Sud Africa

Come sempre, ho preparato con cura il viaggio. Ho utilizzato tre fonti: innanzitutto due guide turistiche (la Lonely Planet in Italiano, e la Rough Guide in inglese, con un pizzico di preferenza per quest’ultima). In secondo luogo Internet, e più in particolare il Web. Ho raccolto decine di pagine sul Sud Africa e le ho poi catalogate secondo la regione e l’interesse turistico.  In terzo luogo ho scandagliato per due mesi il newsgroup “rec.travel.africa” raccogliendo notizie di prima mano dai viaggiatori.

Siamo in sette: due famiglie di tre elementi (i classici due genitori con un figlio), ed un single, Paolo. Ho poi prenotato il volo aereo con la mia agenzia preferita, nonché l’albergo a Cape Town e a Durban. Infine ho prenotato il rest camp al parco Hluhluwe.

31 luglio

Partiamo da Milano per Capetown via Londra con British Airways.

1 agosto

Dopo un volo molto “ballerino” atterriamo all’aeroporto alle 10.15 locali. La temperatura è piacevolmente calda (23 gradi) e la giornata è bellissima. In aeroporto c’è la solita confusione, ma ci districhiamo con scioltezza dagli ingorghi doganali e prendiamo al volo due taxi. La strada è bella, la Table Mountain è splendida contro un bel cielo blu e l’autista è simpatico. La temperatura è calda (26°) e c’è un po’ di umidità. Dopo venti minuti i taxi ci scaricano al Tudor Hotel in Greenmarket square. Dopo aver pagato la corsa (126 rand) entriamo in questo vecchio e simpatico albergo. Le camere sono dignitose e pulite, anche se i mobili sono decadenti (nel senso dello stile, non della loro stabilità). Il personale è tutto nero e gentilissimo, prodigo di consigli e suggerimenti. All’una usciamo e ci fermiamo a mangiare in un localino con terrazza sulla vicina Greenmarket square, il Cycles. Ottimo pranzetto (anche se l’attesa dei piatti è stata sinceramente un po’ lunga), con spettacolo in diretta sul “flea market” della piazza, e sui musicanti improvvisati, che, per pochi spiccioli, cantano, suonano ed intrattengono. Il tutto è molto carino. Il mercato, che si tiene tutti i giorni è costituito da un crogiolo di persone, molto diverse tra loro: c’è la nera, vestita male, che vende maschere di legno colorate su un banchetto traballante, marito e moglie bianchi, che vendono vestiti da fricchettoni; giovani donne bianche che vendono cianfrusaglie indiane (tutto il mondo è paese). Prima di rientrare in albergo facciamo un giro nelle vie circostanti, quasi tutte pedonalizzate: è sabato pomeriggio ed i negozi sono chiusi, c’è poca gente in giro. Quei pochi vanno di fretta, e quelli che non hanno fretta sono mendicanti (molti i bambini) che chiedono la carità, alcuni con una certa insistenza. Decidiamo di rientrare a riposare, ed uscire poi. Alle 17 siamo di nuovo fuori. A 10 metri dall’albergo c’è una stazione di taxi. Ne prendiamo due e ci facciamo condurre al Waterfront: abbiamo voglia di immergerci nello shopping! Il percorso dura circa dieci minuti, il costo del taxi è di 21 rand. Anche in questo caso il taxista ha la parola facile e ci dà alcune interessanti informazioni sulla visita alla Table Mountain che abbiamo in programma per domani. La zona del Waterfront è “assolutamente” turistica. C’è un centro commerciale enorme, con centinaia di negozi, alcuni bellini e molti altri del tutto dozzinali. Le terrazze che danno sul porto sono molto panoramiche. Tanta vita, tanta gente … soprattutto bianca. C’è anche molta pulizia: insomma, un bel posto. Alle 20, affamati, scendiamo al porto e proviamo al Quai Four Restaurant, con bellissima vista sul porto e sulla passeggiata sulle banchine. La cena è stupenda: prendiamo tutti una grigliata mista di pesce (cozze, aragosta, gamberoni, “bistecca” di calamaro, salmone di mare, ecc.) freschissimo, il tutto annaffiato da ottimo Riesling del Capo, molto secco e profumato. Il conto? circa 36.000 a testa! Torniamo con un taxista, molto grasso (ogni volta che doveva girare il volante tratteneva il fiato per arretrare la pancia) e stranamente silenzioso. Alle 21.30 siamo in camera, giustamente bisognosi di una buona dormita.

2 agosto

Tempo bellissimo, alle 10 ci sono già 26 gradi! Con il taxi ci facciamo portare alla Cable Car Low Station della Table Mountain. Purtroppo la funivia non è operativa a causa del forte vento. La giornata è bellissima, ma il vento è veramente forte. Qualcuno si avventura a piedi, ma la Lonely Planet ci “avverte” che ci vogliono almeno tre ore di “buona gamba” per superare i quasi 900 metri di dislivello, il che ci induce a modificare i nostri piani. Riprendiamo il taxi e chiediamo che ci porti ai famosissimi Botanical Gardens, fra i più belli del mondo. Il nostro “informatissimo” driverman ci porta dritti e filati in centro e ci scarica davanti ai “public gardens”, o meglio ai “Company’s Gardens”, assicurandoci che quello è il posto giusto. Un po’ scettici ci avventuriamo nei giardini. Il fatto che non vi sia una biglietteria e che non si paghi nulla ci insospettisce un gran tanto. Dopo 500 metri usciamo dalla parte opposta dei giardini che, pur essendo molto ben curati, non hanno nulla di scientifico, e restiamo giustamente delusi. Di fronte all’uscita c’è il museo sudafricano. Entriamo e non possiamo certo rimanere delusi: è molto interessante e ben curato. Splendide sono le vetrine che ricostruiscono la vita dei San (Bushmen). Gli indigeni sono rappresentati da riproduzioni sorprendentemente reali (sembrano proprio veri). Dalle spiegazioni capiamo che sono state realizzate nel 1911 con calchi presi da uomini veri, formidabile. Bella la stanza dei cetacei, con riproduzioni di scheletri di balene appesi al soffitto. Splendida la sezione degli animali impagliati, non tanto per la perfezione dell’opera di conservazione (alcune denunciano chiaramente gli anni e sono spelacchiati), quanto per l’aria da vecchio museo, con gli animali ammassati dietro le vetrine, divisi secondo famiglie e specie. Vi è anche un planetario, che sarebbe per noi (uomini dell’emisfero settentrionale) molto interessante, ma ci siamo finalmente accorti di non aver affatto visitato i Botanical Gardens, e quindi ci apprestiamo a cercare un taxi per andare a vedere quelli veri (Kirstenbosch Botanical Gardens), che si trovano a 13 km dal centro, proprio sul retro della Table Mountain. Arriviamo in 20 minuti. C’è molta gente, è domenica e le “picnic area” sono prese d’assalto, ma per fortuna i giardini sono estesissimi, e passeggiamo tranquilli per i viali di piante esotiche senza problemi. I giardini sono molto belli e vale senza dubbio la pena visitarli. Ci fermiamo a mangiare qualcosa al ristorante. Ci sediamo sulle panche all’aperto e ci godiamo questo stupendo sole invernale africano, assaggiando sandwich al salmone, con ottima birra. All’uscita chiediamo al desk di chiamarci un taxi. Attendiamo ben 40 minuti (deve arrivare da Cape Town), e ci spaventa l’idea di quale costo avrà questa corsa. Finalmente ci raccoglie una gentile signora, che ci accompagna fino in albergo per soli 40 rand (12.000 lire)! Una buona sosta ristoratrice in albergo e alle 17.30 siamo di nuovo fuori per raggiungere il Waterfront, dove entriamo nel palazzo della BMW che ospita il cinema Imax: danno il film “Africa’s Elephant Kingdom”. Come al solito l’Imax risulta un grande spettacolo. Oltre tutto questo è l’unico cinema che offre questo genere in tutta l’Africa. Il costo, poi, è incredibilmente basso (9.000 lire a testa) rispetto ai prezzi pagati in Canada e Stati Uniti. Alle 20 scendiamo ai docks del Waterfront. Da uno di questi ammiriamo le evoluzioni di alcune foche del Capo, che si divertono ad osservare i passanti che attraversano i ponti gettati tra banchina e banchina. Restiamo lì qualche minuto ad osservarle, fino a che la fame ha il sopravvento. La scelta questa sera cade sul “Hildebrand Restaurant” che dà proprio sul porto. Cena ottima (impepata di cozze, salmone del Capo alla griglia, vino rosé e grappa) per un totale di lire 24.000 a testa! Rientriamo in albergo per le 22.30 tutti contenti.

