Un viaggio fai da te in Tanzania

di Lorena e Fabio –

EVVIVA! dopo alcuni mesi passati a prepararci per il viaggio, leggendo, cercando informazioni sul web, studiando cartine geografiche e percorsi, finalmente partiamo per la Tanzania!

23 agosto

Partiamo dall’aeroporto di Milano Malpensa e dopo otto ore di volo notturno atterriamo all’aeroporto di Zanzibar, nei pressi di Stone Town.

A differenza degli altri italiani che viaggiano con i tour operator, noi abbiamo deciso di fare un viaggio fai da te.
In realtà molte informazioni su internet davano la Tanzania come un luogo “non troppo sicuro” per i turisti, quindi memori di quello che avevamo letto siamo usciti zaino in spalla dall’aeroporto un poco timorosi ma molto eccitati dall’idea di essere in quel luogo.
Come da “copione” ci piombano addosso decine di tassisti più o meno improvvisati, che ci propongono chiassosamente passaggi per qualunque destinazione. Noi per il momento preferiamo rivolgerci ai tassisti ufficiali e con 10$ andiamo al porto.
L’autista di nome Yussef è subito molto disponibile e ci aiuta a fare i biglietti del traghetto e a sbrigare le procedure doganali.
La zona del porto è separata dalla città di Stone Town da un vecchio cancello e ci si accede solo con il biglietto in mano. Molta gente cerca di entrare abusivamente, ma viene mandata indietro da una guardia armata; la zona è sicura anche se al suo interno regna la confusione.
Pur avendo comprato il biglietto di prima classe siamo costretti a stare in seconda, infatti in prima c’è una delegazione di Arabi che banchetta. Con imbarazzo un ufficiale di bordo si scusa e ci restituisce la differenza di 5$.
Il battello è confortevole; se non fosse per l’etnia presente sembrerebbe di fare una gita alle isole Tremiti.
Dopo un’ora e mezza entriamo nel porto di Dar es Salaam, e la prima impressione che abbiamo è che c’è gente ovunque e sembra che tutti ci stiano aspettando. Scesi dal traghetto, appesantiti dagli zaini, siamo nuovamente assaliti dal solito gruppetto di tassisti. Ne scegliamo uno (che poi sono diventati due), che ci sembrano più
affidabili. Sono oltremodo felici di essere nostri tassisti e subito si mostrano molto disponibili e gentili. Ci accompagnano al terminal dei bus Scandinavia ed acquistiamo i biglietti per il viaggio che faremo domani per Arusha.
Diciamo loro che abbiamo fatto una prenotazione via internet presso l’hotel Econolodge, ci sconsigliano di andare lì perché dicono che è sporco e pericoloso; ci propongono lo SleepInn, centrale e vicino al terminal del bus.
Dopo aver dato un’occhiata alla camera (controllatela sempre prima di pagarla) decidiamo di stare. Per circa 37500 Tsh, ovvero 35$, disponiamo di una doppia con bagno, aria condizionata e TV.
Non c’è la zanzariera, noi ne abbiamo una nostra che montiamo prontamente sopra il nostro letto, sarà l’unica volta. Dopo esserci cosparsi di autan usciamo; Alpha & socio (i tassisti) ci portano a fare un giro per la città.
Le strade sono sterrate e piene di buche e di gente che si muove con ogni mezzo. A piedi, con carretti trainati da buoi, con dalladalla (furgoncini adibiti al trasporto pubblico) e biciclette. Ci sono galline, mucche, bancarelle, cucine improvvisate ed un’infinità di bambini.

Tutti sono in giro ad arrabattare la giornata e noi siamo gli unici europei; ci rendiamo conto di essere in una dimensione nuova e siamo investiti dalle emozioni, dai colori e dagli odori africani.
Alpha insiste a volerci portare da un suo amico che ha un’agenzia che organizza safari.
Dopo qualche discussione decidiamo di andare a parlarci. Donatus, il Gestore si dimostra subito serio e ci fa la sua proposta, gli diciamo che siamo già in parola con un altro operatore di Arusha , che ci fa un prezzo di 120$ al giorno per persona.
Lui esprime le sue perplessità riguardo questa agenzia perché pensa che non siano in possesso della regolare licenza (in effetti esiste un’organizzazione, la TATO, che elenca in un documento tutte le agenzie con regolare licenza). Dopo una trattativa durata più di
un’ora ci propone un prezzo di 95$ al giorno a persona, con un gruppo di altre 3 persone.

