e forse sotto certi aspetti decisamente migliore, cammino verso il minareto della moschea Koutoubia, illuminato a giorno. Una breve visita e poi nuovamente mi lascio travolgere da Djemaa el-Fna, attratto dai mille profumi che s’ innalzano dai mille chioschetti. Devo ancora cenare, quale migliore occasione per assaggiare la cucina marocchina? Passeggio tra i mille ‘ristorantini’ all’ aria aperta della piazza, lasciandomi guidare dai mille odori di spezie. Mi siedo davanti ‘alla cucina’ di uno di questi ( si tratta di quattro panche in legno poste ai bordi della tavola dove vengono preparati i piatti dati poi ai clienti ), ansioso di gustare qualche prelibatezza locale. Non ho idea di come comportarmi e seguo i movimenti delle persone accanto a me. Mi viene servito il pane e poi un piatto fumante di carne, o almeno, credo. Qual tipo di carne mi venga servita non è dato sapere, ma in fondo non me ne può fregar meno, l’ importante è se è buono oppure no. E si, è buono! Potrebbe trattarsi di cervella di cammello come di testicoli di scimma, non m’ importa e ( meglio ) non voglio sapere. La carne è accompagnata da un bicchierino di thè, quella preziosa e buonissima bevanda che per i marocchini è paragonabile al nostro caffè. Sembra davvero un giorno di festa, un giorno speciale, invece a Djemaa el-Fna è sempre cosi, ogni giorno dell’ anno. Un giorno dove ballare e divertirsi, dimenticando il presente. Rinfrancato dall’ aver messo qualcosa nello stomaco, riprendo il passo, immergendomi nuovamente nella vita della piazza, lasciandomi guidare dalla curiosità dei miei occhi. Rapito dalla bontà del thè che mi era stato servito poco prima, decido di riscaldare il mio animo ( e la mia pelle, visto il fresco della sera ) con un altro bicchierino, ordinandolo ad uno dei mille chioschetti presenti sulla piazza. Il bicchiere in cui mi viene servito oltre ad essere bollente, è colmo. Ma non di thè, o per lo meno non è la bevanda che avevo consumato poco istanti prima. Ha un sapore molto forte, è una bevanda speziata e a mio avviso alcolica, poichè pochi istanti e mi sento la testa spersa nel vuoto. Bevo fino all’ ultima goccia, è buonissima!
Riprendo il passo per un altro giretto, osservando tutto quello che mi circonda, incuriosito da ogni cosa.

Prima di andare a dormire mi concedo ancora un caffè al bar Argana, dall’ alto della terrazza dalla quale si gode di una bellissima vista su Djemaa el-Fna. E poi, nuovamente in mezzo alla folla. Sono abbastanza infreddolito, il vento spira frescolino. Non pensavo di avvertire la sensazione del freddo in Marocco. Non immaginavo ovviamente che l’ aria della sera fosse calda come al pomeriggio, ma neanche pensavo vi fossero dieci gradi. Ed invece, come ho avuto modo di constatare nei giorni a venire, l’ escursione termica è molto elevata, con giornate molto calde e notti molto fredde. Come dicono da queste parti, il Marocco è una terra fredda con un sole caldo. Quando sono ormai le ore 23 decido di tornare in camera, ma mi assale un dubbio: riuscirò a non perdermi nella medina e a scovare il mio albergo? Ricordo solo che quando avevo svoltato dal vicoletto in rue Mouassine vi era un auto parcheggiata: prego che quell’ auto non si sia mossa di li, altrimenti addio punti di riferimento! Ma la grazia di dio vuole che l’ autovettura sia ancora parcheggiata nello stesso punto del pomeriggio. M’ inoltro nel vicolo silenzioso e buio, con mille speranze. Inizialmente provo inquietudine a camminare nella medina di Marrakech ( come di qualsiasi altra città marocchina ) dove i passi risuonano tra le alte mura, dove la luce fioca e i mille vicoli che si diramano a ragnatela portano a sentirsi perduti dentro un labirinto. Ma poi subentra in me il sapore del magico, quella sensazione di essere e sentirsi in un luogo fantastico, dove la paura non esiste, dove tutto sembra creato ad arte, nei minimi particolari, per regalare emozioni gratuite ai passanti. Ed è cosi, per caso, che riesco a ritrovare la porta del mio albergo! Stanchissimo, dedico ancora del tempo ad una veloce lettura dei fatti quotidiani sul web, e successivamente alla stesura del mio piccolo diario di viaggio. Quando ormai è mezzanotte passata, torno in camera per un meritato riposo, visto che il giorno a venire inizierà prestissimo.
La mattina seguente mi sveglio quando ancora il sole deve sorgere. Preparo i miei bagagli e m’ avvio alla reception, dove devo presentarmi entro le sei per iniziare il tour che mi porterà fino alle soglie del deserto. Attendo nella sala comune l’ arrivo di una persona non ben identificata, come mi viene detto dal giovane titolare. Arrivano altri due ragazzi, che a quanto pare si aggregheranno a me. Dopo una ventina di minuti in attesa sopraggiunge un giovane molto alto, magro, che prende in consegna noi tre giovani turisti ed una volta in rue Mouassine, si dilegua con il suo motorino dandoci appuntamento al caffe Argana dieci minuti dopo. Non poniamo domande e iniziamo a percorrere la strada fino a giungere al bar, dove però della nostra guida non vi è traccia. Chiacchero con questi due giovani americani di Washington DC ( perbacco! ) e nel mentre faccio mia una bottiglia di acqua in uno dei chioschetti sulla piazza, rimanengo ‘fregato’ di qualche centesimo: pazienza. Djemaa el-Fna rispetto alla sera è tutt’ altra cosa: la piazza sembra molto più vasta, le bancarelle-ristoranti sono magicamente sparite, poche persone ( ma in compenso molte più auto e motorini ) s’ aggirano confusamente. Ma nonostante l’ ora, in fondo sono solo le sette e venti di mattina, la piazza è viva. Dopo qualche minuto sopraggiunge il giovane marocchino, dividendo le strade di noi giovani turisti. I due americani parteciperanno al tour della durata di due giorni, mentre io mi aggrego ai partecipanti del ‘vaggio’ con durata tre giorni. Il giovane mi fa salire sul suo motorino e tra una macchina e l’ altra arriviamo dall’ altra parte della piazza dove un furgoncino attende a motore acceso. Salgo sul mezzo dove faccio conoscenza con i miei compagni di viaggio per i prossimi tre giorni: una giovane coppia brasiliana, tre indonesiani, due ragazze tedesche, una coppia di mezza età olandesi (ma di origini marocchine ), una coppia di sposini portoghesi ed un giovane inglese. Direi che siamo un gruppo molto disparato, proveniente dai quattro angoli di questo mondo…Alla guida lui, un personaggio unico e simpaticissimo, che con un misto di francese-inglese-arabo ci accompagna nelle lande marocchine.



Partiamo a gran velocità lungo le strade di Marrakech, la meta della giornata è la valle del Todra, dove passeremo la nostra prima nottata lontano da Marrakech. Abbandoniamo il centro città, il caos e il traffico per subentrare nel territorio arido che circonda l’ anitca città imperiale. Per le strade di Marrakech la vita è già iniziata, nonostante sia domenica mattina e sia ancora molto presto, neanche le ore otto. Lungo le strade moltissimi bambini giocano a pallone, in piccoli campi da calcio improvvisati. Un rituale che m’ accompagnerà in questo viaggio nelle terre del Marocco: una terra di piccoli e grandi calciatori. E poi una palestra all’ aperto, dove centinaia di persone seguono il ritmo del maestro, e poi ancora gente che corre, gente seduta all’ ombra degli alberi…insomma, una città viva con non mai. Pochi istanti di strada e rimango impietrito nel notare quanti campi da golf siano presenti alle porte di Marrakech, prati verdissimi in mezzo ad un territorio arido. Milioni di litri cubi di acqua sprecati per la ricchezza di ottusi occidentali, che neppure in Marocco riescono a far a meno di una mazza e pallina, come vecchi rincoglioniti. Mentre al di fuori la gente fa salti mortali per riuscire a bagnare il loro orto. Che vergogna e che rabbia…
Man mano che il tempo passa, la strada lentamente sale verso le prime colline, dove il nostro autista spesso si sofferma a darci la possibilità di ammirare panorami mozzafiato. La strada N9 che da Marrakech arriva a Ouarzazate attraversa le montagne dell’Alto Atlante passando da Tizi-n-Tichka, il più alto passo marocchino, a 2.260 metri di altezza. Da Marrakech si attraversa la pianura Hauoz per cominciare ad arrampicarsi per i boschi fino a raggiungere Taddert, l’ultimo villaggio prima del passo del Tichka. tizi-n-tickaDa Tizi-n-Tichka la strada, originariamente una strada militare, è un susseguirsi di tornanti e panorami spettacolari fino a trasformarsi in un paesaggio desertico nei pressi della Valle del Draa e di Ouarzazade. I colori di questa strada sono assolutamente unici, il verde degli alberi e il rosso della terra sono uno spettacolo piacevolissimo per i miei occhi. Prima di giungere al Tizi-n-Tichka, sostiamo in un piccolo bar a fare colazione, dove da una terrazza panoramica si gode di uno spettacolo magnifico verso la valle dove s’ intravede, in lontananza, Marrakech.
Durante il tragitto che ci porta a Ouarzazate il nostro autista sosta molte volte, lasciandoci godere per alcuni istanti paesaggi di unica bellezza. Durante queste soste molti bambini del posto, vedendo sopraggiungere turisti, ci raggiungono velocemente nella speranza di avere in dono qualche spicciolo, o semplicemente per vendere qualche piccola pietra colorata. Mai insistenti, anzi, sono educatissimi. Inizio a capire in quali condizioni vive la gente del Marocco, quella dei piccoli centri, delle montagne. Spesso mi vergogno d’ avere con me attrezzature per migliaia di euro, quando a questi bambini gli si apre il cielo, con il loro sorriso, con poche monetine. Ma è il mondo, questo mondo ingiusto di cui io faccio parte. Attraversiamo la vetta senza però fermarci, senza quella foto di rito che mi avrebbe fatto piacere portare con me a fine del viaggio. Ma in fondo posso ritenermi fortunato: in questo periodo il Tizi-n-Tichka avrebbe potuto essere chiuso per neve, invece un bel sole caldo riscalda la nostra pelle. Attraversare l’ Atlante è stata un emozione unica, con i suoi panorami incredibili, con questi scenari che lasciano me ed i miei compari senza fiato. Sembra di essere sospesi nel vento quando ammiriamo la serie di tornanti che laggiù, sotto di noi, squarciano la valle permettendo l’ attraversamento dei mezzi. Quasi duecentochilometri di montagna, in un sali e scendi ricco di sorprese, mille curve e tornanti che mettono a rischio il nostro stomaco anche per via della guida spericolata ( ma molto sicura di se ), del nostro autista. Pochi chilometri prima di arrivare a Ouarzazate, dalla N9 si dirama una piccola stradina che pochi chilometri più avanti apre alla vista di uno dei paesaggi più belli e magici che siamo andati incontro a questa avventura: Ait Ben Haddou. Ci soffermiamo un chilometro prima di arrivare al paese, in un piazzale dove da lontano si può ammirare l’ antica città in tutta la sua bellezza, in tutto il suo splendore. Qual vista piacevole! Mentre osservo la cittadina m’ imbatto in un signore anziano con un paio di serpenti gialli e verdi al collo che minacciosamente s’ avvicina a noi. Le sue intenzioni sono buone, s’ offre solo da fare come sfondo a qualche nostra foto. Accetto di buon grado, ma a patto che queste bestioline lungo un paio di metri stiano a debita distanza da me. Voleva prendessi in mano questi serpenti colorati…ma scherziamo?? D’ accordo che per queste popolazioni i serpenti sono usuali come per noi occidentali i cani, ma a me fanno senso ste cose lunghe e piatte! E’ ormai mezzogiorno passato e d’ accordo con l’ autista, prima di passare alla scoperta di Ait BenHaddou, pranziamo in un piccolo locale, seduti comodamente nel dehors che però viene messo sottosopra dal forte vento. Vado in totale confusione: ordino un tajine ed una zuppa, ma quando il cameriere arriva con le portate, prendo tutt’ altro. Ottimo! Con poco pranziamo ottimamente ma le due tedesche figlie dei fiori iniziano a brontolare…troppe spese, si spende troppo! Vero, cinque euro per un pasto sono roba da paperoni! Mah…
Dopo un oretta, riposati e soprattutto sazi, partiamo alla scoperta di questa fantastica cittadina.

Grande è il fascino di questa straordinaria costruzione di fango ed argilla. E’ una felicità poter ammirare uno degli esempi mirabili di Kasbah fortificata, tanto magnifica da essere stata ultilizzata come set cinematografico più volte ( In tempi più recenti segnaliamo “Il Gladiatore” (2000), diretto da Ridley Scott, e “Alexander” (2004), opera di Oliver Stone) e da essere inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO fin dal 1987. Lo scenario è sicuramente uno dei più spettacolari dell’Atlante marocchino, un fiume ghiaioso ( al momento in secca ) separa il parcheggio da questo complesso di case fortificate del colore del fango che s’addossano come fossero un grande presepe in modo confuso, ma spettacolare, sulla collina. Tecnicamente, Ait Benhaddou è un ksar, un raggruppamento di kasbas collettive (case famiglia), di altri edifici e zone comuni all’interno di mura difensive. Le mura sono rafforzate da torri angolari, ciascune con mattoni di fango ed elaborate decorazioni a zig-zag a forma di porta. Gli edifici all’interno comprendono una moschea, piccoli castelli, case modeste, stalle, granai e silos. Tutti sono collegati da un dedalo di tortuose e strette stradine. Attraversato l’ alveo del fiume, siamo alle porte della piccola kasbah, quando le due ragazze tedesche s’ arrestano. Ma che succede? Non riesco a capire… e poi le vedo lentamente tornare indietro, mentre noi tutti restiamo immobili ad attendere…cosa? L’ avvento del Messia? Improbabile. Chiedo al ragazzo inglese cosa sta succedendo, e mi spiega che…che le due ragazze sono andate dall’ autista per informarsi se l’ ingresso alla ksar dovevamo pagarlo di tasca nostra o era compreso nel viaggio. Quanto costerà l’ ingresso in euro? Dieci, venti, quanto? Esattamente 10Dh, ovvero 90 centesimi. Non capisco, davvero…si sorbiscono un chilometro andare e uno a tornare, sotto il sole cocente, per novanta centesimi? Ma porca miseria…vabbè, cavoli loro in fondo. Io entro, e a ruota mi seguono tutti gli altri ragazzi. Vado un poco a caso in queste viuzze, dove ognuno di noi passeggia per proprio conto. E’ impressionante Ait BenHaddou, un dedalo di vicoli che salgono verso la collina anche se il più delle volte è facile sbagliarsi e finire in qualche cortile, qualche casa, qualche stradina senza uscita. Ed in questa piccola kasbah ancora vi vive qualcuno, con le sue caprette e asinelli, nella più totale pace del mondo.

Solo mi domando come possano queste persone, per la maggior parte anziani, sopportare noi turisti, alcuni dei quali invadenti e maleducati che pur di vedere l’ interno di una casa sarebbero in grado di sparare al padrone. Dopo essermi perso arrampicandomi per un numero imprecisasato di stradine, scorgo la giusta via che porta alla vetta della collina sulla quale è arroccata Ait BenHaddou. Un vento fortissimo m’ impedisce il passo, ma non demordo e raggiungo il punto più alto da dove la vista sulla valle circostante ripaga ampiamente la fatica. Qual posto stupendo! Qual magnifica vista si apre dinanzi i miei occhi! Dall’ alto osservo la vita che circonda la kasbah, dal fiume in secca il cui letto si perde all’ orizzonte al piccolo borgo di case adagiato sulle sponde del fiume fino alle alte montagne dell’ Atlante, laggiù, proprio da dove siamo arrivati noi. Ridiscendo le viuzze della kasbah, esco dal sito e passeggio oltre le mura in modo da avere una prospettiva diversa di Ait BenHaddou. Ait Ben-HaddouScolpisco nella mia mente queste immagini, questi istanti, questo posto che mi ha regalato emozioni a non finire. Mentre mi appresto a scattare la milionesima fotografia, m’ accorgo di essere rimasto indietro: sono l’ ultimo del gruppo ancora qui. A passo veloce m’ avvio verso il furgoncino, parcheggiato lungo la strada a meno di cinque minuti di cammino. Prima faccio ancora alcune compere nei negozietti lungo la via e quando giungo ai bordi della strada scorgo l’ autista sventolare le mani al vento: bene, sono salvo, non sono partiti senza di me! Il furgoncino riparte a tutta birra giungendo alle porte di Ouarzazate poco dopo. Sono alquanto stupito nel vedere il lungo e grande viale che porta nel centro città adornato da mille lampioni. Qual senso ha illuminare per un paio di chilometri una strada in mezzo al nulla, dove non c’è nulla, dove passano si e no dieci auto l’ ora? Da quando il presidente del Marocco ha fatto visita, si è voluto abbellire di un poco Ouarzazate…forse esagerando.
Arrivati alle porte della città, la strada si divide: una porta nel cuore di Ouarzazate, mentre l’ altra, quella che imbocchiamo, si dirige verso la circonvallazione aggirarando il centro cittadino. Oltrepassiamo i famosi studios dove sono stati girati molti film di fama internazionale. La strada che da Ouarzazate porta alla valle del Dadès è piuttosto anonima fin quando giungiamo nella valle delle rose, dove gli sforzi del popolo nel coltivarle, vengono premiati ogni anno con un’abbondante e miracolosa fioritura che delinea il contrasto color porpora con campi verdi di grano ed orzo. I petali vengono raccolti con pazienza, portati nei cortili delle casbah e lasciati asciugare lontani dai raggi di sole, nell’ombra dei cannicciati, prima che vengano pesati, insaccati e spediti nelle distillerie di El Kelaa. L’acqua di rose, oli ed essenze profumate sono l’orgoglio di questa valle, parte della tradizione secolare e motivo della Festa delle rose nel mese di maggio. E noi siamo a febbraio…

Sostiamo per un caffè lungo la via, giusto il tempo per sgranchire un poco le gambe e poi ripartire per la valle del Dadès. Da Boulemane Dadès, la strada inizia ad arrampicarsi verso la montagna regalando alla nostra vista panorami suggestivi che neanche una mente fantasiosa saprebbe far di meglio. Sostiamo mille volte lungo la strada per la fortuna della nostre macchine fotografiche e poco prima di arrivare all’ albergo dove trascorreremo la nottata, ci imbattiamo in un corteo di uomini e donne che camminano sulla via senza apparente motivo. Non urlano, non inneggiano a nulla, non hanno cartelli…insomma, non manifestano. Semplicemente camminano, silenziosi. Ma perchè? Non comprendo, ma quando dopo diversi minuti in coda oltrepassiamo il gruppo di persone a suon di clacson, mi sembra di capire si stia celebrando un matrimonio, o un rituale pre nozze.
