Asia

On the run: in fuga in Thailandia

di Francesca Pierantoni
Bangkok giorno 1.
Appena aperte le sliding doors dell’aeroporto sono stata inglobata da un blob di smog e caos primordiale. Ho dormito 2 ore negli ultimi due giorni, e questo non aiuta a sopportare il clima. Caldo come a Bologna quando si sta malissimo moltiplicato per 4, però umido…. ma umido davvero.
Budda è bellissimo. Ma forse io sono induista. Sto cercando di capire.
Bangkok ha dimensioni che un cervello europeo non può comprendere. Tipo che per portarti “a un albergo vicino” ci vuole un’ora. In più, i taxisti sono rinunciatari. Se non sanno dove ti devono portare ti scaricano in mezzo alle puzze della strada.

I topi han sempre la precedenza. Anche se vengono da sinistra.
Se sopravvivo allo street food divento immortale.
Ma non sopravvivo.
[Mamma scherzo sto benissimo]

Giorno 2:
Bangkok – Ayuttaya – Bangkok
La montagna rilassa. Il mare stanca. Bangkok stronca. A colpi di ingorghi barocchi e puzze surreali. Ayuttaya invece è un posto magico di templi antichi e statue di Budda incastrate tra le radici degli alberi.
Ho finito tutto il piatto di riso e robe varie con le bacchette. Ma sto sviluppando una dipendenza da spremuta di mandarino.
Un ultimo pensiero va allo Spagnolo Timido che deve avere fatto un gran casino con tutti per poi non avere il coraggio di abbordarmi. Da oggi il suo nome sarà ” Miraqueguapa” seguito dalle risate di scherno dei suoi amici più fighi. Alla crudeltà del mondo rispondi col sorriso, Spagnolo Timido. Così direbbe il Budda.

Perché se sai l’inglese puoi andare dappertutto e domini il mondo.

  • you speak english?
  • aaaaaaaaaa….
  • take me to the river. Shangri La Hotel.
  • Haivee fiffi baaa!!
  • ….. Sorry… I didn’t catch your last word…
  • Haiveeeee???? Gaaaa maaaaaaaa!!
  • ….. I can’t understand you. …
  • Spikkinghi ooo ooooooooo???? Gaaaaa maaaaaaaaa!!
    Credo mi abbia infamato per il mio inglese. E credo che gaaaaa maaaaaaaa sia “come on” con un uso creativo delle vocali.

Sono la belva dei tuk tuk.
Ti do 200 bath e ti faccio un regalone. No fermate intermedie. No negozietti dei tuoi compari.
No pippe.
Muovi il culo che devo prendere un treno.
E straccia quel rosso che tanto lo so che non cagate i semafori.
Go. Now. Naturalizzata in 48 ore.

Giorno 3: Bangkok – Chiang Mai
Bangkok è un casino. Ma oggi io ho visto La Bellezza. Quella da sindrome di Stendhal. Che io la cito spesso, per fare la simpatica saccente, questa sindrome. Per dire che rimango esterrefatta. Oggi no. Oggi l’ho avuta davvero. Con le lacrime di commozione davanti alla Bellezza. Interi palazzi, statue così grandi da non poter essere guardate nella loro interezza, stupa alte decine di metri, ricoperte di oro, pietre colorate, cristalli e specchietti che scintillano sotto il sole.
Mi inchino al Mondo.
Che poi domani mattina mi passa. Che sono in una cuccetta mista di un treno notturno con tre tedeschi molesti. E far venire giorno sarà impresa durissima.
Nota prosaica di oggi: aglio crudo. Tagliato a dadini. Nel riso bianco. Maledetti. Non fatemi soffrire. Finitemi con un paletto di frassino nel cuore. Presto.

Giorno 4: Chiang Mai.
Deeply living Thailand. Vivere profondamente questo paese significa assorbire una serenità sconosciuta. Significa lasciarsi andare alla scoperta.
Conversazioni con monaci buddisti.
Massaggi antichi fatti da ex detenute riabilitate.
Lezione di thai-box. Sono agilissima. Fighissima. Elegantissima. Non ho un livido. Forse un paio. Non più di 7 o 8.
Il fatto che abbia concluso la lezione urlando “oh ma sei scemo???” in italiano al mio maestro non significa nulla.
Non tornerò su questo argomento.
Serata epica: sotto IL DILUVIO a mangiare alle bancarelle del mercato, tra teste di pesce e zampe di oca, con due signori australiani. Due ragazzi di Milano. Una tedesca e un canadese e un numero a molti zeri di scarafaggi grandi come chihuahua.
Molto buono.
Il canadese.

