Il viaggio “mas alto del mundo”

di Simona Riccardi –

Mi sono iscritta al Camino Real Peru’ in novembre con la speranza che il viaggio partisse (sapete tutti che se non si raggiunge il numero ………) e cosa succede? Mi ritrovo con altri 22 scapestrati (più un altro gruppo parallelo di circa 20) entusiasti e pronti a vedere le meraviglie che il Perù ci ha offerto in questi 23 giorni di viaggio. Le mascottine sono Erica – 7 anni – e la sorellina Ambra – 5 anni – che con la loro allegria e i loro “cicciobelli” hanno fatto in modo che il gruppo avesse sempre il morale “mas alto del mundo”.

L’incontro globale con il gruppo è avvenuto a New York dopo 8 ore di volo, sia per quelli provenienti da Milano sia per quelli “de Roma”. Un bel po’ di sosta e poi un altro lungo volo ci porta a Lima. Lima ci accoglie con la sua Garua (nebbiolina grigia) che gustiamo solo per il tempo necessario ad aspettare il pullmino. Altre dodici ore circa di pullmino e raggiungiamo Huaraz (completamente stravolti) che si trova nella parte nord del Peru’. Strada facendo visitiamo il sito archeologico di Paramonga e assaggiamo subito il Mate de Coca che aiuta a combattere gli effetti del Soroche – il mal di montagna. Un bel dormitone e il mattino seguente ci facciamo una bellissima passeggiata all’interno del parco nazionale dello Huascaran. La cordigliera Blanca ci trasmette un senso di pace assoluta e di spazi immensi nonostante la fatica dovuta all’altitudine.

Ritorniamo sulla costa a Pisco, attraversando paesaggi desertici di un colore giallo ocra, dove ci attendono le barche per l’escursione alle Isole Ballestas.(per gli amici Isole del Guano). Ammiriamo una fauna indescrivibile composta da leoni marini e da sule (uccelli i cui escrementi sono utilizzati come concime) contornata da un mare letteralmente splendido. Qui abbiamo il primo incontro con la misteriosa cultura Inca: il candelabro, inciso nella parete roccisa della cordigliera che da’ sulla baia. Come un po’ per tutti i resti incaici e preincaici, l’origine è ancora avvolta dal mistero. Infatti quei “fetentoni” sono riusciti nel giro di 150 anni (tanto poco è durata la dominazione Inca poi sono arrivati gli spagnoli e………..) a fare lavori di ingegneria assolutamente all’avanguardia, anche paragonati ai giorni nostri, però hanno pensato bene di non lasciare nessuna traccia scritta (del resto nessuno è perfetto!!!!). Quindi tutto ciò che è rimasto è soggetto almeno a tre o quattro correnti di pensiero, che vanno dagli extraterrestri al mito di Atlantide alle supposizioni semplici del contadino locale. Morale: chissà chi e perchè ha disegnato il candelabro.

Sosta ad Ica per una visita al museo e poi con grande gioia di tutti un paio d’ore ad Huacacina dove si può tentare il “sand-board”, una sorta di surf da effettuarsi sulla sabbia. Divertimento a mille e ritrovamento della sabbia in posti che non sapevate nemmeno di avere.

Il giorno seguente visitiamo velocemente il cimitero di Chaucilla dove si trovano parecchie mummie in ottimo stato di conservazione, dato il clima arido della zona, e poi ci dedichiamo alle Linee di Nazca: il mistero “mas misterioso del mundo” – vedi paragrafo precedente alla voce Misteri – . Il sorvolo di circa 40 minuti riesce a sconvolgerci: la vista per i bellissimi disegni e lo stomaco che voleva a tutti i costi uscire dal nostro corpo. E’ stata una dura lotta ma alla fine l’abbiamo convinto a restare dov’era. Per ottenere questi solchi la popolazione di Nazca scavò la crosta bruno-rossastra del suolo per mettere in luce lo strato inferiore di origine calcarea e di colore chiaro. Il risultato è un ottimo contrasto di tinte. Le varie leggende legano questi disegni alla volta celeste trasformandoli in un calendario astronomico di dimensioni enormi sul quale gli antichi basavano l’agricoltura. L’altra teoria attribuisce invece le linee a pista di atterraggio per le astronavi provenienti da altri pianeti. Questo spiegherebbe il motivo per cui la completa visibilità dei disegni si ottiene solamente sorvolando questa pianura a circa 3000 metri di altezza.