Come detto, a capo una giovane donna in abiti tradizionali…ma se continuano a camminare per ore, finiscono in Algeria…
Ancora un ora di tortuosa strada e finalmente siamo in albergo, quando ormai la notte è calata sulla valle del Dades. Appena scendo dal furgoncino vengo avvolto da un aria gelida, freddissima. Sbrighiamo le formalità di assegnazione della stanza ed io sarò in compagnia del giovane inglese. Sistemo i bagagli in camera, mi riposo qualche minuto e poi vado in perlustrazione dell’ albergo. E molto molto bello, ben curato, vi è una terrazza panoramica da cui si gode di una vista fantastica sulla gola. A cena sediamo tutti insieme al grande tavolo nella sala al piano terra, discorrendo del più e del meno. Mangiamo ottimamente, anche se a fine pasto, dopo essermi spostato in altra sala a scrivere i miei appunti di viaggio, vedo servirmi il conto dal cameriere: ma non era inclusa la cena? Si, cena si, la bottiglia di acqua e il caffè no…e vabbè…
Una volta nel mio lettino mi copro con due pesantissime coperte: posso finalmente spegnere la luce per un meritatissimo riposo!
Il giorno seguente, lunedi 28 febbraio, la sveglia suona nuovamente molto presto. Alle sei e mezza sono già vestito e pronto a partire, dopo una notte passata nuovamente insonne ( la paura di essere abbandonato fa brutti scherzi…). Faccio velocemente colazione e dopo aver comprato qualche biscotto al negozietto a fianco l’ albergo, ripartiamo per la nostra seconda giornata in tour. Ma anzichè proseguire per la valle del Dades, torniamo indietro in direzione Boulemane Dades. Io pensavo di percorrere tutta la strada della vallata fino a ricongiungerci con la gola del Todra e di qui proseguire per il Sahara. Ma probabilmente, come riportato sulla guida, la strada che congiunge le due gole si può percorrere solo con fuoristrada. Giunti a Boulemane, sostiamo per una visita ai campi di raccolta. La nostra guida al territorio è un giovane ragazzo che spiega in diverse lingue ( parla inglese, portoghese, italiano e sicuramente francese…non male! ) il metodo di coltivazione della terra, il vario tipo di vegetazione, le modalità di irrigazione… Camminiamo dietro a lui, in una interminabile fila indiana. Accompagnano la nostra visita dei bambini, sperando nella clemenza di noi uomini ‘ricchi’. Invano ( che vergogna, sono ancora deluso del mio comportamento ora…vergogna. ) Terminata la visita ci avviamo verso la piccola medina fino a giungere all’ abitazione di un signore di mezza età. Seduti a terra su comodi cuscini, ci viene mostrato il metodo di lavorazione della lana e come vengono fabbricati i famosi tappeti marocchini, il tutto sorseggiando il solito, ottimo thè, offerto dal padrone di casa. Prima di terminare la visita saliamo al piano superiore dell’ abitazione, dove prende atto una vendita in diretta di tappeti di ogni tipo, genere e dimensione. Come è ovvio che sia, nessuno di noi compra nulla ( dove li possiamo mettere? Le nostre valige sono ricolme, come metterli sull’ aereo? ). Salutiamo cortesemente e raggiungiamo il nostro autista che è poco più avanti ad attendere il nostro arrivo. Ripartiamo come sempre a tutta velocità, inoltrandoci nelle Gorges du Todra. La vallata è molto suggestiva, panorami di incredibile bellezza si aprono davanti a noi. E’ una giornata magnifica, la temperatura ottimale.. meglio è difficile chiedere. Attraversiamo la valle che porta alla gola mentre tutt’ attorno a noi centinaia di bambini tornano alle loro case in bicicletta, con le loro cartelle enormi sulle spalle. Mi domando ancora oggi come il nostro autista sia riuscito a non schiacciarne un paio… Che guida, mammamia!
Lungo la strada i campi da calcio improvvisati non si contano: giovani e meno giovani a rincorrere il pallone, a ridere, a scherzare. E’ incredibile quanto il pallone, il calcio, sia radicato in questo paese. Ad ogni chilometro percorso, un campo da calcio. E’ impressionante vedere due porte in mezzo al nulla, ad un territorio lunare, in mezzo al deserto. Arriviamo alle gole del Todra nel tardo pomeriggio. All’ imbocco del canyon continuiamo a piedi mentre l’ autista ci aspetterà poco più avanti. Ci avviamo lungo la strada dove si apre una delle gole più famose e belle del Marocco, dove le altissime pareti rocciose nascondono i raggi del sole e dove a fianco scorre un ruscello dall’ acqua limpidissima mentre noi, lentamente, raggiungiamo poco più avanti il furgoncino. La nostra avventura nella gola del Todra può dirsi conclusa, e siamo pronti a ripartire per raggiungere quel deserto che mille volte ho sognato: il Sahara. Ripercorriamo la gola prima di affontare enormi distese lunari, dove la vista si perde nel vuoto, dove non vi è nulla, niente, nessuno. Un territorio piatto, arido. Ma prima di arrivare a Merzouga dobbiamo mettere qualcosa nel nostro pancino, altrimenti arrivare fino a sera diventa impresa difficile. Sostiamo in uno dei soliti locali convenzionati con l’ autista, ma quando prendiamo visione del menù le due figlie dei fiori storgono il naso: troppo caro a loro dire. Effettivamente cinque euro per pranzare bevande incluse, è troppo!! Io prendo tempo: aspetto di vedere le intenzioni degli altri ragazzi, non vogli restare solo a mangiare, sarebbe tristissimo! Nel frattempo le due tedesche e l’ inglese si allontanano dirigendosi in un locale poco distante. Al fine di non separarci, due di qua tre di la uno laggiù, raggiungiamo tutti insieme le ragazze e sediamo al tavolo di questo piccolo localino. Il proprietario va in totale panico: mai in vita sua, credo, ha avuto tanti clienti in una volta sola. Dopo qualche minuto, seduti al tavolino ai bordi della strada, notiamo un giovane arrivare con una borsa piena di pane. Cerchiamo di ordinare il pranzo, ma la discussione è tipica -nessuno capisce nessuno-. Il titolare è gentilissimo, vorrebbe addirittura mostrarci la cucina: meglio evitare. Una giovane donna con il bimbo appollaiato sulla schiena corre avanti e indietro, cucina e orto, orto e cucina. Mai verdura più genuina e fresca mi è stata servita, come dire, dal produttore al consumatore in meno di due metri. Ma per la carne…già, per la carne? Il lovale e la cucina sono sprovvisti di frigorifero, di un congelatore, quindi…quindi dove la prende la carne? ……mi spiace per quella povera bestiola che improvvisamente, per colpa di undici persone, sia finita sotto il coltello del proprietario…meglio non pensarci!

Dobbiamo attendere una mezz’ ora prima di mangiare, i piatti vengono preparati uno ad uno. Ma l’ attesa non è vana, mangiamo ottimamente pagando una cifra ridicola. L’ unico problema è che l’ autista non la prende bene e si arrabbia molto con le due giovani tedesche, a ragione. Eravamo d’ accordo che la sosta sarebbe durata non più di un’ ora, altrimenti sarebbero potute sorgere complicazioni lungo il viaggio. Continua a ripetere ‘one hour is one hour’. Mille volte, mentre io ridacchio…. L’ autista inizia a discutere animatamente con le due figlie dei fiori, e quando noi siamo già seduti sul mezzo, osservo la ragazza brasiliana ancora al tavolo come se nulla fosse, mangiando tranquillamente…. Mi domando: avrà compreso la situazione o semplicemente se ne fregava pensando con tutta calma al suo pranzo? L’ autista riparte sgommando e borbottando sotto i suoi baffi, esattamente con una ventina di minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Ma perchè pochi minuti sono cosi importanti per la nostra guida? Penso e ripenso.
Ma è facile: trovarsi nel deserto una volta che il sole è calato, vuol dire andare incontro a molte difficoltà quali il vento, che potrebbe rendere quasi impossibile proseguire e al freddo, dato che appena il sole scompare la temperatura scende vertiginosamente. Ecco spiegato perchè i minuti sono importantissimi. Ci sono meccanismi che noi europei non possiamo comprendere e stoltamente non vi prestiamo importanza, pensando di sapere tutto sempre e comunque. Comprendo l’ autista aver pienamente ragione mentre noi poveri imbecilli, dall’ alto della nostra effimera superiorità, abbiamo completamente sbagliato atteggiamento. Sono il primo a voler risparmiare, a non spendere soldi inutilmente, ma se ragiono, risparmiare 1euro e80cent su di un pranzo da cinque, è davvero follia, o meglio, ignoranza. Le tedesche non si smentiranno mai durante tutto il viaggio, la loro stupidità è più grande dell’ intero deserto del Sahara. Dopo alcune ore di strada in lande desolate, un paesaggio privo di forme di vita, intravedo in lontananza dal mio finestrino le dune del Sahara. Che emozione cavolo…che emozione! Terra color rosso fuoco che s’ innalza da questa pianura arida, quasi a toccare il cielo azzurro. Non vedo l’ ora di arrivare, di affondare le mie mani nella sabbia bollente, in quei colori. Emozioni sempre più forti. Dalla strada che porta a Merzouga, cittadina un paio di chilometri davanti a noi, l’ autista abbandona la strada asfaltata per raggiungere il resort da dove avrà inizio la nostra avventura nel deserto. Dopo ore e ore di viaggio, siamo alle porte del Sahara. Quanta fatica, un viaggio lungo ed estenuante…ma ne è valsa la pena! Scendiamo dal furgoncino mentre sopraggiungono i ragazzi che ci faranno da guida nel deserto fino all’ accampamento berbero. Prendo con me lo zaino e le due tedesche…vabbè, lasciamo perdere! L’ autista è sempre più contrariato nel vedere il comportamento di queste due giovani…e come dar lui torto? Dobbiamo partire, subito. Dobbiamo evitare che il sole cali prima di essere arrivati all’ accampamento. Una volta oltrepassato le porte del resort, davanti a me si apre la vista sul Sahara: un brivido lungo una vita mi accarezza…
Rimango impietrito per alcuni istanti di fronte a questo spettacolo, a queste dune di un color magico. Ma il tempo stringe sempre più ed io devo tornare alla realtà. Sono il primo a balzare in groppa al cammello…mammamia che bestiola pelosa!
Siamo divisi in tre gruppi, ciascuno guidato a piedi dall’ uomo berbero. Partiamo immediatamente, è meglio non perdere altro tempo. La ‘passeggiata’ in cammello è molto divertente, anche se vi sono cose nella vita decisamente più comode. Su e giù per le dune, un mondo affascinante, un mondo di sola sabbia dove il vento scolpisce e modella opere d’ arte. Un mondo dove tutto attorno a noi, a perdita d’ occhio, è incredibilmente uguale, ma anche cosi terribilmente diverso. Un mondo a parte, incredibile, unico…questo è il deserto. Rosso fuoco, color oro, giallo tenue…la sabbia sembra mutar colore ad ogni istante, regalando alla mia vista immagini fantastiche. Mi è difficile comprendere come queste persone guidano la truppa nel deserto senza nessun punto di riferimento, senza bussola, senza nulla se non il loro istinto e senza mai perdersi. E cosi trascorre il tempo, un paio di ore, in sella a queste bestiole simpatiche tra continui sobbalzi. Il sole sta calando, la temperatura anche. Se al momento della partenza avvertivo un gran caldo, con il passar delle ore la temperatura scende vertiginosamente, mentre io inizio ad avvertire brividi. All’ improvviso i berberi arrestano il passo, e a gesti ci fanno intendere di scendere dal quadrupede. Se vogliamo ammirare il tramonto ci conviene continuare a piedi fino alla sommità della duna poco distante. E di corsa, senza esitare e senza aspettare nessuno del mie amici, m’ involo nella distesa sabbiosa ‘scalando’ la duna, dove pochi minuti dopo ne conquisto la vetta. Davanti a me uno spettacolo sensazionale: colline di sabbia, magistralmente modellate dal vento. E laggiù, all’ orrizonte, il sole, che lentamente sta abbandonando questa magnifica scena. Pian piano giungono in vetta tutti i ragazzi, estasiati da questo incredibile spettacolo. Nel silenzio più assoluto ammiriamo il tramonto, a questo sole color rosso fuoco deserto del Saharache lentamente scompare dietro le dune di sabbia. Un silenzio irreale mi avvolge, si percepisce solo il vento che a tratti s’ infrange sul mio viso. Rimarrei ore, giorni, mesi in questo silenzio, ad ammirare questo spettacolo gratuito che la natura m’ offre.
Per ultimo abbandono la vetta, prima di raggiungere gli altri ragazzi che nel frattempo si sono avviati verso l’ accampamento, a una decina di minuti di passo. Il complesso di tende sorge ai piedi di un altrissima duna, che ha la funzione di far da paravento durante la notte.
Posiamo i nostri zaini nelle tende, e a me tocca condividere la notte assieme agli sposini brasiliani.
Con l’ arrivo della sera la giornata si fa sempre più fredda, spira un aria gelida. Sediamo attorno ai tavoli a discorrere in attesa della cena, mentre cortesemente ci viene offerto un bicchierino del solito ottimo thè marocchino. Il buio s’ impossessa velocemente di questo giorno mentre al campo giungono altre persone, altri turisti. Dopo un ora passata a chiaccherare viene servita cena: era l’ ora! Un piatto grandissimo di cous cous, fumante! M’ avvento con il cucchiaio quasi fosse un mese di sciopero della fame, ma non ho lontanamente immaginato che la pietanza potesse essere bollente. Ormai è troppo tardi: la mia bocca è ustionata, qual dolore santo dio! Mi agito vivamente ed il brasiliano, accanto a me, s’ accorge del misfatto e velocemente mi porge la bottiglia d’ acqua. Me la cavo con una scottatura che avverto per i prossimi 3-4 giorni…che dolore!
La serata trascorre ottimamente, mangiamo fino ad esser sazi mentre sopra noi un cielo stellato avvolge i nostri pensieri. Già, questo cielo stellato: ora capisco perchè si parla di miliardi di stelle nel firmamento. Alzo lo sguardo, la via lattea illumina questa nottata, una coperta di stelle vigila su di noi. Abbandono l’ accampamento e mi avventuro nel buio del deserto per ammirare ancor meglio questo incredibile spettacolo. Vorrei trascorrere la nottata sulle dune, con gli occhi costantemente rivolti al cielo, addormentandomi sotto queste stelle che illuminano la mia vita. E passare una notte unica, cosi come unica era stata la notte sulle dune nel deserto del Wadi Rum in Giordania. Ma il vento gelido rende impossibile l’ impresa, ahimè. Mille pensieri, mille sogni, una vita sola, lunga, bellissima, magnifica.

Faccio ritorno al campo quando in lontananza avverto la musica berbera rompere il silenzio del deserto. E’ stato acceso un piccolo falò che riscalda per brevi istanti la nostra pelle semicongelata, mentre battiamo le mani al ritmo della musica. Che serata indimenticabile…peccato esser soli in questo paradiso, in questa realtà che supera la fantasia.
Il freddo mette a dura prova le nostre forze, e stremati da una giornata lunghissima ci rintaniamo nelle tende. Mi avvolgo di mille coperte, pesantissime coperte, che incredibilmente mi tengono al calduccio per l’ intera nottata. Ed in pochi istanti, m’ addormente felicemente.
D’ improvviso, nel cuore della notte, avverto il suono del bongobongo rimbombare nel silenzio: terremoto, va a fuoco l’ accampamento o tsunami? Ma no, semplicemente è la sveglia del giorno nuovo! Alzo la coperta e con l’ occhio sbircio fuori…ma è ancora buio santo dio…Aspetto che i brasileros escano dalle loro coperte, non vorrei essere l’ unico la fuori, al freddo. Quando anche miss Brasile degna di alzarsi ( immagino sia la penultima ad alzare il sedere, e quindi io l’ ultimo… ) esco dalla tenda: boia faus che freddo! Spira un vento gelido e siamo in pochi ad essere già in piedi: io, i due brasileros, la coppia di olandesi ed il ragazzo inglese.
Porca miseria, se avessi saputo che la maggior parte dei miei compagni era ancora in preda al sonno, sarei rimasto sotto le coperte al calduccio! Guardo l’ ora: ma perbacco, sono le 5.45 ed è ancora notte fonda! Il vento gelido consiglia a noi sopravvissuti di radunarci nella grande tenda dove pochi istanti dopo ci viene servita colazione. Il thè bollente risveglia la nostra pelle infreddolita, e pane e marmellata rincuorano il nostro stomaco. Nel frattempo sopraggiungono le due ragazze tedesche ( se non c’è da spendere…) mentre lentamente il buio della notte lascia spazio a questo nuovo giorno. Ed ora, l’ alba. Come nel Wadi, voglio conquistare un punto panoramico dove gustarmi l’ avvento del nuova giornata. Io e il ragazzo inglese abbandoniamo la tenda e iniziamo la scalata dell’ altissima duna dietro l’ accampamento.
Come al solito parto a mille, gasatissimo, correndo, felice come una pasqua.
Ma quando sono a metà dell’ impresa, le prime fatiche.
I piedi affondano nella sabbia sempre più fine rendendo difficile ogni passo; il fiato viene meno, il freddo scombussola i piani e come se non bastasse il vento innalza la sabbia che s’ infrange sul mio viso. Arrivare in cima sarà un impresa quasi impossibile e lo capisco quando sento le gambe mollissime, il fiato sempre più corto mentre i battiti del cuore salgono vertiginosamente. Ogni due-tre passi sono costretto a fermarmi, devo riposare per qualche istante, sono privo di forze. E cosi anche il ragazzo inglese. La cima è lassù, a non più di 15-20 metri da noi. Metri che paiono chilometri…
deserto del Sahara.

