La più calda estate della Bretagna

di Nigel Mansell – Luglio 2022  
In una serata caldissima, ci sono più di 30°, scaliamo il Sempione, per scendere poi a Briga e seguire il corso del Rodano sino a quando arriva a formare il Lago Lemano.

Quando finalmente raggiungiamo l’enorme Lago di Ginevra è ormai rosso del sole del tramonto. Noi che corriamo sull’autostrada, costeggiando la sponda svizzera, lo ammiriamo incantati, è così maestoso che sembra il mare. Veramente molto più regale del nostro Lago Maggiore.

Lentamente le luci si accendono e quando finalmente arriviamo a Ginevra, che sarà la nostra tappa intermedia, è ormai notte. Purtroppo saltiamo l’uscita che ci porterebbe velocemente al nostro Ibis, situato proprio tra l’autostrada e l’aeroporto.

Inevitabilmente ci perdiamo.

Tecnicamente non ci siamo persi, sappiamo esattamente dov’è l’albergo, ma tra lavori in corso e barocchi sensi unici, non riusciamo a imbucare la strada giusta. Abbiamo capito che siamo vicinissimi, gli siamo proprio di lato, lo vediamo con google map. Ma c’è una maledetta sbarra automatica, inflessibilmente chiusa, che non ci permette di accedere all’area convegni dell’aeroporto. Purtroppo è un centro polifunzionale che vista l’ora tarda, è ormai chiuso. Mi inoltro allora a piedi, lasciando precauzionalmente Vanessa in macchina. Una volta dentro parlo con un autista, in stand-by al posto di guida come il suo autobus con i fari accesi e il motore spento. E’ reticente, non vuole spiegarmi come fare a entrare bypassando la sbarra. Poi guarda in lontananza e mi dice, votre voiture gêne le bus. Impossible, gli dico, il y a ma femme là bas. Ma in effetti di lontano vedo le luci dell’autobus bloccato. Allora torno di corsa, e scopro che Vanessa non riesce a far partire la nostra Mini. E’ nel panico, non riesce a ribattere all’autista che l’ha riempita di parole, rimproveri e indicazioni in francese: per buona parte della vacanza, se interpellata in francese, osserverà il mutismo più assoluto. Sposto l’auto, faccio passare il bus e mi infilo dietro di lui. Passiamo una, due, tre sbarre, che magicamente si aprono al passaggio del pullman, e noi non lo molliamo, passando dietro di lui. Finalmente raggiungiamo l’hotel dal posteggio sotterraneo.

Dentro c’è una folla internazionale, all’accoglienza ci riceve un indiano, che mi ricorda quanto parlavano in modo assurdo l’inglese nel viaggio che feci in India, ma del resto gli indonesiani di Bali e Lombock non erano meglio. Volti anonimi e voci altrettanto indistinguibili. In camera l’indispensabile, neanche gli armadi, ma solo una barra orizzontale, in una rientranza della parete. Noi siamo nella parte riservata a Ibis Styles, che dovrebbe essere migliore, non voglio immaginare l’Ibis Budget a fianco. Sarà perché è uno Styles, sarà perché siamo in Svizzera e pure il cambio non aiuta, ma il conto è salatissimo.

Il giorno dopo, la colazione avviene con altrettanti volti anonimi, immagino che tanti siano lì perché aspettano un altro volo che li porti lontano o al contrario perché glie lo hanno cancellato: in questo periodo le compagnie aeree sono nel caos. Comunque cerco di pareggiare il conto salato, e mi butto sul buffet depredandolo. Come al solito evito però la parte salata, tanto apprezzata dagli anglosassoni e dai germanici.

Il viaggio è lunghissimo, sarà una lunga tirata sino a Cancale.

Lasciate le autostrade francesi entriamo nelle superstrade bretoni che non si pagano, ma con limiti di velocità molti bassi. Guai a sgarrare però perché gli autovelox sono frequentissimi.

Ora siamo su una strada extraurbana, siamo prossimi a Cancale, ma non vediamo il mare. Poi realizziamo che c’è la bassa marea, qui molto impattante, il mare, meglio l’oceano, sembra proprio sparire.