3 agosto

Sveglia alle 8. Il tempo è bruttissimo: nubi nere di pioggia incombono su di noi. Alle 9 partiamo con il taxi per andare alla Europcar per l’affitto delle due automobili. L’agenzia dista ben 14 km dal centro e si trova in un capannone industriale in disuso: bella presentazione. Invece, entriamo e veniamo accolti da due impiegate gentilissime e disponibili ad ogni spiegazione. Decidiamo all’istante di cambiare l’originaria prenotazione e di prendere in affitto un microbus Volkswagen. In Italia avevamo pensato a questa possibilità, ma l’avevamo scartata per timore che non ci stessero tutti i bagagli, ma una volta “visto dal vivo” ci siamo accorti che era la soluzione migliore. Le impiegate dell’agenzia si sono fatte in quattro per accontentarci, e dopo mezz’ora siamo partiti con il nostro minibus. Destinazione: the Cape of Good Hope. Su consiglio di una delle due impiegate scendiamo a sud costeggiando l’oceano Atlantico, per poi tornare a Cape Town costeggiando l’oceano Indiano. La strada verso sud è bellissima, con scorci notevoli sull’oceano e su spiagge insospettatamente bianche. La strada, peraltro molto famosa, è tagliata in alcuni tratti nella roccia ed è molto stretta e “scenic”. Entriamo nella riserva naturale del Capo di Buona Speranza. In ogni dove cartelli che avvertono della pericolosità dei babbuini: state attenti, non date da mangiare ai babbuini, non abbassate i finestrini, ecc. Non abbiamo visto un solo babbuino….! In compenso abbiamo visto molti struzzi ai lati della strada, che si facevano fotografare o filmare senza alcun problema. La strada si divide: a destra al Capo di Buona Speranza, a sinistra al Cape Point. Deviamo a destra ed arriviamo al famoso punto di incontro dei due oceani. Lasciamo la macchina al parcheggio e ci inerpichiamo su un un roccione che guarda a strapiombo sul Capo. Il sole fa capolino ed in brevissimo tempo sull’oceano Atlantico spariscono le nubi ed il cielo è terso ed azzurro pieno. Ma sull’Indiano il cielo permane plumbeo, per cui assistiamo a questo straordinario fenomeno, per cui, guardando dritto davanti a noi, vediamo una linea ideale che divide l’orizzonte in due, e questa linea è data dalla separazione tra il tempo bello ed il tempo brutto…. incredibile! Siamo letteralmente circondati da una vociante scolaresca di bambini neri, con un maestro pazzo che lascia che i ragazzini vaghino tra rocce a strapiombo, senza curarsi della loro incolumità. Improvvisamente le urla si fanno più acute e concitate. Un orda nera si precipita su una roccia, dalla quale una cascata di sassi lanciati dall’orda si precipita su dei poveri animali (gli iraci, una specie di marmotte) che fuggono in ogni dove. Finalmente l’orda si allontana, richiamata dalle urla del maestro pazzo. Gli iraci escono dalle loro tane, e noi possiamo osservarli con calma. Verso l’una scendiamo al parcheggio, riprendiamo il minibus e ci avviamo verso il Cape Point. Qui vi è un ristorante, un “curio shop” e una cremagliera che porta al faro in cima ad uno spuntone roccioso, con vista spettacolare sul Capo di Buona Speranza. C’è anche un bel sentiero che serpeggia sulle pendici e raggiunge il faro, ma dopo la salita appena fatta per vedere gli iraci, preferiamo conservare le gambe. Raggiungiamo un compromesso con noi stessi e prendiamo il biglietto di sola andata. In cima allo spuntone, c’è il vecchio faro, l’immancabile “curio shop” (ma più piccolo), ed una vista mozzafiato sulle coste bagnate dai due oceani. Discesi al parcheggio, osserviamo alcune antilopi che pascolano tranquille. Ripartiamo e risaliamo a nord dalla costa dell’Oceano indiano. Questa costa è molto diversa: è più abitata, anche se, chiaramente, si tratta di insediamenti turistici. Ed infatti, ora che è inverno, molte case, ristoranti e alberghi sono chiusi. I paesini sono comunque molto carini, con casette unifamiliari ben tenute, che denotano senza dubbio una certa ricchezza. Prima di Simon’s Town scendiamo alla Boulders Beach, dove, in mezzo a massi enormi (boulders, appunto) scorgiamo alcuni simpaticissimi pinguini (jackass penguins), che non dimostrano alcun timore dell’uomo, e possiamo fotografarli senza problemi. Poi si tuffano in mare e nuotano verso una roccia non lontana da riva, su cui si intravedono centinaia di pinguini. Più a nord ci infiliamo nella autostrada M3 ed arriviamo a Cape Town, dove parcheggiamo in un Public Parking (costo 15 rand al giorno) e rientriamo in albergo. Sono le 17 ed un riposino si impone. Alle 19 viene giù l’ira di dio: scrosci di pioggia incredibili si abbattono sulla città. Alle 19.30 usciamo e piove meno, la temperatura si è abbassata ma non fa freddo. Ancora una volta torniamo al Waterfront a cenare. Ci troviamo con la sorella di Paolo, suo marito e due loro amici. Fanno un giro diverso e i nostri rispettivi viaggi si incrociano oggi. Passiamo una serata simpatica.

4 agosto

Oggi il tempo non è male, le previsioni davano pioggia, ma si vede che lo sfogo di ieri sera è bastato. Il sole fa continuamente capolino fra la nuvolaglia, però è più freschino. Questa mattina è dedicata alla visita del centro storico, con qualche puntatina in negozi vari. Interessantissimo è l’esposizione denominata “African Art” in Long Street: tre piani di paccottaglia varia. Alcune cose carine, la maggior parte orrenda. Ma è l’atmosfera che si respira in questo posto che ci trattiene per quasi un’ora. Anche perchè per visitarlo tutto, con le decine di minuscole stanzette, in cui lavorano vari artigiani, ci vuole il suo tempo. Usciti da questo labirinto, girovaghiamo per il centro, osservando le vetrine e la gente, di tutte le razze ed i colori. Una sosta per sgranocchiare qualche cosa, con un bicchiere di buon vino bianco del Capo, e poi via alla “The House of Wine”. E’ chiusa, ma ci assicurano che la “signora” viene subito; nel frattempo ci invitano a bere un buon caffè al bar attiguo. Il caffè, pur se denominaato “espresso”, è la solita brodaglia, ma talmente forte che alla sera ho ancora i nervi tesi. Arriva la “signora” che è di Zurigo, ma abita a Capetown. La Cantina è fornitissima, e lei ci spiega i vari vini esposti: c’è dell’ottimo Chardonnay, oppure del Riesling, o del Gewurztraminer, del Sauvignon o del Chenin, per rimanere tra i bianchi, oppure del Merlot o del Cabernet, del Pinot o dello Shiraz per i rossi. Prendiamo di tutto un po’ e spediamo in Italia. Purtroppo il costo della spedizione è quasi a pari a costo del vino. Si va da un costo di 5.500 lire per un buon bianco a 14.000 per un ottimo rosso. La media è comunque di gran lunga inferiore a quello che si paga in Italia per un buon vino. Torniamo in albergo. I nostri amici vanno a visitare il Museo del Sud Africa (già da noi visitato) mentre noi “assumiamo” un taxista di origine indiana e ci facciamo portare a Signal Hill. Oggi la Cable Car della Table Mountain funziona, ma ci hanno consigliato l’escursione alla Signal Hill, da cui si gode un panorama quasi a 360 gradi. In dieci minuti ci arriviamo, e lo spettacolo è veramente mozzafiato. In cima alla collina c’è un piccolo parco con dei tavoli per il pic nic, ma non c’è nessuno e si sta benissimo, il cielo è assolutamente terso ed il sole è caldissimo. Spariamo fotografiea tutto spiano: sulla Table Mountain, sul Lion’s Head (bellissimo roccione isolato, un altro simbolo di questa città), sul porto, sulle lontane Township, sulla Robben Island (ex carcere di Nelson Mandela) e sul centro, proprio qui sotto. Il nostro taxista, prodigo di spiegazioni, ci propone di andare a visitare una Township. Ci attira molto ma abbiamo timore di infilarci in una situazione “pericolosa”. Ma il taxista ci rassicura, dice che a quest’ora non c’è problema (sono le 16.30), inizia il traffico di rientro e noi ci confonderemo con esso, attraversando (non proprio in mezzo) una township. Il taxista scende e toglie le insegne del taxi, in questo modo saremo ancor più sicuri. Tutti questi preparativi non fanno che aumentare la nostra preoccupazione, ma il taxista ci garantisce che non c’è problema. Partiamo; ci porta a visitare la Township denominata Khayelitsha, che si estende per chilometri e chilometri lungo l’autostrada, e conta più d un milione di abitanti (stimati, perchè non è possibile alcun censimento). E’ impressionante la distesa immensa di baracche pericolanti, costruite con materiali di fortuna, dalla lamiera, alla latta, al cartone. C’è moltissima gente, apparentemente nulla facente. Lungo la strada vi sono ragazzi molto mal vestiti, seduti per terra che parlottano, mamme che trascinano nugoli di bambinetti urlanti. Incredibili sono i “negozi”: quando va bene sono containers riciclati, pieni di “roba”. Curioso il “salone da barbiere”, contenuto in un container, alla belle etoile, con lavandini senza collegamenti idraulici (in questa township non c’è corrente elettrica ed acqua corrente) e poltrone sfondate da barbiere. Coda fuori ad attendere il proprio turno. Facciamo un lungo giro, in modo da “circumnavigare” una porzione della township, e ritornare quindi sull’autostrada che ci riporta a Capetown. Il ricordo di quelle immagini di miseria, povertà ed emarginazione, non sarà facile da cancellare dalla memoria. Quale ultima sera a Capetown, ci concediamo un’ottima cena in un buon ristorante sul Waterfront, il “Den Anker”, ma nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a spendere più di 23.000 a testa! La svalutazione del Rand è quest’anno una vera e propria benedizione!