Tento il tutto per tutto, non voglio e non posso darmi per vinto. Ma ad un certo punto siamo entrambi costretti ad abdicare, a rinunciare all’ impresa, fermandoci a pochi metri dalla sommità. Sono letteralmente distrutto: il cuore batte ai mille all’ ora, avverto un freddo incredibile, respiro a fatica. Ecco, una nuova Masada è all’ orrizzonte porcaccia di una miseria. Resto immobile per una ventina di minuti, impietrito da tanta fatica. E poi, amaramente, siamo costretti a discendere e raggiungere nuovamente il campo base. Capisco, col senno di poi, che se anche fossi giunto in cima non avrei ammirato lo spettacolo dell’ alba, poichè urgeva ripartire velocemente. Infatti non appena a ‘terra’, riprendo il mio zaino e dopo aver salutato gli amici berberi risalgo sulle auto da deserto, vale a dire la brigata di cammelli posteggiata li accanto. Riprendiamo il passo e dopo una decina di minuti di viaggio in mezzo alle dune, sostiamo per ammirare l’ alba, questo magnifico sole che illumina il Sahara e questa nuova giornata. Restiamo ad ammirare in silenzio, avvolti ciascuno di noi da mille pensieri. Lungo la via del ritorno mi sento triste, questa avventura sta pian piano volgendo al termine, ma dall’ altra parte mi sento pieno di vita, felice dei momenti vissuti, di questa esperienza unica ed irripetibile. Si può avere tutto dalla vita, ma le emozioni, queste emozioni, non hanno prezzo. Un’ oretta di passeggiata tra le dune e siamo nuovamente al campo base dove il nostro autista ci sta aspettando. Ancora qualche foto alla sabbia del Sahara e ai simpatici cammelli che per un paio di giorni sono stati nostri amici sinceri. E poi prendere posizione sul furgoncino, con un velo di malinconia in viso. Sono appena le sette di mattina, e già siamo in viaggio verso Marrakech, distante centinaia di chilometri. Il viaggio di ritorno sarà lunghissimo, estenuante. sostiamo molte volte, per sgranchire le gambe, per prendere una boccata d’ aria.
Durante una di queste soste, l’ autista notando il mio vagare senza meta nel bar, mi invita a sedermi al suo tavolo e mi offre del thè. Sopraggiunge poco dopo il signore olandese, di origini marocchine, e mi dona un bicchiere di latte e cioccolato fumante. Sono stupito, sorpreso. Ma che mai questa gentilezza? Mi fa l’ occhiolino, e poi si porta il dito sulle labbra facendomi intendere ‘non dire nulla, non mi devi ringraziare’. Sono quasi commosso, tanta gentilezza in questi giorni non me l’ aspettavo. Può darsi abbia fatto loro un po pena, tenerezza o chissà cosa, nel vedermi in disparte in questa mattinata, in silenzio, pensieroso, forse triste. Mi hanno fatto capire di non esser solo, mi hanno mostrato la loro vicinanza, mi hanno regalato sensazioni positive, ed anche gioia. Gioia nel sapere che a questo mondo esistono ancora persone di cuore, semplici, buone. Sono sempre più convinto che laddove non vi sono soldi, dove il denaro non è nella testa degli uomini 24ore su 24, le persone siano buone, meno egoiste ed insensibili. Il viaggio prosegue, le ore volano, la stanchezza si accumula. Per pranzo sostiamo in uno dei soliti locali ‘convenzionati’, ma questa volta nessuno di noi segue le due stupide tedesche. Ancor oggi mi torna in mente la ragazza, seduta accanto a me, osservare il listino prezzi e guardandomi con occhi tristissimi sentenziare ‘too expensive’. Questa volta mi viene voglia di riderle in faccia porca miseria: 4Euro 80 centesimi per un tajine grande come la sua testa ( vuota ). La vedo confabulare con l’ amica di merende e poi allontanarsi velocemente. Noi tutti sediamo tranquilli nel ristorantino, sulla terrazza con splendida vista sulla vallata, al caldo di questo pomeriggio. Mangio tanto e benissimo, ci voleva! Una volta terminato il pranzo raggiungiamo il furgoncino parcheggiato ai bordi della strada e chi manca all’ appello? Le due tedesche! L’ autista borbotta ad altra volce mentre le raggiungiamo poco distante, sedute in un locale mentre ancora mangiano tranquille e beate…l’ autista se potesse le ucciderebbe, e pure io! Attendiamo altri dieci minuti e quando salgono sul mezzo si rivolgono al giovane inglese – “abbiamo speso solo tre euro”. Hanno risparmiato meno di DUE EURO: mi prende voglia di armare l’ autista e aiutarlo nella carneficina. Ma chiudo un occhio e continuo a vagare nei miei pensieri come se nulla fosse successo. Il viaggio prosegue tranquillamente mentre osservo il mondo che scorre dal mio finestrino, un mondo fantastico, speciale, unico.
Davanti ai miei occhi le immagini di paesi poveri, Tinehir, Boulemane Dades e mille altri paesini più piccoli, che neanche compaiono sulla mappa. Tanta, troppa povertà, alla faccia di questo nostro mondo occidentale fatto di sprechi e stupidità. Prima di affrontare l’ impegnativa salita verso le vette dell’ Atlante, sostiamo una mezz’ oretta a Ouarzazate, davanti al Museo del Cinema e alla Casbah Taorirt. Scendo dal veicolo e mi sdraio su di un muretto al sole, in totale pace e relax. Dopo questa breve pausa ripartirtiamo per le strade del centro Ourzazate, città molto carina, rivista e ridisegnata dopo una visita del sovrano. La strada verso Marrakech è ancora lunghissima ma il mio sedere è ormai quasi piatto.

Iniziamo la lunghissima salita verso la vetta dell’ Atlante, un centinaio di chilometri di strada di montagna, tra continue curve e tornanti che mettono a repentaglio lo stomaco di tutti noi. Spesso i miei occhi riluttano a crederci, eppure questi panorami che scorrono davanti alla mia vista sono reali. Spiegare la bellezza di questi paesaggi, di questa parte di mondo che fotogramma dopo fotogramma appare ai miei occhi, è impossibile a parole. Si, il Marocco, questa parte di Marocco, è splendida. Il sole si è ormai nascosto dietro l’ orrizonte e quando arriviamo alle porte di Marrakech è ormai notte. L’ autista arresta la corsa nei pressi di Djemaa el-Fna, dove dopo esserci salutati, ognuno di noi prende la sua strada. Ho trascorso tre belle giornate con queste persone che sempre porterò nei miei pensieri. Il tempo è volato, tre giorni sono trascorsi in un secondo, ed ora mi tocca andare nuovamente alla ricerca di un albergo per la notte.
Ricordo di aver con me un fogliettino dove ho scritto l’ indirizzo di un albergo, nonchè la mappa dove trovarlo. Armato di Lonely Planet parto alla ricerca dell’ hotel, ma come sempre sbaglio vicolo ( grazie anche alle errate informazioni delle polizia locale!!! ). La fortuna m’ assiste e nei pressi noto un alberghetto che potrebbe fare al caso mio. In questa stradina, a ridosso di Djemaa el-Fna, vi sono una decina di alberghi, uno accanto all’ altro. Sono attirato da un hotel in particolare per via del suo nome, l’ Auberge de la jeunesse. Il titolare riposa in una stanza accanto all’ entrata, grande come il mio comodino di casa…vabbè!
Sbrigate le formalità per avere la camera, posso finalmente svaccarmi sul comodo letto per un meritato riposo. La camera è molto spartana, ma quello che a me interessa è la pulizia e la vicinanza a Djemaa el-Fna: ambedue i punti sono soddisfatti appieno! Dopo una necessaria doccia esco a zonzo per le vie di Marrakech, e come sempre questa è una serata di festa perchè a Marrakech ogni sera è festa, gioia, musica.
Sono ormai le nove e mezze passate e la mia fame è davvero tanta, tantissima! Lungo il perimetro di Djemaa el-Fna sorgono diversi ristoranti, da quello superlusso a quello più modesto. Ma non è la mia priorità avere le posate d’ argento e i piatti in ceramica, io ho solo una gran fame! Mi siedo nel dehors di un locale molto carino e al momento poco affollato, che da sulla piazza. Il locale non avrà avuto i bicchieri in cristallo, ma mangio da dio ugualmente! Il viaggio di ritorno dal Sahara è stato lunghissimo, interminabile. Urgeva riprendere le forze e solo con una doccia e un pasto caldo sarebbe stato possibile. Messa a tacere la fame mi concedo ancora un giro tra le mille bancarelle di Djemaa el-Fna, osservando i mille strani personaggi che s’aggirano sulla piazza.
Rispetto al fine settimana, le persone tornano alle loro case molto prima, in fondo il giorno seguente è di lavoro anche per loro, quindi…Koutubia
Io proseguo la mia passeggiata, osservando ogni cosa, ammirando la Kotoubia illuminata in fondo alla piazza ed i mille cavalli e carrozze in attesa di partire per chissà quali splendidi luoghi nascosti. Passeggio senza meta, senza destinazione, imboccando Rue Bab Agnaou, lunga arteria pedonale dove si aprono mille negozietti e caffè. La via è molto affollata, soprattutto da giovani. Giunto verso la fine della strada pedonale poso il mio sedere ormai stanco, stanchissimo, in un piccolo ma accogliente bar. Sorseggio il mio caffè espresso, mentre le persone vanno e vengono, sorridenti. Nonostante abbia il mio giubbotto avverto un grande freddo.
Quando cala la notte, in Marocco la temperatura scende vistosamente ed un vento gelido s’ abbatte sulle città. Raggiungo velocemente la mia camera dove, una volta scritto i pensieri di viaggio sul mio inseparabile diario, posso finalmente andare a nanna.
La mattina seguente la sveglia suona tardi rispetto ai precedenti giorni. M’ alzo intorno alle dieci, oggi sarà una giornata interamente dedicata alla scoperta delle bellezze di Marrakech. Mentre sto preparando la valigia una signora apre la porta della mia camera. Non appena mi vede si scusa, e richiude velocemente la porta. Ma chi è costei?
Esco dalla stanza ed eccola ancora li, sul terrazzo.
E’ semplicemente la donna delle pulizie e pensava la stanza fosse vuota. L’ informo delle mie intenzioni, ovvero restare ancora una notte in città. Cerca di farmi capire di lasciare a lei i soldi perchè il padrone sta dormendo. Fidarsi? Ma si, restiamo d’ accordo in questo modo e tranquillamente raggiungo Djemaa el-Fna. Il centro nevralgico di Marrakech è vivo nonostante l’ ora mattutina, moltissime persone s’ aggirano sulla piazza, per lo più turisti. Scatto mille fotografie, la giornata è magnifica ed un sole caldo riscalda la mia pelle ancora infreddolita. Alla mattina Djemaa el-Fna è popolata da tutt’ altre persone rispetto alla sera, quando cala il buio sulla città.
Nelle prime ore del giornata gli attori di questo teatro all’ aria aperta chiamato Djemaa el-Fna, sono poveri cobra anzianotti e malandati, scimmiette il cui collo e lungo al pari di una giraffa a forza di essere tirato e stritolato, e mille donne maestre nell’ arte dell’ hennè.

La piazza è frequentata da moltissimi turisti e pochi locali mentre la sera è massiccia la presenza di marocchini, anche per via degli spettacoli di musica gnaoua, di incontri di boxe e semplici rappresentazioni teatrali cui gli abitanti di Marrakech e dintorni vanno pazzi…
Sono molto curioso di ammirare da vicino questi poveri serpenti imbambolati. M’ avvicino ad uno di questi loschi tipi che tenta di offrirmi un paio di queste bestiole da accudire tra le mie braccia. Rifiuto gentilmente, la sola idea di tenere tra le mani questi esseri viscidi, mi mette i brividi. Non provo paura nel vedere un serpente, ma mi fanno un gran senso! Scatto mille foto alle bestiole mentre il padrone cerca di scuoterle per farle alzare ancor più verso il cielo. Notando la mia curiosità, il losco tizio fruga nel suo sacco di tela, alla ricerca di qualche cosa che pare non trovare. Una decina di secondi con le mani nel sacco ed eccolo felice tirar fuori altre bestiole, una dopo l’ altra: serpenti lunghi, corti, blu, marroni…insomma, uno zoo all’ aria aperta. Sono affascinato da questo mondo, da queste povere creature che cercano di destreggiarsi tra motorini, auto, passanti…poveretti! Accanto, altro siparietto, altro spettacolo: questa volta le scimmiette sono le primedonne ( si fa per dire… ).
Legate al collo da una lunga catena, vengono incitate dal loro padrone a far salti e capriole per stupire i passanti. Provo enorme pena davani a questo triste spettacolo.
cobra in Djemaa el-FnaLe povere bestiole hanno sempre una mano alla catena, come per tenersi da eventuali strattoni del loro aguzzino che rischia di spaccar loro il collo. Certo, il 99% delle persone che ammirano questi animali sono entusiaste: mai visti cosi tanti serpenti e delle scimmiette acrobate! Ma, guardandola sotto un altro punto di vista, queste povere bestiole sono maltrattate ogni giorno, sempre.
Ma di questo non si deve parlare, la gente è in vacanza è importa solo il divertirsi. E questi beceri spettacoli divertono eccome le menti ottuse e superficiali! Cammino avanti e indietro nella grande piazza e poi dilungo la mia passeggiata verso la moschea Koutoubia che campeggia nel cielo di Marrakech, poco distante. Attraverso la caotica Mohammed V e poi, come per magia, sono immerso nella quiete del piazza antistante il minareto, 70 metri di altezza dove una volta, lungo i quattro lati di 12,5 metri, dipinti e decori differenti a zellij erano incisi sulla pietra rosa di Gueliz. Oggi, dopo i lavori di restauro degli Anni ’90, la torre è tornata a vestire il suo abito originale che ne esalta il fascino.
L’armonica proporzione tra la larghezza e l’altezza è un capolavoro dell’arte ispano-moresca. Tanto che l’edificio fu ispiratore e prototipo architettonico della Giralda di Siviglia e della Tour Hassan di Rabat.
Come da prassi l’ ingresso agli ‘infedeli’ è vietato, e non mi resta che passeggiare nel bellissimo giardino verde che s’ apre alle sue spalle. Sono ammaliato dal verde rigoglioso degli alberi d’arancia: i frutti delle piante sono grandissimi, quasi come cocomeri. Con la mente volo lontano e m’ immagino il passato, quando nel suo perimetro, il sultano Yacoub-el-Mansour radunò cento librai.
Fu il loro mestiere a dare nome all’edificio che significa infatti la Moschea dei librai. Qui, tra il XII e XIII secolo sorsero botteghe di manoscritti antichi che circondavano le sedici navate e una mediana più larga da cui è sormontata la struttura. L’ornamentazione almoravide e il decoro andaluso fanno risaltare la purezza delle linee, creando così un capolavoro dell’arte almohade. Eppure quella che ho davanti è la seconda Moschea di Marrakech. La storia racconta che una prima venne costruita dopo il 1147 e poi abbattuta perché mal orientata verso la Mecca.
Il sole rispende alto nel cielo mentre un venticello fresco stempera il gran caldo. Giunto in Avenue Houmman el Fetouaki consulto la mappa in mio possesso: la prossima destinazione di questa giornata sono le tombee saadite.
Solo un problema: non riesco ad orientarmi, a mio avviso le tombe si trovano ad est mentre la mappa m’ indica l’ ovest. Onde evitare errori, domando ad una donna alla guida di un bus ‘drop in drop off’ che m’ avvia sulla giusta strada. Passeggio tranquillo e beato in rue Sidi Mimoun, lunga strada costeggiata da un alto muro che impedisce la vista alla distesa verde circostante. Diversi ufficiali in divisa sono appostati lungo il perimetro, a guardia di chissà quale importante residenza. Sorrido al vedere uomini vestiti con tre divise differenti che spaziano dal colore blu al verde militare. Sono molte e distano le une dalle altre pochi metri.

( MENTRE SCRIVO, OGGI -30 APRILE 2011- SONO ANCORA SCONVOLTO DALL’ ATTENTATO DI MARRAKECH DI DUE GIORNI ADDIETRO, AVVENUTO AL CAFFE’ ARGANA, DOVE DIVERSE VOLTE MI SONO RECATO A FAR COLAZIONE, A RILASSARMI ALLA SERA, SCHERZANDO CON I BARISTI. )

Quando domando loro informazioni si dimostrano di una gentilezza fuori dal comune. Informazioni che risultano poi essere dettagliatissime! Pochi passi e davanti a me, imponente, Bab Agnaou, risalente al XII secolo e che si trova nella cinta muraria della città. Letteralmente “Porta degli gnaoua”, dal nome degli schiavi subsahariani al servizio del sultano. Una comunità di cicogne, indisturbate, nidificano su Bab Agnaou e sulle Tombe dei Saaditi. Questi animali, dei quali ancora oggi si crede che siano auspicio di futura maternità, di consueto, nel loro tragitto di migrazione percorrono la cosiddetta rotta di Gibilterra per raggiungere i quartieri invernali africani, sorvolando il Marocco. Questa rotta porta le cicogne dall’Olanda, Francia, Svizzera, Germania, Spagna e Portogallo in Niger, Senegal, Nigeria, Mali, e Ciad. Ma a Marrakech, disorientate dalle luci e dai segnali acustici, molte cicogne si sono fermate. E i marocchini le hanno accolte costruendo per loro anche un rifugio per curare i volatili feriti, che oggi ospita una fondazione per la divulgazione delle arti marocchine, il Dar Bellarj (bellarj in arabo significa cicogna). Sarebbe possibile una cosa del genere nel nostro Paese? Dubito. Varco l’ ingresso della medina e mi dirigo verso le tombe saadite che sono a poca distanza. Qual gran caos nella medina: auto, pedoni, motorini.
L’ ingresso alle tombe saadite si trova accanto alla moschea della kasbah. L’ ingresso in questo luogo di grande importanza storica per il Marocco, costa l’ irrisoria cifra di 10 Dh. Uno strettissimo passaggio ne custodisce i tesori, i verdi giardini, le maioliche colorate ed i legni magnificamente intarsiati. Era un tempo il luogo di sepoltura privilegiato degli sceriffi, i discendenti del Profeta Maometto. Tuttavia, le tombe riccamente adorne che si vedono oggi sono l’ultima dimora dei principi saaditi, tra cui, il più celebre è sicuramente Ahmed al-Mansour. A differenza del Palais el-Badi, un altro dei progetti di Ahmed al-Mansour, le tombe sfuggirono alle razzie di Moulay Ismail – forse perché questi era superstizioso e preferì rispettare i luoghi di sepoltura, al punto da far sigillare l’entrata al sito, che fu scoperto soltanto all’inizio del XX secolo. Ciò spiega perché le tombe hanno conservato parte dell’originaria opulenza e sono una testimonianza di grande maestria artistica, come doveva essere probabilmente anche il palazzo di al-Mansour. Le tombe furono riportate alla luce nel 1917, quando il generale Lyautey, la cui curiosità era stata stuzzicata da una ricognizione aerea dell’area, ordinò la costruzione di un passaggio fino ai sepolcri, che in seguito furono restaurati. Sono affascinato da quest’ arte sopraffina nella lavorazione del legno, nell’ eleganza e nell’ esplosione di colori delle maioliche che esaltano la grandezza di El-Mansour. Passeggio beatamente all’ interno del sito, un oasi di pace dove il trambusto, i rumori molesti, il caos della vita fuori le mura è soltanto un lontano ricordo. Il silenzio dona tranquillità all’ animo mio mentre allegramente cammino alla scoperta delle tombe saadite.