Dal nostro Bed & Breakfast, riservato con Chambres d’hôtes, veramente efficiente, una lunga strada in discesa ci porta direttamente al porto. La percorriamo a piedi, siamo stufi di stare in macchina, e poi sono veramente due passi.

Le case dai tetti neri, tutte accostate, si affacciano sul piccolo golfo: è bellissimo. Da un osservatorio, una montagnetta diventata un monumento ai caduti delle due guerre, riusciamo a vedere Le Mont-Saint-Michel, sperduto in mezzo al mare che nel frattempo sta risalendo.

Ci tuffiamo nelle ostriche e i coquillages vari. Tra l’altro mi sembra di aver capito che solo a Cancale c’è un’ostrica particolare, che io non saprei neanche riconoscere: io neanche le mangio, mi disgustano. Preferisco le cozze, che non mi faccio mancare.

Le Mont-Saint-Michel è sempre fantastica, può ritornarci dieci, cento volte, ma ne rimarrai sempre sorpreso. Geograficamente appartiene alla Normandia, ma se vieni a visitare la Bretagna non puoi non passarci. Rispetto a tredici anni fa è molto cambiata. Stanno recuperando l’area circostante in funzione ecologica, non ci si arriva più quasi a ridosso con l’auto. Posteggiamo molto lontano e dei bus bifronte ci portano fino all’ultimo ponte che porta all’isola. Dentro c’è tantissima gente, ma ci si riesce ancora a muovere. Intanto noi facciamo la visita con le cuffie audio e ci leviamo dal caos intorno alla basilica.

A Dinard, il mare, o l’oceano, se ne è andato, liberando enormi porzioni di spiaggia. Ci addormentiamo nella porzione iniziale, ancora ben asciutta. Dopo un’oretta di sonno, ci diamo anche noi all’esplorazione della battigia, come fanno tutti i locali.

Viaggio in Bretagna - Foto di Nigel Mansell dal racconto La più calda estate della Bretagna

Saint-Malo mi era sembrata più bella, quando c’ero stato nel 1995. Ero più giovane e impressionabile, e non mi era importato molto che in realtà sia stata ricostruita dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ora mi sembra troppo piena di case e di cose.

Ci sono i traghetti che partono per l’Isola di Jersey, che mi pare in realtà molto lontana. Mi viene in mente il mio professore di inglese che è nato proprio lì, ma anche il film The Others, girato in quell’isola.



Al ritorno facciamo tutta la costa esterna sino a Cancale.

Il nostro padrone di casa che ci ospita nella sua Chambres d’hôtes si palesa sempre nella sua tipica maglia marinara a strisce orizzontali blu e bianche. In vero potremmo dire che gli fa difetto in corrispondenza del suo enorme pancione. Ogni mattina ci propina video delle manifestazioni e delle bellezze locali.

E’ molto particolare, con un fare effeminato con dei modi ridondanti e baroccamente ricercati. Ci diciamo: è sicuramente un pederasta. Poi in realtà ci riferisce di avere una sposa, ma non la vedremo mai. Vediamo piuttosto il suo sgorbio di cane, con cui intrattiene lunghe conversazioni, ma con noi non è molto sociale, ci ringhia appena tentiamo di avvicinarci, quindi preferiamo non intervenire nelle discussioni.

Sicuramente le Chambres d’hôtes sono un modo molto interessante e tutto sommato economico per soggiornare mentre si fa del turismo in Francia. Il sito internet è molto ricco per ogni zona, intuitivo e facile da usare, con tutte le informazioni, incluso i prezzi, facili da raggiungere. Ma a noi non piace molto entrare nell’intimità della casa di altri, sembra di fare loro quasi violenza irrompendo nel loro ménage familiare. Poi, specialmente in questa residenza è pieno di obblighi, in salotto non ci si può sedere e in casa è pieno di pizzini attaccati al muro con le varie indicazioni: tira piano l’acqua del water, non entrare in due in doccia, ecc. ecc. Preferiamo lo stile asettico di un albergo e poi… se devo dirla tutta… quando mi abbuffo nei buffet della colazione non sono osservato dal padrone di casa e non mi sento in colpa.

Ci sono 35° centigradi oggi, i Bretoni ne sono esausti. Una barista di Dinan mi dice, per voi in Italia è normale, ma per noi no, è insopportabile. Io cerco di spiegarle che noi siamo del nord dell’Italia, ma lo stereotipo è sempre quello, pizza o pasta, mandolino e mafia.

