Asia

Viaggio lungo una delle vie della Seta verso Samarcanda

di Rocco Tricarico – 
agosto- settembre 2018.
Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone
Thor Heyerdahl antropologo, biologo, esploratore e scrittore norvegese

“Il nome di “Samarcanda” non evoca una città terrena. E’ un suono che attanaglia il cuore. Altre capitali dell’Islam – Il Cairo, Damasco, Istanbul – risplendono di una magnificenza mediterranea e accessibile. Ma Samarcanda si colloca proprio ai limiti della geografia. Bizzarramente situata in un territorio completamente circondato da altre terre, fu la sede di un impero così lontano fra steppe e deserti che sfiorò appena l’Europa, pur terrorizzandola. Sprofondata in un oscuro sonno, brillò per secoli nell’immaginario collettivo. Ispirò la fantasia di Goethe e di Handel, di Marlowe e di Keats, tuttavia nella realtà rimase sempre irraggiungibile. Perfino nei famosi versi di Flecher, il diplomatico e poeta che non viaggiò oltre i confini orientali della Siria, i mercanti si mettevano in marcia sulla strada dell’oro come avventurandosi in un pericoloso mistero”.

Sarà stata questa descrizione di Samarcanda ripresa dal bellissimo libro di Colin Thubron

“Il cuore perduto dell’Asia”, unita al mio amore per i viaggi e al desiderio di festeggiare i 50 anni dell’utopico ’68 in questi tempi di chiusure e di odio verso gli stranieri e i diversi, che mi ha fatto dire subito di sì alla proposta di miei due amici di intraprendere un viaggio in auto per raggiungere la città “irraggiungibile”, ripercorrendo in parte uno degli itinerari della via della seta.

Scartiamo l’ipotesi del percorso più a sud ed anche il più antico (datato II secolo d.C.) che attraversa l’Iran e il Turkmenistan per arrivare a Bukhara, sud dell’ Uzbekistan e poi a Samarcanda. Scegliamo l’itinerario della via della seta del VII secolo d.C., quello più a nord che attraversa le steppe e i deserti dell’Uzbekistan con due ipotesi: tagliare la via di terra che attraversa la Russia con l’attraversamento del mar Caspio da Alat porto di Baku in Azerbaijan e l’approdo ad Aqtau in Kazakistan, o puntare verso le repubbliche caucasiche e la regione del Volga e quindi attraversare i deserti dell’ Uzbekistan. Decideremo in viaggio!!

Si parte dopo ferragosto e si raggiunge Igoumenitsa con il traghetto da Bari: ha inizio l’avventura che ci porterà ad attraversare 7 stati percorrendo territori variegati e avendo contatti con popoli diversi.

Si attraversa tutto il nord della Grecia fino ad Alessandropoli, città molto viva rispetto a quella che avevo visto un bel po’ di anni fa e che dà la sensazione di una Grecia in ripresa rispetto alla crisi recente e soprattutto con la gente vogliosa di andare oltre la crisi: sensazione provata anche a Igoumenitsa e lungo tutto l’itinerario greco.

Altra piacevole sensazione provo nel passaggio della frontiera tra Grecia e Turchia, passaggio velocissimo che riscatterà un mio vecchio passaggio, con moglie e figlia, di qualche tempo fa veramente stressante per l’attesa. La piacevole sensazione resterà un ricordo tra qualche giorno, quando proveremo in maniera disastrosa la lungaggine organizzativa del posto di frontiera tra Turchia e Georgia, quasi cinque ore di attesa!! Intanto però si attraversa la Turchia, come è cambiata, piena di interi quartieri di grattacieli e di agglomerati urbani tutti uguali e tutti in stile “globalizzati”, man mano che ci si avvicina a Istanbul e anche lungo la costa del Mar Nero, fino a Samsum: il segno di Erdogan, oltre che dal business che ha stravolto intere regioni, è dato anche dalla presenza di moschee, tutte moderne e posizionate in maniera ravvicinata le une alle altre: non c’è scampo per le preghiere giornaliere dei muezzin, con un riuscito connubio tra affare e religione!

Ma c’è sempre la Turchia che affascina, è il caso di un bella cittadina dell’interno, a pochi chilometri dalle coste del mar Nero, Sanfrabolu cittadina famosa per la sua architettura tradizionale ottomana, dove decidiamo di fermarci per assaporare l’atmosfera di un luogo autentico, frequentato in prevalenza da turisti locali e adatto per chi ama viaggiare con lentezza.