Provo ad immaginarela grandezza del posto nel lontano passato, quando il re Mida di Marrakech faceva importare marmo di Carrara dall’ Italia per costruire il suo sontuoso palazzo. Ma il tempo vola e come sempre non m’ aspetta. Velocemente guadagno l’ uscita, immergendomi nuovamente nel trambusto della città.
Questa volta, al posto di varcare la soglia di Bab Agnaou e ripercorrere la strada dell’ andata, imbocco la stradina che costeggia la moschea ma anzichè trovarmi nelle vicinanze del palais de Bahia, sono in tutt’ altro posto. Odo una vocina alla mia destra che dice di tornare sulla strada principale, onde evitare di perdermi inutilmente in mezzo a viottoli privi ( a mio parere ) d’ interesse. Tornato nei pressi della Kotoubia, mi organizzo al meglio: la mia prossima visita sarà alla medersa di Ali ben Youssef. Ma come spesso succede, non riesco ad orientarmi: sarà questo caldo a sconbussolarmi le idee? Domando ad un passante dove sia Avenue Mohammed V, e questa persona mi guarda come se ponessi lui la domanda più stupida del mondo. Con voce roca lo sento sogghignare…’ è qui, sotto i tuoi piedi !!! ‘. Esattamente in fronte a me…bene! Posso finalmente organizzare il percorso di visita e non andare a casaccio nella medina. Il modo più semplice per giungere alla medersa è raggiungere Bab Ksour e svoltare a destra, lungo rue sidi el-Yamani. Questa è la vera Marrakech, quella della vita quotidiana, di tutti i giorni, quella che i turisti disdegnano perchè a loro avviso priva d’ interesse. Invece è la parte più bella della città, quella vera, reale. Le antiche botteghe dei fabbro, degli scultori, dei sarti, e poi ancora lo scantinato dove s’ aggiustano elettrodomestici di ogni tipo, il fruttivendolo..insomma, un mondo reale, quello vero e non dei suq, tutti terribilmente uguali, a misura di turista. M’ addentro nel cuore della medina, vicoli a destra e sinistra, passaggi angusti, stradine strettissime. E questa volta riesco ad orientarmi perfettamente ed in poco arrivare nei pressi della medersa, medersa bou inaiaanche se vi passo davanti senza accorgermene. L’ ingresso, piuttosto esoso ( 60 Dh ) sarà ampiamente ripagato dalla magnificenza cui i miei occhi avranno l’ onore di ammirare. Quando si trovano davanti a qualcosa di troppo magnifico per essere descritto a parole, i marocchini dicono ‘allahuakbar’, che significa ‘Dio è Grande’. Questa parola descrive perfettamente la medersa, la scuola teologica di Marrakech. Sono circondato da meraviglie ispano-moresche, da zellij ( mosaici ) a cinque brillanti colori, e da estrosi stucchi cufici in stile iracheno, con grafismi intrecciati tra foglie e nodi, nonchè dagli intricati intagli delle cupole di legno di cedro con balconi mashrabiyya ( grate in legno traforate ). Quant arte, quanta maestria in questo luogo di pace e silenzio. Venne fondata nel XIV secolo sotto i Merenidi, questo era un centro di studi coranici più grande di tutto il nord Africa e resta tutt’ oggi uno dei più sontuosi. Un tempo nelle sue 132 celle venivano ospitati 900 giovani dediti allo studio della legge e della teologia. Ancora ora mi domando come potevano esserci più di 900 ragazzi in questo luogo…di sicuro, non se la passavano cosi bene. Il posto infonde serenità, è in un enclave di silenzio in mezzo alla medina. Rimango molti minuti seduto nel cortile ad ammirare incredulo davanti a tanta bellezza. Salgo al piano primo, dove sono ospitate le celle dei giovani studenti, piccole ed anguste stanze con, per i più fortunati, una finestra sul cortile. Abbandono il cortile della medersa e visito velocemente la Koubba che sorge in place ben Youssef. La Koubba Almoravid o Qubba Ba’Adiyn è un monumento sacro fatto edificare nell’ XI secolo dalla dinastia degli Almoravidi. E’ l’edificio più antico di Marrakech, la dinastia regnante successiva a quella Almoravide, l’Almohade cancellò ogni traccia della passata dominazione, demolendo tutti le strutture prima edificate, tranne appunto la Koubba. Costruita nel 1117, si ha notizia che venne ristrutturata nel XVI secolo, poi il tempo ne nascose le tracce fino al 1948, e con uno scavo nel 1952 vennero riportati alla luce le vestigia del complesso. Il livello del terreno su cui poggia la struttura è infatti di circa 7 metri più basso dell’attuale su cui la città sorge. Per potervi accedere sono costretto a scendere diversi gradini ed una volta terminata la visita posso tornare a Djemaa el-Fna.
Siccome all’ andata da Mohammed V non avevo avuto particolari problemi di orientamento, deduco che anche il tornare a Djemaa el-Fna sia impresa abbastanza semplice. M’ avvio allegramente, ma come spesso accade, perdersi nella medina è impresa non facile, ma certa. Mi trovo a camminare in posti incredibili, in un mondo che si è fermato ai primi anni del secolo passato, fors’ anche prima. Un mondo semplice, povero, vero ed onesto. A volte perdo la speranza di riuscire a venir a capo di queste viuzze tutte uguali ma anche cosi tutte diverse. Un labirinto inespugnabile. Provo un poco d’ inquietudine, stupidamente. Invece è un mondo straordinario, completamente diverso dal mio, e sotto alcuni aspetti, decisamente migliore. Spesso le persone m’ osservano, raramente intravededono in queste viuzze persone che arrivano da mondi lontani. Domando informazioni e sempre, ripeto sempre, le persone da me interpellate si mostrano di una cortesia incedibile, cercando sempre d’ essermi di aiuto. Ma effettivamente, era come domandare dove fosse nascosta l’ uscita in una stanza buia. Passeggio per oltre un ora, avanti e indietro, su e giù, sotto questo sole caldissimo. E poi, finalmente, come un faro che guida la nave nella giusta direzione, ecco comparire il minareto della Koutubia.
Sono salvo, ed anche se distante, un punto di riferimento ora l’ ho, conosco quale direzione prendere onde evitare di girare a vuoto per ore nella medina. Dopo un ventina di minuti ancora di cammino, finalmente raggiungo avenue Mohammed V! Evviva!!! Torno in mezzo al trambusto di Djemaa el-Fna, alla ricerca di un luogo ove pranzare. Ho una fame terribile, sono quasi le due! Il locale dove avevo cenato la sera precedente è al completo, quindi devo cercare altrove. Evito i vicoli battuti dagli stranieri, passeggiando in quelli meno ‘turistici’, meno alla moda. Una decina di minuti di passo e finalmente scorgo una locanda dove, complice anche la stanchezza, mi fermo. Il locale non è certo da mille e una notte ed è frequentato solamente da marocchini. Ma alla fine, la facciata che importanza ha per me? Io ho fame, e giudico il cibo, non i quattro muri che mi circondano. Mangio un tajine poulet ottimo, buonissimo! Che delizia! La fame vola via, le forze tornano in me mentre felice osservo il via vai di persone. Spesso, troppo spesso, ci soffermiamo sulle cose prive di significato senza badare al sodo, all’ essenziale. E’ meglio un ristorante da favola dove si mangia malissimo od una locanda mal messa dove si mangia da dio?
A pancia pienta torno a Djemaa el-Fna dove sfoglio la mia inseparabile Lonely Planet: dove sarà il Palais de Bahia? Quando osservo la mappa…che mi prenda un colpo, era vicino alle tombe saadite!
Presto maggiore attenzione alla mappa e anzichè ripercorrere la strada percorsa alla mattina, imbocco rue Riad Zitoun el-Kedim che da Djemaa el-Fna mi porterà a pochi passi dal palazzo. E’ un vicolo tranquillo, numerose bancarelle attirano il mio sguardo mentre percorro il chilometro che mi separa da place des Ferblantieres, una piccola piazzetta dove numerose persone si riparano dal caldo all’ ombra delle grandi piante.
Crocevia di strade, place des Ferblantieres è molto trafficata da auto e pedoni; alla mia sinistra ci si avvia verso il palazzo mentre dall’ altra parte della strada si apre la Mellah. Con 10 Dh appena s’ aprono le porte del piazzale del Palais, circondato da moltissime piante di ogni genere che crescono liberamente. Il Palais de Bahia ( il ‘bello’ ) vanta decorazioni su intere pareti, iniziate dal gran visir Si Moussa negli anni ’60 del XIX secolo e proseguite nel 1894 dallo schiavo diventato visir Abu ‘Bou’ Ahmed. Solo alcune delle 150 stanze del palazzo sono aperte al pubblico. La mia visita si dilunga nell’ harem che un tempo ospitava le 4 mogli e le 24 concubine ( eppperò…) di Bou Ahmed, nell’ ampia corte d’ Onore dove un tempo numerose persone chiedevano la clemenza del despota e soprattutto nei bellissimi cortili del palazzo, uno in particolare, dove alberi di ogni tipo e genere lo rendono un posto quasi magico. I nemici e le mogli del gran visir si affrettarono a fare razzia della lussuosa mobilia ancor pirima che il corpulento visir fosse deposto nella bara. Quanto bene li volevano! Passeggio avanti e indietro in mezzo a tanta magnificenza e soprattutto alla tranquillità dei giardini.
Mi sembra incredibile che alcuni luoghi siano totalmente isolati dal trambusto che li circonda. Solo una parte del palazzo è aperta alla visita: ma allora quanto è grande? Dopo un oretta trascorsa con il naso all’ insù per ammirare gli incredibili soffitti, faccio ritorno in mezzo al caos della città. Osservo sorridente alcuni marocchini scattare mille fotografie ad un alano, al guinzaglio del suo padrone. Cani da queste parti se ne intravedono pochi, e se poi hanno le sembianze di un cavallo, posso capire lo stupore di questa persone… Dato il gran caldo della giornata, prendo una pausa rilassandomi nel vicino giardino di places des Ferblantieres, all’ ombra dei grandi alberi.
Osservo questo mondo andare avanti lentamente, immagini colorite di persone che felicemente giocano, riposano, vivono. Veder bambini dondolare su altalene costruite con mezzi di fortuna mi fa tenerezza ma anche un poco rabbia. Rabbia per un mondo, il nostro, dove tante persone hanno troppo, mentre altrove vi sono milioni di esseri senza nulla. Ma nessuna delle persone del mio ‘mondo’ sfoggia un sorriso vero e sincero come quello dei bambini davanti ai miei occhi, che felicemente si divertono su un altalena costruita con una fune legata a due alberi, e come seggiola un pezzo di cartone trovato per terra.
Ripercorro la stessa stradina, quasi deserta, e in breve sono nuovamente in Djemaa el-Fna dove raggiungo la mia stanza per riposarmi un poco. Dopo una doccia calda sono pronto ad affrontare l’ utlima serata a Marrakech prima di partire alla volta del nord. A Djemaa el-Fna alcuini caffè e ristoranti offrono dal terrazzo panoramico una vista spettacolare sulla piazza.
tramonto MarrakechIl XXXX è forse il miglior locale da cui ammirare questa piazza patrimonio dell’ Unesco. Sono moltissimi i turisti in coda alla cassa, in quanto la consumazione è obbligatoria ( non oso immaginare quanti soldi si fanno… ) ed è necessario avere lo scontrino prima di fare ingresso alla terrazza. Con in mano il mio bicchiere bollente di thè, mi dirigo verso la balconata per assistere a questo spettacolo gratuito all’ aperto che offre Djemaa el-Fna. La vista dall’ alto della terrazza è unica e sensazionale, e va dalla Kotoubia fino all’ estremità nord di Marrakech. Sono moltissimi i turisti che ammirano silenziosamente l’ avvicendarsi di musiche, di profumi e di persone sulla piazza. E’ davvero tutto cosi bello, cosi magico…ma il tempo passa senza che io me ne accorga, velocemente. Scatto mille fotografie mentre il sole, color rosso fuoco, scende lentamente fino a nascondersi, come per magia, dietro la Kotoubia. Uno spettacolo fiabesco, che solo Marrakech sa regalare…
Con il calar del sole la città cambia volto, d’ improvviso. Le scimmiette e gli ammaestratori di cobra abbandonano la scena per lasciar spazio agli incontri di boxe, agli spettacolini teatrali, ai funamboli…mentre, quasi a centro piazza, si levano al cielo i profumi delle carni speziate, delle verdure cotte e dei frutti appena colti. Ma con il finire della giornata inizia a spirare sulla città un vento a dir poco freddo, gelido, che mi costringe a tornare coi piedi a terra dopo una mezz’ oretta trascorsa ad ammirare Marrakech dall’ alto di questa terrazza. Mischio alla folla il mio essere, passeggiando senza meta, osservando tutto e tutti i volti che m’ appaiono davanti ai miei occhi. Ma poi la fame chiama a gran voce, e nonostante il freddo della serata poso il sedere nel dehors del solito ristorantino, lo stesso dove la sera prima mi ero trovato cosi bene. Consumo un bel pasto caldo e poi riparto alla scoperta del suq della città. Anche se uguale a mille altri, girovagare per i mille vicoli oscuri e nascosti del suq di Marrakech è altrettanto piacevole al passeggiare nel bazar di Istanbul. Sono molto simili, ogni passo e lo sguardo è attratto da mille colori e profumi, da mille mercanzie, mille spezie.
Suggestiva è la zona adibita a ‘polleria’, dove son vendute al dettaglio galline e altri animali da ‘cena’… E si, è interessantissimo il suq di Marrakech! I miei occhi si perdono nelle mille cianfrusaglie esposte, nei colori delle mille spezie mentre il mezzuin richiama alla preghiera i musulmani. Vorrei che questa mia ultima sera in città non finisse mai, vorrei continuare a passeggiare all’ infinito nei meandri del suq fino al sorgere del sole. Ma purtroppo il tempo scorre troppo velocemente…e dopo un altra oretta passata a passeggiare sulla piazza, spingendomi fino alla Kotoubia per le ultime foto, torno in camera a scrivere il mio piccolo ma inseparabile diario. Il giorno seguente mi aspetta un lungo viaggio che mi porterà da Marrakech fino a Casablanca e da qui a Meknes. Preparo i bagagli e poi, maledicendo questa luce che va e viene, dormo felicemente.
La mattina successiva, giovedi 3 marzo, come sempre apro gli occhi molto prima della sveglia. Ma non me ne preoccupo, mi preparo tranquillamente e poi scendo alla reception dove però non c’è nessuno. Il titolare starà dormendo in questa ‘stanza’ lunga 80 centimetri? Probabile. Lascio le chiavi accanto alla porta e a passo sostenuto mi dirigo alla fermata del bus, lungo rue El Mouahidine. Prima devo però prelevare valuta locale necessaria alla mia sopravvivenza. Non riporto qui le varie peripezie, ma diciamo che per una decina di minuti mi sono visto perso, senza speranze non solo di proseguire il viaggio, ma addirittura di tornare in Italia. Ma poi tutto si risolve al meglio…. Tranquillamente attraverso la piazza che, seppur la mattinata debba ancora inziare, è già parecchio affollata. Presto attenzione a non venir stirato dai mille motorini e auto che confusamente e senza regola alcuna attraversano Djemaa el-Fna. Mi volgo ancora una volta, l’ utlima di questo viaggio, ad osservare la piazza che per tre serate m’ ha regalato emozioni e sensazioni straordinarie. Alla fermata del bus domando informazioni, ma nessuno ha idea di quale mezzo sia diretto alla stazione ferroviaria.
Ma per grazia ricevuta uno dei mille autisti mi fa capire di sedere accanto a lui e che in poco m’ avrebbe portato a destinazione. Ne dubito, e ripeto lui d’ avvertirmi quando siamo nei pressi…. Come no! Ad un certo punto, avvolto nei miei pensieri, mi accorgo per caso di aver oltrepassato la stazione ferroviaria. Porcavolo, sono alla fermata successiva: come immaginavo, l’ autista non aveva capito un tubo! Scendo di tutta fretta, entro dentro l’ edificio dove si cela la biglietteria dei bus ma la giovane ragazza mi spiega che i biglietti ferroviari si devono fare in stazione. Di corsa raggiungo la stazione dei treni, che è a un centinaio di metri di distanza. Con il mio pesante bagaglio barcollo ad ogni passo ma riesco ad arrivare sano e salvo alla biglietteria dove acquisto il pass per Casablanca. La stazione è carinissima, piccola ed accogliente, e di recente costruzione. Per accedere ai binari è necessario disporre di un biglietto ferroviario valido e poi, pochi minuti dopo la partenza, prendo posizione sui comodi sedili accanto al finestrino. Incredibile: in Marocco i treni partono e arrivano in perfetto orario, a differenza di quelli italiani. Siamo l’ unico paese al mondo proiettato verso il futuro ma fermo al terzo mondo. O forse, al quarto. Il viaggio che dalla città Marrakech mi porta a Casablanca è piacevole e rilassante. Il paesaggio che scorre davanti alla mia vista muta gradualmente da un territorio arido e desertico a terreni verdi, verdissimi. Avvolto dalle colline che fanno assomigliare il Marocco alle Langhe, ammiro questa natura rigogliosa che ricopre i campi di un verde brillante, vivo. Due facce di una stessa medaglia dove, a est dell’ Atlante il paesaggio è desertico mentre al di qua della catena montuosa, verso nord, il paesaggio cambia e la natura è viva come non mai. L’ unico spettacolo desolante in questo piacevole viaggio è notare come le rotaie dismesse e sostituite siano state abbandonate ai bordi della ferrovia, disordinatamente, per centinaia di chilometri. Era cosi impegnativo levarle di mezzo anzichè abbandonarle in mezzo alla natura? Mah! Arrivo a Casablanca intorno a mezzogiorno, alla stazione di Casa Voyagers in perfetto orario. Con il mio pesante zaino guadagno l’ uscita dove sono preso d’ assalto dai soliti loschi tipi in cerca di guadagno facile, ma li scanso senza mezzi termini. Sono spaesato: il traffico in città è spaventoso, mille auto che arrivano per poi scomparire nelle mille strade e stradine adiacenti la stazione. Dove andare, cosa fare? Non mi scoraggio e domando ai passanti informazioni. Sono parecchio distante dalla moschea, quindi raggiungerla a piedi non è impresa fattibile. Il mio piano di viaggio è questo: raggiungere la stazione dei bus CTM dove, come riportato dalla mia LP, vi è un deposito bagagli. Lasciare il mio zaino in custodia e procede alla visita della moschea. Fare ritorno alla stazione bus e ripartire per Meknès con il primo mezzo in partenza.