5 agosto

Mattinata bellissima, non c’è una nuvola, ma fa piuttosto freddo (14 gradi). Partiamo alle 9.30 verso Stellenbosh, dove arriviamo alle 11. Sono solo 50 chilometri ma abbiamo volutamente evitato l’autostrada per attraversare i sobborghi di Capetown. La città sembra non finire mai, anche perchè le cittadine lungo il percorso, ormai fanno tutt’uno con la grande città Quando deviamo sulla M23, a pochi chilometri da Stellenbosh, entriamo nella zona dei vini. Tutte le colline attorno sono coltivate a vigneti. Le vigne sono molto basse. Stupendo è il panorama che si gode dalla strada: colline basse, molto ondulate, e sullo sfondo alte montagne, con picchi sparsi qua e là. Il cielo blu, poi, completa l’opera. Arrivati nella cittadina, prendiamo alloggio allo Stellenbosh Hotel (un tre stelle a 298 rand per una camera doppia). L’albergo data al 1856 (è stato dichiarato monumento nazionale), e le stanze sono piccole ma bene arredate (un po’ kitsch). Insomma niente male. Usciamo subito per andare a visitare due cantine di vini. Dapprima raggiungiamo, a 4 km a sud di Stellenbosh, la cantina Blaauwklippen. Qui assaggiamo alcuni vini ottimi, tra cui lo Shiraz, un vitigno di origine siriana, veramente buono, forte e molto fruttato. L’ambiente è niente male: pascoli, mucche, vigneti….. Ripartiamo ed andiamo alla cantina Spier Cellars. E’ veramente bella, molto verde, con ristorante a la carte o bar a buffet. Scegliamo il secondo. La cosa si è rivelata un’ottima scelta: il buffet è incredibile, c’è veramente di tutto, facciamo una scorpacciata incredibile, il tutto sapientemente innaffiato con del Pinotage rosso, leggero … ma non troppo! Rientriamo in albergo per prenderci il necessario riposo. Usciamo nuovamente alle 15.30 per prendere confidenza con la cittadina. La prima impressione che se ne riceve è di una città estremamente giovane, e, leggendo la guida, veniamo a sapere che qui c’è una università. Stellenbosh è la seconda più vecchia città del Sud Africa dopo Capetown, ed ha conservato una architettura semplice: niente palazzoni, nè casermoni, tutte le costruzioni sono al massimo a due piani. Molti i negozietti d’arte, moltissimi i coffee shop. Nei dintorni vi sono villette (alcune bellissime) nascoste tra la folta vegetazione. Impressione evidente è che qui scorre danaro sufficiente per vivere bene. Moltissimi i bianchi, più che in altri posti visitati. Andiamo a cena al vicino D’Ouwe Verf, veramente ottimo, con cena servita vicino al camino, con un bel fuoco scoppiettante (fuori non fa certo caldo!).

6 agosto



Giornata bellissima, ma fredda. Partiamo per Franschhoek. La strada diventa sinuosa e sale. Bellissimi scorci su montagne e colline, piene di coltivazioni (soprattutto viti e meli). Il paesino è piccolo, e non ci fermiamo. All’altezza del monumento agli Ugonotti francesi, che qui si rifugiarono, introducendo l’arte della vinificazione, la strada si inerpica parecchio, e con qualche tornante saliamo molto in alto, fino a che sparisce la vegetazione. Ci fermiamo ad ammirare la vallata di Franschhoek, che da qui si vede in tutta la sua lunghezza, ma ci limitiamo a fotografare e filmare dall’interno del minibus perchè veniamo circondati da un nugolo di babbuini, alla ricerca di cibo. Saliamo ancora fino ad arrivare al Franschhoek Pass, ed iniziamo a scendere verso il lago Theewaterskloof. Stupendi scorci si aprono ad ogni curva; foreste “canadesi” si alternano a prati verdissimi. Certo non sembra di essere in “Africa”. Arriviamo al lago, passiamo sul lungo ponte che l’attraversa e ci dirigiamo velocemente verso la N2. Attraversiamo immense coltivazioni di mele ed allevamenti di bovini. Imbocchiamo la N2 a Grabouw, e dopo pochi chilometri la abbandoniamo a Botrivier per imboccare la R43 verso Hermanus, che raggiungiamo in soli 30 km. Troviamo alloggio al Windsor Hotel, un albergo di due stelle, ma che offre camere buone ad un buon prezzo (380 rand per una tripla con prima colazione). Il nostro alloggio è composto di due camere da letto. La camera guarda direttamente sul mare e …. sulle balene che nuotano nella baia di fronte a noi!!! Spettacolo grandioso. Usciamo subito, attrezzati di macchine fotografiche e videocamere, C’è un bellissimo sole e fa caldo. E’ l’una e ci fermiamo a pranzo in un localino molto carino, dove mangiamo, ovviamente, pesce ….. ottimo! Restiamo fuori, a “caccia” di balene, fino alle 16.30. Grande spettacolo: ce ne sono moltissime che nuotano pacificamente nella baia, alcune con il “cucciolo” accanto. Splendide le Humpback che fanno incredibili salti fuori dall’acqua. Non c’è molta gente e possiamo quindi scegliere i migliori punti d’osservazione senza alcun problema. Verso le 14 si alza un terribile vento, che non solo rinfresca, e di molto, l’aria, ma che porta grandi nuvoloni neri. Rientriamo in albergo, paghi delle nostre osservazioni naturalistiche come non mai. Verso le 18 cade qualche goccia di pioggia, che si trasforma in una tempesta solo mezz’ora dopo. Le raffiche di vento sono terribili, e solo verso le otto ci sentiamo di affrontare la strada per il ristorante. La furia scatenata di pioggia e vento non ci abbandona che a notte inoltrata.

7 agosto

Notte di ghiaccio: in camera abbiamo avuto 14 gradi! La mattina, però è bellissima, e c’è un sole radioso. Partiamo alle 8.30 ed imbocchiamo la N2 verso Knysna. Il paesaggio è bellissimo: a destra e sinistra si estende una campagna ondulata verdissima. E’ divisa equamente tra coltivazioni e pascolo per pecore e mucche. Le pecore, in particolar modo, si contano a migliaia, non ne ho mai viste così tante. Questo paesaggio non si modifica per la bellezza di trecento chilometri, tanto che, dopo un po’ ne abbiamo abbastanza. Finalmente arriviamo a Mossel Bay, da dove inizia la famosa Garden Route. Entriamo in paese per mangiare qualcosa in un Coffee Shop che, se non fosse per l’ambiente esterno, potrebbe senza dubbio essere inglese, sia per l’arredamento, sia per la padrona di casa. La N2 si sviluppa un po’ sul mare un po’ nell’interno. Il paesaggio è cambiato ed è molto più vario. Dopo George entriamo nel Wilderness National Park: foreste, laghi e a destra il mare. Molto bello. Usciti dal parco, il paesaggio non cambia e la strada attraversa sempre bellissime foreste di pini (siamo in Canada o in Sud Africa?). Arriviamo finalmente alla laguna di Knysna: stupenda. L’acqua ha un colore blu intenso, pur essendo il fondale basso. La città si sviluppa sulla riva nord della laguna. La ricerca della sistemazione per le tre notti richiede più di un tentativo. Purtroppo il nostro soggiorno prevede anche il sabato e domenica notte, e quindi molti alloggi sono prenotati. Finalmente troviamo una ottima sistemazione al Lakeside Guest House, che si trova fuori Knysna (fuori vuol dire 400 metri o meno dal centro) verso George. E’ carina, tutta di legno, le camere grandi sono composte di due stanze da letto, il bagno e la cucina. Queste camere costano 200 rand, la camera singola (non molto grande, ma con bagno) costa solo 90 rand. Tutto estremamente pulito. La padrona di casa, un’olandese che ha sposato un simpatico sudafricano, è gentilissima, disponibile, e fa un’ottima e abbondantissima prima colazione per 15 rand!!! La sistemazione non poteva essere migliore. Usciamo per prendere contatto con il paese. Ci sono moltissimi shops, che vendono di tutto: la maggior parte la solita paccottaglia, ma alcuni anche cose carine e diverse dal solito. Siamo piuttosto stanchi (oggi abbiamo fatto 430 chilometri) e quindi restiamo un po’ in camera a riposare. Verso le 19.30 usciamo per andare a cena al “Anchorage Restaurant”. Ottimo pesce. Io mi “faccio” anche una mezza dozzina di ostriche, che sono la specialità di Knysna, essendo coltivate proprio nella laguna. Buonissima anche la birra Mitchell’s, che ha la particolarità di essere fabbricata a Knysna, di essere non filtrata, non pastorizzata, e che deve essere consumata entro due settimane dalla sua fabbricazione. Ve ne sono tre tipi: lager, bitter e dark. Viene servita in bottigliette di plastica usa e getta, tipo quelle usate per l’acqua minerale.

8 agosto

Mattina dedicata ai giretti per negozi. Portiamo anche la biancheria al lavaggio. Ce la restituiscono dopo due ore lavata e stirata per soli 35 rand, ed era una mezza montagna di roba! Molto carino il Millwood Mall, un centro commerciale ricavato da una vecchia fabbrica. Verso mezzogiorno prendiamo il nostro Microbus ed andiamo a visitare gli “Heads”, le porte di roccia che danno accesso alla laguna. Ci rechiamo prima a visitare la “porta” di sinistra (orientale). Saliamo di parecchio fino ad un parcheggio, da cui parte un sentiero, tenuto splendidamente, che ci conduce lungo gli strapiombi di roccia, con viste spettacolari, rispettivamente, sulla laguna, sulla bocca della stessa e sull’oceano. Passeggiata imperdibile. Scendiamo alla base dello Head orientale, dove c’è un ristorantino, posto in posizione strategica. Un pasto veloce (veloce compatibilmente con la estrema lentezza dei sudafricani nel servire) e poi via. Ripartiamo verso le 14 e ci dirigiamo verso Buffalo Bay a 19 km a ovest di Knysna. Qui c’è un piccolo parco con qualche zebra e antilope. Il luogo è bello, non tanto per gli animali (che non sono molti), quanto piuttosto per l’ambiente: cespugli bassi, distribuiti su colline dolci con sullo sfondo l’oceano. Proseguiamo verso Buffalo Bay. Vi arriviamo dopo pochi chilometri. Favolosi scorci dalla strada su un oceano con onde enormi che si infrangono su spiagge lunghissime o rocce frastagliate. Il paese di Buffalo Bay è un insieme di casette per le vacanze. Qui il surf spopola; anche in questo periodo invernale, non sono pochi coloro che si gettano tra i flutti per ritornare a riva a cavalcioni delle onde. Non abbiamo provato la temperatura dell’acqua, ma crediamo che, nonostante la stupenda giornata (non c’è stata una nuvola per tutta la giornata), la temperatura dell’aria non sia inferiore ai 18 gradi, figuriamoci quella dell’oceano! Ci fermiamo sulla spiaggia a guardare le onde, come sempre uno spettacolo ipnotico e rilassante. Torniamo verso Knysna, ma al ponte che attraversa la laguna, prendiamo a sinistra per Brenton on Sea, un paesino che si trova sul “Head” occidentale. Altre viste spettacolari sull’oceano e sulle onde gigantesche che si infrangono sulle sottostanti rocce. Rientriamo in albergo alle 17 per fare un meritato riposino. E’ sabato sera, c’è un po’ di gente e non troviamo posto per noi sette in un ristorante decente. Finalmente ci danno accoglienza in un locale “Family Restaurant” a pochi passi da casa. Mangiamo una improbabile “paella valenciana”, che tuttavia si fa apprezzare per il pesce freschissimo. Sembra più un risotto alla marinara e lo gustiamo come tale. Il prezzo, come al solito, è incredibile: 35 rand a testa (corrispondenti a 10.500 lire) per una enorme porzione di paella, una birra alla spina ed un dolcex.

9 agosto

Colazione alle 9 e poi partenza per una escursione. Ci dirigiamo verso Plettemberg, che raggiungiamo dopo soli 20 minuti di strada bellissima, in mezzo alla foresta di Knysna: a sinistra e a destra una immensa foresta di eucalipti. A Plettemberg usciamo dalla N2, entriamo in città e lasciamo la macchina in Main Street. E’ un paese definito dalle guide molto carino, e lo è davvero: bello, pulito, ordinato, con tutte le sue cose a posto. Non mancano neppure dei bei negozi, con merce affatto dozzinale. Scendiamo a piedi una strada che porta verso il mare. In fondo c’è uno stupendo albergo della catena dei Relaix e Chateaux. E’ posto su un poggio che guarda la baia di Plettemberg. Rimaniamo là parecchio a contemplare le balene che giocano nella baia, e la splendida spiaggia che la contorna. Ripartiamo verso le 11. Dopo pochi chilometri arriviamo alla deviazione per “Monkeyland”, che ci ha consigliato la signora Tina della nostra Guest House. Si tratta di un tratto di foresta cintato ed adibito a riserva di scimmie. Non vi sono molte specie, anche perchè ci spiegano che in Sudafrica ve ne sono poche. Qui ricoverano le scimmie che la gente trova abbandonate, ferite o malate. Le curano e poi, dopo un adeguato periodo, le rimandano in libertà, nel loro habitat naturale. La visita si rivela interessante, non tanto per le scimmie in sè, che sono naturalmente simpatiche, quanto per l’ambiente in cui sono inserite, e per la bella passeggiata che facciamo insieme ad un ranger nella foresta. Oltretutto il costo della visita è di 25 rand. Alle 12.30 ripartiamo con destinazione il parco di Tsitsikamma e più precisamente la “Nature Valley”. E’ una porzione del parco in cui è stata consentita la costruzione di case per le vacanze. E la cosa è riuscita molto bene: le case sono villette di legno ben nascoste nella foresta, con stradette tranquille. Ne seguiamo una finché, alla fine, giungiamo ad un piccolo ristorantino, molto casual, con le panche fuori. C’è un bel sole e si sta bene. Dopo un leggero pranzetto, seguiamo un sentiero, fino a raggiungere l’oceano. La spiaggia è larghissima e lunghissima, le onde sono alte, tipo surf. Non molto al largo una balena si gira e si rigira, mostra la sua grande coda, sparisce nelle onde e riappare. La sabbia sembra viva, tante sono le conchigliette che nascondono un esserino che trascina la sua casa. Restiamo sulla spiaggia una mezzoretta e poi riprendiamo la strada di casa. Abbiamo ancora tempo per prendere la deviazione verso Noetze. E’ una spiaggia che si trova a quindici chilometri da Knysna, ma gli ultimi cinque sono su una strada sterrata, non proprio in perfette condizioni. Alla fine c’è un parcheggio, dove lasciamo la macchina. Un sentiero ripidissimo ci porta sulla spiaggia. Anche questa è vasta e lunga. Su questa spiaggia, tempo fa, alcuni inglesi pazzi hanno costruito delle case a foggia di castello, ed è proprio per questo che la località è anche conosciuta come “The Castles”. Il ritorno al parcheggio è molto faticoso per la lunga e ripida salita, ma gli scorci sulla spiaggia, le rocce, e le onde del mare, fanno da splendide soste obbligate lungo il cammino. Ritorniamo all’albergo un po’ stanchi. Usciamo a cena alle 19.30. E’ domenica e pochissimi sono i ristoranti aperti. Ci imbattiamo in un localino molto “africano”, ma la sostanza non è gran che.

10 agosto

Splendida mattina, e fa anche un bel caldo. Partiamo alle 9. Facciamo una fermata a Plettenberg a fare qualche spesina. Oggi è la festa della donna in Sud Africa, e molti negozi sono chiusi, oltre che le scuole e gli uffici pubblici. Ma troviamo comunque qualcosa di nuovo da mettere in valigia! Successiva fermata Jeffrey’s Bay alle 13, dove ci fermiamo a mangiare qualcosa. La località non è un gran che, se non fosse per i chilometri della sua spiaggia e per le onde altissime, che qui attirano i surfisti da tutto il mondo. Facciamo una tirata unica fino a Port Elizabeth, e dopo 265 chilometri di viaggio da Knysna arriviamo in città. Prendiamo alloggio al The Edward Hotel, due stelle ma bellissimo. La sua storia risale ai primi del ‘900, ed ha conservato intatta tutta la sua atmosfera di grande albergo di inizio secolo. Ci danno una camera, composta di due stanze da letto ed il bagno, per soli 315 rand, compresa la prima colazione a buffet, a cui questo albergo deve soprattutto la sua fama. Verso le 17 usciamo. In giro non c’è assolutamente nessuno! Solo qualche nero malmesso si aggira per le strade. I negozi, come le case di abitazione, sono tutti sbarrati con pesanti inferriate di ferro. La cosa non ci lascia tranquilli, e rientriamo. Ci riposiamo fino all’ora di cena. Usciamo dall’albergo e tentiamo di andare a mangiare al “Aviamore”, che si trova poco distante. Veniamo accolti da un energumeno, armato di un pesante manganello, che ci fa entrare con un sorriso. Purtroppo il ristorante, uno dei migliori del Sud Africa, è superprenotato e quindi ce ne torniamo mestamente in albergo. Qui, tuttavia, abbiamo la lieta sorpresa di gustare una gigantesca cena a buffet per soli 48 rand! Innaffiamo il tutto con un ottimo Cabernet Sauvignon Ovenberg del 1991 (60 rand).

