Visa Run

di Diana Pasetti –
Sono appena le cinque del mattino. Assonnata come sono infilo un paio di jeans sopra il solito costume da bagno ed una maglietta rossa e raggiungo l’uscita. Il compagno della mia vita, un passo dietro a me, spegne la luce nella stanza e l’aria condizionata dell’intero residence, anche se non ce ne sarebbe bisogno.
Nella semioscurità attraversiamo il parco. Poca e fioca la luce dei lampioni. Cerchiamo di non calpestare le ranocchiette che saltellano fiduciose sul viale…costeggiando la piscina illuminata dal fondo. Il guardiano dorme su una sdraio,proseguiamo quindi in silenzio, per non disturbare il suo sonno. Appena sulla strada,notiamo un pulmino con i fari accesi. E’ ancora vuoto e ha le portiere aperte. Solo una ragazza thai è al volante mentre un’altra, venendoci incontro, c’invita a salire dopo averci “abbracciati” alla maniera europea.
Sento il suo sorriso pur non riuscendo a vederlo ancora. La ragazza al volante ha una vocina squillante e allegra.
Mette in moto e l’auto parte tra sobbalzi su una strada sconnessa per i continui lavori in corso. Il caldo e l’umidità qui rendono necessarie continue manutenzioni.

Ci troviamo quasi all’estremità sud di Phuket, a Kata. Poco più in basso c’é solo Chalong Bay. Uno dei due porti importanti dell’isola.
L’auto si ferma innanzi ad un ristorante già aperto. Appare, dall’ombra, un uomo alto e rugoso, scopriremo poi che è un medico francese. Lo vediamo salutare affettuosamente la sua donna thailandese prima di salire a bordo. L’auto continua a costeggiare l’oceano e le sue lunghe spiagge. A Patong Beach si unisce a noi Andrea, un giovane italiano che ha aperto un ristorante nelle vicinanze. E’ innamorato, come molti della Thailandia e del suo vivere. Tranquillo, posato si siede dietro a noi e si lascia subito cullare dal ritmo delle ruote che continuano a macinare la strada. Ci dirà poi che dell’Italia gli manca soltanto la gran vitalità e il nostro modo elettrico di vivere, anche se qui, con la calma e la gentilezza arrivano ai nostri stessi risultati ottenuti con l’agitazione.
Man mano che proseguiamo nel nostro viaggio verso il Nord dell’isola proseguono le fermate e salgono a bordo altre persone. Alla fine saremo otto “Farang” (dispregiativo thai nel chiamare i forestieri pieni di soldi) e le due ragazze thailandesi.
I ristorantini lungo il percorso sono i primi ad essere aperti e riordinati mentre già ai bordi della strada si vedono dei bonzi in cammino scalzi e vestiti di stracci arancione. A tracolla portano una sacca di tela, arancione anch’essa, che strada facendo sarà riempita di cibarie a loro offerte da devoti che li aspettano per inchinarsi, prostrarsi e chiedere una sorta di benedizione in cambio di spiccioli fatti scivolare nella sacca con fiori e cibarie…
48 sono i KM in lunghezza dell’isola fino al ponte Sarasin che l’unisce alla terra ferma, ma paiono 200.

Ed ecco apparire l’alba dietro le colline formate da folta vegetazione prosperosa e ricca d’un lucente color verde smeraldo.

Ha piovuto la notte scorsa e tutto ora appare lucente e lustro. Le piantagioni d’alberi della gomma sono numerosissime e si alternano ai boschi di banani e di palme altissime ricche di frutti. I cespugli selvatici di bouganville qui sono davvero prosperosi e gli altri arbusti fioriti sono altrettanto belli.
E’ benedetta questa terra, benedetta nella ricchezza delle sue bellezze naturali e gli animali qui vivono tranquilli mentre la maggior parte degli uomini spesso fatica anche a respirare. Eppure c’è molta ricchezza anche tra i thailandesi e si vede, guardando le bidonville che si alternano a bellissime case di tipo occidentale.