Altre due tappe in Turchia, Unye città di spiagge e “tintarelle” solo per dormire e poi Trebisonda (Trabzon), il porto principale turco sul Mar Nero, città bizantina dove si possono ammirare moschee e la chiesa di S. Sofia, città molto viva che giriamo in lungo e in largo per il piacere di tuffarci ancora nell’autenticità del posto.

A Trebisonda, punto di arrivo anche delle carovane che attraversavano le regioni caucasiche, realizziamo che l’itinerario da seguire per Samarcanda deve essere la vecchia via della seta proveniente da nord: serve però il visto per la Federazione russa che non abbiamo richiesto in Italia e che nell’occasione possiamo richiedere qui, a Trebisonda dove ha sede il consolato russo.

Mettiamo in serie difficoltà i funzionari del consolato che devono riunirsi varie volte per passare da un primo diniego al rilascio del visto a un accoglimento delle nostre richieste, ma con un tempo di attesa lungo per noi (quattro giorni) e senza la garanzia dell’ottenimento dello stesso visto. L’ipotesi Russia subisce un colpo, ma non demordiamo e decidiamo di proseguire il viaggio per la Georgia e chiedere il visto a Tbilisi, all’ambasciata della Svizzera che cura gli interessi russi in Georgia (dopo il conflitto per le regioni separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia del 2008, tra Russia e Georgia non esistono rapporti diplomatici diretti), sarà difficile ma ci proveremo.

Lasciamo Trebisonda per raggiungere Tbilisi facendo tappa a Batumi, porto georgiano subito dopo la frontiera con la Turchia dove restiamo bloccati per quasi cinque ore, non per controlli particolari ma per la disorganizzazione nella gestione di una marea di veicoli in transito tra Turchia e Georgia. La risposta del perché ci sia tutto questo traffico ce la daremo all’arrivo a Batumi: città piena di casinò e di turisti, presa d’assalto dai turchi che vengono qui a divertirsi e probabilmente a bere alcolici che in Turchia non vengono serviti nei ristoranti e in moltissimi locali (altro regalo ai turchi da parte di Erdogan?). Batumi potrebbe essere anche una bella città (il centro antico non è male), ma vuole sembrare troppo una Las Vegas in miniatura e ci sono le nuove costruzioni in stile Dubai-centri commerciali che vanificano anche la presenza delle statue a cielo aperto, famosa quella mobile in metallo di Ali e Nino, i due amanti sfortunati, lui un azero-musulmano e lei una principessa georgiana separati dallo scoppio della prima guerra mondiale: insomma Batumi non mi è piaciuta.

Meno male che ci rifacciamo subito raggiungendo Mestia (1.500 metri s.l.m.), cittadina situata nella regione caucasica della Svanezia, ai piedi del monte Ushba, attraversando un territorio molto bello con paesaggi montani mozzafiato e con strade abbastanza disastrate e sconnesse. Un paesaggio vero, medievale, pieno di case-fortezze, un bell’ambiente nella cittadina con turisti georgiani e russi in prevalenza e molti giovani pronti al trekking e agli sport di montagna: i paesaggi montani della Georgia sono veramente belli come le nostre Alpi e ne visiteremo anche altri.

Arrivati a Tbilisi il pensiero va all’ambasciata svizzera per chiedere il visto per la Russia e la città la visitiamo poco, noto solo molte case fatiscenti e molta acredine nella gente e anche molta povertà: il panorama della città visto da una zona in alto, dove si trova una classica chiesa ortodossa, mi sembra però interessante, del resto ogni città nasconde sempre delle bellezze.

Ma questo è, si dorme e la mattina seguente si va all’ambasciata svizzera dove una gentilissima funzionaria ci dice che per il visto per la Russia bisogna recarsi in un altro quartiere, presso altri uffici dell’ambasciata. Si è fatto tardi e, iniziando a perdere la speranza di ottenere il visto, si decide di partire per l’ Azerbaijan: a Baku vedremo se imbarcarci sul cargo per attraversare il mar Caspio o tentare di procurarci il visto.