11 agosto

Giornata calda e soleggiata. Partiamo alle 9.30. Dopo soli 45 minuti arriviamo alla Shamwari Game Reserve, che si trova a metà strada fra Port Elizabeth e Grahamstown. Il luogo è straordinario. L’edificio principale è una casa di stile edoardiano del 1919, perfettamente restaurata, le camere, molto lussuose e dotate di ogni comfort, danno tutte su un patio ombreggiato da bellissimi alberi, su cui cinguettano almeno una decina di specie di uccelli diversi. Grande pace e tranquillità. Tutt’attorno è savana sconfinata (la riserva è estesa per 14.000 ettari, 37 chilometri di lunghezza per una larghezza media di cinque chilometri) e gli animali sono liberi; solo i 40 leoni sono confinati in un recinto di ben 300 ettari, tutto per loro e per una notevole quantità di antilopi, zebre e gnu, che fanno da preda per i felini. Il costo a persona è di 850 rand al giorno. Nel prezzo sono compresi: notte, prima colazione, pranzo, te e pasticcini, cena, due game drive guidati dai rangers di quattro ore ciascuno, uno nel pomeriggio e uno la mattina. All’una ci servono un delizioso lunch a buffet, con poche ma prelibate pietanze. Riposo fino alle 15. Partiamo con il ranger Rodger, che ci aveva accolto all’arrivo, ha pranzato con noi e ci seguirà (con assoluta discrezione) fino alla nostra partenza. Siamo solo noi sette su una Land Rover scoperta, attrezzata per il safari. Iniziamo subito a vedere animali: dalle antilopi (nella riserva ce ne sono 18 specie) alle manguste, dalle lepri ai rinoceronti. Gli incontri con questi giganteschi animali (ne abbiamo visti parecchi) sono stati estremamente interessanti. Stupendo l’incontro con la madre ed il piccolo di un solo mese. Oppure quell’altro con una femmina che faceva gli “svoltoloni” nel fango per rinfrescarsi (fa molto caldo). Gli animali non sono concentrati in una sola zona, e vagano, come detto, liberi, per cui bisogna cercarli. Per questo Rodger utilizza un potente binocolo e la radio, con la quale si tiene in contatto con gli altri rangers e scambia le informazioni. Nella riserva ci sono 33 elefanti, ma è occorsa quasi un’ora di ricerche per scovarne uno. Questo incontro è stato particolarmente emozionante. In un primo tempo l’elefante si teneva nascosto nella boscaglia, per cui stentavamo a vederlo, ma poi ne è uscito iniziando a seguirci. Rodger faceva qualche metro per allontanarsi, e lui ci seguiva, tanto che il sottoscritto, che si trovava seduto proprio sul sedile posto sul fondo della Land, ha più volte invitato Rodger ad aumentare l’andatura perchè il gigante stava raggiungendoci. Giunto su uno spiazzo, l’elefate se ne è rimasto tranquillo a mangiare, mentre noi lo filmavamo o fotografavamo. Bellissimo. Dopo un quarto d’ora ce ne siamo andati a malincuore. Abbiamo salito e disceso colline, passato guadi, sempre in ambienti naturali diversi, ed avvistando i più disparati animali. Molte antilopi, ma anche scimmie e moltissimi uccelli. Alle 17.30 Rodger ci ha portati su un’alta collina per vedere il tramonto. Lì in attesa del sundown ci ha offerto birra ed aperitivi. Il sole, con una velocità fantastica è disceso dietro le colline colorando di rosso terra e cielo. Molto “scenic”. Il rientro è avvenuto alla luce dei fari della Range Rover e di un faro potentissimo che Rodger faceva andare a destra e sinistra per illuminare zebre, antilopi, struzzi ed altri animali. Alle 18.30 eravamo in camera. Dopo un’ora ci hanno servito una stupenda cena a lume di candela con Rodger ospite d’onore, col quale abbiamo amabilmente conversato su molti argomenti, non tralasciando quello politico: con molta mestizia ci ha detto che la situazione dei bianchi in Sud Africa non è molto buona, e che non si aspetta che migliori nel futuro.

12 agosto

Sveglia alle 7, colazione alle 7.30 e partenza per il nuovo safari alle 8.15. E’ una mattina bellissima, anche se fredda. Per fortuna le camere sono riscaldate, contrariamente alla norma sudafricana che vuole che negli alberghi non vi sia il riscaldamento! Questa mattina andiamo alla ricerca dei leoni, che stazionano in una diversa zona del parco. Sulla Rover, oltre a Rodger, che si infila in cintura un pistola, sale anche un altro ranger, munito di fucile. Ai lati della jeep vengono montate delle inferriate alte fino alla nostra spalla. I rangers ci tranquillizzano, dicendoci che i leoni non attaccano mai, e che quelle sono precauzioni inutili, ma comunque necessarie. La ricerca dura una ventina di minuti, poi i leoni vengono avvistati da una collinetta, e piano piano ci avviciniamo. Rodger ferma la jeep a soli 15 metri dal gruppo di leoni: sono un magnifico maschio adulto, quattro leonesse e otto cuccioli. Un gruppo stupendo! Stanno dormicchiando (ogni tanto sollevano la testa per controllare la nostra posizione), tranne qualcuno dei cuccioli che ha voglia di giocare. I ranger ci spiegano che hanno mangiato (uno gnu) cinque giorni fa e stanno terminando la digestione; domani o forse dopodomani tornano a caccia. Rimaniamo in loco almeno mezz’ora ad ammirare il gruppo familiare, e poi ripartiamo. Destinazione un gruppo di venti elefanti che sono stati avvistati questa mattina da un ranger molto mattiniero a circa 15 chilometri dalla nostra base. Impieghiamo quindi un po’ di tempo a raggiungere il posto, ma gli elefanti non ci sono e si sono spostati. L’inseguimento inizia. Ogni poco Rodger si ferma per guardare con il binocolo, e ci impone il silenzio per ascoltare i rumori. Imbocca quindi una pista che porta ad una piana, un letto asciutto di un grande fiume scomparso da moltissimo tempo. Non ha sbagliato, scorgiamo infatti le inconfondibili orme di molti elefanti, che si dirigono verso una valletta. Imbocchiamo anche noi la valletta, che è strettissima, in notevole salita e con i versanti strabordanti di vegetazione, tanto che la luce stenta a penetrare. Nella valletta l’odore di elefante è fortissimo, ed abbiamo (noi turisti inesperti) timore di incontrare il di dietro di un elefante ad ogni curva. Ma i pachidermi sono avanti a noi, un po’ troppo avanti, e si sono già inerpicati su una collina con foltissima vegetazione. Risaliamo l’opposto versante e riusciamo a scorgere qualche elefante dai tremendi scuotimenti di alberi. Rodger decide di tentare il tutto e per tutto, per cui discendiamo la collina, aggiriamo quella su cui si trovano gli elefanti, e la risaliamo dalla parte opposta. Una volta in cima la ridiscendiamo verso i pachidermi. Il tutto su terreno pazzesco, ed è lì che capiamo quanto incredibile sia la Land Rover, e quanto bravo sia il nostro autista. Siamo a non più di venti metri dagli elefanti, ma non li vediamo distintamente: sentiamo i loro brontolii, le tremende mazzate che sferrano contro gli alberi, e la polvere che sollevano. Rientriamo velocemente all’albergo, e sulla strada del ritorno vediamo moltissimi animali che sfrecciano davanti alla jeep, o che volteggiano sopra le nostre teste: belle soprattutto le aquile. Alle undici siamo in albergo, chiudiamo le valige, salutiamo lo staff (veramente perfetto) e partiamo. Alle 12.30 siamo in aeroporto e consegniamo la macchina. L’aereo parte alle 16.25 ma è dato in ritardo, e la partenza è spostata alle 17.50. Siamo terrorizzati dalle tante ore di attesa. Ma in un modo o in un altro arriva anche l’ora della partenza. In meno di un’ora siamo a Durban. E’ già buio (a Durban il tramonto è alle 17.30). Scendiamo al Seaboard Protea Hotel, in Point Road. Un grattacielo bruttissimo, e noi abbiamo le camere al 29mo piano! E’ tardi e siamo stanchi, decidiamo quindi cenare al ristorante dell’albergo, dove, peraltro ci siamo trovati bene.

13 agosto

Dopo un’abbondante prima colazione, ci facciamo portare da un taxi al Victoria Street Market, nel quartiere indiano. Notevole delusione. Non ne vale la pena. Acquistiamo un po’ di spezie, e basta. Rientriamo a piedi verso il mare. Ci fermiamo a visitare la Moschea Jumma Musjid, che troviamo invece interessante. Un gentilissimo indiano ci fa indossare una veste lunga che copre i nostri vestiti impuri e poi ci fa da guida nella visita. Non c’è molto da vedere, ma è tutto molto pulito, tranquillo e …. sacro. Imbocchiamo la Commercial Road. Ci fermiamo a fare un po’ di acquisti al centro commerciale Workshop, inserito nella vecchia stazione ferroviaria. Una bella ristrutturazione, bei negozi e bella atmosfera. La strada all’albergo non è lunga ed alle 16 siamo in camera a riposare. A prima vista non posso dire di essere entusiasta di questa città. Indubbiamente il suo carattere cosmopolita (la presenza ed il numero degli indiani è notevolissima) è evidente ed interessante, ma è una grande città con tutti i problemi che ciò comporta, ma non ha nulla a che vedere con Cape Town, che è viva, è bellissima, è ….. Usciamo alle 19 per andare cena all’Hotel Edward in Marine Parade. E’ un hotel di lusso con tre ristoranti: uno con cucina cinese, uno (La Brasserie) con cena a la carte, e un terzo (Chartroom) con cena a buffet. Scegliamo quest’ultimo. Il prezzo è di 130 rand a testa (39.000 lire al cambio attuale di 300 per un rand), certamente sopra la media, ma ampiamente ripagati da una cena … regale! Il buffet è semplicemente incredibile, con ogni prelibatezza, dalle ostriche freschissime, alle aragoste, già tagliate a metà e cotte perfettamente, dal salmone alla trota di mare affumicati, dal filetto di manzo alla bistecca di calamaro cotta all’istante. Per non parlare dei curry (vegetariano, di pollo, di granchio, ecc.), o dei formaggi o dei dolci. E’ tutto da provare! Alle 22 siamo nelle nostre camere per il meritato riposo.