Il paesaggio prosegue simile per chilometri. Giungla ai bordi della strada davanti alla quale si ammassano, nel vero senso della parola, catapecchie dalle pareti di legno e tetti composti alla meno peggio con bandoni arrugginiti. Non esistono quasi negozi chiusi a Phuket a parte un paio di supermercati giganteschi. Tutta la vita si svolge all’aperto e tutto si vende all’aria sotto improvvisate tettoie, dai frigoriferi ai mobili di giunco spesso con una sola parete improvvisata che li divide da mercatini di frutta tropicale o vendite di pesce essiccato o bancarelle con fiori dagli stupendi colori dove primeggiano le orchidee dai colori vivaci con sfumature incredibili…e dalle forme così diverse da sembrare fiori diversi…invece sono sempre e solo “orchidee”…Affascinanti Orchidee!
Lo stesso paesaggio per ore…e il viaggio durerà un’eternità…troppo spesso siamo costretti a procedere a passo d’uomo.
Nel nostro andare attraversiamo il Ponte Sarasin , sospeso su un tratto d’oceano da far venire i brividi, all’estremo nord di Phuket. Congiunge l’isola alla terra ferma e noi proseguiamo lungo la costa per trovare altre spiagge, altre giungle, tante piccole fattorie nascoste tra i palmeti ed estensioni d’alberi della gomma. …ancora e ancora. senza fine. Sono sorprendenti questi alberi che appaiono tanto fragili. Possiedono una linfa preziosa, un liquido bianco, lattiginoso e appiccicoso all’interno dei lunghissimi tronchi orgogliosamente dritti e fieri alla cui base degli indigeni esperti producono dei tagli orizzontali ferendo la corteccia da dove uscirà lentamente il liquido tanto prezioso. Questo sarà poi raccolto in una mezza tazza di cocco. Quando una ferita dell’albero non produrrà più. ne verrà inferta un’altra un poco più in alto, mentre le cime degli alberi primeggiano tra loro per la folta chioma che pare voglia raggiungere sempre più la luce…
Quante passeggiate ricordo di aver fatto tra quelle foreste. Quante volte ho aiutato i raccoglitori a versare il latte delle innumerevoli ciotole in un solo contenitore per poi fermarmi ad osservarne la lavorazione….Si stende il liquido su un tavolaccio e lo si lavora proprio come si fa da noi, con la sfoglia per stenderla poi ad asciugare al sole. E’ un commercio, quello della gomma, ancora molto redditizio da queste parti!
E sulla terra ferma avanziamo imperterriti nel pulmino quasi in silenzio tra noi. La piccola thai al volante canticchia seguendo la strada, mentre una voce miagolante esce in sordina da una radio tenuta a basso volume.

Ci fermiamo per far colazione in un posto di ristoro prettamente thai sotto un’ennesima tettoia…che promiscuità di cibarie. Mi guardo intorno.. affollatissimo il locale a quest’ora e incredibile quanto possano mangiare i thai al mattino. Di più, molto di più di un abbondante pranzo nostrano. Cerco una spremuta d’arancia…mi manca la vitamina C qui….ma questa mattina dovrò rinunciarvi…mi portano una brodaglia mielosa…è qualcosa da “farang” il succo di frutta fresco. Mi accontento quindi di un caffè con la crema da sciogliere dopo aver aperto l’anonima bustina…
Troppo bello e interessante il viaggio e non protesto…ora potrei descrivere le “loro” toilette ma lascio alla vostra immaginazione un mio entrare ed uscire da una porta quasi in simultanea…

Dopo 5 ore giungiamo a Ranong e subito ci addentriamo lasciando la via maestra, in un agglomerato di catapecchie ammassate in un viale appena percorribile nella polvere, in fondo al quale si vede il mare…
Il mare! Non è mare qui…non è oceano…è un’estesa pozzanghera dalla superficie mielosa e maleodorante…



Decine di long boat aspettano i passeggeri sotto alcune rampe di scale che scendono verso l’acqua. Una vera sfida imbarcarsi poi dall’ultimo scalino su una barca e poi da questa ad un’altra ed un’altra ancora fino a raggiungere quella più vicina al mare aperto…almeno dieci imbarcazioni da attraversare prima di giungere alla n. 37 tra un allargare e stringere di legni chiamate troppo pomposamente “boat”. Una vera peripezia quella di non cadere in acqua. Il peggio dovrà ancora venire…
Un passo indietro. Prima del cosiddetto porto…abbiamo dovuto sostare alla frontiera thai. Un edificio in muratura più che dignitoso sull’ultimo lembo di terraferma. Una stanza con aria condizionata e funzionari gentili. Ci hanno stampato il passaporto con il visto di uscita ben sapendo che entro un paio d’ore al massimo ci avrebbero rincontrati per stampare sullo stesso documento il visto di rientro. Una presa in giro insomma…un gioco per far guadagnare e lavorare un gruppetto di persone in “più”. Questo per noi occidentali, visto che la permanenza in thailandia ci è stata concessa solo per 30 giorni e che ogni giorno in più, ben lo sappiamo, ci costerebbe una multa salatissima da pagare all’imbarco definitivo. Da qui lo stratagemma di uscire e rientrare nella nazione prima che il visto scada.