Contatto i primi due petite taxi che mi sfrecciano davanti, ma i loro autisti scuotono il capo: non vanno alla stazione CTM . Dopo una decina di minuti passati nello sconforto, ecco finalmente un auto scassatissima fermarsi. Un signore di mezza età mi fa cenno di salire…. ma quando chiudo la portiera dell’ auto, si gira verso di me e continua a ripetermi ‘doucement doucement’ una decina di volte. Ma che dice, che vuole??? Quando capisco che il ‘doucement’ era riferito al chiudere più dolcemente la portiera dell’ auto, mi scappa una risata. Ma chiedo scusa, nella fretta sono stato probabilmente incurante della forza usata. Partiamo a tutta birra e dopo aver sorpassato, inveito, suonato mille volte il clacson, finalmente siamo a destinazione. Scendo e raggiungo la stazione della compagnia CTM che sorge poco distante. Ma una volta alla biglietteria, lo sconforto m’ assale. La gentilissima ragazza m’ informa che non esiste un posto dove lasciare in custodia i bagagli ( errore della LP ) e il primo bus per Meknes ha partenza la sera, arrivando nella città imperiale intorno alle quattro di notte. Oh cavolo, i miei piani sono andati in fumo in poco meno di tre secondi! Cosa fare ora? La LP sostiene che anche nella stazione ferroviaria di Casa Ville vi è la possibilità di ‘abbandonare’ per qualche ora il proprio bagaglio. Bene, salpiamo alla volta della stazione ferroviaria allora! Domando alle persone che incontro sulla via e il sorriso mi compare in volto quando mi vien detto che la stazione è poco distante. Passeggio lungo la strada che costeggia il mare, supetrafficata ( strano ), fino ad arrivare alla stazione ferroviaria, che è molto molto piccola. Ma anche qui, delusione. Nessun deposito bagagli, ma in compenso ad ogni ora ha partenza un treno per Rabat Ville da dove, cambiando convoglio, potrò raggiungere Meknes. Non mi resta che raggiungere la Moschea Hassan II con il mio pesante ed ingombrante zaino, d’ altronde non ho altra scelta. Poco distante da Casa Ville sono in partenza alcuni bus diretti nei pressi della Moschea, ma quando si tratta di capire quale di essi mi porterà a destinazione, mistero! Uno è in sosta e non parte, l’ altro è diretto altrove, ma tutti hanno lo stesso numero, il 22 ! Ma è possibile??
Una ventina di minuti per capire cosa inventarmi, e finalmente scovo il bus che mi auguro porterà la mia animamoschea hassan II a visitare l’ interno di una delle poche moschee accessibili ai non musulmani. L’ autista del mezzo s’ avvia in mezzo al traffico con la sua guida spericolatissima, e pochi minuti dopo la partenza ecco comparire alla mia vista il minareto altissimo della moschea. Bene, sono salvo! Una ragazza comprende i miei timori ( di sbagliare fermata ) e mi viene in aiuto dicendomi quando scendere dal bus per trovarmi il più vicino possibile alla meta. Ringrazio, saluto, e m’ avvio lentamente sotto un sole molto caldo verso una delle più grandi moschee al mondo. La Moschea di Hassan II è stata edificata per volontà del sovrano del Hassan II e inaugurata nel 1993, è la moschea più grande del Marocco e per dimensioni la terza moschea al mondo (dopo la Masjid al-Haram di La Mecca e la Moschea del Profeta di Medina).
Progettata dall’architetto francese Michel Pinseau e costruita da Bouygues, sorge su una lingua di terra prospiciente l’Atlantico, e può contenere 25.000 fedeli; altre 80.000 persone possono essere ospitate nel cortile. Sulla cima del minareto della moschea, il più alto del mondo con i suoi 210 metri, è montato un faro con un laser puntato verso La Mecca.
Dall’ esterno la moschea è davvero bellissima, ed il fatto che sia adagiata sul mare la rende ancora più unica e particolare. Il rumore delle onde che s’ infrangono sugli scogli risuonano nell’ ampio piazzale antistante, rompendo il silenzio che ivi regna. Sono parecchio stanco, camminare sotto questo sole con il mio pesante zaino è impresa ardua. Vado da subito alla ricerca della porta d’ ingresso per i non musulmani, giusto per capire dove inizierà il tour del pomeriggio. Chiedo informazioni alle guardie che m’ indicano un punto poco distante, ma a parte l’ entrata alla moschea per le sole donne non scorgo altri ingressi. Torno indietro, domando nuovamente e poi finalmente intravedo ( come avevo fatto poco prima a non vedere? ) l’ entrata per i non musulmani che è posta in fronte all’ ingresso riservato alle donne. Il tour guidato avrà inizio fra circa un’ ora, esattamente alle ore due.
M’ adagio sul muretto ai bordi del piazzale riposandomi una ventina di minuti e quando sono le ore due raggiungo l’ entrata alla moschea. Solito giochetto dello studente che viene portato a termine brillantemente, grazie anche al mio essere italiano.
Quando i due signori alla cassa odono la parola ‘ Italia ‘ mi sorridono, e proferiscono quelle quattro parole che conoscono nella mia lingua. Con viso triste affermo di non aver con me la tessera universitaria… mi sorridono nuovamente, dicono che non importa, per me ingresso ridotto! ( come la mia materia grigia… ). Bene!
Sono munito di due adesivi da appiccicare sui miei abiti, una sacca di plastica dove riporre le mie scarpe e un depliant informativo in italiano.
Attendo nella sala adiacente la biglietteria l’ arrivo della guida. Ci sono molti tedeschi, molti francesi, molti inglesi…e di italiani? Io, solo io. Pochi istanti dopo sopraggiungono due giovani ragazzi che s’ avvicinano nel luogo ove avrà inizio la visita nella mia lingua. Restiamo in attesa qualche minuto e poi ecco avvicinarsi un omone grande grande: sarà lui la nostra guida al tempio. Mentre ci avviamo nel cuore della moschea Hassan inizio a parlottare con i due giovani ragazzi ma quando mi dicomoschea hassan IIno da quale città arrivano, tra me e me penso di aver capito male. ‘Provincia di Cuneo’….non ci credo, davvero, è impossibile: a oltre 2000 chilometri incontrare un cuneese a Casablanca ha dell’ inverosimile. Ed invece ho capito bene, benissimo, è proprio cosi: sono due ragazzi, moglie e marito, di Farigliano. Il mondo è grande, grandissimo, ma a volte è incredibilmente piccolo. D’ accordo, la provincia Granda è vasta, ma incontrare persone che abitano a pochi chilometri da casa mia in giro per il mondo, ha dell’ incredibile. Eppure mi è successo molte volte, a Dublino, a Venezia, a Tel Aviv…e per ultima, qui a Casablanca. Parliamo del più e del meno, mentre lentamente facciamo ingresso solenne nella grande moschea. Sono due ragazzi simpaticissimi e molto allegri: che piacere averli conosciuti! La moschea è veramente bellissima, un capolavoro d’ ingegneria moderna. Passeggiamo sui grandi tappeti mentre la guida, che ama spesso scherzare, illustra le particolarità della costruzione, dal tetto mobile al pavimento in vetro riscaldato. La visita si rivela molto interessante ed istruttiva, ma soprattutto non noiosa grazie a quest’ omone simpatico. Questo ‘viaggio’ nel cuore della moschea Hassan II dura una mezz’ ora ed una volta terminata dobbiamo, ognuno di noi, organizzarci sul come proseguire la giornata. I due giovani, Shalini e Marco, sono a Casablanca già da alcuni giorni, mentre io sono arrivato solo da alcune ore e fra poco ripartirò per Meknès. Io devo raggiungere la stazione di Casa Ville, da dove partono i treni per la città imperiale. Gentilmente si offrono di accompagnarmi, per poi proseguire la loro avventura nella medina della città. Un auto millenaria ci consegna alle strade trafficatissime della capitale, dove ogni automobilista ha un suo codice della strada, diverso da ogni altro. Pochi minuti e siamo davanti alla stazione ferroviaria: saluto questi due giovani che mi hanno tenuto compagnia per alcune ore, auguro loro buon viaggio e soprattutto li ringrazio per l’ ottima compagnia.
Prima di partire da Casablanca mi concedo un panino ‘psichedelico’ in un piccolo bar accanto alla stazione, e poi velocemente, raggiungo la biglietteria per far mio il ticket ferroviario. Siedo sulla banchina in attesa del convoglio accanto a uomini tirati a lucido con le loro 24ore sempre accanto. Il treno per Meknès parte, come da consueto, in perfetto orario. Il sole abbandona momentaneamente questo mondo per lasciare spazio al buio della sera, mentre io, in un primo momento in piedi e schiacciato nella calca che regna nello scompartimento, posso finalmente posare il sedere su di uno sgabello. Osservo, silenzioso, il mondo dal mio finestrino. Amo contemplare le immagini della terra scorrere davanti ai miei occhi, milioni di fotogrammi uno diverso dall’ altro. Casablanca è una città vastissima, e mette angoscia osservare le bidonville affiancare le grandi ville dei ricchi. Due mondi separati e assai diversi, due mondi ingiusti che fanno parte della stessa medaglia. E poi altre città, altre bidonville, altri bambini giocare a pallone in campi di fortuna dove le porte sono immaginarie mentre la loro felicità è vera, reale. Durante il viaggio mi faccio i soliti crucchi, le solite seghe mentali a causa di alcuni giovani che paiono ‘osservare’ un po troppo. Osservo tutto, ogni minimo spostamento di ogni persona dentro il convoglio, facendo attenzione ai miei averi, a non essere oggetto di sguardi troppo insistenti per il mio essere e far parte di quel mondo ‘occidentale’, che non sempre è visto positivamente. Spesso sono eccessivo nel prestare attenzione…
Il viaggio dura un paio di ore e quando arrivo nella città imperiale è ormai buio. La stazione ferroviaria di Meknes è molto piccola, ed una volta all’ aria aperta della città mi sento sperso come non mai, fors’ anche perchè la stazione è schiacciata tra palazzi e case, senza dare la possibilità alla mia vista di osservare lontano, di avere qualche punto di riferimento. Decido di raggiungere il centro città in taxi, avendo smarrito completamente la bussola. Domando ai primi tassisti lungo la strada, ma nessuno sa dirmi dove si trovi l’ albergo da me menzionato. Possibile? Eppure si trova nel cuore della città…
D’ improvviso, l’ autista di un petit taxi mi consegna alle sorti di un suo amico ( fidarsi ? Si…speriamo! ). Li spiego dove voglio andare, il nome della strada e dell’ albergo, ma costui mi guarda come se avessi chiesto di portarmi in Piazza di Spagna a Roma…ma io voglio solo andare in centro città! Osserva la mappa della mia LP, ma è come se guardasse un quadro di Kandinsky: ‘da che parte devo girare il foglio?’ O mio dio! Senza speranze, ripeto per otto volte il nome della strada dove voglio andare ma alla nona gli s’ illuminano gli occhi. ‘Ahhhh tu veux aller in Avenue Moullay Ismail!’ Non ci posso credere, ha capito, e quasi me lo ripete come se fin ad ora avessi detto ‘ je veux aller in piazza di Spagna, Rome’. Sono allibito, ma allegramente. Partiamo a tutta birra, costante degli automobilisti marocchini, e dopo aver imboccato mille strade e stradine mi lascia lungo una via piuttosto mal ridotta dove si affacciano edifici pericolanti. Questa è avenue Moulay Ismail? ‘Mais oui! ‘ Bene! Sono preso dalla fretta, dal timore di perdermi la notte in qualche strada sconosciuta, nel timore di incorrere in qualche pericolo. Ho sotto mano l’ indirizzo di due alberghi e senza esitare ulteriormente m’ avvio tra la folla, ma ovviamente nella direzione opposta a quella dove sorge l’ albergo migliore.
Quando scorgo la scritta a caratteri cubitali ‘Hotel Regina’, qual felicità! L’ albergo sorge accanto ad un bar colmo di tipi loschi intenti a guardarsi il Real Madrid in Champions…che bell’ ambiente! Alla reception sono accolto da un giovane ragazzo e, suppongo, dal gestore, che non appena scopre il paese dal quale provengo si diletta a parlare un italiano peggiore di quello di un bambino al primo anno di vita. Quando apro la porta della mia camera, sono meno allegro di qualche minuto addietro. La stanza è semplice, forse anche troppo. Non è il massimo, ad essere sincero mi aspettavo di meglio visto che ho preso una doppia ad un prezzo maggiore. Ma quello che conta è che la stanza sia pulita e per questa notte può anche andar bene cosi. Andare in giro la notte in una città che non conosco, per di più con i miei ingombranti bagagli, non mi pare il caso. Il giorno seguente andrò alla ricerca del secondo albergo, poco distante, nella speranza di ‘risiedere’ per i due giorni successivi in un posto migliore. Sistemo i miei abiti mentre la fame inizia a farsi sentire. In fronte all’ albergo c’ è un ristorante molto grazioso che si accosta molto più agli standard europeri che non a quelli del Marocco. Mi siedo comodamente al piano rialzato, mentre davanti a me, dalla grande vetrata, osservo la gente andare a venire. Quando mi viene servito il tajine Kefta i miei occhi brillano di felicità! Un piatto bollente di polpette di carne tritata e speziata di agnello con uova. Memore della tragica esperienza del deserto, dove la fame aveva vinto sulla ragione, attendo qualche minuto prima di saziarmi. E’ una bontà, mangio e bevo nella più totale tranquillità. La giornata è stata molto lunga e faticosa, ore e ore di treno, di cammino, che hanno ridotto al lumicino le mie forze. Ritorno in camera, priva di riscaldamento, dove fa un freddo cane. La temperatura esterna è uguale a quella della mia camera. Possibile non esistono i termosifoni in Marocco, dato che gli inverni sono piuttosto rigidi? Boh! Ma le coperte, spesse e pesantissime, bastano ad alleviare i miei brividi ed in pochi istanti sono immerso nel mondo dei sogni.
Mi sveglio decisamente tardi venerdi 4 marzo. Alle dieci sono ancora nel letto a cozzare, riluttante all’ idea di uscire dalle coperte calde calde al freddo della stanza. Ma poi l’ idea di abbandonare la bettola mi dona forze, ed in meno di tre secondi sono pronto a lasciare l’ hotel. Lascio le chiavi alla reception ed esco senza neanche attendere l’ arrivo del gestore. M’ avvio lungo avenue Moulay Ismail, dove, a quanto riportato sulla guida, sorge l’ albergo ‘Maroc Hotel’. La strada è piuttosto mal messa per via degli edifici che s’ affacciano su di essa, alcuni davvero in pessime condizioni, al limite del crollo. E dire che è la strada principale della città, l’ arteria che dalla ville nouvelle taglia in due l’ antica città imperiale per proseguire verso Rabat. Con il naso all’ insù vado alla ricerca di qualche indicazione, di qualche insegna che mi faccia capire dove sorge questo benedetto hotel, e solo per caso, voltando lo sguardo ad uno stretto passaggio, scorgo il mio albergo per le prossime due notti. Salgo i pochi gradini che portano all’ edificio quando per vie non ancora accertate ( stanchezza? Rincoglionimento? ) inciampo e stramazzo al suolo. Per grazia divina non mi procuro nessun livido o frattura, ma solo un incazzatura momentanea. Quando apro la porta dell’ albergo, comprendo da subito d’ esser in un posto accogliente e pulito, a differenza delle sensazioni provate la sera precedente all’ Hotel Regina. M’ accoglie un signore gentilissimo e dopo aver scambiato due chiacchere di benvenuto, s’ offre di farmi vedere la stanza, prima di sbrigare le formalità del caso. E’ una cosa ottima, poche volte mi sono sentito domandare ‘Vuoi vedere la camera prima di decidere?’. Frase all’ apparenza banale, ma in realtà non lo è affatto. Acconsento ed insieme saliamo al piano primo. L’ albergo è molto ben arredato, e la mia stanza, quando mi viene aperta la porta, è davvero bella e pulita. Mannaggia, la sera prima avessi avuto meno fretta, meno timore di restare a piedi durante la notte…
Sbrigo velocemente la pratica di assegnazione della camera, che oltretutto costa meno che nella precedente bett…ops, albergo.
Sistemo i bagagli ed esco immediatamente alla scoperta di Meknes che, senza sapere perchè, m’ intriga tantissimo. Ripercorro avenue Moulay Ismail in direzione ville nouvelle per poi imboccare boulevard Abderrahmane Ben Zidane. La mia intenzione e ripercorrere le mura fino al mausoleo di Moulay Ismail. Da come avevo potuto vedere su google earth, la strada non era lunga e la passeggiata piacevole. Boulevard Zidane è una strada che ripercorre le mura della medina di Meknes, a tratti circondata dai grandi bastioni del passato. La giornata è bellissima ed un bellissimo sole risplende alto nel cielo. Cammino tranquillo e spensierato, sbagliare strada è quasi impossibile. Ma io riesco sempre nelle imprese impossibili; cammino e cammino, senza intravedere una fine. Anzichè far ingresso nella piazza antistante il Palazzo Reale, io proseguo l’ opera di circunnavigazione delle mura cittadina. Devo dire che qualche dubbio all’ inizio mi era venuto, m’ ero addentrato nella medina ma poi avevo abbandonato l’ idea perchè non avrebbe portato, a mio avviso, da nessuna parte. Giunto nei pressi del Palazzo Reale, dopo un occhiata veloce, mi riprometto di ripassare in un secondo momento ad osservare meglio questo angolo nascosto di Meknès: mai decisione più infausta…mi sarei da subito accorto di essere arrivato nel punto esatto dove iniziare la mia visita, anzichè continuare a camminare per altri otto-dieci chilometri sotto il sole.
Ma, imperterrito, continuo a camminare. La giornata è bellissima, il morale è altissimo. Sono sereno, felice, tranquillo, un giorno perfetto. Sono incurante di aver sbagliato strada, di essermi perso nella periferia della città. Mi sento bene, è questo è tutto, ho il mondo nelle mie mani. Costeggio le mura, ne vado oltre, mi dilungo in una passeggiata nel traffico della periferia. Domando ad un vigile dove sia il centro città, e con la sua faccia stralunata dirmi: ‘avanti, molto avanti’. Ottimo…
Ancora qualche passo e sono ad uno dei grandissimi incroci che sorgono nella periferia di Meknes. Imbocco la strada che a mio avviso porta nel cuore del centro cittadino, e una ventina di minuti di passo m’ imbatto in un militare.