Si attraversa l’ennesima frontiera e si arriva a Ganja, da non confondere con il termine gangia dall’ hindi ganja che indica la marijuana, che è la seconda città dell’Azerbaijan: di particolare ha che è situata non lontanissimo dalla regione del Nagorno-Karabakh, zona di guerra tra Armenia e Azerbaijan, che la polizia del posto, se chiedi informazioni, ti scorta presso l’albergo scelto (ma la cortesia è un po’ di tutti gli abitanti di questo Paese), che ha un bel parco e che ha un ristorante in stile bolscevico dove si mangia bene al suono di musiche rivoluzionarie e immagini di film d’epoca dell’Unione Sovietica.

Lasciamo Ganja diretti a Baku attraversando un territorio desertico, con strade ben tenute e pieno di pozzi petroliferi.

Prima di arrivare a Baku decidiamo di visitare una cittadina dell’interno, Samaxi dove ha sede la più antica moschea della regione del Caucaso.

Per passare per Samaxi lasciamo l’autostrada e ci inerpichiamo per colline desertiche, con paesaggi aspri e quasi lunari. Verso sera arriviamo a Baku dove ci fermeremo per qualche giorno per un giusto relax e per partire poi verso Samarcanda.

Baku è una gradevole città, situata sotto il livello del mare, con un centro molto vivo e “molto moderno”, si respira aria occidentale e piena di smog per i vari pozzi di petrolio che la circondano: ha però un centro storico medievale di tutto rispetto tant’è che è riconosciuto patrimonio UNESCO.

Insomma si sta abbastanza bene soprattutto per riposarsi e per definire le “pratiche” per il visto per la Russia, che nonostante il pessimismo, riusciamo ad ottenere. Non ci sarà più bisogno di mettersi in coda per salire su un cargo e attraversare il mar Caspio, si arriverà in Uzbekistan percorrendo il percorso settentrionale della via della seta. Ora è da decidere se puntare lungo la costa del mar Caspio attraversando il Daghestan o ritornare a Tbilisi e passare per l’Ossezia settentrionale, in ogni caso bisognerà passare per la regione caucasica che non è una regione molto tranquilla.

Subito si scarta l’itinerario attraverso il Daghestan, anche se è il più breve, seguendo alla lettera le indicazioni del portale viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri che segnala che per motivi di sicurezza “è altamente sconsigliato di attraversare la fontiera terrestra con la Russia” dall’Azerbaijan. 

Del resto basta scorrere le informazioni su internet per avere conferma che il piccolo paese caucasico è “il posto più pericoloso d’Europa” e che nonostante la dura repressione da parte delle autorità moscovite, l’insurrezione armata ormai in atto da 15 anni non si placa e continuano gli attentati di matrice islamista. A Machackala, la capitale dove ci saremmo dovuti fermare, un reportage di qualche anno fa, evidenzia che in “città c’è un poliziotto quasi a ogni angolo e molti di loro, però, hanno così paura degli attacchi dei terroristi da non indossare l’uniforme quando vanno per le strade, e chi deve fare perquisizioni e posti di blocco lungo le strade indossa spesso maschere per non farsi riconoscere. La presenza di poliziotti e militari si traduce in sparatorie molto frequenti per le vie della città”: il reportage sarà anche datato 2011 ma, considerata la situazione generale, si decide unanimamente di ritornare in Georgia e attraversare la regione montuosa Mtskheta-Mtianeti per passare la frontiera con l’Ossezia settentrionale. Poi dalla capitale Vladikavkaz puntare ad Astrachan’ allungando l’itinerario verso nord per evitare la Cecenia e il territorio settentrionale del Daghestan. Insomma il viaggio si fa molto interessante e come prima tappa arriviamo a Mtskheta, città ricca di storia, di chiese e monasteri, attraversando di nuovo le strade georgiane con la guida pericolosissima degli autoctoni e con animali domestici vari in giro, compresi maialini e oche: a Mtskheta dormiremo solo senza poter dare uno sguardo in giro perché il viaggio è ancora lungo e tutto da scoprire.

Per arrivare alla frontiera ci arrampichiamo fino a 2300 metri con paesaggi bellissimi e con qualche sorpresa architettonica.

La sera siamo a Mineralnye Vodi città termale della Russia meridionale a 500 Km da Volgograd e qui dormiamo in un buon hotel con una simpatica ragazza alla reception che vuole per forza interloquire con noi tramite il traduttore applicato sul suo smartphone, nonostante avessimo solo richiesto una camera: molto simpatica!

Il giorno dopo siamo in viaggio verso Astrachan’ lungo strade che attraversano territori vasti che degradano sempre più verso la steppa infinita e monotona che arriverà fino in Kazakistan, la vegetazione si riprende all’avvicinarsi della città situata sul fiume Volga e il paesaggio diventa un po’ più variegato.