E come per incanto (l’incanto è durato circa 8 ore di pullmino) ci troviamo ad Arequipa: un gioiellino. Visitiamo il convento di Santa Catalina e scopriamo che non era proprio la santità ad attirare le giovani novizie. Infatti all’epoca faceva molto in, per le famiglie nobili spagnole, mettere in convento la loro seconda figlia femmina………….. il resto potete immaginarlo da soli. Comunque la struttura del convento, che ricorda molto quella delle cittadine spagnole, merita una visita. Altra perla della città è il museo dove è conservata la mummia di Juanita ritrovata di recente da una spedizione effettuata sui ghiacciai circostanti. Si tratta della mummia naturale di una ragazzina di circa 15 anni destinata al sacrificio. Dopo aver effettuato il Camino Real (ultimo cammino dell’Inca dalla “contrada di appartenza a Cuzco e ritorno”) Juanita è stata immolata agli dei sul monte sacro durante un rito propiziatorio.

I due giorni seguenti (ormai siamo al 13 e 14/11) li dedichiamo alla visita del Canion Colca (il Canion “mas alto del mundo”, of course) e della Cruz del Condor. Per essere onesti di condor ne abbiamo visti pochini, solo uno legato per permettere ai turisti di fare la classica foto ricordo. In compenso il paesaggio era fantastico.



Il trasferimento Arequipa- Puno non siamo riusciti ad effettuarlo in aereo, perchè c’era già il pienone, quindi ci siamo dovuti accontentare del viaggio notturno in pullman locale. Allucinante?? No, folkloristico: 1) l’autista un po’ flippatino ci ha “sollazzato” tutta notte con la sua musichina, che più che peruviana ci sembrava cinese, letteralmente a “palla”; 2) la strada era “leggermente” stretta e scoscesa; 3) fuori nevicava che Dio la mandava; 4) dentro faceva freddo quanto fuori; 5) alle quattro del mattino si rompe il semisasse del pullman. C’è tutto?? Mi sembra di sì!!! Però siamo stati veramente fortunati; infatti il semiasse per rompersi sembra che abbia scelto il posto migliore. E così ci siamo gustati una splendida alba, altra immagine / sensazione assolutamente indimenticabile, nell’attesa che arrivasse il pullman successivo per portarci a destinazione. La giornata è trascorsa tra la visita a Sillustani dove si trovano i famosi chullpa; ossia torri funebri di forma circolare di differenti dimensioni, più o meno rovinate e non finite, costruite su uno sperone roccioso e dominanti il lago Umayo. Una piccola sosta anche a un villaggio indigeno con mangiatina di formaggio locale. Approffittiamo della serata per goderci la gelida Puno e per acquistare un po’ di Artesania locale.

La mattina sveglia all’alba (e fin qui tutto normale) e salpiamo alla volta delle isole Uros e Taquile sul lago Titicaca. Il lago Titicaca si trova a circa 3850 mt. di altezza e, neanche a farlo apposta, si tratta del lago navigabile “mas alto del mundo”. La leggenda narra che dal lago Titicaca ebbe origine la civiltà Inca e, secondo un’altra leggenda, durante la conquista spagnola, il lago divenne il deposito segreto dei tesori incaici per evitare che cadessero nelle mani degli invasori. Da qui si spiegano i tentativi di ricerca da parte di numerosi archeologi sul fondo del lago (peraltro mai andati a buon fine a causa dell’elevata profondità del lago). Dopo una splendida ora di navigazione (trascorsa sul tetto della barca alle 6 del mattino con una “brezzolina pungente”) raggiungiamo le isole Uros. Sono isole artificiali e galleggianti costruite con canna di totora. Camminandoci sopra si ha la sensazione di camminare sopra ad un materasso ad acqua. Ormai gli Uros non abitano più su queste isole ma si limitano a recarvisi in giornata per vendere ai turisti i loro bellissimi arazzi, nonchè le caratteristiche barchette di totora. Altre due ore di navigazione sopra questo lago dai colori stupendi e siamo a Taquile. Taquile si trova a 3.950 mt. di altitudine e dopo una faticosa (sempre per il soroche) ma panoramica passeggiata raggiungiamo il centro dell’unico paesino dell’isola. In quest’isola si respira la calma e la tranquillità proprie del ritmo di vita dei suoi abitanti impegnati, soprattutto gli uomini, a sferruzzare a mano cappelli, maglioni e guanti coloratissimi. Lo stato sociale e civile degli abitanti si riconosce dalla foggia del cappello che indossano. La serata trascorre di nuovo a Puno tra un Pisco Sur e un acquisto nei negozietti.

Ed eccoci in Bolivia. Costeggiamo il lago Titicaca, che si trova parte in Perù e parte in Bolivia e raggiungiamo La Paz (che, guarda il caso, è la capitale “mas alta del mundo”). Strada facendo ci fermiamo a Copacabana dove ci imbarchiamo per una breve visita all’isola del Sole.

Levataccia da La Paz e partiamo alla volta del ghiacciaio Chacaltaya (il ghiacciaio “mas alto del mundo”????? Ma no!!! – misura solo 5.600 mt.) Il paesaggio è brullo ma sempre contornato da colori assolutamente insoliti ed intensi come il giallo oro e il rosso. Colori derivati peraltro dalla composizione minerale del terreno. Sulla strada incontriamo greggi di lama e alpaca che si lasciano tranquillamente fotografare. Per distinguere un lama da un alpaca bisogna osservare se ha la coda in sù o in giù, una cosettina semplice al punto che dopo 23 giorni nessuno di noi era in grado di riconoscerli. Con il pulmino raggiungiamo i 5.400 mt., dove si trova il rifugio, e ci avventuriamo a piedi alla volta della vetta. Un pò per il freddo e un po’ per l’altitudine, a quel punto l’ossigeno era solo un vago ricordo, saliamo molto faticosamente. Il paesaggio però ci ripaga ampiamente della fatica e tutti concordiamo che ne è valsa proprio la pena. Trascorriamo il pomeriggio nella bellissima e caotica La Paz che ci offre il suo caratterestico mercato delle Streghe (con i feti di lama essiccati pronti all’uso per eventuali esoterismi), la sua bellissima piazza con la cattedrale e uno stupendo caffè italiano (dopo 15 giorni di riso, lomo saltado e banane una bella tazzona di caffè con fettona di tiramisù all’italiana ci volevano proprio!!!!!).

I più temerari il giorno seguente si sono recati al Coroico, foresta preamazzonica, a vedere le piantagioni di Coca; mentre le fanciulline (un po’ stravolte dai ritmi oserei dire un pochino sostenuti del viaggio) sono rimaste a La Paz a godersi la città con i suoi abitanti con le caratteristiche bombette, Plaza Murillo, Plaza San Francisco, il Palazzo del Governo ………….(in realtà ci siamo rifatti il cafferone con fettona di torta di mele all’italiana!!).