Meglio informarsi nuovamente, preferisco essere sicuro. Non appena fermo il passo di questo omone con la sua divisa verde oliva, addobbata da mille stelle e stellette, mi domanda ‘salut, comment vas-tu? Il va bien? C’ est une belle journèe ajourd’hui!’. Rimango esterefatto…sono colto di sorpresa! Non ho ancora proferito parola, e già sembro essere un amico di vecchia data. Discorriamo per cinque minuti del più e del meno, di questa città, dell’ Italia, e poi m’ indica la via da seguire per giungere nel cuore di Meknes. Quando riprendo il passo sono ancora stupito dell’ accaduto. La cortesia, il mettermi a mio totale agio, il sincerarsi del mio star bene…può sembrare invadenza, avrei potuto liquidarlo all’ italiana con un -‘ma che c**o t’ importa come sto e che oggi è una bella giornata?’-. L’ animo dei marocchini è cosi semplice, cosi buono, che a volte stento a crederci. Sono abituato al mio mondo, dove vicini di casa, di pianerottolo, spesso neanche si conoscono, neanche si salutano. E’ la nostra sarebbe civiltà…oh già!
Cammino a fianco dell’ università per poi svoltare nei pressi di un grandissimo prato circondato da edifici in cattivo stato di conservazione. Un polmone verde, un mondo a parte dal traffico e dalla confusione di questa città. Sono migliaia i giovani seduti sull’ erba verdissima, chi con un libro in mano, chi a saltare con la corda e chi, molti, a giocare a pallone. Grandi e meno grandi: una festa. E poi, piacere per la mia vista, le mura altissime della città, che delimitano l’ antica capitale imperiale dalla città nuova. Varco Bab al Qazdir, nel quartiere Zitoune. Poco oltre le mura m’ imbatto in un piccolo negozietto di souvenir ( mi domando perchè qeusto tizio lo abbia aperto qui, dato che i turisti spersi come me sono pochi da queste parti…). Faccio scorta di cartoline, di oggetti vari, messi in vendita ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto al centro città. Il padrone del negozio mi regala una cartolina oltre quelle già da me acquistate: gentile, ma cosa me ne faccio di una cartolina di un posto a me sconosciuto e dove non ci sono mai stato? Sorrido e di buon grado accetto il bel gesto. A piedi è lunga arrivare in centro, a suo dire, e ci vogliono circa una ventina di minuti di passo. Non importa, ora sono consapevole di essere lungo la giusta strada. Passeggio per circa due chilometri e mezzo lungo questa strada, che dalla periferia porta diritto nel cuore di Meknes ( cosi pensavo…). Arrivo fino alla moschea Beni Al-Mhamed e m’ informo nuovamente, visto che, cammina e cammina, di indicazioni per place El-Hedim neanche l’ ombra. Riprendo il cammino lungo una stradina laterale, stretta, silenziosa. E dopo un altro chilometro sotto il sole, varcata Bab El-Kari, capisco di essere quasi arrivato alla meta. La città muta rapidamente, ogni dettaglio è maggiormente curato e bei giardini verdi si aprono alla mia vista. Affianco mura e bastioni, imponenti, e svoltando l’ angolo appare, finalmente, place El-Hedim. Seppur lontana, in una posizione rialzata rispetto alla strada che sto percorrendo, mi pare incredibilmente vicina. Dopo chilometri e chilometri sotto questo sole, vedere il centro ‘turistico’ di Meknès poco distante, mette felicità dentro me. Place El-Hedim è ormai vicina, una breve salita mi separa da essa. Mi pare tutto questo tempo sia trascorso in un secondo, ma allo stesso tempo, mi sembra di esser qui da una vita. Davanti a me, Bab Mansour Laalej: la porta più bella di Meknes, conosciuta in tutto il mondo arabo come una delle opere maestre dell’Imperatore Moulay Ismail. Fu costruita da Mansour Laalej, un architetto cristiano convertito all’Islam, nel 1732. È una porta che richiama il classico stile architettonico musulmano, alta 16 mt., con un arco di 8 mt. Su ogni lato ci sono colonne decorate con bellissimi mosaici; la porta presenta decorazioni di stelle, fiori, delicate scritture, etc. bab bou-MansourBab Mansour era la porta d’entrata alla città imperiale di Meknes, un tempo lontano capitale del Marocco. E’ il punto focale di place El-Hedim, dove si concentra la vita della città: a nord la città imperiale, a sud la medina. Resto diversi minuti ad osservare l’ architettura di questa porta imperiale, la più grande del Marocco. E’ davvero bella ed imponente! L’ ingresso solitamente è vietato, ma vedendo la porticina aperta…entro! Un piccolo cortile dall’ aspetto austero e l’ interno, che mi induce a tornare alla vita caotica di place el-Hedim.
La piazza, fulcro della vita di Meknes, è meno bella della Djemaa el-Fna di Marrakech, ma altrettanto suggestiva. La vita non è cosi animata come la sorrella maggiore del sud, ma anche in place El-Hedim vi sono molti artisti di strada, incantatori…ma per quanto voglia, non riuscirà mai a possedere l’ anima carismatica di Djemaa el-Fna. Da un lato molti bar con dehors estivo, mentre a fondo piazza sorge la piccola porta che da accesso alla medina. La piazza venne costruita da Moulay Ismail e in origine usata per i proclami reali e le pubbliche esecuzioni. Non è ancora mezzogiorno e nonostante i mille chilometri percorsi, la fame non mi ha ancora preso. Decido quindi di intraprendere il tour della medina, consigliato caldamente dalla mia inseparabile Lonely Planet. Oltrepasso l’ arco sul lato settentrionale di place el-Hedim e proseguo a nord trovandomi in mezzo a mille bancarelle e negozi di tappeti. Svolto alla mia destra in rue Najjarine per poi nuovamente uscire dalle mura della medina, seguendo un vicolo che prosegue verso nord. Mi trovo in una piazza dalle forme irregolari dove mille persone camminano confusamente in mezzo alle bancarelle del mercato. Qualche momento di indecisione sulla strada da prendere e dopo essermi incamminato su quella sbagliata, torno sui miei passi costeggiando il perimetro della cinta muraria. Da questo momento in poi la mia mente e la mia vita tornano indietro nel passato. Il tempo pare essersi fermato al Medioevo mentre io sono l’ unico rappresentante del futuro, di questo presente. La povertà è a livelli estremi, provo una grande tristezza ed un grande dolore nel vedere questi vicoli dove la vita è una ardua conquista ogni giorno. Persone che vivono in condizioni disperate ma pur onestamente, rispettando il prossimo come noi, seppur ricchi, non sappiamo e vogliamo fare. Nessuno può capire quello che mi passa per la mente. Riflessioni stupide e banali per la maggior parte delle persone, ma profonde per chi come me ha visto e vissuto certi istanti, certe scene, ha visto un mondo ‘diverso’ dove la fortuna che abbiamo noi occidentali non è concessa. Non mi sento in pericolo, questo no. Ma sono intimidito, in fondo cosa possono pensare queste persone di me? Non si chiedono cosa diavolo ci fa un occidentale in questi vicoli? Perchè viene ad osservare un mondo povero, perchè invece di lasciar vivere la loro onesta vita vuol ficcare il naso, vuole osservare a quale livello la povertà si spinge, quasi questa povertà fosse un leone od un elefante da fotografare? Ma la vita non si fotografa, si vive. Mi vergogno quasi a camminare in quelle stradine, mi vergogno della ricchezza che porto addosso, di quante cose inutili ho con me quando potrei con poco mettere sui loro volti molta più felicità di quanta io abbia nell’ avere queste cose. Ma ora, lasciamo perdere queste considerazioni ed i miei pensieri…
Penso di essermi perso ed invece ho seguito perfettamente le indicazioni della guida e mi trovo, dopo aver domandato a persone lungo la via, a Bab Berdaine, all’ estremità della medina. Torno indietro lungo rue Zaouia Nasseria, completamente diversa dai viottoli percorsi poco prima. Graziosi edifici si affacciano su questo vicolo silenzioso, dove poche persone passeggiano. Ormai sono consapevole di essere nei pressi della Grande Mosquèe e di conseguenza, della Medersa Bou Inania. Qualche breve indecisione ma fortunatamente m’ appare davanti agli occhi l’ ingresso della medersa. Il prezzo d’ ingresso, 10 Dh, sono al cambio 80 centesimi. La Medersa fu costruita nel XIV durante il regno dei Merinidi e ultimata nel 1358 da Bou Inan; questa scuola coranica presenta nel cortile reffinate decorazioni interne con la base in mattonelle zellij, la fascia centrale in stucco e quella superiore in legno d’ulivo intagliato, mentre il soffitto è di cedro. Ai lati del cortile, nelle celle al piano terra vivevano gli allievi più piccoli, bambini tra gli otto e i dieci anni, mentre gli studenti più grandi e gli insegnanti stavano al piano primo. Come per la medersa di Marrakech, anche quella di Meknes è un luogo di tranquillità, un enclave di pace intorno alla vita confusa e rumorosa della medina. Rimango una mezz’ ora ad osservare nel silenzio più assoluto le preziose zellij colorate, a godere di questo silenzio irreale. Salgo al piano primo dove ci sono le celle degli insegnanti e poi sul tetto, dove un piccolo terrazzo permette di godere di una bella vista sulla medina. Poco distante il minareto della Grande Mosquèe, con le sue tegole verde vivo. A volte mi chiedo come possano questi luoghi sacri essere ‘salvati’ dal trambusto che li circonda. Sembra quasi siano avvolti da un involucro che ne preserva il silenzio. Ma la vita, che scorre inesoralbilmente, mi riporta al caos della medina. M’ imbatto lungo il viottolo in un centinaio di persone che escono dalla moschea creando un ingorgo mai visto. Riuscire a passare tra una persona e l’ altra, che impresa! Ma brevi istanti di passo e sono nuovamente in place El-Hedim. E’ ormai quasi l’ una, ho parecchia fame e non posso rimandare ulteriormente il pranzo. M’ avvio lungo rue Dar Smen…neanche cento metri ed ecco sorgere il mio ristorantino preferito! Voglio tenermi leggero, evitare di mangiare tanto per poi abbioccarmi pochi istanti dopo. Mi concedo un ottima zuppa, delle uova ed una ciambella, per la modica cifra di un euro…e dire che il locale è inaccessibile, dal punto di vista economico, a tanti marocchini. E poi verso l’ albergo con la pancia piena. Non ricordo il numero di stanza e alla reception prendo la chiave sbagliata ed apro un altra camera…menomale non c’ era nessuno dentro! Pensa e ripensa, e finalmente mi viene in mente che la camera è la numero 24! Metto a ricaricare le batterie della macchina fotografica e soprattutto le mie, dopo una giornata come questa! E dire che il pomeriggio è appena iniziato!
Cozzo un paio di ore e poi verso le ore quattro e mezza sono pronto ad uscire, a scoprire altri angoli nascosti e magici di Meknes. Raggiungo il cuore della città, quella piazza El-Hedim che ora è gremita di gente mentre io, fermo come un buddha, osservo Bab El-Mansour: dio quanto è imponente e bella! Poco distante si apre il varco che permette di oltrepassare le mura e addentrarsi nella città imperiale. Alla mia sinistra place Lalla Aouda, un grande spiazzo con qualche albero abbruttito. Seguendo la strada che s’ avvia verso la collinetta, oltrepasso una piazzetta molto carina con negozi ed una bella fontana, e poi un’ altra graziosissima porta, Bab Moulay Ismail. Vengo attirato da una bella costruzione non appena la oltrepasso. Mi soffermo qualche istante, controllo la mia mappa: non riporta nulla. Mi sorgon dubbi, possibile non sia celato nulla di importante dietro questa facciata?
Accanto all’ ingresso un gruppo di persone ascolta le parole di una guida locale. Mi avvicino e domando quale edificio si nasconda dietro questo splendido portale. ‘Mausolèe Moulay Ismail’. Wow…che bella figura mi faccio…e dire che la mappa lo sistemava in altro luogo ( o meglio, come spesso accade son io che lo ‘ pongo’ in altro luogo…). La visita è totalmente gratuita, e oltrepassato l’ ingresso si celano alla mia vista numerose stanze e cortili che portano al cuore dell’ edificio, laddove è custodita la tomba del sultano che nel XVII secolo fece di Meknes la sua capitale. Abbiamo la possibilità, io e a tutti gli ‘infedeli’, di varcare le porte del santuario in cui sono custodite le sue spoglie. Accedo ad una piccola stanza, bellissima, silenziosa, da dove ammiro la tomba del sultano. La stanza dove le spoglie sono conservate è però inaccessibile ai non musulmani e mi limito quindi ad ammirarne la grandezza e maestosità. Frotte di turisti, spesso incuranti del silenzio del luogo, entrano ed escono dalla stanza. Ancora qualche minuto e decido di uscire nel piccolo cortile, all’ aria aperta, onde evitare di rimaner schiacciato dai mille anzianotti giapponesi muniti di macchine fotografiche grandi come bazooka.
M’ avvio lungo la stradina in salita e poco dopo sono nel luogo cui andavo alla ricerca nella mattinata. Non si tratta di un palazzo sontuoso e neppure di una bella piazza o monumento: è semplicemente una lunga strada, che separa con le sue alte mura il Palazzo Reale da una parte e dall’ altra la medina. Non riesco a spiegare il motivo per cui sono attratto da questa strada: non ne ho la più pallida idea. Ma quando avevo visto qualche foto su internet, le immagini su google earth, d’ improvviso me ne sono innamorato. In mattinata andavo alla ricerca di questa strada, Rue Palais è il suo nome, salvo poi perdere la bussola. M’ affascina, mi regala strane sensazioni, sogni particolari facendo volare la mia fantasia. E dire che non ha nulla di particolare, se non chè e costeggiata per tutti i suoi 900 metri da alte mura. Passeggio felice come una Pasqua, mentre ogni tanto scorre al mio fianco qualche autovettura anni ’50. Al fondo della strada, svoltando l’ angolo, ecco la sorpresa: davanti a me l’ ingresso del Palazzo Reale. Mi assale un dubbio: questa non è la famosa piazza che proprio questa mattina, dopo averne ammirato per brevi istanti la bellezza, ho desistito dal visitarla per proseguire nel mio ‘lungo cammino’? Già…è proprio questa… Cavolo, se solo avessi dato un occhiata, una sbirciatina, mi sarei accorto che l’ oggetto della mia ricerca era dietro l’ angolo, anzichè camminare per due ore camminando per oltre sei chilometri. M’ arrabbio qualche secondo, ma alla fine sono felice ugualmente, ho scoperto molti angoli della città sconosciuti, ne ho ‘assaggiato’ la periferia, la vita reale della città e della sua gente. I miei piedi iniziano ad implorare pietà, ma niente e nulla posson fermare la mia sete di vedere, scoprire, conoscere. Oltrepasso il Palazzo Reale, proseguo lungo rue Maarakate Lahri, una graziosa strada con da una parte le mura del Palazzo e dall’ altra dei graziosi giardini verdi. Dopo qualche indecisione su quale strada prendere, ( un giovane viene in mio aiuto quando nota il mio sguardo sperso ), oltrepasso il camping ormai in rovina e appare ai miei occhi il Bassin Souani! Roba da non credere, per caso sono arrivato fin qui! La guida riportava che era molto distante dal centro città, mentre io non me ne sono quasi accorto di quanta strada ho fatto! Il bacino di Agdal è un enorme lago alimentato da un complesso sistema di canali lungo 25 chilometri che serviva sia come riserva d’ acqua per irrigare i giardini reali sia come luogo di ricreazione del sultano. C’ è tantissima gente, tantissimi giovani! Lungo il perimetro del bacino vi sono moltissimi ragazzi che siedono all’ ombra degli alberi a parlottare e scherzare. Mammamia quanti ragazzi…a volte mi sento sotto osservazione, la maggior parte di essi mi ‘scansiona’ non appena passo accanto a loro. Ma è semplice curiosità, credo non siano molti i giovani ‘occidentali’ che s’ affacciano alla Meknes di oggi. In questa città giungono soprattutto turisti con viaggi organizzati, scendono dal bus davanti a Bab el-Mansour, scattano qualche foto e ripartono. Contenti loro…
Passeggio tranquillo, la giornata sta volgendo al termine. Il sole riscalda lievemente la mia pelle. Vorrei sedermi e gustarmi questi istanti, ma non penso sia il caso e proseguo fino al lato opposto dove chiedo informazioni. Ma per tornare a Bab el-Mansour devo rifare la stessa strada appena percorsa, vale a dire altri due-tre chiloemetri ( se continuavo diritto, tornavo sulla strada del pomeriggio ed in poco sarei stato a el-Hedim…pazienza! ). Scatto qualche foto, ammiro questo bellissimo luogo divenuto punto d’ incontro di giovani e meno giovani, dove discorrere, conoscersi, innamorarsi. Ripercorro la stradina che affianca le sponde del lago, passando davanti ad una curiosa statua di Giacometti ( quali belle opere importiamo nel mondo…) e poi lentamente, a passi brevi, torno lungo quella strada che senza sapere per quale motivo, m’ affascina. Arrivato in place el-Hedim vorrei scattare qualche foto a Bab el-Mansour, ma è impossibile visto la mole di persone ed il continuo ed incessante traffico. Dato che ormai il sole è calato e la sera sta avvolgendo la città, decido di cenare, sono abbastanza affamato. Solito ristorantino, solito tavolo davanti alla grande vetrata che mi permette di osservare la gente che passa, la solita tivvù abbonata al canale di Al-Jazzera che trasmette le solite notizie provenienti dalla Libia. Mangio in pochi istanti l’ ottimo tajine a la viande, sconfiggendo finalmente la fame che s’ era impossessata di me. Torno in Place el-Hedim ed ho la fortuna di godermi il tramonto su Meknes, questo bellissimo sole rosso fuoco che scompare dietro la medina, lasciando spazio al buio della notte che lentamente avvolge la città e che ora risplende di mille luci. Place el-Hedim è meno affollata rispetto a qualche ora prima, le persone lentamente tornano alle loro abitazioni per la cena. Varco le mura spingendomi nuovamente nel cuore della città imperiale, ripercorrendo un altra volta, l’ ultima di questo viaggio, quella bellissima strada che tanto mi ha colpito. M’ imbatto in pochissime persone lungo la via, un vento gelido s’ infrange sul mio viso, sulla mia pelle. La luce arancio dei lampioni s’ intona con il color delle alte mura, regalandomi momenti di incredibile serenità, avvolto da un atmosfera magica ed unica. Ma questo venticello…maronna che freddo!
Quella parte di Meknès racchiusa tra le mura che vanno dalla deliziosa porta a fianco il Mausoleo di Maoulay Ismail e il palazzo Reale è di una bellezza unica e rara. Silenzio, luci, ombre…un gioco di sensazioni e colori che mi prende e mi regala tanta pace interiore. Passerei ore a passeggiare in queste viette silenziose e buie dove riecheggiano soltanto i miei passi nel buio della sera..ma ho freddo, nonostante sia adeguatamente vestito. Al limite del congelamente torno in camera, per un meritatissimo riposo. E’ stata una giornata lunghissima: ore e ore di cammino sotto un sole caldissimo, chilometri e chilometri di strada percorsi. E poi, cosa non indifferente, questa escursione termica che m’ uccide!