Astrachan’ è una cittadona della Russia europea meridionale, la più importante dell’area tant’è che ha un piccolo “Cremlino” e conserva un suo fascino grazie ai ponti sul Volga: altro particolare è quello che fu completamente rasa al suolo da Tamerlano. E’ l’unico posto dove troviamo un hotel con proprietari furbi che cercano di alzare il prezzo in maniera esagerata, noi abituati ormai da costi irrisori li abbandoniamo alla loro illusione “truffaldina” e ci fermiamo in un dignitoso hotel in un parco della città veramente gradevole, dove ceniamo accolti dalla cuoca innamorata dell’ Italia e entusiasta di parlare con degli italiani.

La prossima tappa è Atyrau in Kazakistan: il viaggio inizia con il passaggio su un ponte di barche sul Volga e ben presto la strada diventa pessima, piena di buche per quasi l’intero percorso (280 Km. di buche non ti mette di buon umore e ti stanca). Però è affascinante vedere la steppa piena di cammelli e di cavalli, con i cammelli e qualche dromedario che attraversano la strada con la loro andatura tipica: è il segno tangibile che stiamo passando dall’Europa in Asia.

Ad Atyrau ci fermeremo due giorni tra andata e ritorno, anche perché per arrivarci e per lasciarla sempre in direzione Astrachan’ la strada è veramente pessima, questo ci permetterà di conoscerla un po’ e ne vale la pena. La città è situata sul delta del fiume Ural (il terzo fiume europeo) e percorrendo qualche chilometro dal nostro hotel (dormiamo in una suite con vista su una mastodontica statua di Lenin) lungo il fiume arriviamo al confine geografico tra Europa e Asia segnato con due monumenti sulle due rive del fiume. Noi visitiamo quello sulla riva asiatica e devo dire che provo un certo fascino, quanti mercanti sono passati da queste parti e quante culture si sono amalgamate, sovrapposte e combattute. Bella città, non grande e vivibile a vedere gli abitanti così tranquilli e aperti (una buona parte sono russi, la maggioranza kazaki). E’ anche il principale porto sul mar Caspio del Kazikastan, insieme ad Aqtau la città dove saremmo arrivati imbarcandoci a Baku ed è 20 metri sotto il livello del mare come tutta questa regione, denominata depressione caspica….ma adesso basta con la geografia!!

Scopriamo che ad Atyrau nel 2011 e più recentemente nel 2016 in un’altra località Aktobe a nord verso i confini con la Russia, ci sono stati attentati e attacchi terrori stici con diversi morti: però a vedere il clima che si respira in città ho la sensazione che qui il fondamentalismo non possa attecchire anche perché la fede islamica, secondo vari studiosi delle etnie locali, non è mai penetrata in profondità nelle antiche società nomadi (che sono poi le popolazioni dell’ intera area dell’Asia centrale) che hanno dei loro principi tradizionali mai scalfiti neanche dalla lunga presenza dei russi. Insomma la presenza dell’Islam che c’è in Turchia, ad esempio, è molto più marcata rispetto a queste aree.

Da Atyrau la strada migliora decisamente e la steppa diventa sempre più arida di tanto in tanto costellata da fosse essiccate che si riempiono nei periodi invernali e che danno un po’ di colore al paesaggio, alcune di queste fosse brillano perché sono accumuli di strati di sale (in questa regione sono presenti laghi salati, il più grande il lago d’Aral diviso con l’Uzbekistan). Arriviamo a Beyneu, un villaggio che serve solo come punto di transito per chi si sposta via terra dalle regioni meridionali della Russia all’Asia centrale ed è la porta d’accesso per l’Uzbekistan anche per chi ha attraversato il Caspio giungendo ad Aktau: quindi diventa obbligatorio fermarsi nonostante le strutture ricettive lascino molto a desiderare. E’ l’unico posto dove abbiamo usato i nostri sacchi a pelo per dormire ma devo dire che è stato anche il posto dove ho mangiato il primo e ottimo plov (riso, verdure e carne di agnello cucinato tutto insieme), piatto diffuso in tutta l’Asia centrale ma soprattutto in Uzbekistan, dove è cucinato in modi diversi e dove, ho scoperto quando sono rientrato in Italia, è considerato un cibo afrodisiaco.