Ma con un pò di fortuna riusciamo ad ottenere lo stesso prezzo avendo a disposizione la macchina solo per noi due, compresa la guida (che è anche autista) e un cuoco, fantastico!

Possiamo anche pagare il safari con i Travel cheques in dollari Usa e inclusi nel prezzo ci sono tutti i trasferimenti, due notti in un piccolo resort, cibo, acqua e tenda per le due notti in campeggio.
Siamo felici ma molto stanchi e ci facciamo accompagnare all’hotel.
Diamo loro 7 dollari in totale e li salutiamo. Sono stati veramente gentili e disponibili con noi per tutto il giorno.

Stasera mangiamo in camera le nostre scatolette con riso e tonno, prendiamo il malarone, accendiamo l’aria condizionata e andiamo a letto.
E’ un po’ caldo e umido ma non vediamo zanzare. Fuori è buio, (non c’è illuminazione per le strade) ma sono ancora tutti in giro. Lentamente veniamo investiti dai rumori della notte di Dar. Dormiamo come sassi, la scorsa notte passata in aereo e tutto il resto ci
hanno veramente provati.

Sveglia alle ore 7, anche se il Muezzin, mezzo addormentato, con il suo richiamo, ci aveva già svegliato alle 5.




Si parte per Arusha!
Ci svegliamo alle sette, e i rumori della città già in fermento ci avvolgono. Prepariamo gli zaini e scendiamo nell’atrio per incontrare l’autista che l’agenzia di safari ci ha messo a
disposione. C’è anche il tempo per una breve colazione a base di caffè e papaia.
Saliamo in auto e ci tuffiamo nel traffico caotico di Dar. In 10 minuti siamo al terminal dei bus. La sala d’aspetto è gremita per la maggior parte di locali, quelli più abbienti però, unici a potersi permettere un viaggio di lusso. Dopo un’attesa di circa 30 minuti
saliamo sul bus e partiamo alla volta di Arusha. Il viaggio è lungo ma il panorama è splendido; si alternano zone verdi e collinose ad altre pianeggiati coltivate ad ananas e banane. Sui lati della strada vediamo piccoli villaggi costituiti da capanne in fango
argilloso e foglie. Il colore rosso della terra è ovunque ed infiamma il panorama.

Il viaggio sarebbe confortevole se non fosse per l’aria condizionata altissima e per dei film in videocassetta gracchianti il cui audio non ci permette di riposare. Il bus è dotato di servizi igienici e hostess che ci porta acqua e qualche snack. Facciamo una sola sosta
per il pranzo in una specie di area di servizio dove c’è un ristorante, un mercato e venditori ambulanti di anacardi quì coltivati. Fa molto caldo. Dopo 7 ore di viaggio il paesaggio cambia sensibilmente, diventando montagnoso.
Dopo aver percorso 600 chilometri in 10 ore, arriviamo ad Arusha esausti, quando è già buio. Scendiamo dal bus e una plotone di tanzaniani ci viene incontro, come al solito per offrirci i loro servigi. Dietro il gruppetto agguerrito fortunatamente spunta una
mano con un foglio su cui sono scritti i nostri nomi; è Jiulian, la nostra guida. Felici e rassicurati saliamo sul fouristrada e ci facciamo portare all’hotel Mezzaluna. E’ difficile renderci conto del luogo in cui siamo, è molto buio, notiamo solo grande confusione
così come a Dar. L’hotel Mezzaluna, viceversa è molto tranquillo; prendiamo possesso della stanza, paghiamo il safari e dopo cena andiamo subito a letto, è fresco quì, ci saranno 20 gradi. Anche stasera siamo distrutti e guadagnamo il letto velocemente.

Primo giorno di Safari!!! siamo molto eccitati dall’idea di passare 5 giorni all’avventura 🙂 Sveglia alle 8, Omari, referente della Elephantour ci accompagna a fare il biglietto aereo che prenderemo per tornare a Zanzibar e ci presenta Plamba, il nostro fantastico
cuoco. Siamo pronti a partire, la vettura con cui faremo il safari è una LANDROVER defender a passo lungo, verde, piena di provviste ed attrezzatura da campeggio. Questo mezzo non ha nessuna difficoltà a macinare chilometri sulle piste sterrate che ci portano ai parchi.

La prima tappa del safari è il Parco Nazionale del Tarangire, detto anche parco degli elefanti. Si trova a 120km da Arusha, a sud est del lago Manyara. Dopo un viaggio di circa due ore arriviamo all’ingresso. Il primo avvistamento che facciamo è quello delle
zebre, che malauguratamente si portano dietro delle aggressive mosche TZE TZE, con le quali facciamo immediatamente conoscenza, infatti veniamo punti entrambi, fortunatamente senza conseguenze. Sono di fatto dei tafani nostrani, che possono trasmetterti la malattia del sonno. Il paesaggio è arido, caraterrizzato da grandi
alberi di Baobab.
Il parco nazionale del Tarangire ha la più alta concentrazione di animali durante la stagione secca, che va da luglio a novembre, in quanto gli animali trovano refrigerio nel fiume Tarangire. Questo parco è anche il paradiso degli uccelli, ce ne sono più di 550 specie, e sono coloratissimi, dal verde al blu elettrico al rosso.
Ecco le giraffe, ci tagliano la strada e non sono per nulla impaurite, indolentemente rosicchiano foglie dagli alberi davanti ai nostri occhi.
Noi godiamo di un punto d’osservazione privilegiato perchè il tetto del nostro mezzo si apre e noi possiamo stare in piedi ed osservare agevolmente gli animali.
E’ un “Pop up roof” e ci permette di stare a pochi metri dagli animali senza che vetri o altre protezioni si frappongano tra noi.
L’emozione è grande quando arriviamo al fiume Tarangire; famiglie di elefanti, con molti piccoli, si abbeverano in questo corso d’acqua, di fianco a loro zebre, antilopi e gazzelle. Pranziamo al sacco in un punto panoramico che ci permette di ammirare la bellezza di questo ecosistema incontaminato dove l’uomo e fortunatamente solo un ospite.
Sembra di essere in paradiso. Fa caldo, specialmente perchè, per paura delle zanzare, siamo ben coperti. Il sole picchia, e il percoso è sconnesso ma le emozioni che proviamo cancellano la stachezza. Respiriamo questa natura aspra a pieni polmoni convinti di quanto ci stia facendo bene. Dopo aver girato per il parco alla ricerca di animali (in inglese lo chiamano “game drive”) lasciamo il parco appagati della visita e ci dirigiamo verso il villaggio di Mto Wa mbu, dove passeremo la notte al Fig resort.
Il villaggio è molto povero ma c’è un pub dove andiamo a prendere una birra con Jiulian mentre Plamba ci prepara la cena. In tanzania non c’è gas e tutti cucinano sul fuoco, Plamba questa sera ci prepara dell’Hugali, un piatto locale, ottimo. Notiamo la presenza
di zanzare, prendiamo il malarone, incrociamo le dita e andiamo a dormire, domani visita al Serengeti.

Il Serengeti: la pianura senza fine

Di buon ora partiamo alla volta del famoso parco nazionale del Serengeti. Dal villaggio di Mto Wa Mbu al parco ci si mette circa 3 ore. La strada che percorriamo è asfaltata fino al villaggio di Karatu, qui ci fermiamo a visitare il mercato. Questo è l’ultimo
avanposto abitato prima di entrare nel territorio dei grandi parchi e vi si possono trovare delle sistemazioni molto spartane in dei piccoli bad & breakfast e addirittura un internet cafè. Per andare al Serengeti si deve obbligatoriamente passare attraverso l’ingresso
di Lodoare nell’area protetta del Ngorongoro, dove si paga un biglietto che costa circa 25$ a persona.
Il punto di uscita che corrisponde con l’ingresso del Serengeti è quello di Naabi Hill.
Prima di entrare nel Serengeti passiamo a visitare un villaggio Masai che si trova sulla strada. L’ingresso, dopo aver contrattato col capo villaggio, ci è costato 40$ in due. All’interno abbiamo potuto assistere alle loro danze e visitare le loro capanne.
E’possibile fare fotografie e comprare oggetti fatti dalle donne. Se volete acquistare prodotti di artigianato Masai a prezzi modici questo è il posto giusto.
Il Serengeti è il parco più grande e famoso della Tanzania, con circa 14.000 Kmq di superficie confina al nord con il parco Masai Mara, in Kenya, e si presenta ai nostri occhi come una immensa pianura arida e priva di alberi. Splendido il punto panoramico
all’ingresso del parco, dove è possibile salire sulla sommità di un’enorme roccia e ammirare la vastità del territorio. Fa molto caldo e bisogna difendersi dalla polvere che si alza ogni volta che incrociamo un’altro fuoristrada, ma vi assicuriamo che ne vale
veramente la pena, qui vivono moltissimi ungulati, leoni, ghepardi, zebre, grandi gruppi di giraffe, gazzelle, impala, antilopi, facoceri e una grande varietà di uccelli. Abbiamo anche visto un pitone grigio che sonnecchiava sotto un albero oltre ad ippopotami,
coccodrilli, simpatiche manguste e iene. Il nostro primo avvistamento è quello di due leonesse, che Julian (la nostra guida) scova a centinaia di metri dalla pista principale,
mentre camminano mimetizzate tra l’erba secca. Ci avviciniamo e spegnamo il motore, l’emozione è grande, ascoltiamo il loro respiro e le vediamo passare a pochi metri da noi incuranti della nostra presenza.

Il game drive prosegue e gli avvistamenti si susseguono a ritmo sostenuto, sopratutto nei pressi di pozze d’acqua dove gli animali si avvicinano per dissetarsi. In una di queste oasi vediamo una coppia di leoni che si dividono una preda appena catturata e dei
cuccioli con la loro mamma. L’unica volta che possiamo scendere dal fuoristrada è nei pressi del laghetto degli ippopotami, la maggior parte sono nell’acqua ma ne avvistiamo uno camminare fuori, non lontano da noi! Ci sono anche dei coccodrilli che sonnecchiano sulle rive del lago.
Una delle attrattive principali del Serengeti è la migrazione delle mandrie di gnu che ogni anno, durante la stagione secca (tra luglio e ottobre), si spostano nel vicino parco del Masai mara alla ricerca di pascoli freschi per tornare nuovamente verso sud prima delle
pioggie. Ciononostante il Serengeti può essere visitato in qualunque periodo dell’anno anche se, durante la stagione delle pioggie il rischio di malaria è più alto. E’ quasi il tramonto e ci dirigiamo verso il Dik Dik public camp, campeggio nel quale trascorreremo la prima nostra notte in tenda. La prima cosa che ci colpisce è che non c’è nessun tipo di recinzione che impedisca agli animali di raggiungere le nostre tende…ma la presenza di altri campeggiatori ci rassicura. Il posto è veramente essenziale; i servizi igienici
sono molto spartani, praticamente un buco nel terreno, non c’è ne acqua corrente nè elettricità (portatevi una torcia elettrica), esiste però un grosso serbatoio d’acqua al quale attingere per le proprie necessità. Le uniche strutture permanenti sono il gabbiotto
per cucinare e uno spazio con una tettoia sotto la quale è possibile mangiare. Assistiamo ad un tramonto unico, il cielo ci regala tonalità di rosso indimenticabili.
Ceniamo sotto ad un cielo stellato illuminati da una lampada ad olio ed intorno a noi sentiamo solo i rumori degli animali.
Durante la notte sentiamo il verso delle iene, non abbiamo paura e dormiamo tranquillamente. Sveglia alle sei, Plamba ci prepara un’ottima colazione e si parte
per un’altra mattinata dedicata al safari.
Un’immagine che ci rimarrà impressa è quella di due leoni sdraiati all’ombra di un’albero di acacia, sembrava di essere all’interno di un documentario!
Anche la presenza di enormi massi granitici chiamati Kopjes ci ha colpito; attorno ad essi c’è ombra e si raccogle acqua piovana,indispensabile alla sopravvivenza di animali e piante specialmente durante la stagione secca.
Nel pomeriggio visitiamo il centro di informazione per turisti a Seronera dove tra le altre cose è stato allestito un percorso guidato per conoscere la storia del Serengeti.

Lasciamo il parco assistendo ad una cruenta scena di caccia da parte di due iene nei confronti di una gazzella che viene catturata, uccisa e mangiata sotto ai nostri occhi e quelli di un gruppo di avvoltoi pronti ad avventarsi sui resti…questa è la dura legge
della natura. Sulla strada per Ngorongoro ci fermiamo a visitare le gole di Olduvai, dove è possibile visitare un piccolo museo (aperto fino alle 15, l’ingresso costa 2 euro) all’interno del quale sono custoditi tra le altre cose il cranio di un ominide (Australopithecus Boisei) e il calco delle impronte di ominidi vecchie 3,7 milioni di anni. Incluso nel prezzo abbiamo avuto la spiegazione della storia della gola da parte del responsabile del
museo. Ripartiamo e raggiungiamo il campeggio sulle cime del cratere del
Ngorongoro quando ormai il sole è tramontato.

Il cratere NGORONGORO: l’arca di Noè.

Siamo al public CAMP “SIMBA A” in cima al cratere del Ngorongoro. Questo campeggio offre delle ottime vedute sul cratere, se le nuvole lo permettono. Siamo a 2400 metri di altezza e dal freddo che fa sembra di essere a Milano in febbraio!! La prima cosa che ci
colpisce è la presenza di un grosso elefante che si aggira nella foresta ad una cinquantina di metri dal prato dove abbiamo deciso di piantare la nostra tenda. Giulian la nostra giuda ci rassicura e ci da una mano, in dieci minuti l’igloo è perfettamente montato. Ci sono anche quì circa 20 tende, i bagni sono accettabili e c’è acqua
corrente (fredda), la mensa è una tettoia senza finestre. Ci sono dei ragazzi nordici che fanno la doccia, sono pazzi! Plamba accende il fuoco e comincia a cucinare. Mentre siamo in bagno odiamo degli spari, corriamo fuori e con nostro stupore, vediamo il grosso elefante intento a mangiare delle angurie e delle carote che sono sul tetto di un fouristrada a pochi metri dalle tende. I rangers del parco intervengono sparando in aria, ma il pachiderma prima finisce il pasto e poi riguadagna la macchia, senza troppa fretta 🙂

La cena è servita da Plamba sul nostro solito tavolino; intorno a noi ci sono altri turisti più o meno intirizziti, la temperatura è intorno a zero gradi e per l’occasione mangiamo una zuppa calda di legumi che ci aiuta molto. Torniamo alla tenda, guardando il cielo
che è invaso da costellazioni mai viste prima, e vediamo un branco di zebre che si frappone tra noi e l’ingresso del nostro igloo. Abbiamo un po’ di timore ma loro continuano a brucare l’erba non curanti della nostra presenza. In fondo sembrano un pò dei piccoli cavalli così decidiamo di entrare lo stesso (e cosa avremmo potuto
fare sennò?!). Ci infiliamo nei sacchi a pelo, ci copriamo con tutto quello che abbiamo e ci addormentiamo ascoltando il brucare delle zebre. La mattina sveglia alle 6, abbiamo dormito abbastanza bene però quello che avevamo per coprirci era quasi sufficiente a
mantenerci ad una temperatura accettabile. C’è della nebbiolina che avvolge tutto, e il freddo non ci molla. La colazione calda è un sollievo. Un’ora dopo stiamo già scendendo in fuoristrada all’interno del cratere lungo una pista ripida, intravediamo dei
Masai che portano al pascolo i loro greggi di bovini. Fortunatamente alle 9 la temperatura sul fondo del cratere è migliorata, adesso possiamo stare in maglietta. Il game drive quì è come viaggiare in un mare di animali, sono ovunque intorno a noi, tutti concentrati in
questa “arca” di 20 chilometri di diametro.
Oltre a tutti gli animali già avvistati nel Serengeti abbiamo la fortuna d’incontrare alcuni ghepardi, veramente magnifici, e il raro rinoceronte nero (una mamma con cucciolo), che però è molto pauroso ed è impossibile avvicinare. Ricordiamo che il rinoceronte nero in
Tanzania ed in altre regioni dell’Africa è una specie protetta in quanto in via d’estinzione, ne rimangono pochissimi esemplari i quali vivono esclusivamente all’interno del cratere, dove sono protetti e possono trovare acqua tutto l’anno. Non disturbiamoli e
guardiamoli da lontano.
Pranziamo al sacco sulle rive di un grazioso laghetto, punto di ritrovo dove tutti i partecipanti ai safari si fermano. Dopo aver assistito all’attacco in picchiata di alcuni rapaci sul cibo di sfortunati turisti, decidiamo di consumare il nostro pranzo all’interno dell’abitacolo del fuoristrada. La visita prosegue nel pomeriggio tra foreste, acquitrini, praterie, pozze essiccate di acqua salata e centinaia di uccelli tra cui fenicotteri che sguazzano nel lago caustico di Magadi. Dopo ore di vagabondaggio le nostre energie e la nostra curiosità si esauriscono e la stanchezza comicia a farsi sentire.
Risaliamo le sponde del cratere e la temperatura si abbassa di nuovo, i colori cambiano, passando dalla savana color kaki alla verdissima foresta tropicale. Risaliamo una pista che non è la stessa che abbiamo percorso per entrare nel cratere, infatti si scende da una parte e si risale da un’altra. Queste piste, che quì sono di terra rossa, sono strette e a senso unico. Ripassiamo nuovamente dall’ingresso di Lodoare ed usciamo dai parchi convinti da aver vissuto un momento indimenticabile, appagati e liberi con gli occhi pieni d’immagini che rimarranno per sempre indelebili nella nostra mente.