Dinan ci è sembrata la più antica e meglio conservata delle città che visitiamo. Le case a graticcio caratterizzano il centro, e un ufficio turistico organizzatissimo ed efficiente ci illustra quanto c’è da visitare. Scendiamo poi sul porto fluviale che è incantevole. Mangiamo proprio sul bordo del fiume: insalatone alla francese, sidro e crepes.

Roscoff sembra il nome di una stazione della transiberiana, oppure di un porto asiatico, magari di una vodka, ma non certo di una località della Bretagna. In spiaggia filmiamo la marea che sale, la si può vedere a occhio nudo. Non è certo il famoso cavallo al trotto, ma ha più o meno la velocità di un uomo che passeggia lentamente. Oggi prima di arrivare a Roscoff abbiamo patito ancora più caldo, abbiamo toccato i 40°. E’ una situazione irreale per la Bretagna.

Andiamo a zonzo in direzione Morlaix, torniamo indietro rispetto al nostro giro in senso antiorario, perché avevamo puntato diritto su Roscoff. Ci fermiamo però a fare il bagno molto prima, a Carantec, perché è troppo caldo, eh ma l’acqua è troppo fredda!

Arrivati a Morlaix la troviamo quasi deserta, fa un caldo incredibile, tutti i negozi sono chiusi e a parte i turisti come noi, straniti tra le vie, non c’è nessuno. Di rimarchevole la casa della Duchesse Anna, il canale che arriva dal mare, e un enorme ponte ad archi che sovrasta l’abitato, dagli immancabili tetti neri di ardesia.

Quado torniamo sono troppo accaldato, devo abbassare la temperatura. Prendo un’enorme coppa che si chiama Gwenn ha du, che in Bretone vuol dire bianco e nero, il nome della bandiera della Bretagna. E’ infatti una coppa a strisce di vaniglia e cioccolato con pezzetti di cioccolato che rappresentano gli ermellini del riquadro in alto a sinistra della bandiera.

La sera passeggiamo per Roscoff, abbiamo uno splendido alberghetto, dal nome lunghissimo, The Originals City, Hôtel Armen Le Triton, proprio vicino alla spiaggia, da cui puoi vedere la presqu’île (letteralmente quasi isola, cioè penisola) e l’Île-de-Batz. Ci passiamo molto tempo in questa spiaggetta. Anche alla sera, e siccome il sole non ne vuol sapere di tramontare, sono ormai quasi le undici, facciamo i cretini facendoci i selfie con le truc temporizzato che ho appena comprato.

Non so cos’abbia di particolare Roscoff, ma ci rimane nel cuore. Sarà perché è quasi sull’oceano più aperto, ormai sul finire del Canale della Manica, o forse per la tranquillità che infonde, magari per il clima estivo ideale… ma ci avremmo passato volentieri più tempo.

Passeggiamo per il centro, ci sono dei gatti tigrati, ma che non danno confidenza, ti sfidano con gli occhi, allora non oso toccarli. Roscoff è famosa per il suo oignon, cipolla, per la talassoterapia, e poi non so, però me ne sono innamorato. Ci spingiamo sempre fino al sul suo lungo pontile, arrivati alla fine, ci sembra quasi di avere raggiunto l’isola.

La temperatura è crollata e stamattina fa un gran freddo, non ci sono neanche venti gradi, la metà di ieri.

Ci spingiamo davvero sino alla Finis Terrae, nel punto più a ovest della Francia, a Pointe de Corsen, (per inciso per lavoro, io sono stato anche in quello più a nord, Bray-Dune, ma questa è un’altra storia).

Per raggiungerlo passiamo da St. Renan, veramente trascurabile e insignificante, anche se l’addetta dell’ufficio turistico la descrive come l’ottava meraviglia… magari fossimo così bravi noi a vendere le nostre bellezze, da noi sul Lago Maggiore, a Verbania, l’ufficio turistico è chiuso il sabato pomeriggio e la domenica, e fa le ferie ad agosto: direi che è detto tutto!