Il giorno seguente, vale a dire sabato 5 marzo, m’ alzo come di consueto molto presto. Verso le ore otto, dopo aver preparato i miei bagagli, scendo alla reception dove lascio in custodia il mio zaino alla gentilissima signora che gestisce l’ hotel. Suppongo, vista l’ ora, che la città sia ancora dormiente. Ed infatti, una volta giunto in place el-Hedim, poche anime passeggiano senza apparente meta, confusamente. Finalmente riesco a fotografare come si deve Bab el-Mansour! Velocemente riprendo il passo, questa mattina farò una gita nelle vicine città di Moulay Idriss e Volubilis. Raggiungo l’ Institut Francais ubicato dall’ altra parte della città, nella ville nouvelle. In pochi istanti percorro il chilometro di strada che mi separa dalla scuola francese, mentre dall’ alto della ville nouvelle osservo lo skyline della vecchia città imperiale. Poco oltre l’ Istitute Francais, in una stradina laterale, diverse Mercedes anni cinquanta sono parcheggiate in sosta. Ecco, sono arrivato: questi carrozzoni mi porteranno dritto dritto a Moulay Idriss. Contatto la prima persona in cui m’ imbatto e costui mi fa cenno di salire sull’ auto con loro. Ma loro chi? Fidarsi? Eccome!
Prendo posizione sui sedili posteriori e poi, uno dopo l’ altro, siedono altre tre persone. E davanti un’ altra, più il conducente ovviamente! Facendo la conta, siamo in sei, quattro dietro e due davanti. Mi sento una sardina! Pochi secondi di attesa e l’ autista mette in moto l’ auto storica, prei-storica. Il motore romba come se dovesse esplodere da un momento all’ altro e affrontiamo la lunga discesa nella periferia della città. Trascorro qualche minuto in preghiera: il buon dio voglia che i freni funzionino, visto che la Mercedes ha ‘solo’ 517 mila chilometri’…Le mia preghiera viene esaudita ed in poco siamo fuori dal centro urbano, immersi nel verde della campagna. Paesaggi bellissimi si sovrappongono uno all’ altro. Colline verdissime, mi pare di essere nelle Langhe! Mezz’ ora di viaggio ed arriviamo a Moulay Idriss, adagiata in una valle tra montagne verdeggianti, è una delle mete di pellegrinaggio più importanti di tutto il paese. Prende il nome da Moulay Idriss, il santo più venerato del Marocco, pronipote del profeta Maometto e fondatore della prima dinastia reale del paese. La sua tomba si trova infatti nel cuore della città ed è il fulcro del più grande moussem del paese. Questa è una città santa e fino alla metà del XX secolo rimase chusa ai non musulmani. Nella piazzetta del paese moltissime auto e bus sono in sosta, altre partono e arrivano, in una totale confusione. Saluto la compagnia di sessantenni che erano con me in auto e m’ avvio lungo la stradina che porta alla piazzetta Mohammed VI, il cuore della città. Oggi si tiene un piccolo mercato ma essendo ancora presto è poco affollato. Sono in perfetto orario, e tranquillamente mi concedo la colazione nel dehors di un caffè a pochi passi dal Mausoleo di Moulay Idriss. Dopo un buon thè caldo alla menta sono pronto ad andare alla conquista della piccola città! Inizio col dare un occhiata al Mausoleo fin dove i ‘profani’ possono accedere. Infatti, una corda posta pochi metri prima di accedere al cortile, m’ impedisce di proseguire e non mi resta altro che osservare l’ ingresso del mausoleo di cosi grande importanza per i musulmani. Infatti il mausoleo è oggetto di venerazione e meta del più grande moussem del paese, che si rinnova ogni anno nel mese di agosto. Si tratta di un pellegrinaggio molto importante cui prendono parte moltissime persone, compresa la famiglia reale, ed è accompagnato da mercati e musica. Da queste parti si dice che cinque pellegrinaggi a Moulay Idriss durante i moussem equivalgano a un hajj alla Mecca. Ritorno in Place Mohammed VI per poi svoltare lungo la stradina che si snoda lungo la montagna. Seguendo le istruzioni della mia LP in poco dovrei arrivare alla terrazza panoramica da cui si può godere di una vista spettacolare sulla cittàdina. Ma non tutto è cosi semplice, Moulay Idriss è un labirinto di vie e viuzze, dove perdersi è assai facile. Arrivato quasi in cima alla collina imbocco la stradina acciottolata alla mia destra e salendo noto l’ unico minareto cilindrico del Marocco, costruito nel 1939. A questo punto sono indeciso: stradina a destra o a sinistra? Onde evitare errori torno sui miei passi e domando delucidazioni a persone del posto. Uno non sa, l’ altro fa finta di nulla…ma poi finalmente un signore m’ indica la direzione esatta da seguire. Nel dedaloMoulay Idriss di questi vicoli stretti vado alla ricerca della ‘petite’ e della ‘grande’ terrasse. Un signore che discorre con amici nota la mia aria spersa e con la mano mi fa cenno di prendere la stradina che si dirama alla mia sinistra. Pochi metri ancora ed un ragazzino mi s’ avvicina seguendomi. Gentilmente dico di non aver bisogno, che so perfettamente dove sto andando (si come no…) ma quando mi vedo perso come in un labirinto, acconsento a farmi accompagnare alla grande terrasse. E’ poco distante, ma a trovarla…Arrivato alla ‘terrazza’ panoramica dono alla mia piccola guida una moneta, ma lui rifiuta. Sono incredulo: pensavo mi avesse accompagnato per guadagnare qualche soldino, invece no, vedendomi in difficoltà mi è venuto in aiuto. O probabilmente mosso dalla curiosità dato che turisti da queste parti non se ne vedono molti. Ma non importa il motivo, io insisto: dopo qualche rimostranza allunga la mano e tutto felice mi saluta allontanandosi. La ‘grande’ terrasse non è altro che un passaggio stretto senza via d’ uscita dove si apre una vista spettacolare sulla collina dove sorge il mausoleo. Che bello!!! Rimango molto ad osservare questa collinetta, cercando con la mia macchina fotografica di catturare ogni piccolo dettaglio. Qual vista che si gode dalle finestre di queste casette… Poco dopo giungono due turisti inglesi accompagnati da una guida locale, e dopo aver scambiato qualche parola, ripartono velocemente verso la città bassa. Un signore di mezza età, dal giardino sottostante la terrasse, si offre di scattarmi qualche foto dopo aver notato le difficoltà a scattare una foto di me con il panorama a sfondo. Gentile! Riparto contento come una pasqua, anche Moulay Idriss è conquistata! Raggiungo ora la petite terrasse, poco distante dalla ‘sorella maggiore’. Il signore che poco prima m’ aveva indicato la via, mi vede nuovamente dubbioso. Sorridendo, mi accenna con la mano la direzione per la petite terrasse, una stradina che va ad incrociarsi con un vicolo che scende a valle. La vista sulla collinetta dove sorge il mausoleo è ugualmente magifica, e questa volta con il cavalletto riesco a scattare qualche foto decente. Un bambinetto, sgranando i suoi occhioni, si sofferma ad osservare quest’ oggetto cosi strano che ferma il tempo in un istantanea, immobilizzandolo. Sorrido, mi fa tenerezza. Sono sicuro che la sua vita è migliore, sotto certi aspetti, della mia che ho quest’ oggetto, che ho tutto, e che molto spesso mi pongo mille problemi inesistenti. Lui vive spensierato, lui vive la vita. Riparto velocemente, scendo la collinetta e raggiungo place Mohammed VI dove acquisto due croissant ed una bottiglietta d’ acqua. La prossima tappa è distante tre-quattro chilomenti di Moulay Idriss, si tratta di Volubilis, l’ antica città romana. La giornata è splendida, un bel sole caldo risplende alto nel cielo, e cosa vi è di meglio di una bella passeggiata? M’ avvio lungo la strada e dopo numerosi tornanti ed una lunga discesa, sono finalmente alla grande rotonda dove si diramano due strade, una porta a Meknès, e l’ altra a Volubilis. Passeggio tranquillo, sereno, allegro. Le auto sfrecciano al mio fianco, veloci. La strada costeggia le collina lasciando intravedere panorami suggestivi sulla valle sottostante, sull’ antica città romana, e volgendomi, alla città di Moulay Idriss, sempre più distante, lassù nel cielo. Una mezz’ ora di passeggiata e sono alle porte di Volubilis. Acquisto cartoline e francobolli in una posta improvvisata e m’ avvio alla scoperta di questo gioiello che la storia ha saputo regalarci. Alcune persone si offrono di farmi da guida lungo le rovine, ma declino gentilmente l’ offerta. Supero il fiumiciattolo e dopo essermi arrampicato lungo la collina su cui sorgono le rovine raggiungo la casa di Orfeo. Mi siedo qualche istante leggendo le informazioni e la storia di questa città romana, prima di scambiare qualche chiacchera con un gruppo di italiani.
Le rovine della città sorgono ain mezzo ad un terreno fertile a 33 km da Meknès. Senz’ altro è il sito archeologico meglio conservato del Marocco e nel 1997 è stato dichiarato dall’ UNESCO Patrimonio dell’ Umanità. La citta fu fondata nel III secolo a.C. da mercanti cartaginesi, ed intorno al 40 d.C. Volubilis entrò a far parte dell’ Impero Romano. Con il terremoto di Lisbona del 1755 la città cadde in rovina, e solo gli scavi degli ultimi anni hanno portato alla luce una parte delle rovine. Come detto, superato lo Oued Fertassa ( fiumiciattolo ), il sentiero corre lungo il crinale e attraversa il quartiere residenziale, la zona meno interessante dell’ intero sito. Davanti alla mia vista, ora, il campidoglio, la basilica ed il foro. Il campidoglio, dedicato alla Triade di Giove, Giunone e Minerva, risale al 218; la basilica e il foro si trovano pochi passi più a nord invece. Sulle colonne della basilica sono sormontate da nidi di cicogne, essendo questo tempo di nidificazione. Proseguo la passeggiata fino all’ arco di Trionfo, in marmo, che fu costruito nel 217 d.C. in onore dell’ imperatore Caracalle e di sua madre, Giulia Domna. L’ arco, che in origine era sormontato da un carro bronzeo, fu ricostruito negli anni ’30 e poi modificato negli anni ’60 per correggere gli errori. Da qui, la strada cerimoniale, il Decumanus Maximus, che risale il pendio in direzione nord-est. Ammiro nelle case che fiancheggiano la via alcuni tra i più bei mosaici dell’ intero sito. Non mi dilungo in spiegazioni dettagliate, ma sicuramente la fatica per raggiungere Volubilis è stata ampiamente ripagata. Giungo al fondo del Decumanus Maximus e mi soffermo qualche minuto ad osservare la città da questa posizione sopraelevata rispetto all’ arco di Trionfo. Volubilis doveva essere davvero molto grande, molto estesa, e soprattutto doveva essere davvero una splendida città. Ripercorro la via cerimoniale, questa volta però andando alla ricerca delle abitazioni dove si celano i mosaici più belli. Alcuni di essi, come quello di Bacco e Arianna, sono davvero magifici. Oltrepassato nuovamente l’ Arco, il foro e il campidoglio, mi trovo ora nella zona dove sorgevano i bagni. Alcune stanze erano adibite a sauna grazie ad un complesso sistema dove l’ acqua calda veniva incanalata e riscaldata. Un opera d’ ingegno senza eguali per il tempo.
La mia visita alle rovine, durata un paio di ore, può dirsi conclusa. Sono molto soddisfatto, Volubilis ed i suoi mosaici sono un sito da non perdere assolutamente se si visitano le terre del Marocco.
Mi trattengo ancora qualche istante a gironzolare a caso tra le rovine e dopo aver spedito le cartoline in una buca delle lettere costruita con mezzi di fortuna ( arriveranno? Si ! ), abbandono Volubilis. Ora come raggiungere Meknes? Sul piazzale di fronte all’ ingresso alcuni bus e taxi sono fermi in sosta.
Chiedo all’ unico tassista presente e mi sento sparare una cifra sproposita per raggiungere la città imperiale: d’ accordo sono un turista, d’ accordo sono italiano, ma scemo non lo sono. Ringrazio e saluto, e a piedi m’ avvio lungo la strada. Pochi passi ed il tassista mi affianca con la sua auto. Tenta a questo punto una seconda mossa:Volubilis per una piccola cifra è disposto a trasportare la mia anima fino a Moulay Idriss. Bene, cosi si inizia a ragionare vecchio mio! Dalla piccola cittadina troverò facilmente un passaggio per Meknes. Pochi minuti di viaggio e sono nuovamente in place Mohammed VI e tra i mille taxi parcheggiati noto un bus tutto scassato con alcune persone al suo interno. Raggiungo velocemente il mezzo domandando dove sia diretto. ‘Meknes!’ Ottimo, sono a cavallo! Già…peccato che il bus partirà solo dopo che tutti i posti a sedere vengano occupati…e cosi rimango ad aspettare un ora prima che ogni centimetro quadrato del mezzo sia pieno. Osservo la vita semplice di queste persone scorrere dal grande finestrino del bus mentre attendo impaziente la partenza. Quanta povertà in quest’ angolo di mondo…
Finalmente il mezzo anteguerra s’ avvia lungo la grande discesa. Solite preghiere per far si che i freni non cedano improvvisamente…
Il viaggio è lungo, la velocità di crociera è all’ incirca di 25km\h e sostiamo molte volte lungo la strada, prima di affrontare la lunga salita che porta all’ Institute Francais di Meknes. C’è la farà? Io ne dubito, ma il mezzo contraddice le mie convinzioni e seppur a velocità di mulo porta a termine la corsa. Ormai è mezzogiorno passato e la fame inizia a farsi sentire. A piedi riattraverso la città e raggiungo il solito ristorantino nel cuore della old town, dove consumo un pasto caldo necessario per rimettere in sesto le mie forze. Scambio con il proprietario valuta locale ( le banche sono chiuse ), in quanto sono a corto di denaro contante. E da questa parti, l’ euro fa gola a molti…Ritorno al mio albergo ed una volta preso possesso dello zaino sono pronto a ripartire. Saluto gentilmente la proprietaria e nuovamente a piedi raggiungo la stazione ferroviaria. Altri chilometri macinati sotto il sole, con i miei dieci kg sulle spalle di bagaglio. La stazione dei treni non è lontanissima dal mio albergo ( si fa per dire, due chilometri non sono pochi…) ed è ubicata nella ville nouvelle. E’ una costruzione piccola ed è in una posizione nascosta rispetto alla strada principale. Arrivato a destinazione sono sudatissimo ma soprattutto molto stanco. Acquisto il biglietto per Fès ma il convoglio per la città del nord non partirà prima delle 17.29. E siccome sono appena le ore 16, devo attendere più di un’ ora senza sapere come riempire il tempo.
Ma la fortuna mi viene incontro: a fianco la biglietteria vi è un bar dove poso il mio sedere stanco, mentre sorseggio un buon thè caldo. Il tempo pare non passare, i minuti sono eternità. Il treno arriva in perfetto orario, altro che Italia perbacco! Mi accovaccio sui grandi sedili accanto al finestrino dove osservo queste vallate verdissime del nord del Marocco. Il viaggio dura meno di un’ ora ed arrivo alla stazione centrale di Fès intorno alle sette meno un quarto. Il buio è calato sull’ ex capitale imperiale ed una leggera pioggerella m’ accoglie all’ arrivo. La stazione ferroviaria di Fès è una costruzione nuovissima e molto bella. Quando varco l’ uscita mi trovo davanti ad un grande parcheggio. Cosa fare? Dove andare? Secondo la mia LP vi è un bus che fa la spola tra la stazione dei treni e la medina. Ma dove sostano i bus? M’ avvio lungo la strada, sotto questa pioggia fastidiosa. Cammina e cammina, ma della stazione dei bus neanche l’ ombra. Man mano che proseguo la passeggiata, la strada è sempre più oscura e l’ insicurezza mi coglie lentamente. Mi sorge un dubbio: accanto alla stazione ferroviaria vi è uno spiazzo piuttosto esteso e malandato dove moltissime persone sono in attesa di non so cosa. Sarà quella la stazione? Ovvero un campo di patate? Già…
Abbandono l’ idea di aspettare il bus sotto la pioggia, non ne ho la voglia. Contatto l’ autista di un petitè taxi che però mi rimbalza ad un losco tizio poco distante. Senza farla troppo lunga, questo coglioncello ride per la somma che sono disposto ad offrir lui per trasportare la mia anima alle mura, ed io rido di lui perchè con quei soldi vivrà per una settimana. Coglione. Ma pazienza…La medina dista dalla stazione ferroviaria un paio di chilometri ed in poco tempo siamo lungo le mura della città vecchia. Quando scendo dal taxi, sono come sperso in mezzo al deserto. Dove andare, quale direzione prendere? Non capisco dove sia nascosta Bab Bou Jeloud, la porta principale d’ ingresso alla medina di Fès. Cammino prestando attenzione a tutto e tutti, quasi impaurito. Dopo una decina di minuti a vagare nel nulla, scorgo poco distante Bab Bou Jeloud. Mi sento più leggero, più tranquillo, come se mi fossi tolto un peso dallo stomaco. Ed invece, non appena faccio il mio trionfale ingresso nella medina, sono preso d’ assalto dai soliti rompiscatole, le cosiddette ‘faux guides’ ovvero le false guide. Persone che si offrono di trovare sistemazione per la notte, di fare da guida alle bellezze della città, ma che non hanno nessun titolo per poterlo fare, cercando unicamente di spillare soldi ad ignari turisti. Io proseguo il cammino senza dar loro corda, altrimenti mi si sarebbero appiccicati addosso come l’ attack. Il vicolo che seguo è Talaa Kebira, la strada dove sorgono i due hotel recensiti dalla LP. Sono sulla giusta via, che sospiro di sollievo! Il primo albergo è proprio a due passi da Bab Bou Jeloud, ma non appena m’ avvicino all’ ingresso un uomo mi si rivolge in malo modo, risultando molto scortese. Senza tanti rigiri di parole, sostiene che l’ albergo è al completo. Gli spedisco un paio di complimenti in lingua italiana e riprendo il cammino, pochi metri ancora ed ecco l’ altro albergo. Nel frattempo un ragazzino continua a seguirmi, a parlarmi, a rompermi le p***e. Io faccio finta di nulla, ripeto mille volte ‘ no merci, no merci’. Ma lui imperterrito continua a seguirmi. Sono finalmente davanti al secondo albergo: doccia fredda, il ragazzo all’ ingresso mi dice che è al completo. Possibile? Che sia possibile o no, poco importa. A questo punto s’ avvicina nuovamente questo giovane, che m’ ha seguito dalla porta della medina fin qui. Inizio a stizzirmi, ad arrabbiarmi e non sottovoce. Ma il ragazzo dell’ albergo, rivolgendosi a me, dice di seguire questo ragazzino, di fidarmi di lui. Ne ho letteralmente i coglioni pieni. Questi trucchetti non mi piacciono, li detesto. Sono turista ma non un cretino, non arrivo dalla montagna. Non ho nessuna intenzione di cedere al loro gioco, di inginocchiarmi al loro volere. E’ una questione di principio, mi girano le scatole farmi prendere per il culo da quattro stronzetti. Ma è buio, non ho la più pallida idea di dove sono, di come è strutturata la città, di come sia la medina, se vi siano altri hotel nei pressi. Trattengo il respiro, bestemmio sotto voce un paio di minuti e poi non mi resta che piegarmi. Non posso fare altrimenti, ahimè. Il giovane ragazzo mi fa cenno di seguirlo, ed iniziamo a percorrere Talaa Kebira per duecento metri per poi svoltare in una serie di vicoli e vicoletti strettissimi e bui, fino ad arrivare ad una porta. Il ragazzo suona al campanello e sopraggiunge ad aprirci un signore sulla cinquantina. ‘La sua disponibilità?’ Quando mi pongono questa domanda vorrei insultare entrambi, ma mi trattengo, non ho altra scelta. La prima stanza che mi viene fatta vedere è effettivamente bella, ma il prezzo è troppo esoso. I due si consultano e mi viene fatta vedere una seconda stanza, al piano terra, decisamente più piccola ma ugualmente carina e pulita. Bene, questa va bene. Iniziano a giochicchiare stupidamente sul prezzo, prima mi viene detta una cifra poi un altra e poi un altra ancora. Sono incazzato nero, sparo la cifra massima che sono disposto a spendere e a quel punto abbandonano la loro idea di spellarmi onde evitare di perdere un cliente. Poso lo zaino sul letto e seguo i due c*****i fin al terrazzo. Il progettista della casa è un genio, in pochi centimetri ha creato una scala che è più ripida dell’ Everest. Seduti al tavolo del terrazzo, all’ aria fresca della serata, il padrone della casa m’ offre un thè caldo, che bevo piacevolmente.