Giorno 5: Chiang Rai -Triangolo d’Oro
Il White Temple è il capolavoro di un pazzo che dipinge Budda insieme a Elvis, Doraemon, Spiderman, Hellraiser, Marilyn e i Pokemon. Lo giuro. Non ho foto perché non si potevano fare ma lo giuro.
Navigando sul fiume Mekong, tra Thailandia, Laos e Myanmar, mi sono chiesta: se potessi essere ovunque nel mondo, a fare qualunque cosa, insieme a chi vuoi tu, cosa sceglieresti?
E la risposta è stata: vorrei essere qui, sul Mekong, a navigare su quest’acqua color fango. Esattamente da sola. Era per questo che sono partita. Adesso lo so.
Sono diventata bravissima con le bacchette. Mangio di tutto, anche gli gnocchi. Anche i noodles. Me li sbatto un po’ sulla faccia, ma dai cartoni giapponesi mi sembra di ricordare che sia normale.
Il problema vero, contingente, irrimediabile è il caxxo di aglio dappertutto. Non preclude le relazioni sociali, giacche’ siamo tutti sulla stessa drammatica barca. Ma sono assolutamente certa che alle dogane ci metteranno tutti in quarantena prima di aprirci il gate degli arrivi intercontinentali.


Giorno 6 : Chiang Mai – Elephant Rescue Farm Ci sono posti in Thailandia dove vengono accolti gli elefanti che non lavorano più, o che sono stati sequestrati per vari motivi. Quei posti si possono visitare. E io ci sono stata oggi.
Tra gli elefanti, in mezzo alla foresta tropicale. In un posto dove non sono liberi come dovrebbe essere, ma di sicuro stanno meglio di quelli da circo. O da trasporto. O da attrazione turistica.
Oggi ho parecchie cose in più di ieri. Ho un reggiseno bianco che è diventato mezzo rosa dopo aver lavato un elefantino in un fiume.
Le All Star ricoperte di fango della jungla.
5 amici spagnoli a cui ho raccontato il motivo del mio viaggio in solitaria e a cui ho insegnato a urlare “FOTTITI !!”
ad un segnale convenuto.
Un monile tipico e bellissimo da mettere nei capelli.
Un fiore di frangipane tra le pagine della mia guida.
Un nome che ricorderò.
Gli zaini chiusi e il biglietto aereo di domani per Puket.
L’alito, temo invece sia il solito.
Ciao Chiang Mai. Kraa-punk-aa.

Giorno 7 : Chiang Mai – Bangkok – Puket – Patong Oggi giorno di viaggio: un tuk tuk. Due aerei. Un pulman.
E considerazioni.
Gli uomini thailandesi sembran tutti dei gattini randagi. Secchi. Spelacchiati. Afflitti. L ‘ ultimo dei camionisti moldavi obesi e senza denti ha più appeal. Poi è chiaro che le donne thailandesi vanno coi turisti. Non sono zoccole. Sono scelte oculate.
“Per come si vive oggi, balestrati in aviogetto dal nord al sud della Thailandia, si direbbe che quasi si possa viaggiare nel tempo. E, di fatti, così avviene” – semicit.- Ora sono a Patong e…
No, vabbe’. Capitolo a parte domani. Se non mi scoppiano le cornee. E allora non vedrei la tastiera.
Che poi è un problema che non sentono affatto. Voglio dire: vendono ogni sorta di caramelle: al mou, gommose, le fisherman’s friend, le tic tac al mango. Ma una minchia di gomma da masticare alla menta atomica col culo che la trovi. Mi restano 3 vigorsol che con guizzo di intuito mi ero portata da casa. Poi sarà il buio.

Giorno 8: Patong – Ko Phangan
Patong.
Se vai a Patong per il sesso o non sai cosa è Patong o non sai cosa è il sesso. Un ‘ iperofferta così sguaiata, evidente, priva di qualsiasi tensione sessuale vera, di erotismo reale, priva di ogni sottigliezza, di ogni gioco, a me mi fa venire voglia di andare a casa, farmi un pediluvio, un latte caldo coi ringo e se proprio voglio folleggiare, vedermi un paio di puntate di Breaking Bad. Che a me le palline da ping pong sparate con la passera mi fan venir voglia di ringo. Boh. Sarò malata io.
Ko phangan:
Pulman e catamarano e
ora 4 giorni e 5 notti al mare! Ho noleggiato un motorino. Al solito mio. E sfreccio veloce per le stade dell’isola. Cercando di ricordare che qui girano sulla sinistra. Sinistra porco giuda. Fra. Sei di nuovo a destraaaa.
Niente Half Moon Party tonight. Troppo stanca. Troppo casino. Troppa strada. Troppi ubriachi che torneranno agli alberghi contromano. ‘Sti deficienti. Cazzo Fra, tieniti a SINISTRAAAA.
Ho conosciuto un australiano carino. E ho solo 2 vigorsol. Sono nei guai.

Bucket: secchiello.
To drink a bucket: bere alcolici misurandoli a secchielli.

  1. 12 secchielli al giorno.

Giorno 9: Ko Phangan
Il mare è caldissimo.
Ma tipo 34 gradi.
Cioè se hai caldo (e hai caldo. Un caldo porco) e ti butti in acqua non risolvi niente. Allora fai come i cani randagioni. (Che qua i cani non pesano meno di 30 kg.) Ogni tanto entri in un negozio. Di quelli con l’aria condizionata a palla.
E stai li un po’. Se sei più furbo del randagione non stai proprio sotto la fotocellula della porta automatica: dlin apri. Dlin chiudi. Dlin apri. Dlin chiudi.
È chiaro, randagione, che poi ti buttano fuori. Che poi fai la faccia del cane bastonato. Eh. Te lo devi aspettare. Dai. Vieni. Ti compro uno spiedino.
Io e i randagioni ci amiamo molto.
Stasera cena alle bancarelle del mercato. Poi serata di Muay Thai Boxe con gli idoli locali. La folla in delirio. Gli occidentali a far foto con le reflex. Cioè a parti invertite. Gli orientali si divertono. E noi a fotografare.
Nelle varie discoteche sulla spiaggia non si parla che dell’attentato di Bankok. Poi ci si continua a sfondare di alcool nei secchielli e a fare il limbo sotto la corda infuocata.
A me fa un po’ tristezza. Forse perché non bevo. Ma questa cosa mi amareggia profondamente. Penso alla bellezza e alla pace di quei templi e tutto mi sembra così stonato e fuori posto. Così inutile.

Giorno 10: Ko Phangan
Ho conosciuto un sacco di gente. Spagnoli. Portoghesi. Australiani. Tedeschi. Inglesi. Un canadese. Francesi. Qualche italiano. Dei Kiwi. (Si, dei Kiwi. I neozelandesi si fanno chiamare Kiwi. Tutti contenti. Felicioni. Li diverte un sacco sta cosa . Come se noi ci facessimo chiamare “Pizze”). Un Colombiano.
Mi manca un Americano. Figo. Magari un surfista californiano. E poi vado a San Luca ad accendere un cero.
Qui il sole brucia di brutto. In una sola mezza giornata sono diventata nera come dopo una settimana di Mediterraneo.
Bisogna stare attentissimi però: mi sono messa a leggere mezz’ora con le gambe incrociate e ora ho una macchia più chiara a forma di libro aperto sulle cosce.
Protezione minino 20. Anche sulle mani. Sennò è la fine.
Una ragazza mediamente sveglia, ancorché da sola, un Americano figo (anche non surfista, dai, mi accontento) che le spalmi la schiena lo trova con la rapidità di un taxi Cotabo. 3 o 4 minuti.
Amazing.
Ho visto un ragno tropicale e non ho fatto una piega.
Mi sono tuffata dal ponte più alto della barca (saranno stati sei metri) fregandomene delle vertigini.
Mi sono persa nella jungla con il motorino di notte per accompagnare un fessacchiotto che non sapeva dove era il suo villaggio e non ho avuto nessuna paura (io.).
Riesco ad ascoltare di nuovo “By this river”.
Fematemi o dichiaro guerra alla Kamtchatka.

Giorno 11: Ko Phangan
Oggi in spiaggia ho dovuto spostarmi. Non sopportavo la famigliola milanese che avevo affianco.
Educati. Carini. Con bimbi tranquilli. Ma non ce l’ho fatta. Ho cambiato posto Sto sviluppando un ‘ intolleranza agli italiani molto italiana.
Ho dovuto cercare un tempio buddista. Ero in astinenza da bellezza. Quest’isola è meravigliosa e selvaggia. Ma manca quella atmosfera unica che ho colto al nord, a Chiang Mai.
Qui è il casino più assoluto e dissoluto.
Per fortuna anche nella confusione massima e nello stordimento da beach party continuo a saper fare le sottrazioni.
Quindi, stupendo tedesco alto e biondo, per quanto tu sia rifulgente di beltà quasi come un tempio buddista, 22 anni sono veramente pochi. Auwfiedersen. Apprezzo che tu, sapendomi attrice, mi citi correttamente in inglese la seconda scena del secondo atto di Romeo and Juliet, ma no. Non mi pentiro’. Smettila… “Oh, speak again, bright angel….” TI HO DETTO SMETTILA. Vai a dire minchiate coi tuoi amici piuttosto. HO DETTO DI NO.
Forse.
Che fai domani?

“Write the saddest story you could think of in 4 words.”
Tedeschino. Mi son pentita.

Ho assaggiato tutto. Ogni tipo di spiedino (che qui spiedinano tutto, anche le patatine). Ho provato ogni cosa commestibile. Con la riprovazione degli amici. Stasera un ultimo boh della cucina del sud passerà per il mio palato. Poi si torna a Bangkok via Surat -Thani Non è vero.
Gli insetti non ce l’ho fatta ad assaggiarli.
Sono una pippa.

Giorno 12: Ko Phangan.
Oggi ho attraversato l’isola con il mio scooterino. In mezzo alla jungla, sulla costa tra le mangrovie.
Perdendomi. Ritrovandomi. Meravigliandomi. Scoprendo. Trovando.
Per raggiungere un amico. Un attore francese. Un comico.
‘Che tra guitti ci si annusa. Ci si riconosce allo sguardo.
I’m glad to have met you David. It has been so nice to spend some time together. Hope to see you somewhere. Beyond YouTube…
Poi ha cominciato a piovere come piove qui. Che se sommi la velocità delle gocce a quella dello scooter lo capisci perché fa male sulla pelle.
Ora mi coccolo con un thai massage.
Utima notte a Sunrise Beach.
Tedeschino. Se fossi devoto come millantavi ieri sera ti ritroverei allo stesso posto come un cane che aspetta il padrone.
Ma credo l’unico essere che troverò davanti alla mia porta sarà il solito randagione di alaskan malamute che viene ad elemosinare mezz’ora di aria condizionata tutte le notti.
Shame on me.

Giorno 13:
Ko Phangan – Surat Thani – Bangkok – Abu Dhabi
Bangkok – Suvarnabhumi Airport.
Chi è stato nelle isole del sud si riconosce dal vestito freak.
Chi è stato al nord si riconosce dallo sguardo sereno e pieno di luce.
Io tutti e due.
Prossima fermata Abu Dhabi per una intensissima notte più una intensissima mattina.
7 aerei. 1 treno. Diversi pulman. Minivan. Infiniti taxi. Molti tuk tuk. Barche, battelli, un catamarano, un traghetto, lo Sky Train. La moto di Jesse. La metropolitana. I taxi collettivi. Lo scooter!
In questo mio vagabondare per la Thailandia mi manca solo la maglia a rotelle del mitico Daniele Cordella.
E la voglia di scendere

Giorno 14: Abu Dhabi
A parte che ho lasciato la amata Thailandia quindi immaginati come mi girano le palle.
Abu Dhabi è orrenda. Una colata unica di cemento e asfalto e un phon al massimo calore piantato in faccia. Questo alle 2 di notte. Ora, (sono quasi le 7 del mattino) uguale con due phon.
Poi, per carità, se sei un architetto in vena di sperimentazione magari qui ti cagano.
Alcuni palazzi sono anche belli. Cemento vetro e lucine.
Fatta esclusione per il cemento sembrano un po’ le bancarelle di Santa Lucia.
Gli arabi sono arabi. Con i vestiti lunghi bianchi e la kefia bianca. Le arabe sono arabe. Con i vestiti lunghi neri e i veli neri.
In più, qui alcune hanno anche un orpello mai visto, una specie di “H” rovesciata di stoffa imbottita che copre sopracciglia, naso e bocca.
La libertà serena e luminosa di Budda è molto molto lontana.

Giorno 15 : Abu Dhabi – Roma – Bologna
Giorno 15.
Che poi sarebbe giorno 16.
Che il primo giorno, il Bologna – Parigi – Bangkok, il diario non l’ho scritto.
Che ero un po’ guardinga e agitata per questa cosa così difficile che andavo a fare.


Giorno 16, allora.
Torno in aeroporto a Abu Dhabi passando davanti al Ministero dell’Acqua.
Questa cosa mi fa riflettere. E mi riconcilia con questa realtà irreale che sono gli Emirati. Bravi Arabi.
Un punto per voi.
Sull’ ultimo volo, da Roma a Bologna sono un po’ triste.
Ma porto con me tante cose.
Un rumore, anzi due : le campanelle dei templi che suonano al vento. Lo sfrigolio perenne dei cavi dell’alta tensione. Un odore : quello acre e onnipresente delle bancarelle che cucinano per strada.
Un sapore : quello del riso dolce col mango.
Una sensazione tattile : il dolorino delle gocce di pioggia feroci sulla pelle.
Un’immagine, anzi due : lo sfavillio indescrivibile del tempio del Wat Prah Kew. E la stessa immagine che si confonde tra le mie lacrime di commozione.
Ora posso dire che questo viaggio non è stato difficile. Questo viaggio è stata la cosa più bella, più giusta, più importante che io abbia mai fatto per me stessa.
Concludo il mio diario con un solo consiglio.
Partite. Andate da soli. Scoprite. Esplorate. Capite. Vivete. Domandatevi. Rispondetevi. Stupitevi.
Viaggiate.

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