Qui a Pointe de Corsen la sensazione è davvero quella di essere arrivati alla fine, dopo non c’è più nulla, solo litri e litri di Oceano Atlantico! Avevamo provato la stessa sensazione quando arrivammo a San Sebastian dopo centinaia di chilometri in autostrada.

Passiamo anche per Le Conquet che merita di essere visitata, c’è una fiera nell’abitato del centro. Mangiamo in un locale molto affollato, le solite crepe con il sidro.

Non si può non fermarsi a Locronan, la più medievale, intatta e meglio conservata delle località bretoni.

Scendiamo all’Hotel des grands voyageurs di Concarneau. Nome altisonante che rievoca il Grand Tour dei ricchi rampolli e degli artisti nordeuropei. Probabilmente per tutto l’ottocento e buona parte del novecento è stato davvero un Grand Hotel, ora è solo un albergo un po’ in disuso, gestito stancamente dagli anziani proprietari della Brasserie, Creperie, ecc.ecc, chi più ne ha ne metta, proprio al pian terreno.

Non c’è ascensore, siamo al terzo piano e fa un gran caldo. Siamo direttamente sotto al tetto in ardesia, ma almeno abbiamo il bagno in camera. Purtroppo è nella modalità con cacatoio separato, tanto cara ai francesi: un angusto stanzino, dove c’è spazio solo per il water e quando chiudi la porta, te la sbatti quasi sulle ginocchia. Dalle finestre della nostra stanza vediamo il panorama dei tetti di Concarneau. Confusi, disallineati e caotici, sopra i quali i gabbiani si rincorrono caotici schiamazzano a gran voce. Che poi una cartolina illustrativa me lo ha ricordato, ci sono tanti tipi di gabbiani, infatti i francesi li chiamano con nomi diversi. Da noi, almeno che non sei un ornitologo, non siamo così precisi e attenti.

La Citadelle, la Ville Close, è la vera anima di Concarneau. Noi ce l’abbiamo proprio di fronte, ci passeggeremo più volte.

Pont-Aven: un ponte, l’Aven il fiiume che la attraversa e tante gallerie d’arte. Qui tutto si sentono autorizzati a essere pittori solo perché respirano la stessa aria che inalò Gaugain.

Vannes, antichi fossati, forse un tempo pieni di acqua, con mura che li costeggiano cingendo al suo interno la città vecchia. Strade con repentine salite e altrettante discese, tanti negozi di alto livello. Ma noi non troviamo da mangiare, forse è troppo tardi.

Gli artigiani della qualità ci tormentano pure in Francia, la pubblicità è identica, le infinite offerte a tempo, pure!

Dei Menhir di Carnac, mi frega poco, non ci trovo nulla di interessante né di straordinario. Forse si dà troppa importanza a questi celti, che poi forse non hanno lasciato niente di scritto, perché semplicemente era della gente che non aveva nulla da dire. I loro discendenti gallici, sono stati poi ben felici di integrarsi nell’Impero Romano, che tanto invasore non era, perché come racconta il Debellum Gallicum, molti di loro erano alleati con i romani. Nel giro di una generazione, si evince dai documenti del tempo, parecchi di loro occupavano anche parecchie cariche nelle istituzioni romane, (i cognomi dei galli solitamente finiscono con la x). Allora a Carnac piuttosto andiamo al mare in una baia bellissima, nella Plage de Saint Colomban, dove l’acqua se ne sta inevitabilmente andando con la bassa marea. Si intravede la penisola di Quiberon.

Percorriamo poi tutta la cosa verso ovest, e ceniamo a Port Louis, quasi in faccia a Lorient. Oltre alle mura del castello in mano alla Marina Militare, veramente niente di particolare.

Oggi da Concarneau andiamo verso ovest, per visitare la penisola della Cornovaglia, non sapevo ne esistesse anche una in Francia. Ci spingiamo sino ai suo estremi nell’oceano: Pont au vent e Pont du raz.

Pointe du Van e Point du Raz sono le due punte a strapiombo sul mare. In mezzo la Baie des Trépassés, con la sua spiaggia dove tutti si improvvisano surfisti. Alcuni sono effettivamente bravi, altri hanno solo la muta e delle ridicole tavole. Mi ricordano i milanesi che giravano per la mia Aosta, con gli sci sul tetto, per poi invece dimenticare le piste e andare solo a mangiare polenta e camoscio nelle trattorie del centro storico. Qui l’acqua è davvero ghiacciata, mi sembra che mi si stacchino i piedi e le mani, non riesco neanche a immergermi per fare la pipì. La gente del posto non fa una piega, ci sta dentro tranquillamente come se l’acqua fosse tiepida.