Ritorniamo a Puno attraversando la frontiera di Desaguadero; un vero e proprio spettacolo di colori e suoni. Strada facendo ci fermiamo a vedere il sito archeologico di Tiwanako. E’ un sito molto importante perchè la cultura Tiwanako ha dominato nella zona boliviana, e non solo, per parecchio tempo. Dopo la solita conquista spagnola è rimasto ben poco a parte la famosissima “Puerta del Sol”, simbolo della cultura Tiwanako. Dopo aver comperato al volo qualche statuetta, rigorosamente falsa e prodotta in serie, rientriamo a Puno. Qui trascorriamo l’ennesima seratina gustando ottimo cibo locale e svaligiando letteralmente un negozietto di ceramiche (che dopo la nostra visita avrà chiuso per ferie per almeno due mesi).

Un’altra levataccia e prendiamo lo stupendo trenino che da Puno ci porta a Cuzco (questo è l’ombelico del mondo ……). Ci siamo concessi la classe turistica, via di mezzo tra i vip e i servi della gleba, che ci ha comunque permesso di osservare l’andirivieni folkloristico. E’ consuetudine infatti che il treno venga attraversato da venditori di choclo (pannocchione bollite di una delle oltre 100 varietà di mais coltivate in Perù, dimenticavo il mais “mas grande del mundo”) di cioccolato, di porchetta, di torta e chi più ne ha più ne metta. Il percorso è di circa 350 Km. e il treno impiega dieci ore per percorrerli, sfruttando le due locomotive ai due lati del treno per “arrampicarsi sulla montagna”. Attraversando gli altipiani andini si rimane stupiti dai colori abbaglianti, dalle vette innevate, dal sole accecante e dal cielo di un blu così intenso da sembrare finto. Ed eccoci a Cuzco. Il colpo d’occhio sulla Plaza des Armas (tutte le piazze principali delle cittadine peruviane si chiamano così) è a dir poco spettacolare. Una piazza immensa, illuminata a giorno, contornata dalla cattedrale e dalle costruzioni tipiche spagnole con porticati e balconcini. Un gioiellino spagnolo dentro un Perù che è decisamente molto fiero delle proprie origini Inca. (bisogna ammettere che gli spagnoli hanno indubbiamente distrutto le culture indigene che trovavano sulla loro strada …. , però Cuzco l’hanno costruita proprio bene!!).

La prima escursione da Cuzco è il Valle Sagrado degli Inca che comprende Pisac (con il mercato “mas bello del mundo”) Ollantaitambo e Chinceros. A Pisac assistiamo a una messa in quechua – antica lingua Inca – e visitiamo le splendide rovine. Ollantaitambo ci stupisce con i suoi colossali terrazzamenti che vengono ancora utilizzati, insieme ai sistemi di irrigazione Inca, per le coltivazioni. Chincheros ha una piazzetta deliziosa con una chiesa molto caratteristica. I paesaggi come al solito sono stupendi, ma non vorrei annoiarvi ripetendolo troppo spesso.

La mattina dopo si parte per quello che rimane indubbiamente la parte più bella del viaggio: il trekking al Machu Picchu. Optiamo per il trekking di due giorni (non c’abbiamo il fisico) che parte dal Km. 104. Raggiungiamo il fatidico Km. con il trenino, che attraversa la valle dell’Urubamba, e da lì ci incamminiamo verso il rifugio di Winay Wayna. Dopo tre ore circa di cammino in mezzo a una natura sorprendente raggiungiamo il rifugio che si trova nei pressi del sito archeologico di Winay Wayna. Visitiamo il sito con la nostra guida e dopo una lauta cena ci ritiriamo nelle nostre stanzette, euforici per la meraviglia che ci aspettava l’indomani.