Da Beyneu inizia il deserto verso l’Uzbekistan e la strada è subito in pessime condizioni, più che una strada è uno sterrato meno peggiore della strada da Astrachan’ a Atyrau, ma pur sempre un percorso difficile da affrontare con velocità ridottissima e molta attenzione:

300 km. di sterrato su una distanza complessiva di 500 Km. non sono uno scherzo e soprattutto non sarebbero percorribili in caso di pioggia se non con un fuoristrada, meno male che siamo nella stagione secca. Da dire però che ci sono lavori in corso per costruire una strada asfaltata, tra qualche anno probabilmente sarà più agevole arrivare in Uzbekistan via terra.

Il paesaggio è desolato, stiamo attraversando la regione del Karakalpakstan, zona resa depressa dalla distruzione del lago d’Aral a causa della coltivazione intensiva del cotone e arriviamo a Nukus, città con architettura tipica sovietica e poco affascinante che ha però un importante museo ricco di collezioni d’arte d’avanguardia messe al bando dal regime e che sarebbero state sicuramente distrutte se non fossero state portate in questa città, ai confini dell’impero, dall’artista dissidente Igor Savitsky dal quale prende il nome il museo.

Peccato che il museo è chiuso sicuramente per lavori come si vede dall’esterno anche se non vi è alcuna indicazione in merito: ha riaperto in ottobre, peccato non averlo potuto visitare.

A Nukus iniziamo a scoprire la cordialità e la gentilezza degli abitanti, chiediamo informazioni per un hotel e un’intera famiglia ci accompagna, e questa disponibilità ci accompagnerà in tutto il viaggio in Uzbekistan dove l’accoglienza e l’ospitalità sono sacre. Da Nukus ci spostiamo verso l’antica Corasmia, importante oasi abitata da millenni, dove si trovano le rovine di diverse fortezze, visitiamo la più famosa Ayaz-Cala formata da tre fortezze dalle pareti di fango, a valle c’è un insediamento di yurte per turisti e meno male che c’è un solo pulman “di italiani”, ma andando a piedi verso le fortezze il fascino del deserto resta intatto, i turisti sono lì per il pranzo e il deserto è tutto nostro e di pochissimi altri “curiosi”.

Dalle fortezze si punta verso Khiva al confine con il Turkmenistan, città famosa nel passato per il passaggio di carovane di schiavi e dove pochi occidentali si avventuravano perché ancora nel XIX secolo era una zona piena di predoni. Oggi è un’accogliente città turistica lungo la via della Seta con un centro storico trasformato in museo all’aperto e, secondo quanto avevo letto in precedenza, viene accusata di essere una città museo priva di vita, cosa che non condivido affatto. Mi è bastato entrare in città, tra l’altro avevamo prenotato un albergo all’interno delle mura nei pressi della porta nord, per restare affascinato: varcare le mura di fango che racchiudono la città vecchia ti fa ritornare all’epoca in cui a governare c’erano emiri col turbante. I monumenti sono straordinari, moschee, minareti, madrase, mausolei, palazzi e colonne di legno intarsiato, piastrelle smaltate bianche e cupole blu e i colori decorativi rosso, arancione e oro, indescrivibili. Le mura ricostruite dopo la distruzione da parte dei persiani, sempre con il fango usato anche per le nuove costruzioni all’interno della città vecchia, i vicoli sabbiosi e senza illuminazioni ancora abitati, tutto di questa cittadina è affascinante.

Anche le stradine e i monumenti pieni di venditori di souvenir e artigianato e i laboratori di tappeti e foulard di seta fatti a mano non riescono ad oscurare il bello che c’è in giro, è una città vivissima e se poi la giri di sera, quando non ci sono più i venditori, le sembianze dei monumenti diventano più nitide e veramente resti abbagliato dai colori.

La giriamo in lungo e largo per diverse volte e inizio a pensare che forse sarà difficile vedere qualcosa di più bello a Bukkara e a Samarcanda, le altre due città che con Khiva sono inseriti nella lista del patrimonio dell’umanità e posti sottotutela dell’ UNESCO. L’Uzbekistan è il paese con il più ricco patrimonio architettonico e artistico dell’intera Asia Centrale e con la presenza di 5 siti UNESCO: Itchan Kala di Khiva (1990), Centro storico di Bukhara (1993), Centro storico di Shahrisabz (2000) la città natale di Tamerlano, Samarcanda – crocevia di culture (2001) e Tien Shan occidentale  (2016) sistema montuoso che lambisce l’Uzbekistan; la città murata di Khiva è quella inserita per prima.

Khiva è fantastica ed è inevitabile ammirare incontri fantastici, seduti a un piccolo ristorante in mezzo al bello e gustando il plov preparato dalla gentile ristoratrice siamo attorniati da due ciclisti australiani, in viaggio da 5 mesi partendo dalla Gran Bretagna e percorrendo tutta l’Europa, che dissertano tranquillamente, appoggiati alle loro biciclette, sono appena arrivati , di viaggi e di bici con un giovane locale amante delle due ruote, fino a quando devono spostarsi un po’ perchè la gentile ristoratrice gli fa notare che ormai hanno occupato da un po’ lo spazio limitato per i tavoli del suo piccolo ristorante. I tre si spostano e continuano tranquilli a chiacchierare passandomi quel senso di lentezza che si confà ai luoghi.

Dopo Khiva si punta verso Bukhara lungo la strada che attraversa per oltre 400 chilometri il deserto del Kyzylkum e costeggia il confine con il Turkmenistan: arriviamo di sera e anche qui la polizia, come a Ganja in Azerbaijan, si mette a nostra disposizione per cercare il b&b prenotato, collocato nelle viuzze attorno al centro della città e che darà un gran da fare ai poliziotti che solo grazie all’intervento di alcuni abitanti della zona riusciranno ad individuare l’indirizzo, ad accompagnarci a piedi e poi ad affidarci alla proprietaria del b&b che ritornerà con noi al parcheggio a riprendere la nostra auto: straordinari!!

La voglia di vedere subito il centro della città ci fa fermare pochissimo nel b&b e subito nel centro storico: il primo impatto non mi dà una grande sensazione, ho ancora in mente Khiva. Visitiamo la piccola sinagoga e giusto il tempo di orientarmi e mi rendo conto della bellezza straordinaria della città, più grande di Khiva e quindi con una visione d’insieme meno omogenea: diverse piazze dividono questo straordinario centro completamente abitato e ricco di madrase, minareti, decine di edifici, bazar coperti sormontati da cupole. Bukhara è la città più sacra dell’Asia centrale e lo si vede dalle diverse madrase maestose, piastrellate di azzurro, con stalattiti di alabastro e cupole azzurre e soprattutto piene di giovani studenti che le frequentano e che si vedono in giro, la sera, tranquilli e felici.

Altro luogo incantevole è l’unica vasca all’ombra dei gelsi rimasta funzionante dopo il miglioramento del sistema idrico e il prosciugamento dell’antico dedalo di canali e di vasche: è un luogo molto rilassante e frequentato dalla gente del posto come si faceva un tempo, per mangiare, bere tè, giocare e stare insieme; qui abbiamo cenato in un locale molto popolare con musica e allegria.

E qui abbiamo rincontrato tre ragazze e un ragazzo italiani con i quali ci eravamo già visti nei pressi del nostro b&b e che avevano fatto un bel giro, con mezzi vari, dal Khirghizistan in Uzbekistan. Che bello vedere giovani attratti ancora da viaggi di questo tipo nell’attuale fase storica di fondamentalismi, sovranismi e razzismo.

Ancora all’incirca trecento chilometri e siamo a Samarcanda, la città che più di qualsiasi altra evoca la via della seta e resta impressa nell’immaginario collettivo come la città irraggiungibile. Il caso ha voluto che prenotassimo il nostro hotel a 200 metri dal Mausoleo di Gur-E-Amir dove si trovano le spoglie di Tamerlano e quindi da subito il nostro impatto è con la bellezza dei monumenti: il mausoleo maestoso ha una caratteristica cupola azzurra scanalata e la sua forma ha ispirato il Taj Mahal di Agra, in India.

Samarcanda è bellissima e il complesso del Registan è veramente straordinario, si resta frastornati ad ammirarlo nel suo insieme e a girarci dentro: siamo tutti e tre d’accordo che non c’è limite al bello e che il Registan rappresenta qualcosa di fantastico anche rispetto alle stupende Khiva e Bukhara.

Vi è quasi esagerazione nella quantità di maioliche, mosaici azzurri, decorazioni in oro che rivestono le madrase e poi la bellezza dei cortili esterni ed interni alle madrase ti lascia esterrefatto, ci resteresti per ore e infatti lo visitiamo per due volte. Sul portale di una delle tre madrase che compongono la piazza principale si notano dei felini, forse tigri, nonostante il divieto della religione islamica a raffigurare animali viventi (stessa cosa avevo notato anche su alcuni monumenti a Bukhara).

La sera dopo il tramonto seduti sull’ampia scalinata di fronte al complesso si ammira l’accensione delle luci che dà un fascino ammaliante alle maestose madrase.

Ma Samarcanda ci fa scoprire ancora altre bellezze: Shah-i-Zinda, luogo sacro frequentato molto dalla gente del posto essendo meta di pellegrinaggi, ricco di santuari e che finisce sul cimitero principale della città; l’abbiamo visitato partendo dal cimitero ebraico che è adiacente a quello musulmano e arrivando al bazar, passando per i santuari.

Bella anche la moschea di Bibi-Khanym, enorme e che un tempo era una delle più grandi moschee del mondo islamico, messa un po’ male e che necessita di restauri urgenti.

Samarcanda è anche una città moderna, molto gradevole con i suoi giardini e parchi e si gira molto bene a piedi o utilizzando uno dei tanti taxi o auto private a costi bassissimi e con autisti cordialissimi. L’unico neo è rappresentato dalla costruzione di mura che separano i monumenti dai quartieri più vecchi e popolari: una scelta fatta dagli urbanisti per ridisegnare la città con una visione più ”turistica”, spezzando quella continuità tra quartieri e centro storico che sicuramente dava più lustro all’insieme. Anche il nostro b&b è dietro un tratto di mura che delimita il mausoleo di Gur-E-Amir e per uscire dal quartiere bisogna attraversare una porta. Ma nonostante le mura che sempre e ovunque sono da abbattere, Samarcanda resta una magnifica città da visitare.

E abbiamo visitato anche i quartieri popolari con le case tirate su alla meglio ma tutte con cortili interni e con portoni in legno o in ottone intarsiati e il quartiere russo che inizia dal mausoleo di Gur-E-Amir e si estende fin quasi al Registan, con giardini curati, con le università e lo stadio. Insomma a Samarcanda siamo stati benissimo e prima di lasciarla per intraprendere il viaggio di ritorno abbiamo fatto un ultimo passaggio al bazar per acquistare ancora qualcosa ma soprattutto per ripassare vicino al Registan che prende il cuore!!

Con la partenza da Samarcanda il viaggio finisce, ci resta da affrontare il ritorno che sarà diretto, lungo la via della seta, senza divagazioni e cambi di rotta e che sarà concentrato in 9 giorni, con tappe abbastanza impegnative.

Mappa della via della seta riprodotta su un muro di Khiva e il nostro itinerario da Samarcanda a Igoumenitsa via Astrachan’ Km.5.622

Superata Bukhara abbiamo la prima e unica disavventura: in pieno deserto l’auto si blocca. Non ci perdiamo d’animo e fermiamo la prima auto che passa, dopo un po’ di tempo, e che si ferma subito e si dà da fare per aiutarci. Si ferma successivamente un furgone con un gruppo di tedeschi e con un giro linguistico straordinario (io parlo con una tedesca in francese, lei traduce in russo alla guida del suo gruppo e la guida traduce in uzbeko all’autista) riusciamo a capire che a circa 20 Km. c’è un posto di servizio con meccanico, meno male! Bisogna però trainare la nostra auto ma nessuno è in possesso di una corda: il primo soccorritore riesce a recuperarla fermando un’altra auto e ci traina al posto di servizio. Tutto si risolve in tempi anche brevi (qualche ora), considerata la scarsa circolazione di auto. Questa esperienza ci conferma il carattere cortese e solidale di queste popolazioni che conoscono bene il dovere dell’aiuto verso chi è in difficoltà in posti come mare, deserto o montagna.

Riprendiamo il viaggio che come prima tappa prevede l’arrivo a Nukus circa 800 Km. dove arriviamo intorno alle dieci di sera, nonostante il tempo perduto e una discreta stanchezza: il deserto del Kyzylkum è alle nostre spalle.

Ripartiamo da Nukus con 15 gradi di temperatura e attraversiamo di nuovo la regione desertica del Karakalpakstan dove si raggiungono i 45 gradi, bello sbalzo!! Ma soprattutto ci tocca affrontare la strada sterrata fino a Beyneu dove dovremo trovare anche un alloggio diverso da quello pessimo dell’andata: arriviamo stanchi ma almeno l’hotel è discreto e quindi possiamo riposare bene, e soprattutto domani ci aspetta una tappa tranquilla fino a Atyrau. Qui alloggiamo nell’ottimo hotel dell’andata e ci svaghiamo un po’ in giro per la città: domani tappa difficile fino a Astrachan’.