In una spiaggia successiva ci addormentiamo, ma subito ripartiamo con l’intento di cenare a Pont l’Abbé. In realtà ci delude abbastanza. Oltre al suo ponte abitato non c’è veramente nulla, quindi scappiamo a Quimper.

All’inizio ci eravamo detti che volevamo evitare di fare troppe città, così Quimper l’avevamo scartata. Invece la troviamo molto viva, storica e ordinata, e gremita di folla per il Festival della Cornovaglia. Ceniamo in una brasserie vicino alla cattedrale. Poi sulla strada che ci riporta alla macchina, ci concediamo due sidri griffati in un locale à la page, e accendiamo due cigarillos che avevo precedentemente acquistato proprio per festeggiare l’ultima serata in Bretagna.

Arriviamo a Concarneau che stranamente è più fresca del solito. Ci ricordiamo all’ultimo che domani c’è il mercato quindi peregriniamo sulle vie costiere alla ricerca di un altro posteggio.

Giustamente, anche il viaggio di ritorno è molto lungo e tutto sommato, se fatto in autostrada, monotono e noioso. La Francia, non sembra, è immensa, ma al suo interno è vuota. Solo piccoli villaggi con tanti campi meticolosamente coltivati.

Come tappa, per spezzare in due il viaggio, Vane ha scelto Auxerre. Ed è una sorpresa inaspettata. Ci siamo arrivati dall’alto e abbiamo trovato un paese quasi fatiscente, con un evidente passato da grandeur, ma ormai dimenticato con tanti edifici fatiscenti. Il centro è pressoché disabitato, con molti tossicodipendenti e barboni che vagano come fantasmi per le vie. Ogni tanto quale locale africano, dove pare si possano mangiare le loro specialità, con all’esterno molti extracomunitari, (in realtà mi sa che non lo sono, ho idea che siano francesi, con padri o nonni nati in Africa), che gravitano nelle adiacenze con fare equivoco. Il nostro albergo, l’Hotel du Commerce, non fa che avvalorare l’impressione. Ma poi addentrandoci nel centro storico, in quella che scopriamo essere il corso pedonale centrale ci stupiamo. Tante case a graticcio, la Torre dell’Orologio, la meravigliosa e maestosa cattedrale di St. Etienne, la più bella che ho visto in queste vacanze. Scendiamo verso il fiume, dove c’è il porto fluviale. Dalle banchine dello Yonne, da qui navigabile, possiamo osservare le guglie della chiesa di Saint-Germain e quelle della Cattedrale. Dietro di loro un magnifico tramonto.

Lasciato il Lago di Ginevra, finisce anche l’autostrada, e quindi percorrere la Valle del Rodano diventa molto lento. Finalmente lasciamo Briga e saliamo verso il Sempione. Passato il confine, abbiamo la sensazione di entrare in un paese del terzo mondo. Le strade sono dissestate con molte buche, le gallerie scarsamente illuminate, con la vegetazione non curata che sembra invadere la carreggiata. Dopo tanti chilometri sulle strade francesi e svizzere, il confronto con la nostra Italia è impietoso. E’ proprio vero quando si dice che non siamo un paese europeo, ma il primo paese dell’Africa.

Quando arriviamo a casa, il contachilometri parziale segna 3.800 chilometri. La nostra Mini Cooper D è stata una compagna di viaggio eccezionale, il computer di bordo mi indica una media di 22 km/lt: direi ottimo. Questo contiene le spese di viaggio in circa 500,00 EURO. Non poco, ma abbiamo fatto il calcolo, tra aeri, non c’è il volo diretto, extra vari per i bagagli e il noleggio dell’auto in loco, posteggio di una settimana della nostra a Malpensa, avremmo speso molto di più.

Che dire, di per sé la Francia non mi delude mai, la cura del turismo non ha eguali. La Bretagna poi è bellissima, vorremmo già ripartire per tornarci.

Nigel Mansell

Subscribe
Notificami
guest

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti