Asia

Il sentiero del Buddha

di Marco Santamaria –
Ero arrivato in Cina curioso di capire quale sarebbe stato il filo conduttore del viaggio. Volevo sapere cos’era rimasto della Cina di Mao Zedong e come il popolo cinese vivesse le trasformazioni in atto nel paese.
Invece sono stato quasi subito conquistato dal Buddha. Si’, molti templi dedicati al culto del principe Sakyamuni hanno resistito alle devastazioni del periodo della Rivoluzione Culturale ed ora alcuni di essi sono beni culturali nazionali ed aperti al pubblico.

Bisogna recarsi al Palazzo dell’Armonia di Yang, un monastero lamaista situato in Yonghegong Dajie, a Pechino, per farsi conquistare dal misticismo di questa religione. Qui si puo’ vagare tra gli edifici del complesso in compagnia dei fedeli, attraversare la Porta dell’armonia oltre la quale si trova la statua sorridente del Buddha del Futuro e quelle dei Re Celesti che proteggono il tempio dalle persone impure. E poi avanti attraverso sale e corridoi, sempre in compagnia di fedeli preganti e di monaci che mi guardano con dolcezza e forse anche con un po’ di compassione per la mia condizione di ‘turista’. Avanti, fino alla stanza delle Mille Felicita’ dove si erge una statua del Buddha alta 26 metri. La magnificenza dell’immagine, la semplicita’ dei sacerdoti, il fervore dei fedeli: un’emozione troppo forte per non desiderare di proseguire il viaggio alla scoperta dei monasteri consacrati alla religione Buddhista.
E cosi’ arrivato a Xi’An cerco di accorciare i tempi della visita al grandioso esercito di terracotta dell’imperatore Qin Shihuang per vedere la Pagoda della Piccola Oca Selvatica fatta costruire dal pellegrino buddhista Yi Jing al suo ritorno dall’India.
E poi Hangzhou, per antonomasia la citta’ del grande lago e dei magnifici giardini, ma per me soprattutto la citta’ del Picco Venuto in Volo: una collina considerata un pezzo del monte Grdhrakuta arrivato in volo dall’India. Sono oltre 300 le statue e le iscrizioni disseminate nelle sue grotte. Qui incontro anche quella che rappresenta l’Illuminato con un gran pancione e in atteggiamento sorridente: e’ la piu’ amata e toccata da tutti perche’ considerata un portafortuna. Seguo i fedeli ed arrivo al Rifugio dell’Anima formato da 75 templi sparsi sulla collina, abitati da una comunita’ di monaci. Nel padiglione dei Grandi Eroi si erge una statua di legno di canfora, rappresentante il Buddha, alta oltre 33 metri; ma bisogna girargli intorno per trovare, sul retro, un gigantesco pantheon buddhista composto da una quantita’ di divinita’ multiformi e multicolori.
Da Hangzhou a Shanghai, passeggio per il Bund con i suoi palazzi cosi’ diversi da quelli del resto del paese: sembra di essere in una citta’ americana degli anni ’30. E poi, stordito, arrivo alla Nanjng Lu, cinque chilometri di strada costeggiati da negozi e grandi magazzini che si percorrono sospinti da una miriade brulicante di passanti. Ma Shanghai e’ la citta’ dei contrasti improvvisi, la citta’ dei grattacieli che nascono al centro di insediamenti di baracche, e cosi’, nella Anyuan Lu, al numero civico 170, al di la’ di un muro di cinta, trovo il Tempio del Buddha di Giada. Sto uscendo dalla sala al primo piano dove si trovano le due statue che rappresentano rispettivamente il Buddha disteso che entra nel nirvana e il Buddha seduto quando sento dei canti provenire dall’edificio di fronte. E’ il primo giorno del mese per il calendario lunare cinese, e’ giorno di funzione religiosa. Mi sono unito ai frequentatori del monastero: avevo gia’ osservato i fedeli pregare singolarmente e accendere ceri votivi all’ingresso dei santuari ma per la prima volta ero insieme ad un gruppo di loro durante la celebrazione di una messa. Mi sono sentito un intruso, temendo di turbare la loro concentrazione nella preghiera ho abbandonato la sala passando per un corridoio che la collega a quella dove sono custoditi i Re Celesti.
Qui, in un angolo, nella penombra rotta dalla luce di alcune candele, un lungo tavolo rettangolare ed intorno ad esso otto monaci che pregavano e cantavano seguendo il ritmo dato da uno di loro che percuoteva un oggetto con piccolo martello di legno. Non volevo dimenticare quella scena: mi sono inginocchiato vicino ad un vertice del tavolo ed ho iniziato a scattare foto, sperando di poter impressionare la pellicola con la poca luce disponibile. Non so’ quanto tempo sono rimasto in quella posizione, tra l’indifferenza dei monaci, anche dopo essere giunto alla fine del rullo. So’ che oggi, quando rivedo quelle immagini, mi sembra di sentire anche i colpi che guidavano il ritmo della preghiera e il canto dei monaci.

 

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Marco

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