Noi, il compagno della mia vita ed io, la prendiamo come una esperienza in più…un modo di ficcanasare per quel che possiamo in un altra nazione…sbirciando in un mondo soltanto intuibile attraverso gli abitanti del luogo che incontreremo..

Ed eccoci a bordo, noi impavidi 8, ognuno con il suo bravo passaporto in mano o in tasca, a tenerci in bilico, appoggiandoci ridendo anche su di noi…la long tail n. 37 si è fatta largo tra le altre…e il solito motore di camion adattato per navigare con aggiunta per mezzo di una lunga pala , un elica…romba…sbuffa.. manda fumo nero…ma la barca va…
“Se tutto va bene mi gioco il numero 37 al lotto al rientro in Italia” dico, mentre un anziano marinaio manovra la lunga barra con dimestichezza e maestria…Siamo in mare. Dietro di noi lasciamo palafitte puzzolenti e putride appartenenti a tutti gli abitanti di frontiera, e sono tailandesi questi…Avanti a noi all’arrivo troveremo lo stesso scenario…ancora non lo sappiamo. Intanto da qui…dall’alto…lo scenario appare bellissimo e accattivante.

Dopo una mezz’ora di navigazione l’antico Siam appare distante e ormai immerso nella foschia emanata dal calore e dall’umidità del luogo mentre la Birmania si avvicina.

Si intravede il luccicar di un tempio dal tetto dorato..si intravede un qualcosa che assomiglia ad una casa galleggiante tra uno stretto di mare sulla nostra sinistra. Man mano che ci avviciniamo la costruzione appare sempre più misera e improvvisata…decine di copertoni ne coprono le pareti. Ad essi si ancoreranno le lunghe barchette per mezzo di una corda ormai slabbrata e putrida. La guardo e mi meraviglio, pare si regga a malapena a galla quella casa… poi con sollievo noto che è per un lato appoggiata ad un lembo di terraferma,,,un isolotto appena accennato. La nostra n. 37 si avvicina piano e ormeggia legandosi ad un paio di copertoni…leggo “immigration” e vedo sventolare una bandiera che sembra cadere…è sporca anch’essa e lisa..la bandiera del Myanmar (Birmani)..non è possibile…non credo ai miei occhi..una frontiera composta da una palafitta in acqua ricoperta di copertoni di auto e di camion….

Altra avventura…e comincio a temere sulle capacità di sapermi tenere in bilico questa volta e sulle difficoltà che avrà il compagno della mia vita con una gamba “non troppo allenata” rispetto all’altra. Ho paura per i salti che dovremo improvvisare dall’imbarcazione al primo scalino (si fa per dire) della palafitta.
Passo per prima, i sette uomini cavallerescamente mi cedono i passo…bene, lo sbarco è andato e mi trovo ora con il dover affrontare il terzo gradino…la salita per “l’ufficio diplomatico” appare come un mucchio di sassi posti l’uno sull’altro coperti di sabbia…un cane mi ferma il passo.. Sta scendendo per salire sull’imbarcazione forse…In due non si passa…quindi o lui o io…scende prima lui mentre dietro di me la fila dei coraggiosi uomini farang si mette in disparte..
O.K.…sono su. arrivata su un pianerottolo che mi pare ballarmi sotto i piedi…e ora? Adesso un musulmano in divisa sdrucita m’indica l’entrata…un’unica stanzetta semibuia .dove man mano ci riuniremo tutti e otto. Ci sono dieci sedie di plastica e ci invitano a sederci. Non vorrei farlo ma “devo”. Stringo tra le mani la macchina fotografica aperta…la tentazione è grande…due uomini in divisa sono seduti dietro al tavolaccio che ci divide. Uno prende i passaporti, li ammucchia e uno dopo l’altro li apre alla pagina dove è stato posto il visto d’uscita dalla Thailandia…l’altro uomo batte forte, un timbro sopra un cuscinetto d’inchiostro quasi asciutto, prende un passaporto dalle mani del collega e si prepara ad apporre il timbro. Il passaporto gira e rigira tra le sue mani stanche mentre il primo ufficiale cerca di indicargli il punto esatto dove dovrà essere posta la timbratura…Il timbro si mette in moto nuovamente, è pronto a partire…e si ferma in aria…a questo punto il sotto ufficiale si ricorda e chiede a noi 5 dollari a testa… si ..lo sapevamo…e tutti noi avevamo la nostra brava banconota tra le mani.
Ora la moneta americana con scritto “In God we trust” (e non in Allah!) sarà girata e rigirata, contata e ricontata e infine il timbro di “accesso e ‘d’uscita” nel e dal Myanmar sarà applicato.
Come si fa ad entrare e uscire contemporaneamente in una nazione? Come si fa? Si fa…si fa…per cinque dollari si fa questo ed altro qui…

Ho il dito sopra lo scatto della macchina fotografica posata strategicamente sulle mie ginocchia. I compagni di viaggio mi guardano folgorandomi tutti…compreso l’americano studioso d’oceanografia tanto conosciuto da queste parti per le numerose entrate ed uscite…allora rinuncio e richiudo lentamente l’apparecchio nel suo fodero.
Alzo gli occhi…una sola foto è incollata alla meno peggio su una delle pareti. Il capo del Myanmar circondato da ghirlande di fiori veri ormai appassiti. Ha una faccia antipatica. Sopra la foto una bandiera scolorita. ..
Qualcosa continua a pungermi le gambe nude. Non so trattenermi dal grattarmi. Nugoli d’insetti si stanno nutrendo del mio sangue… mentre Andrea m’indica con gli occhi una tenda alle nostre spalle. Si alza lentamente e riesce a scostarla di pochi centimetri…dietro vediamo un mucchio di vestiti appoggiati in terra sopra tre stuoie…
Questa è la “camera da letto” degli ufficiali mentre del bagno non vi è nessuna traccia.

Tutto qui per due o tre funzionari, di uno Stato esistente al mondo. Tutto qui per degli uomini dalle divise sgualcite e i piedi fasciati semplicemente da sandali di gomma….200 euro al mese…e sono dei privilegiati!

Salutiamo cortesi e affrontiamo la discesa…che sarà ancor più dura della salita…Il vecchio barcaiolo ci aiuta a risalire a bordo. Altra prova d’equilibrismo. Gli chiediamo, noi italiani, di portarci a terra almeno…sorride e si avvicina alla terra ferma…

Ed eccoci in Birmania. Cinque di noi aspetteranno su una panchina al molo mentre Andrea, W. Ed io approdiamo al nuovo mondo. Uno sguardo almeno. Poco lontano il tempio avvistato dal mare ospita una grande statua del Budda…mentre tutto intorno appena un accenno di villaggio. palafitte luride.. un tanfo insopportabile sotto un caldo asfissiante ed opprimente…Notiamo della merce in vendita che da noi non si troverebbe nemmeno all’interno di un secchio dell’immondizia nel più povero dei rioni…qualche oggetto di contrabbando…sigarette…liquori per pochi dollari americani…
“Povera gente! Povera gente!” ripeterò per ore da qui in poi, come un rifiuto a credere a ciò che avevo visto…come una preghiera!

Ci troviamo nuovamente in terra tailandese. altro permesso di entrata e saremo “legalmente “ospiti, per altri 30 giorni , di Re Bhumidol.
E’ ricca la thailandia in confronto a ciò che i nostri occhi hanno pur visto…è sorridente…allegra…viva…Benedetta!
Consumiamo allegramente un abbondante pasto scherzando tra tutti noi…birra gelata…spremuta d’arancio per me…una festa!
Sì ci vuole poco per essere al mondo…per sentirsi parte del mondo e tra i fortunati a volte…basta attraversare una frontiera!

Ed eccoci nuovamente ad attraversare il ponte Sarasin mentre appare all’orizzonte, per noi, il più caldo dei tramonti…
Siamo di nuovo a Phuket. Tra un paio d’ore saremo a casa…si…anche un albergo può essere “Casa”

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