14 agosto

Alle nove prendiamo un taxi per andare all’agenzia di autonoleggio Europcar che si trova in una zona vicina all’aeroporto. Vi arriviamo, ma l’agenzia non esiste più, l’hanno spostata direttamente in aeroporto. Riprendiamo il taxi per andare in aeroporto. Troviamo l’agenzia, con le solite due impiegate super gentili. Chiediamo subito se è possibile cambiare le due autovetture prenotate in Italia con un microbus, ma ci rispondono che non ne hanno a disposizione a causa del concomitante incontro di rugby della squadra locale degli “Springbok” nel triangolare con Australia e Nuova Zelanda (la cui finale poi vedremo alla televisione, vinta proprio dal Sudafrica). Ci dicono pertanto che ci vorrà una mezz’oretta perchè le due auto prenotate in Italia (105.000 al giorno l’una) arrivino in aeroporto dal parcheggio situato all’Holiday Inn, che si trova a … 400 metri dal nostro albergo. Piuttosto contrariati dal contrattempo chiediamo che ci accompagnino all’Holiday Inn. Qui stipuliamo il contratto, pagando soltanto un plus di 4 rand al giorno per avere anche l’assicurazione per i terzi trasportati, essendo tutto il resto già compreso nel prezzo pagato in Italia. Le macchine sono due Nissan Sentra automatiche, nuove ed in ordine. Le portiamo al parcheggio del nostro albergo e usciamo. Andiamo quindi in Guillespie road, dove entriamo nel complesso commerciale Wheel, con 130 negozi. Sono tuttavia piuttosto banali. Acquistiamo una sim-card da infilare nel nostro cellulare, per poter comunicare tra noi (in ciascuna macchina c’è almeno uno di noi che ha un cellulare), in modo da risparmiare (telefonandoci, infatti, con le nostre sim-card italiane, dobbiamo fare ponte con l’Italia). Ci portiamo sulla Promenade, una stupenda e bellissima passeggiata pedonale lungo il mare. Tra la strada litoranea, peraltro pochissimo trafficata, ed il mare ci sono campi sportivi, piscine pubbliche, parchi verdi, ed appunto la Promenade. Su questa passeggiata ci sono moltissime bancarelle di paccottaglia varia, del tutto inacquistabile. Molto più interessanti sono le venditrici, gigantesche matrone zulu (almeno così mi dicono) che sedute in mezzo alla loro merce, vendono, cuciono, parlottano, mangiano e dormono; e questo dalla mattina alla sera, quando, verso le 21, portano via la loro mercanzia. In mare moltissimi sono i surfisti che cavalcano le onde, nonostante i cartelli di divieto di balneazione per la possibile presenza degli squali. Sulla passeggiata c’è anche il rettilario (Snake park) che visitiamo, ma sinceramente non ne valeva la pena. Ritorniamo in albergo sempre a piedi, e siamo quindi piuttosto stanchi. Usciamo a cena sempre sulla Marine Drive, ed entriamo nel ristorante dell’Holiday Inn, molto simpatico. C’è molta gente, ma si libera ben presto un tavolo anche per noi. Ho mangiato qui, forse, il miglior filetto di tutto il viaggio: straordinario!

15 agosto

Partiamo alle 10. C’è un bel sole, troviamo subito la strada M4 per la costa nord, non c’è molto traffico e si viaggia bene. La strada è bella e gli scorci sulle spiagge e sul mare sono notevoli. Dopo 40 chilometri ci spostiamo sull’autostrada N2 e si viaggia molto velocemente. Alle 12.30, dopo una sosta intermedia, siamo a Santa Lucia. La ricerca dell’albergo si rivela difficoltosa, è sabato e gli alloggi che abbiamo provato sono tutti “full”. Ci fermiamo al tourist information che ci indica il Jo-A-Lize Guest House sulla strada principale. Ed infatti troviamo le camere, con cucina e bagno per 390 rand, compresa la prima colazione. Sono immerse nel verde e molto tranquille. Usciamo subito per mangiare qualcosa. Il luogo è pieno di guest house, ristoranti e negozi per la pesca. Ci fermiamo all’agenzia Safaris e prenotiamo per domani mattina una crociera sul Lake Saint Lucia. Passeggiata obbligatoria per il paese fino alle 15, dopo di che prendiamo la macchina e ci dirigiamo verso l’estuario del Lake Saint Lucia e l’oceano. Bellissima la strada, immersa nel verde verdissimo, con villette di vacanza nascoste dalla vegetazione. Arriviamo alla costa: dappertutto segnali di pericolo per la presenza di ippopotami e coccodrilli, ma, al momento, non se ne vedono. Invece in zona vi sono molti pescatori con i loro macchinoni fuoristrada con i quali, guidando sulla sabbia, raggiungono la punta estrema della spiaggia, che si protende tra l’estuario e l’oceano. La spiaggia è larga almeno 50/60 metri e lunga … non lo so, non arrivo con lo sguardo. Nel risalire in macchina, che avevamo posteggiato nel bosco di pini dietro la spiaggia, avvistiamo a tre metri da noi una splendida Fish Eagle, che non ci ha visti arrivare: sta bevendo ad una pozza d’acqua. Ha le piume color marrone e la testa grigia. Ad un certo punto si è accorta della nostra presenza, ma non vola via subito, prima ci squadra per bene, poi apre le ali e con movimenti lenti se ne va, senza alcuna paura di noi. Bellissima! Ri prendiamo la macchina e torniamo in albergo, facendo un lungo giro su strade affatto battute; e pensare che oggi è ferragosto. Usciamo a cena e scegliamo il North Coast Restaurant, sulla Mackenzie, vicino al nostro albergo. Posto carino, con pochi tavoli, mangiato splendidamente tutto pesce e speso meno di 17.000 lire a testa! Torniamo in albergo per fare una partitina a carte, prima di spegnere la luce.

16 agosto

Questa mattina ci svegliamo con il tempo brutto. C’è una pioggerellina leggere leggera, ma fastidiosa. Colazione e alle 10 partiamo, a piedi, verso il molo da cui parte l’imbarcazione della Safaris. Si tratta di un barchino da 16 posti, piuttosto vecchiotto e mal messo. In parte a questo c’è una bellissima barca di un’altra agenzia, con posti a sedere sia al piano di sotto che a quello di sopra, da cui certamente si gode di un’ottima visuale. Porterà non meno di 40 persone. Capiamo subito di avere sbagliato tutto, eppure la proprietaria del nostro albergo ci aveva caldamente consigliato il “barchino”, ed alla fine questa scelta si rivelerà la più azzeccata. Si parte, la pioggerellina non ci dà tregua, e il telone che copre la barca non è di molto aiuto. Costeggiamo delle isole che si trovano sull’estuario del lago (ebbene sì, è un grande lago che si allunga, divenendo quasi un fiume, e che finisce nell’oceano). Qui dovrebbero esserci i coccodrilli che normalmente si crogiolano al sole sulle rive delle isole, ma oggi non ce ne è neppure uno, non c’è il sole e fa pure freddo. Cominciamo bene. Poco dopo, risalendo il lago-fiume, troviamo in mezzo alle acque un gigantesco trampoliere, che pare “cammini sulle acque”, e che in realtà sta camminando sul fondale che, in quel particolare punto, è molto basso. In quel momento la macchina fotografica di Nicola, mio figlio, si impianta, si è spenta, e non si accende più ….. l’elettronica! Le tentiamo tutte, e proprio allora il pilota avvista un gruppo di ippopotami. Un colpo di disperazione alla macchina fotografica che, come d’incanto, si rimette a funzionare! Oltre tutto, inaspettatamente, il vento che fino ad allora ci aveva colpito con sferzate di pioggia, ci ha riportato il sole. La giornata cambia subito, in tutti i sensi. Gli ippopotami sono nove, ed il pilota della barca ci dice che è una famiglia. Ed infatti vediamo tre “piccoli” in mezzo al gruppo. Stanno dormendo nell’acqua bassa, e sono appoggiati l’uno all’altro. Rimaniamo sul posto un quarto d’ora ed osserviamo il loro comportamento: è impressionante quando sbadigliano e mostrano quella bocca enorme con denti grandi come spade. La nostra barca si avvicina fino a dieci metri, mentre quella grande e bella, si deve fermare molto più indietro: è troppo grossa e spaventerebbe gli ippopotami. Loro vedranno gli ippopotami dall’alto, ma noi li vediamo da vicino! Iniziamo il rientro. Costeggiamo la riva opposta, e finalmente scorgiamo un coccodrillo, che e ne sta immobile a godersi il sole. Non è molto grande, ma a noi è sufficiente. Riusciamo anche a scorgere due “fish eagle” che volteggiano basse sull’acqua. Per le 12.30 torniamo al molo. Sulla strada verso l’albergo ci fermiamo ad osservare una ventina di scimmiette che vanno su e già dagli alberi, facendo dei salti pazzeschi tra un ramo e l’altro. Dopo un veloce pranzetto a base di pizza margherita con aglio e peperoncino (di notevole qualità, anche se non ha nulla ha a che fare con la nostra pizza) da ST Pizza, sulla MacKenzie, alle 14,30 prendiamo la macchina ed andiamo a visitare il Crocodile Park, aspettandoci una sonora fregata. Ed invece la visita si rivela interessante: vi sono varie pozze artificiali, con molto spazio intorno, dove parecchi coccodrilli sonnecchiano al sole, che ora è molto caldo. Non vi sono soltanto i coccodrilli sudafricani (che sono della specie del Nilo), ma anche di altre zone dell’Africa e dell’America (alligatori). Vi sono poi alcune vasche (parecchio grandi) dove giovani coccodrilli se le danno di santa ragione. Tra le varie vasche una colonia di scimmie, incuranti dei denti dei rettili, staziona saltando da una vasca e l’altra. Vi è anche una zona educativa dove vengono mostrate le varie fasi della crescita dei coccodrilli, ed altre notizie sul mondo dei rettili e sull’ecosistema della zona. E’ presto, sono le 15,30, mancano due ore al tramonto (il sole tramonta, per l’esattezza, alle 17,24), decidiamo quindi di entrare nel parco di Cape Vidal, percorrendo almeno un tratto dei 32 chilometri di pista non asfaltata. L’ingresso costa 12 rand per la macchina e 10 rand per persona. La strada è sì sterrata ma in buone condizioni. Da subito iniziamo a vedere varie specie di antilopi, soprattutto Impala e Kudu. Il paesaggio è bellissimo e molto vario. Arriviamo laddove la strada si incunea tra l’oceano e il Lake Saint Lucia. Dopo 26 chilometri la strada diventa piuttosto disagevole, ed il fondo, da terra battuta, diventa sabbia. La macchina tende a sbandare, si è fatto tardi, e quindi decidiamo di invertire la marcia e tornare. Assistiamo ad un fantastico tramonto sul Lake, con colore rosso acceso, e le poche nuvole presenti in cielo si trasformano in batuffoli di cotone rosa. Alle 18 siamo di ritorno in albergo. Ottima cena al Quarterdeck Restaurant, sulla strada principale.