Levataccia delle levataccie alle 4 siamo già in cammino verso il passo da dove ( con un po’ di fortuna che scaccia la nebbia) si può osservare il sole che sorge e che illumina tutto Machu Picchu. La nostra fortuna non è stata abbastanza, infatti la nebbia ci ha coperto lo spettacolo, ma noi non ci siamo persi d’animo e siamo subito scesi alla volta del sito archeologico vero e proprio. Strada facendo la nebbia si è dissolta e ci ha comunque permesso di gustare uno spettacolo da “pelle d’oca” per quanto è stato emozionante. Quelli che “c’hanno il fisico” sono saliti sul Huayna Picchu per gustarsi lo spettacolo da un altro mirador, mentre le mozzarelline hanno fatto il giro turistico del sito archeologico con la guida (un po’ stile Alpitour ma ne è valsa veramente la pena per capire un po’ di più chi erano questi Inca). Nonostante la magnifica posizione geografica la scoperta di questo sito archeologico, da parte di Hiram Bingham, è avvenuta per caso. Infatti la scoperta si deve alle informazioni fornite da un contadino che raccontò di una città nascosta nella foresta. Giunto sul posto Hiram Bingham si trovò di fronte a una città completamente ricoperta da una giungla fittissima e fu costretto a “disboscare qua e là” per portare le rovine alla luce del sole. Rimane misterioso (vedi sempre capitolo precedente alla voce Misteri) il perchè gli spagnoli non abbiano mai menzionato Machu Picchu nei loro “rapporti storici di conquista”. La spiegazione più plausibile sembra essere quella che al tempo della conquista Machu Picchu era già stata abbandonata e sommersa dalla foresta. Rimaniamo un paio d’ore, troppo poche, a gustarci il panorama favoloso, salendo e scendendo scale e scalettine, tipiche Inca, e poi ripartiamo alla volta di Aguas Calientes da dove, con il trenino, raggiungiamo nuovamente l’ombelico del mondo (Cuzco).

Dopo la visita di Machu Picchu le quattro rovine di Sacsayhuaman, Qenko, Puca Pukara e Tambo Machay ci sono sembrate un po’ più modeste ma altrettanto interessanti.

Un volo che dura un batter d’occhio ci riporta a Lima e qui incominciamo a respirare l’aria (Sigh Sigh!!) della fine del nostro stupendo viaggio. Lima ci accoglie nuovamente con la sua garua che però non ci impedisce di visitare la Plaza des Armas (anvedi… c’è anche qui!! – leggere in romanesco), dove stavano montando un enorme albero di Natale, la Cattedrale, Santa Catalina, Santo Domingo. Il giorno dopo ci dedichiamo al museo dell’oro, dove un signorotto abbiente ha riunito pezzi unici d’oro appartenuti alle civiltà preincaiche e al museo di archeologia dove ripercorriamo con un filo di tristezza tutti i luoghi e le culture visitati durante le nostre tre settimane.

In serata un lungo volo ci porta a New York dove, avendo una sosta di dieci ore, riusciamo anche a dare un’occhiatina al clima natalizio della 5th Avenue con l’ imponente Empire State Building .

E qui abbiamo dovuto salutare la parte di gruppo (quelli de Roma) che volavano a Fiumicino. Noi abbiamo proseguito fino a Milano dove c’è stata la seconda tornata di saluti e di scambi di indirizzi, con relative promesse di rivedersi presto.

Le immagini di questo viaggio resteranno impresse nella mia mente a lungo (alcune addirittura per sempre) e per questo voglio ringraziare: Nicola il capo, Sandro di Bologna il mio carissimo amico, grazie al quale ho deciso di iscrivermi al viaggio, Sandro cicciobello bellissimo, Enrico il pilota, Raffaele il cassiere, Ester la pacha mama, Erika e Ambra le bimbe bellissime, Germano il papà adottivo, Paolo e Domenica i cuccioli, Elisabetta la romana, Simona la hostess, Rita la bionda, Mascha l’olandesina de Roma che mi ha sopportato in camera per tutto il viaggio, Gerda la mamma, Michele il siciliano, Michelino il grande, Salvatore di Acireale, Paolo di Roma, il nostro Gigi Proietti, Sergio l’avvocato e Gabriele il mio nuovo carissimo amico. Vi ricordo tutti con molto affetto.

 

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