Dopo poco raggiungiamo nuovamente l’argilloso villaggio di Karatu, dove abbiamo l’occasione di entrare in un internet cafè e spedire delle mail in Italia. Ci facciamo portare da Plamba presso un negozietto per non turisti dove compriamo delle coperte masai.

Sono bellissime e pur essendo leggere tengono molto caldo. Facciamo rifornimento e ripartiamo per il villaggio di Mto Wa Mbu dove passeremo la notte , ci aspetta un’ora di strada, fortunatamente asfaltata.

Ricordiamo che Ngorongoro può essere visitato tutto l’anno però nei mesi di aprile e maggio è piovoso quindi l’accesso al cratere potrebbe essere limitato.
Gli ingressi aprono alle 7 e chiudono alle 16 ma il momento migliore per la visita è alla mattina presto, quando ci sono relativamente pochi turisti e fuoristrada.

Lake Manyara: il parco sottovalutato

Al Fig Resort incontriamo una coppia di ragazzi italiani con i quali avevamo comunicato via mail all’inizio di agosto, mentre stavamo organizzando il viaggio; loro sono appena arrivati e stanno per partire per lo stesso giro che invece noi stiamo concludendo. La
sveglia al Fig Resort questa mattina fortunatamente è suonata più tardi, abbiamo dormito nuovamente come sassi, noncuranti della presenza nella nostra stanza di un ragno, che da un’osservazione sommaria risultava essere un incrocio tra una vedova nera ed una
trantola. La colazione è come al solito ottima e anche questa mattina Plamba si è superato preparando caffè, omelette e frutta fresca. Si parte per il Lake Manyara National Park, che è vicinissimo a Mto Wa mbu. Questo parco poco visitato si trova a circa 1000 mt sul livello del mare, in realtà questo è un parco molto bello. Si possono trovare una grande varietà di uccelli, i leoni che si arrampicano sugli alberi, scimmie ed elefanti. Confina da una parte con la Rift Valley e dall’altra col lago Manyara che ospita moltissimi fenicotteri.
A differenza degli altri parchi la vegetazione qui è rigogliosa e variegata, passando dalla savana ai boschi alle paludi; ci sono anche degli enormi Ficus secolari chiamati Fig. Appena partiti notiamo subito molti elefanti con i propri piccoli che usano anche
quì (come al parco del Tarangire) il tronco degli alberi per grattarsi e ne mangiano allegramente i rami. Il tour è molto più tranquillo e rilassato rispetto ai grandi parchi che abbiamo visitato negli scorsi giorni. Dopo aver attraversato una rigogliosa foresta ci avviciniamo al lago e gli alberi scompaiono lasciando il posto ad un cimitero di alberi morti, come se fossero stati burciati. Giulian ci spiega che la loro morte è dovuta all’avanzamento dell’acqua alcalina del lago, che durante la stagione delle pioggie esonda allagando circa due terzi di parco.
Proseguiamo quindi verso il lago, quì è possibile scendere dal mezzo e fare due passi, in lontanaza scorgiamo ippopotami, stranamente fuori dall’acqua con dei cuccioli piccolissimi e tantissimi fenicotteri rosa. Siamo al centro di questo ennesimo scenario
mozzafiato; da una parte il lago con i suoi animali, dall’altra la Rift Valley con la sua profonda scarpata, è un sogno. Mentre scriviamo abbiamo la pelle d’oca al ricordo di quel luogo con la sua natura così aspra. Il tempo per un pit-stop e riprendiamo il game drive nuovamente in mezzo alla vegetazione, quì come per incanto, c’imbattiamo in una comunità di babbuini, saranno una quarantina, possiamo osservare da vicino la loro vita, come si spulciano reciprocamente e il gioco dei cuccioli. Ad un tratto uno “grida” e
tutti fuggono sugli alberi; c’è un pericolo nelle vicinanze. Un piccolo rimane a terra e grida disperato, in un attimo il maschio dominante lo raggiunge e lo mette in salvo. Altro che mondo di Quark! Proseguiamo e Giulian ci dice che questo è il suo parco preferito, e non ha tutti i torti è proprio una favola.