17 agosto

Partiamo alle 9,30 con destinazione il parco Umfolozi-Hluhluwe, dove abbiamo prenotato degli chalets allo Hilltop Camp. Da Santa Lucia all’entrata del parco ci sono 50 chilometri, che si percorrono in poco tempo. Paghiamo l’ingresso al parco e ci dirigiamo molto lentamente verso la nostra destinazione. Il parco è molto bello, collinoso, con macchie di alberi, savana, e bosco fitto. Dopo due chilometri iniziamo a vedere animali: facoceri, impala, nyala, kudu, bufali, rinoceronti, gnu, zebre e bellissime giraffe. Gli animali sono vicini alla strada e si lasciano avvicinare senza problemi: riusciamo a scattare fotografie e girare film a distanza ravvicinata. L’avvicinamento all’Hilltop continua ad essere lento, a causa degli avvistamenti. Ci fermiamo in una zona, dove è stato creato un corridoio costituito da una palizzata alta di legno, che si addentra nella boscaglia per circa 300 metri, fino a raggiungere una pozza d’acqua, dove è stato costruito un capanno piuttosto grande, munito di panche e feritoie per l’osservazione degli animali all’abbeverata. In questo momento ci sono tre bufali ed un rinoceronte. Quest’ultimo si adagia per terra e si fa pulire la pelle da tre uccelli bianchi e neri, che provvedono al servizio con molta lena ed impegno. Alle 14 entriamo nel campo. Ci consegnano gli chalets, che sono decisamente grandi e di lusso. Sono a forma di capanna zulu, che di questa, tuttavia, hanno solo la forma. Il campo è piuttosto vasto, ed ogni chalet è abbastanza distante dagli altri. Mangiamo qualcosa al ristorante, che ha una vetrata con una vista spettacolare sulla sottostante grande vallata. Prenotiamo un Game Drive per dopodomani, così, se non riusciamo ad avvistare da soli gli animali, speriamo che i ranger facciano bene il loro lavoro. D’altra parte il costo è decisamente contenuto (70 rand a testa per un tour di tre ore, con partenza alle 6). Alle 15.30 ci rimettiamo in macchina e battiamo la zona a nord del campo, avvistando ancora parecchi animali, ma in misura inferiore a quelli di questa mattina. Bellissimi, invece, gli scenari verso le 17, quando il sole, ormai morente, colora il cielo e le colline di rosso. Come bellissima è quell’immagine della giraffa, accanto ad un albero, che mastica lentamente, stagliandosi nel sole. Alle diciotto, puntualissimi con l’orario di chiusura, rientriamo nel campo. Alle 19.30 ceniamo ed andiamo poi a letto presto, domani ci aspetta una faticosa giornata di …. caccia! Il cielo è bellissimo: una fantastica Via Lattea rischiara il tragitto tra il ristorante ed il nostro chalet. Ancora una volta mi dispiace di non essere in grado di “leggere” la mappa del cielo e di riconoscere le stelle e le costellazioni.

18 agosto

Sveglia alle 6.30, colazione alle 7 e partenza alle 7.30. Il tempo è bello, e la temperatura è mite. Abbiamo come destinazione il sud dell’Umfolozi. Nonostante l’ora sia propizia, non vediamo molti animali se non impala, nyala e kudu. Dopo 20 chilometri avvistiamo un rinoceronte bianco solitario, ma subito dopo altri tre rinoceronti, a circa 50 metri dalla strada. Proseguiamo verso sud. Avvistiamo giraffe, ancora antilopi, bellissime aquile (anche in gruppo di quattro) ed un solitario avvoltoio, appollaiato su un ramo sopra la strada. Raggiunto il punto più a sud iniziamo la risalita, ed ecco che incontriamo tre rinoceronti, mezzi nascosti dalla vegetazione e, poco più avanti, altri tre (un maschio, una femmina ed un piccolo) a soli dieci metri! Un grande spettacolo, anche perchè i tre non danno segni di soffrire la nostra presenza e continuano a “brucare” l’erba come se non esistessimo. Rimaniamo ad guardarli per un quarto d’ora, rimirandoli da ogni lato ed osservando le loro mosse, soprattutto del piccolo che ogni tanto si diverte a disturbare ora la madre ora il padre. Poco più avanti, all’altezza di un guado del fiume Umfolozi, ci imbattiamo in un gruppo numeroso di babbuini, che staziona sulle rive del fiume, e tra essi si aggira un varano, che le scimmie non degnano neppure di uno sguardo. Girando lo sguardo a monte del fiume, vediamo un gruppo di sei bufali che si abbeverano. Torniamo nell’Hluhluwe, e prendiamo la strada per la località di Seme, segnalata come possibile zona di avvistamento di animali. Ed infatti ci imbattiamo in una intera mandria di bufali; sono una quarantina e ci guardano tutti insieme. Non ci fanno una bella impressione, ma restano tranquilli ad osservarci senza peraltro dimostrare alcuna ostilità, ma, per sicurezza, teniamo il motore acceso ed il muso in direzione della via di fuga …. Il ritorno all’Hilltop Camp è “segnato” da tutta una serie di osservazioni ed avvistamenti, a terra e in cielo, che riempiono le nostre otto ore di automobile (rientriamo, infatti, alle 15.30), per il sospirato e meritatissimo riposo. Purtroppo il tempo si guasta e le nuvole coprono il cielo, per cui la programmata ripresa con la videocamera del tramonto dalla cima della collina viene accantonata. Facciamo con calma le valige, leggiamo e riposiamo fino all’ora di cena.

19 agosto

Sveglia alle 5.15. Partenza alle 6 con il tour guidato. Saliamo su un mezzo attrezzato con 10 posti. E’ naturalmente scoperto e l’aria mattutina ci sveglia del tutto. Il tour è decisamente deludente, nel senso che ripercorriamo, sostanzialmente, le piste di ieri e incontriamo gli stessi animali: rinoceronti, giraffe, nyala, kudu, facoceri, duiker (una antilope alta non più di 50 centimetri), molte aquile e una miriade di uccelli dal piumaggio variopinto. Splendide le riprese del sole che sorge al di sopra delle colline. Rientriamo alle 8.45 ed andiamo a fare subito una abbondantissima colazione: ci aspetta un lungo viaggio. Partiamo alle 9.45 senza aver ancora deciso dove ci fermeremo, decidiamo, comunque, di escludere l’avvicinamento a Johannesburg attraverso il Matupaland, ed optiamo per il seguente itinerario; Durban (sulla N2), Pietermarizburg (sulla N3), deviazione per la regione delle montagne del Drakensberg, ritorno sulla N3, sosta ad Harrysmith, e quindi Joh’burg. Usciamo dal parco attraverso l’ingresso nord del Memorial Gate. Al di fuori del parco è Africa “pura”: gli abitati hanno tutti la forma del “kraal”, cioè il recinto formato da capanne rotonde, con il tetto di paglia. E’ territorio Zulu, e la strada passa tra questi villaggetti, con la gente che cammina per strada, sulla strada commercia, sulla strada discute ….. insomma sulla strada vive. Ci fermiamo quando incontriamo dei bambini: sono vestiti di stracci, ma sono belli e doniamo loro biro, caramelle, camice e maglie che volevamo buttare. I loro sguardi si aprono in sorrisi bianchissimi e ci salutano straniti dei doni ricevuti. Poco prima di Hluhluwe entriamo sulla autostrada N2 (termine qui usato per indicare una strada principale, che a volte è a due, a volte tre ed a volte quattro corsie, ma senza recinzioni e tutti la possono percorrere). A qualche chilometro da Durban, dove arriviamo dopo due ore e venti, l’autostrada diventa a quattro corsie separate ed è a pagamento (il costo è simbolico). Velocemente ci portiamo sulla N3 verso Johannesburg. Dopo Pietermarizburg ci fermiamo ad un distributore di benzina per fare il pieno ed il punto della situazione. Abbiamo fatto 300 chilometri e sono solo le 13.30. Decidiamo di arrivare fino a Champagne Castle, una località di villeggiatura nel pieno del Drakensberg. Mancano ancora 220 chilometri, ma là ci riposeremo due notti. Fino a Estcourt è tutta vera autostrada velocissima (anche se il limite di velocità imposto è di 120 kmh, abbastanza rispettato dai sudafricani). Il paesaggio è cambiato, vi sono immense distese a pascolo, con migliaia di capi di bestiame. Colline dolci interrompono ogni tanto le distese di pascoli. A Estcourt nord usciamo dall’autostrada ed imbocchiamo la strada (ottima, come tutta la rete stradale sudafricana che abbiamo provato) verso Loskop, qui giunti giriamo a sinistra sulla R600 verso Champagne Castle. La strada inizia, dolcemente a salire, e passa in mezzo a villaggi zulu, più “ricchi” di quelli visti vicino a Hluhluwe: le capanne sono le stesse, ma vediamo scuole, con tantissimi bambini e ragazzi, che in quel momento escono dalle aule, mercati, ecc. Finalmente arriviamo in zona. Seguendo le indicazioni delle guide della Lonely Planet e dell’ottima Rough Guide (che si è rivelata molto attendibile e migliore della prima sotto ogni aspetto) decidiamo di alloggiare al Champagne Castle Hotel che si trova proprio al termine della R600 sotto le montagne ed in mezzo alle pinete. L’albergo si trova infatti in una posizione incredibile: di fronte troneggia il Champagne Castle che, con i suoi 3377 metri, è la seconda cima più alta del Sudafrica (quella più alta è nella zona, ed ha un nome impronunciabile). Sulla destra della montagna, che ha la cima assolutamente piatta, c’è una serie di creste che sono chiamate Dragon Back (schiena di drago), perchè richiamano in modo evidente le protuberanze della schiena e della coda di un drago. L’alloggio è previsto in rondaveli (stile capanna zulu, ma molto molto più confortevole) oppure in camere doppie con bagno. L’arredamento denota una certa “anzianità” dell’albergo (è stato costruito nel 1928 trasformando una precedente fattoria boera), ma la posizione ed il prezzo (245 rand a persona in pensione completa) sono impagabili. C’è molto verde, panchine per riposare, situate in posizione strategica di fronte alle montagne. Insomma un posto veramente incantevole, il silenzio, poi, è assoluto. Ale 19.30 viene servita la cena. Nella sala da pranzo gli uomini possono accedere esclusivamente se indossano la cravatta! Ma non c’è problema, all’ingresso sono appese una ventina di cravatte e ciascuno può scegliere quella di suo gradimento. L’abbigliamento diventa a questo punto piuttosto curioso, come il caso di quell’americano che indossa jeans, scarpe da trekking, una vistosa camicia a righe bianche e nere, con innesti rosa, ed una favolosa cravatta tipo college! Il sottoscritto, invece, indossa un paio di scarpe da tennis bianche, pantaloni chiari del tipo “mille tasche”, una camicia bianca con quadrettini marroni, un puloverino color crema con disegni geometrici sul marrone, ed una cravatta a righe trasversali di colore marrone e crema. L’insieme non è niente male….. La cena è a buffet ed è ottima, come ottimo è il vino (un blended di Merlot e Cabernet). I camerieri sono molto professionali ed il tutto scorre via bene fino al dolce. Oggi siamo veramente stanchi, abbiamo percorso 520 chilometri, dopo esserci svegliati alle cinque, ed aver fatto un tour di tre ore. Alle 9.30 spegniamo tutti la luce.