Partiamo di buon mattino e siccome alla frontiera con la Russia non perdiamo molto tempo decidiamo di non fermarci ad Astrachan’ e continuiamo verso nord: è proprio vero che il viaggio serba sempre delle piacevoli sorprese e infatti non trovando da dormire lungo la strada, nei villaggi che attraversiamo, arriviamo a Elista capitale della Calmucchia regione della Russia abitata da popolazioni mongole di religione buddista. Insomma ci fermiamo nell’unica regione buddista dell’intera Europa, visitiamo il centro con i monumenti buddisti e anche una statua di Lenin. Noto che c’è molta polizia attorno agli stessi monumenti, del resto la città è vicina alle zone del Caucaso non proprio tranquille, ma nonostante ciò mi colpisce l’assoluta rilassatezza della gente, cortese (anche qui c’è chi ci accompagna all’hotel) e con vita sociale molto “europea”.

Lasciamo Elista e ci fermiamo a Stepantsminda, città di montagna della Georgia, fa abbastanza freddo, siamo a 1740 metri s.l.m. e la mattina dopo ci svegliamo con la neve sul monte di fronte al nostro b&b, non ci facciamo mancare niente!

La tappa di oggi prevede l’arrivo sul Mar Nero, con l’attraversamento della Georgia e sicuramente la sosta sarà in Turchia. Infatti nel tardo pomeriggio siamo a Hopa, cittadina marittima della Turchia, subito dopo l’attraversamento della frontiera che è abbastanza veloce: con somma felicità ho notato che nel viaggio di ritorno i passaggi alle frontiere (12 quelle attraversate) sono avvenuti molto più celermente dell’andata, forse perché siamo stati fotografati e “schedati” ben bene e quindi ormai “ci conoscono”!! Il viaggio di ritorno lungo la Turchia mi fa notare ancora l’enormità di moschee, in larga parte costruzioni moderne, in tutti i villaggi e città che attraversiamo: me ne ero dimenticato. Negli altri Paesi che abbiamo visitato, tutti di religione musulmana escluso la Georgia, non vi è assolutamente una presenza così massiccia di simboli religiosi, probabilmente perché lo Stato continua a salvaguardare una certa laicità, sicuramente retaggio dell’appartenenza per anni di questi Paesi alla ex Unione Sovietica.

In Turchia è prevista un’altra tappa a Bolu, cittadina sulla strada tra Ankara e Istanbul, stazione termale e sciistica e per arrivarci attraversiamo un pezzo di Turchia molto bello con boschi, lungo un altopiano situato a 1200 metri s.l.m.

A Bolu passiamo una deliziosa serata e il mattino seguente partiamo per Alessandropoli.

Il giorno dopo siamo a Igoumenitsa dove si ammira un bel tramonto aspettando il traghetto per Bari.

Il viaggio è veramente finito ed è stato un viaggio molto intenso. Ho dovuto rielaborare il tutto, ma le cose viste e fatte sono state molte e in situazioni diverse e perciò ci ho messo un po’ di tempo per scrivere questo appunto che può servire come traccia per chi volesse intraprendere qualcosa del genere. Non ho voluto dare indicazioni tecniche e logistiche, anche perché sono abbastanza reperibili, ma ho voluto solo raccontare le mie sensazioni. Ringrazio di nuovo i miei due amici per avermelo proposto: Lello per l’idea geniale di pensare a un viaggio di questo tipo e per aver individuato alcuni luoghi particolari da visitare e Tonino per avermi subito coinvolto dando per scontato che avrei accettato (con lui avevo già viaggiato).

Perugia novembre 2018

Rocco Tricarico tricarico@iol.it

Leggi Commenti

  • Bellissimo viaggio.
    Vogliamo andarci anche io e mia moglie l'anno prossimo 2021 in camper. Passeremo dalla Russia all'andata e potremmo fare il vostro percorso al ritorno.
    Complimenti per la bella idea di viaggio.
    Potrei eventualmente contattarvi ?
    Saluti Gianni

    • Puoi trovare l'indirizzo mail dell'autore del racconto, Rocco Tricarico, cliccando il suo nome all'inizio del testo

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Marco

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