Lungo la pista troviamo un piccolo autobus fermo, il conducente ci chiede aiuto perchè il motore ha ceduto. Non si tratta di turisti, ma di una scolaresca Tanzana, sono dei ragazzi delle superiori. Rimaniamo alcuni minuti gli uni di fianco agli altri, ci osserviamo,
ci sorridiamo; sono bellissimi, perfetti. Un popolo fortissimo, resistenti a privazioni che farebbero impazzire qualsiasi opulente occidentale. Ci viene in mente che Giulian, tribù del Kilimangiaro, ha avuto la malaria 2 volte, ed è quì a raccontarcelo. Una volta ancora ci sentiamo inadeguati, fuori posto, con le nostre fotocamere digitali e i nostri occhiali high-tech. Carichiamo il professore della scolaresca e partiamo per Mto wa mbu, ci aspetta Plamba per l’ultimo pranzo al Fig Resort.

E’ ora di tornare ad Arusha, ci attende un viaggio di due ore. Mentre viaggiamo per l’ennesima volta, passiamo di fianco ad estese piantagioni di ananas, che a prima vista scambiamo per Agave. Stiamo evidentemente ritornado verso luoghi più popolati, intorno a noi nuovamente c’è una moltitudine di persone intente ad arrangiare in qualche modo la giornata. Arriviamo ad Arusha, ed incrociamo un convoglio di fuoristrada bianche con sirene spiegate, sulle portire hanno in simbolo O.N.U. Giulian ci dice che l’O.N.U. ha costruito quì un carcere dove vengono trasferiti criminali ribelli Ruandesi, semplicemente per gartire loro la vita, affinchè subiscano un processo regolare e non vengano barbaramente giustiziati. Passiamo nella via principale di Arusha ed è un pullulare di attività, ci sono i sarti con la loro macchina da cucire sul marciapiede, gente che vende di tutto, persino delle scarpe di gomma realizzate con vecchi pneumatici. Acquistiamo della farina per fare l’ugali, del caffè, dello zucchero di canna e il the che abbiamo bevuto durante il safari; Plamba ci porta a comprarli in una stradina dove probabilmente non è mai passato un occidentale, presso un negozietto che vende le cose attraverso una grata. Siamo osservati da un gruppo di uomini molto incurisiti. Vicino all’hotel Impala c’è un centro fotografico dove possimo masterizzare un cd-rom con le foto scattate durante il safari, ci costa 10 dollari, e sono degli indiani ad esegiure il lavoro, un controsenso. Abbiamo un solo rimpianto, quello di non aver portato con noi una reflex, che ci avrebbe dato la possibilità di scattare delle foto migliori di quelle che siamo riusciti a fare, questo è un consiglio spassionato.
Prendiamo la via dell’Hotel Mezzaluna, arrivati a destinazione preghiamo Plamba e Giulian di attendere un attimo prima di andare. Dopo aver preso possesso della camera, prepariamo due pacchetti con delle magliette, quaderni, penne e un piccolo contributo in denaro. Ci presentiamo di fronte a loro e li ringraziamo di tutto, con una vena di tristezza ma con la speranza che quel piccolo aiuto possa per un attimo facilitare la loro esistenza e quella delle loro famiglie. Sono stati magnifici con noi, ma la cosa che più ci hanno trasmesso è la calma e la convinzione che i preconcetti che avevamo quando siamo arrivati quì erano esagerati. Tanzania Acuma matata! Andiamo a mangiare di nuovo di fronte alla solita orchestrina che suona sempre le stesse canzoni, ma è molto diverso dallo stare sotto il cielo della savana… Andiamo a letto, tanto per cambiare
stanchi, è fresco. Domani ci attende un volo Air Tanzania che ci porterà a Zanzibar.

 

 

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Lidia
Lidia
4 anni fa

Ciao, complimenti è come se fossi stata lì con voi 🙂 molto emozionante! Sapresti dirmi il nome dell’agenzia che vi ha organizzato il safari? Avete un link o mail? Grazie mille