20 agosto

Sveglia alle 7, ma colazione alle 8.30. Alle 9.15 partiamo per una escursione nei dintorni. L’hotel ci ha fornito una mappa con la descrizione dei sentieri, e la durata dei percorsi. All’inizio il sentiero corre in una foresta di eucalipti profumatissimi ed altissimi. Sale leggermente, è largo e ben tenuto. Oltre tutto questi sentieri sono di proprietà dell’albergo ed i non residenti devono munirsi di un permesso. Non c’è assolutamente nessuno e la passeggiata è gradevolissima. Il sentiero inizia poi a salire. Deviamo dal sentiero principale per andare a vedere i Bushman Paintings. Si trovano su una roccia levigata e sono delle antilopi, con il corpo piuttosto allungato, ma molto carine. Torniamo al sentiero principale e continuiamo a salire, anche se dolcemente. Arriviamo, dopo un’ora e mezza di cammino, alle Cristal Falls. La cascata, essendo inverno, non è un gran che, ma l’acqua è freschissima e molto buona (l’acqua è infatti perfettamente bevibile, provenendo da una sorgente, posta più in alto). Poco più avanti, in direzione delle Sfinks Falls, che però non raggiungiamo, data l’ora, arriviamo ad una svolta del sentiero, che ci consente di ammirare il Champagne Castle e i picchi del Dragon Back in tutta la loro imponenza. Iniziamo la discesa, e dopo più più di un’ora siamo in albergo. Andiamo a prendere qualcosa da bere (il sole ha picchiato caldissimo, e siamo belli sudati), e ecco che mia moglie si accorge di non avere più il portafoglio (contenente oltre ai dollari ed ai rand, anche la carta di credito!). Convinta di averlo perduto alle Cristall Falls, dove ha aperto la borsa per riporvi una maglietta, decidiamo di tornare immediatamente su. Il timore di aver perduto soldi e carta di credito ci mette le ali ai piedi, e in soli 45 minuti siamo alle Falls: il portafoglio non c’è e a mia moglie viene in mente, solo allora, di averlo lasciato in macchina nel cassetto del cruscotto. Le recriminazioni a dopo: torniamo come furie in albergo in soli 30 minuti. Il portafoglio era in macchina! A letto stravolti, dormiamo fino alle 16. Dopo di che ci aggiriamo nel giardino davanti all’albergo, splendido non tanto per la bellezza dei fiori o altro, ma per l’essere una balconata verde rivolta verso le montagne. In albergo, inoltre, si può praticare il tennis, il gioco delle bocce su un prato tirato all’inglese, le passeggiate a cavallo. Noi ci distribuiamo e ciascuno fa qualcosa. Alle 19 facciamo per l’ennesima volta le valigie, anche se è, purtroppo, la penultima volta. Dopo di che andiamo a cena, sotto un cielo splendente di stelle.

21 agosto

Partiamo alle 9.30 verso Harrysmith, che si trova a 260 km da Johannesburg. Ci fermiamo a Winterton per fare benzina ed a cambiare in banca. Troviamo qualche problema nel cambio (sono dollari), perchè la cassiera telefona alla sede centrale per sapere come fare. Finalmente le danno tutte le istruzioni necessarie all’operazione, ed entriamo in possesso dei nostri rand. La strada verso Harrysmith (la R74) è bella, comoda e senza traffico alcuno. Il paesaggio continua a cambiare: prima sono pascoli infiniti su una prateria … gialla. L’erba è tutta secca, ma il bestiame non dà segno di sgradire. Poi ci troviamo in una sorta di “Monument Valley”, con picchi dalla superficie piatta che sorgono dalla prateria gialla. Infine, dopo aver superato l’Oliviershoek Pass, arriviamo alla Sterkfontein Dum Nature Reserve, al cui centro c’è il secondo lago, per estensione, del Sudafrica. Lungo il tragitto facciamo molte fermate per scattare fotografie. Il paesaggio è veramente notevole. Lasciamo il KwaZulu-Natal, ed entriamo nel Free State. Scompaiono le tipiche casette rotonde di fango degli zulu. Arriviamo ad Harrysmith verso le 13, e prendiamo alloggio al Harrysmith Inn, un tipico motel all’americana, con la differenza che la camera (grandissima) costa 199 rand, cioè meno di sessantamilalire (in tre). Andiamo a fare un giro in paese. E’ una cittadina che ha origini abbastanza vecchie, e vi sono vestigia di un passato non recente, accanto a brutture moderne incredibili. Ci sono pochissimi bianchi, ed i neri parlano una lingua del tutto incomprensibile. Riusciamo a fare qualche ultima spesa. La vita qui costa veramente pochissimo, per noi, e riusciamo ad acquistare delle bellissime polo, dal puro e ottimo cotone, a prezzi stracciati: 9.000 lire, da non credere! Ceniamo in albergo in un dignitosissimo ristorante. E’ la nostra ultima sera in Sudafrica, e l’atmosfera non è delle migliori; discutiamo di come impiegare il tempo domani, visto che abbiamo solo 260 km da fare e l’aereo parte alle 20.15. Andiamo a letto presto mogi mogi.

22 agosto

Partiamo alle 10; cerchiamo di tirare il tempo, in modo da dilatarlo ed evitare, quindi di restare in aeroporto per troppe ore ad aspettare la partenza. Anche oggi splende il sole e fa caldo (non meno di 28/30 gradi). L’autostrada corre in un paesaggio assolutamente desolato, la cui caratteristica principale è la polvere che viene sollevata da fortissime raffiche di vento, tanto che in un primo tempo avevamo pensato di essere circondati dalla nebbia. Ogni tanto vediamo mandrie di mucche al pascolo, ma, in generale, il paesaggio non è certo un gran che. Manteniamo una velocità costante di 100 kmh per ritardare l’arrivo in aeroporto. Ci fermiamo a pranzo ad Heidelberg, una cittadina a 60 chilometri da Johannesburg, abbastanza carina, con vecchi edifici. Il vento è ancora a raffiche. Finalmente arriviamo a Joh’burg. Le indicazioni per l’aeroporto sono chiarissime e in poco tempo vi arriviamo. Anche le indicazioni per la consegna dell’autovettura non potevano essere più chiare. Nessun problema all’agenzia, e ci portano anche al terminal con un trenino elettrico. Alle 15 facciamo il check in e quindi entriamo in zona duty free, dove ora sto scrivendo queste righe, davanti ad una birra Windhoek Lager. Il resto della storia non conta, è pura routine. La vacanza è finita.

 

Il Viaggio Fai da Te – Hotel consigliati in Sudafrica
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