Il giovane ragazzo, la sanguisuga, inizia a parlare parlare parlare.. fin a farsi un po troppo i cazzi altrui. ‘Da dove vieni, con chi sei, quanti siete, dove stanno i tuoi amici’…rispondo di non esser solo, e che i miei amici m’ aspettano nella ville nouvelle fra poche ore. Mi domanda se voglio droga, se ho bisogno di tappeti…ma insomma..
– ‘ secondo te i tappeti come me li porto in Italia se non ho un posto dove metterli sull’ aereo?’
– ‘ Ma vai tranquilo ragazo mio, sull’ aereo tu portare, io sicuro, nesun problema!’
Mi prende per scemo, come se fossi uno di quei turisti giapponesi che non capiscono un cavolo di quello che gli si dice, ma che rispondono sempre si si si!
– ‘ Vuoi canone? Buono canone qui, italiani dire otimo fumo ‘
– ‘ Grazie, non fumo, detesto le sigarette ‘
– ‘ Tu puoi portare Italia, vendere ai tuoi amici e fare soldi ‘
Respiro e con molta calma spiego lui che, prima cosa non mi interessa, e seconda cosa che una volta in aeroporto m’ avrebbero beccato in meno di tre secondi, vuoi perchè son sfigato, vuoi perchè la polizia aspetta i turisti stupidi al varco.
– ‘ Ma no, tu portare tranquilo in Italia, asicuro io, amici miei portare in Italia molto fumo buono a poco prezo, davero, asicuro io. Nesun controlo, tu metere in borsa e gioco fato’
Mi domando: ho scritto sulla fronte ‘coglione? Campagna? Rincoglionito? Lascio perdere, non ho neanche più la voglia di spiegar lui che non arrivo dalla luna e non sono neanche un indios, e quindi annuisco ringraziandolo della proposta ma che sono costretto a rinunciare alla sua proposta. Sono stanco morto, la giornata è stata lunghissima, sono a pezzi. Lo saluto e torno in camera, dove fa un freddo cane ( ma non è una novità ) e dove dopo aver scritto il mio diario di viaggio, vado a dormire. Senza cena. L’ idea di uscire di casa, vagare nella medina perdendomi nel buio, essere assalito da altre faux guides, mi fa passare la fame.
Il giorno seguente, l’ ultimo del mio lungo viaggio in terra di Marocco, ha inizio presto, molto presto. Alle sei sono sveglio, ma cozzo nel letto ancora per qualche ora. Preparo i bagagli e salgo in terrazza a chiedere se per caso e soprattutto per gentilezza, possono custodire il mio zaino per qualche ora.
– ‘ Certo …20 Dh…’ .
Avessi avuto tra le mani un martello li avrei fracassato il cervello. Ma lascio perdere, e lasciato in custodia il mio zainoi posso finalmente partire alla scoperta di Fès. Talaa Kebira ( grande pendio ) è una delle due strade che si inoltrano nel cuore della medina. L’ altra ,che volta a destra di Bab Bou Jeloud, è Talaa Seghira ( piccolo pendio ). Entrambe convergono nei pressi di Place an-Nejjarine, proseguendo poi fino alla Moschea Kairaouine. Mappa in mano, passeggio tranquillo lungo Talaa Kebira, senza che nessuno mi infastidisca come la sera precedente. Sono decisamente più rilassato, passeggio tranquillo osservando ogni tipo di cianfrusaglia messa in vendita nelle piccole e anguste botteghe. Ho notato in questi giorni che il Marocco vanta un primato forse ineguagliabile: sono i re del tarocco. Nike, Adidas, Ralph Lauren…di tutto e di più, perfconcerie di Fesettamente imitato.
Vicoli e vicoletti, affollati e deserti, e come per magia e soprattutto per fortuna, arrivo in place an-Nejjarine, una graziosa piazzetta nel cuore della medina. E’ un angolo molto bello di Fès, completamente diverso da queste vie di tarocchi e falsi. Qui si lavora l’ ottone, diverse botteghe trovano spazio in piccoli locali. Resto meravigliato quando all’ imporvviso di Talaa Seghira mi si apre questo spazio, questa piazzetta, su cui si affacciano la moschea Kairaouine e l’ università, ovvero la moschea più grande d’ Africa e l’ università più antica del mondo. L’ accesso alla moschea è vietato agli ‘infedeli’ e non mi rimane che osservare la grande porta che ne da accesso. Mi soffermo qualche istante, il sole è molto caldo già alle prime ore del mattino. Riprendo il passo, la mia intenzione è raggiungere le concerie. Da questa piazzetta si diramano quattro stradine, strette ed affollate. All’ apparenza non sembra difficile scorgere quella che mi porterà in una delle realtà più emblematiche della città. Il problema è che tutte queste stradine, tutti questi vicoli, non hanno nome e riuscire a capire dove ci si trova è impresa assai difficile. I marocchini conoscono ad occhi chiusi ogni angolo di Fès, ogni centimetro quadrato, ma per noi turisti, addentrarsi nella medina senza perdere la bussola è impresa impossibile. Ed è cosi anche per me. M’ avvio lungo il vicolo che costeggia l’ università, giro e rigiro mille altri vicoletti per poi giungere al piccolo ponte sul fiumiciattolo che attraversa la medina. Questo è buon segno: le concerie sorgono nei pressi del fiume, e di ponti nella medina ve ne sono solo un paio nei pressi di place an-Nejjarine. Ma ancora una volta la medina mi frega inesorabilmente. Perdo la bussola, osservo la mappa della LP e mi pare d’ essere nel punto giusto ed invece no, non è cosi. Rimango paralizzato, non so dove andare e se pochi istanti prima pensavo di essere sulla giusta via, ora le mie certezze crollano di colpo, svaniscono. Dove sono? Fortuna vuole che ricordo bene la strada per tornare in place an-Nejjarine ed una volta in mezzo alle pentole di ottone, osservo attentamente la mappa. Riparto più fiducioso, ma gira a destra gira a sinistra, e sono al punto di partenza, nuovamente in place an-Nejjarine. Non male! Riparto, seguo qualche turista nella speranza che siano diretti alle concerie, ma nulla. Fin quando domando ad un negoziante che mi affida alle sorti di un ragazzino. Non posso fare altrimenti, ma questa volta, a differenza della sera prima, sono io che domando aiuto. In meno di dieci minuti, seguendo il ragazzo che a passo veloce svolta prima a destra, poi a sinistra, poi di qua e poi di là, arriviamo in Derb Lahbiyel, una stradina che finisce in un grande parcheggio al fianco del fiume. Se devo essere onesto, da solo non sarei mai arrivato fino alle concerie. Arriviamo alla porta di un palazzo dove il ragazzino mi lascia in consegna ad un signore di mezza età che dopo avermi calorosamente accolto mi accompagna, dopo molte scalini, alla terrazza panoramica. Giunto in vetta, ho davanti a me lo spettacolo ( triste, tristissimo ) delle concerie. La lavorazione e colorazione ( ed anche le condizioni dei lavoratori ) delle pelli non è cambiata minimamente rispetto al Medioevo; il terreno argilloso, deteriorato dai secoli, è cosparso di innumerevoli vasche che contengono acqua e tinta di colore. A volte è un rosso intenso o un giallo, o blu, etc. Le vasche non sono coperte e, pertanto, gli uomini lavorano tutto il giorno sotto il sole cocente. Una volta tinte, le pelli sono messe a seccare sulle terrazze o stese al suolo sopra una strato di paglia. La zona, caratterizzata da un odore nauseabondo, nasconde l’inizio della catena di produzione di sandali, cinture, giacche, borse e portafogli. L’ odore è a tratti insopportabile e a tanti turisti viene data una foglia di menta da tenere sotto le narici. Ma preferisco evitare questo spettacolino banale, squallido. Osservo, silenzioso. E rifletto. Rifletto su come sia la vita per alcune persone. Una vita difficile che porta alla morte in giovane età. Ragazzi che incuranti della loro salute lavorano in queste vasche piene di solventi, immersi fino alle ginocchia in coloranti e sostanze nocive. Per cosa? Per mangiare, per portare un pezzo di pane sulle tavole dei figli. Dal punto di vista turistico, è sicuramente una delle cose da vedere di Fès. Dal punto di vista umano, mi sento una merda, e la stessa società che ama definirsi civile dovrebbe sentirsi una merda. A fianco due ragazzine stupide si fotografano, come se fossero a teatro od in discoteca. Ridendo, scherzando, come se fossero al bar. Tristezza. Rimango una ventina di minuti ad osservare in silenzio, a cercare di capire questo mondo, dove sta andando. La voce di un uomo mi riporta alla realtà. Questo signore mi domanda se ho intenzione di proseguire la visita. Acconsento e dopo averlo seguito finisco in un grande outlet di scarpe, giubbini e borse in pelle. Faccio finta di essere interessato, vago in questo grande negozio e poi con la promessa di tornare il giorno seguente con mia madre, molto più esperta di me in quanto ad abbigliamento. Evito il prolungarsi della visita ed una volta all’ uscita ecco il ragazzino che m’ attende. Ripartiamo insieme e dopo aver donato lui una piccola moneta mi riaccompagna lungo la strada dove lo saluto non appena ricordo il tragitto per place an.Nejjarine. Giunto alla piazza ripercorro Talaa Seghira in direzione Bab Bou Jeloud dove palazzo reale di fesgiungo una ventina di minuti dopo.
Passeggiando lungo la stradina m’ assale un dubbio: ho posto attenzione a quale era il vicolo laterale per giungere al mio albergo? Risposta: no. Cavolo, come ho fatto a dimenticarmi? Ma la fortuna ancora una volta mi assiste, con me ho il biglietto da visita della ‘pensione’ che mi ero premunito di chiedere al titolare la sera precedente. Fuoriesco dalle mura della medina, da Bab Bou Jeloud, e davanti a me s’ apre Baghdad Square, una grande piazza desolata e circondata dalle mura fortificate, dove alcuni bimbi giocano a pallone, donne passeggiano tranquillamente e anziani che riposano all’ ombra delle ( poche ) piante. Oltre le mura, al di la della strada, sorge un bellismo parco, lontano miglia dalla confusione della medina. Mi riparo da questo sole caldissimo all’ ombra delle grandi piante mentre genitori con i loro pargoli vanno a passeggio. Una piccola oasi di tranquillità in questa Fès confusionaria.
Rimango lunghi istanti a ricaricare le mie batterie, a godere di quest’ ombra. Dopo una mezz’ oertta riparto, andando alla ricerca della grandiosa porta d’ oro del Palazzo Reale. M’ avvio lungo la strada che costeggia il parco per poi far nuovamente ingresso nella medina, immergendomi nuovamente nel suq caotico ed affollato di Fès.
Ma è un mercato diverso, non sono messe in vendita le solite cianfrusaglie inutili vendute nella maggior parte delle medina di qualsiasi città marocchina, ma è si tratta di un normale mercato locale, tipico. Domando qua e la nella speranza di essere sulla giusta strada, ed una volta oltrepassato il mercato ( 500 metri di bancarelle più vie adiacenti ), passeggio nella Mellah ( quartiere ebraico ) di Fès fino ad arrivare alla grande piazza dove sorge l’ immenso Palazzo Reale, il Dar el-Makhzen, uno straordinario esempio di restauro moderno. Peccato non sia aperto al pubblico, ma la sola vista dell’ ingresso lascia immaginare lo splendore e lo sfarzo degli interni. Ammiro, incredulo, gli imponenti portali in ottone, circondati da squisite zellij e particolari in legno di cedro intarsiato. Scatto mille fotografie, felice, mentre poco distante le guardie m’ osservano incuriosite. Riparto percorrendo la stessa strada dell’ andata, addentrandomi nella Mellah con le sue gioiellerie ( strano, ebrei ed oro… ) per poi passeggiare lungo il mercato fino ad arrivare nuovamente al grande parco che sorge accanto alla medina. Anzichè tornare lungo Talaa Seghira, costeggio le mura della medina fin a raggiungere un piccolo spiazzo dove vi sono dei bus in sosta. Giunto nei pressi di questi due mezzi anteguerra ( la prima s’ intende ) volgendo lo sguardo m’ accorgo che accanto sorge la stazione dei bus. Entro in questa costruzione anonima dove alcuni negozietti e caffè malandati trovano spazio. Inizio a domandare qua e la se vi sono mezzi che si dirigono all’ aeroporto, ma tutti sostengono che ‘nessun mezzo va all’ aeroporto, devo per forza avvalermi di un taxi’. Capisco racimolare qualche spicciolo, capisco aiutarsi uno con l’ altro…ma quando le persone son false, sono infastidito…
medersa di fes Pazienza, troverò il modo per raggiungere l’ aeroporto. Ritorno nelle mura dove poco distante da Bab Bou Jeloud sorge la medersa Bou Inaia. Pochi spiccioli e sono nuovamente pronto a godere di attimi di serenità e tranquillità. Questa medersa è considerata la più bella scuola coranica di Fès. Fu costruita dal sultano merenide Bou Inan tra il 1350 e il 1357 e pochi anni addietro è stato oggetto un importante opera di restauro che l’ ha portata all’ antico sfarzo. Mi siedo in silenzio osservando questo mondo di pace che mi circonda. Entrano nella medersa due giovani, che si lavano mille volte capo e mani prima di raggiungere la vicina moschea. Infatti, prima di pregare, il fedele deve compiere un rito di abluzione, sempre. Resto in disparte, seduto appoggiato al muro, quasi vergognoso di essere li, in quell’ istante. Vi sono persone che si dedicano alla preghiera, mentre io turista sono qui ad osservare un mondo che non è mio. Salgo al piano primo dove si celano le celle degli studenti e poi nuovamente nel piccolo cortile. Il tempo scorre via velocemente e dopo aver barattato con il guardiano qualche Dirham, mi lascio vincere dalla fame. Cerco un posto dove pranzare trovato prontamente nei pressi di Bab Bou Jeloud. Mi siedo nel piccolo dehors e affamato consumo il mio pranzo mentre osservo come i ragazzini tentano in tutti i modi di attirare gli stranieri a sedersi al tavolo. La mia vacanza in terra di Marocco sta volgendo al termine. Vado alla ricerca del mio albergo, sbaglio strada, proseguo, ma da Talaa Kebira un piccolo vicolo collega a Talaa Seghira ed in poco, grazie anche alle preziose informazioni della gente del posto, sono in fronte al mio albergo. Salgo alla terrazza dove il titolare m’ accoglie calorosamente offrendomi un buon thè caldo. La moglie è sta prepararando con molta attenzione grandi agnolotti mentre il bimbo gioca al computer. Siamo agli sgoccioli: devo ripartire velocemente. Saluto l’ allegra famigliola e con il mio zaino scendo le ripidissime scale facendo attenzione a non stramazzare al piano terra. Saluto Fès, saluto il Marocco. Fuori dalle mura arresto un petite taxi che, incredibilmente, ha acceso il tassametro: pazzesco! Dal piccolo finestrino di questa antica peugeot osservo malinconicamente Fès passare sotto il mio sguardo. In pochi minuti, sono nuovamente alla stazione ferroviaria della città: costo del viaggio, 10 Dh. E poi quel coglione di un tassista la sera precedente rideva dei 20 Dh che offrivo lui…s’ ammazzi! Sono sicuro, anzi sicurissimo, che un bus diretto all’ aeroporto esiste. E cosi attendo nel campo sconquassato che funge da stazione, l’ arrivo del 13. E in pochi istanti, ( che culo ) ecco arrivare il mezzo preistorico che porterà la mia anima all’ aeroporto della città per meno di 40 centesimi. Attraversiamo tutta Fès, i quartieri della ville nouvelle e poi i grandi quartieri residenziali, dove sorgono bellissime ville. Una dopo l’ altra, tantissime. Abbandonato il centro urbano, in piena campagna, centinaia e centinaia di marocchini sono distesi all’ ombra delle piante verdissime, giovani e famiglie, anziani e bambini. Pare un giorno di festa ( forse perchè me ne vado??? ), un giorno di relax e svago. Arrivo all’ aeroporto di Fes quando il sole sta calando, quando questa giornata sta lentamente volando via e con essa le mie vacanze, la mia permanenza in terra di Marocco. L’ aeroporto di Fes è piuttosto piccolo, ma di recente costruzione e ben strutturato. Ancora molte ore mi separano dall’ arrivo in madrepatria. La notte ai tavolini del bar è lunghissima, l’ attesa sembra non finire mai. Semidistrutto da tanta attesa, finalmente l’ aereo decolla da Fes intorno alle nove di mattina. Saluto il Marocco, saluto questa terra che ha saputo regalarmi tanto, tantissimo. Questa terra popolata da persone splendide, uomini donne e bambini che vivono una vita semplice ed onesta, sempre pronti ad aiutare gli altri e a dar loro consiglio. Grazie Marocco, mai ti scorderò!

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